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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Sabato 23 febbraio: alle ore 20,20 sul sito della maratona di Malta e' apparso, sovrapponendosi agli altri comunicati che magnificavano il record di partecipanti, in tutte lettere rosse la scritta:

OFFICIAL: 23/Feb @ 20:20 - The Malta Marathon Organizing Committee together with its safety officers have taken the unfortunate decision to cancel the 2019 GiG Malta Marathon, Half Marathon and Walkathon. This decision is based on the current weather conditions and the forecast for tomorrow that indicates a further deterioration. This decision has been taken in the interest of the safety of the participants, the volunteers, the general public and all third parties involved.

In effetti, dalle 15 circa su Malta si e' scatenato un violento nubifragio, con fulmini e forte vento, caduta di grandine tanto forte e prolungata da dare l'impressione di neve a terra: e le previsioni, che fino a ieri parlavano di semplici "showers" per domenica, adesso propendono per molto peggio. Si tratta della coda meridionale di un fenomeno gia' segnalato per l'Italia del centro-sud, cui a Malta si aggiunge l'abituale incrociarsi dei venti mediterranei. Qualcuno ricordera' che nel 2015 a Messina una maratona fu annullata, coi podisti gia' sulla linea di partenza, per il vento (senza pioggia). E non furono nemmeno rimborsati i prezzi dei pettorali.

Peccato per  i tanti italiani (alcuni, habitues: molti altri, alla prima esperienza nell'isola) che hanno scelto Malta come meta per la maratona (e la mezza): vorra' dire che si ridurranno a fare turismo in quest' isola che certamente lo merita (il centro della capitale La Valletta e' patrimonio Unesco, e basterebbero i due quadri di Caravaggio a giustificare la visita, ma c'e' anche un impressionante Museo della guerra che ripercorre le tante battaglie condotte qui, prima tra cristiani e mussulmani, ma per finire anche tra italiani coi tedeschi e maltesi con gli inglesi).

A Ryanair del rinvio non importera' invece niente: chi ha avuto ha avuto, e proprio in queste settimane la compagnia ha incrementato i suoi balzelli, le sue limitazioni ai bagagli, i prezzi degli extra e le vessazioni anche burocratiche. Fin che gli metteremo volentieri il collo sotto la mannaia.

 

PS del 24 febbraio. Nessun rimpianto, a differenza che se oggi fosse spuntato il sole. Invece le condizioni del clima sono state per tutto il giorno, e persistono tuttora (ore 18), proibitive. Il quartiere di Sliema, dove era previsto l'arrivo, aveva molte strade allagate e ondate superiori a 5 metri che spazzavano le strade e hanno fatto cadere molti pali (metallici)  dei lampioni. Interdetto il traffico degli autobus (che oltre tutto avrebbero dovuto trasportare i maratoneti alla partenza di Mdina). Al rientro documentero' con foto curiose e significative.  In altre occasioni (vedi annullamento della maratona di Messina o sospensione del trail di Cromagnon) ho avuto da ridire, qui invece condivido la scelta degli organizzatori. Altrimenti a quest' ora conteremmo i dispersi o gli ospedalizzati. Gli organizzatori ci hanno invitato a ritirare comunque le medaglie.

Qualcuno si era scandalizzato nel vedere il plurisqualificato Roberto Barbi nel gruppetto che lo scorso novembre  aveva ‘simulato’ la maratona di Bologna. Bè, c’è qualche analogia con quanto successo ad Austin nel Texas, domenica 17 febbraio, durante la 28^ edizione della  Ascension Seton Austin Marathon: ecco come lo racconta nel suo profilo Instagram Lance Armstrong, il ciclista texano la cui pagina dei record è costellata di righe orizzontali, a indicare i risultati “erased” dopo la scoperta del suo sistematico doping:

Che giornata di corsa assolutamente incredibile alla maratona di Austin come suo “Charity Chaser” (letteralmente, “cacciatore di carità, di offerte”). Partendo 22 minuti dietro il gruppo con l’obiettivo di raggiungere e superare quanti più atleti possibile,  me ne sono rimasti davanti solo 59”.

L’organizzazione aveva stabilito di donare alle associazioni caritatevoli un dollaro per ogni sorpasso compiuto da Lance (che era assistito da tale Joe Di Salvo in bicicletta), e alla fine sono state circa 2600 le persone che hanno, più o meno volontariamente, contribuito alla donazione. Il tempo lordo ottenuto dall’ex ciclista è stato di 3.24:13, dunque un real time di 3.02:13 (e negative split di quasi 3 minuti nella seconda metà rispetto alla prima), per una media sotto i 4:20 a km.

Non era la prima maratona corsa da Armstrong: aveva esordito a New York nel 2006 chiudendo in 2.59.36, con l’appoggio di pacer d’eccezione come Alberto Salazar, Joan Benoit Samuelson e Hicham El Guerrouj; e migliorandosi nel 2007 con 2.46.43; poi nel 2008 aveva corso a Boston in 2.50:58: e la sua fatica è largamente documentata da foto e video, uno dei quali  lo mostra addirittura a far pubblicità alla gara nella doppia veste di ciclista e podista https://www.youtube.com/watch?v=o0CvK0uWm9c

Peccato che, dopo le condanne per doping, gli organizzatori di quelle maratone abbiano deciso di cancellare anche quei risultati, uniformandosi alle delibere dell’agenzia antidoping. Ma ad Armstrong è ugualmente consentito di prendere parte a manifestazioni sportive non ciclistiche, di livello regionale o nazionale, e che non siano qualificanti per competizioni internazionali. Lo si era visto fare jogging anche alla partenza israeliana del Giro d’Italia 2018.

È chiaro che qualcosa deve fare per sopravvivere,  dopo aver concordato con il Governo americano il pagamento di 5 milioni di dollari in danni in una causa che gli sarebbe costata 100 milioni, e dopo che i suoi vari avvocati gli hanno presentato una parcella da 111 milioni di dollari. Sembra peraltro che le sue finanze si siano parecchio irrobustite per un investimento molto preveggente, di appena 100 mila dollari nel 2010, sui taxi Uber.

Malgrado gli scopi benefici, l’impresa nella maratona non ha convinto tutti: riportiamo senza tradurre un commento apparso sulla stessa pagina Instagram dell’ (ex) campione:

@iamdavidiron, he's a lying POS, his interview was so cavalier it was embarrassing. the asshole destroyed numerous lives and should not show his face in Austin. go crawl back in your hole.

Per curiosità, aggiungiamo che una riga orizzontale marchia anche la maratona stessa di Austin: il vincitore del 2014, il keniano classe 1975 Joseph Mutinda (2:14:17), è stato squalificato per tre anni e privato del titolo in quanto doppiamente positivo al 19-norandrosterone.

17 febbraio - La fama nazionale di Rubiera atletica è legata al nome di Stefano Baldini, ma nel piccolo grande mondo delle corse non competitive si lega a questa manifestazione di metà febbraio, diventata un appuntamento da non perdere, anzi di successo crescente, grazie alla convergenza dei due comitati di Reggio e soprattutto di Modena (dico “soprattutto” perché tra i primi dieci gruppi premiati per numero di partecipanti, otto erano modenesi, capitanati dalla solita elefantiaca Cittanova che ha acquistato ben 257 cartellini).

In effetti, anche nei tempi di contrapposizione verso le “teste quadre”, lo storico presidente del movimento podistico modenese, che osteggiava la vicinissima Arceto tacciando chi ci andava di farlo solo per ottenere una gallina a buon mercato, tuttavia convogliava i suoi a Rubiera, dove il premio era un cosciotto di tacchino (sostituito solo molto più tardi da un paio di calze, come è tuttora).

E adesso che il prezzo delle non competitive è stato conguagliato ai 2 euro in tutta l’area Bologna/Modena/Reggio, nessun aspirante modenese al reddito di cittadinanza si lamenta più dell’insostenibile cifra, cosiddetta  rovina-famiglie, che bisogna sborsare. Addirittura oggi c’era anche la possibilità di correre gratis per chi  fosse arrivato a Rubiera in treno: peccato che di treni che fermino a Rubiera, specie di domenica, ce ne siano pochissimi: e infatti sono... ben cinque coloro che hanno usufruito dell'opzione!

Resta comunque il sospetto che molti abbiano usato il mezzuccio di correre senza acquistare il pettorale: guardatevi le foto e fatevi un’idea. Ah già, notoriamente i podisti della zona amano appiccicarsi il pettorale sulla pelle nuda, e poi metterci sopra magliette e maglioni; e se voleste verificare, provate a chiedere alla pantera nera che a Domenico Petti rivolge gesti sinuosi e insinuanti (foto 1155), e in arrivo sfodera per Nerino il suo incantevole sorriso (foto 1384), di togliersi gli abiti per lasciarci fare come San Tommaso… Il discorso ovviamente vale per tante altre, come la calorosa/caliente della  foto 1567 di Nerino, le numerose “curves” (Nerino 1540, Petti 1281 ecc.) cui forse la spilla rovinerebbe l’elettrizzante maglietta blu/viola; o, al maschile, per  il modenese che non vuole deturpare il suo smanicato (Nerino 1063, Petti 825) con un tagliandino di carta verde, per giunta riciclata.

Vorrà dire che inseriremo quanti insistono a spillarsi il pettorale (come fa ancora Massimo Bedini, foto Petti 975, o la bambina della foto 1582 di Nerino) nell’elenco della fauna da proteggere perché in via d’estinzione. Mi è capitato in una sola gara modenese di veder negato l’ingresso nell’area del ristoro a chi non aveva il pettorale: ma la corsa era gestita da una società ‘eretica’ e ‘cattivista’.

Così, non so se le cifre dichiarate dagli organizzatori rubieresi, 4750 o giù di lì, corrispondano a tanti pettorali acquistati ed effettivamente usati: l’impressione dei parcheggi (ben ordinati, almeno finché non sono scoppiati per eccesso di ingressi), poi della fiumana in partenza (vedere le foto di Nerino da 71 in poi, di Petti da 121 in poi), poteva suggerire tremila ‘effettivi’; e naturalmente c’erano anche i partenti anticipati, ormai tara ineliminabile da queste parti e non solo. Speriamo che i tanti bimbi presenti non imparino dagli adulti.

Il percorso si è ormai stabilizzato nella zona a sud di Rubiera, lungo il torrente Tresinaro, con l’attraversamento dopo 5 km del parco e villa omonimi dell’allenatore zero-tituli dell’Inter: all’uscita avviene la separazione tra il percorso più lungo, che raggiunge Arceto e Bagno per un complesso di oltre 15,5 km, e quello intermedio da 11 km (altri due giri più corti, di 4,5 e 8, si erano già separati prima, mentre in centro di Rubiera si è svolta una gara per gli scolaretti degli asili, sui 400 metri, che ho scelto come foto emblematica di questa giornata, sperando che siano loro a salvare le sorti del podismo).

Assoluta la chiusura al traffico (in centro, anche il divieto di sosta), che viene a collimare  con l’innovazione “ecologica” della gara, visibile soprattutto in zona traguardo dove volontari di Legambiente ci instradavano a un corretto smaltimento dei rifiuti (peccato però che vicino al tavolo del ristoro mancassero del tutto i cestini per gettarci le bucce d’arancia, col risultato che taluni le buttavano a terra o le lasciavano, ciucciate, sui tavoli).  Niente plastica (a parte quella dei bicchieri, comunque di chiarati “compostabili”, come le medaglie [vedi foto Petti 1389 ],  e che dopo trattamento finiranno, con gli altri scarti, negli orti scolastici); e neppure bottigliette ma “acqua del sindaco” e tè (finito però prima che arrivassero i più lenti: dubito che Giangi ne abbia usufruito).

Fortunatamente meno ascetico il ristoro del km 5, annunciato dal cartello “si entra magrolini si esce cicciotti”: alla fine del tavolo infatti c’erano fette di salame, con gnocco,  bottiglie di birra e vino, snobbate dai più ma non dal sottoscritto che ha bisogno di ricostituire le scorte dopo due settimane di malanni stagionali. Servizi igienici chimici “certificati sostenibili”, che non so bene cosa voglia dire (certo, non scaricano a terra; e niente trattamento “chimico” per il “materiale” che ci entra?); comunque in zona partenza ce n’erano solo 4 o 5, diciamo uno ogni mille partecipanti.

Straripante e itinerante, come da copione, lo speakeraggio di Brighenti (foto Nerino 19, 32 e seguenti), che possiamo definire “enfant du pays” sebbene sia di origine modenese; e se in centro di Rubiera una lapide ricorda la stanza dove dormì l’Eroe dei due Mondi nel 1859, chissà che in un domani non si indichino i luoghi da dove Brighenti è partito verso la fama nazionale nei Mondi del podismo e degli sport invernali.

Nutrita anche la presenza di fotografi: vedete che i nostri due hanno scaricato ben tremila immagini: i fotografi professionali che si riservano i diritti d’immagine erano presumibilmente in una delle competitive della giornata, e insomma a Rubiera tutti hanno lavorato in santa pace senza speculazioni né litigi. Molte torte e bottiglie di spumante alle tende delle società, perlomeno quelle modenesi: insomma, adelante Pedro con l’ecologia, ma  senza rinunciare alle gioie della vita.

VIDEO

 

Se ne è andata in silenzio: questa non è la frase fatta che di solito apre i necrologi, ma corrisponde alla scelta di vita e di morte di suor Elsa Pasquali, vicentina di Schio, classe 1941, che l’8 dicembre 1966, dieci mesi dopo aver stabilito il record mondiale dei 30 km (con 2.03:04), aveva scelto di entrare nel monastero di Vimercate con la congregazione di S. Paolo di Chartres (un ordine di suore consacrate alla carità verso il prossimo, fondato nel 1696 e che ha ora la sua sede centrale a Roma). E proprio nella Casa di Roma suor Elsa è spirata l’8 febbraio, ma disponendo che l’annuncio della sua morte fosse divulgato solo ieri, 13 febbraio, ad esequie avvenute.

Elsa Pasquali, tesserata per l’Atletica Schio, che si allenava la sera dopo aver lavorato in fabbrica, nei primi anni Sessanta raggiunse e superò le distanze massime allora consentite alle donne: cominciò coi  400, 800 e 1500 metri (ricordo che Paola Pigni, più giovane di lei di 4 anni, cominciò a correre i 1500 all’altezza di Messico 1968, quando non erano ancora disciplina olimpica). Poi, sotto la guida di un allenatore straordinario come  Mario Lanzi (il novarese classe 1914, argento olimpico a Berlino sugli 800, e che proprio a Schio concluse nel 1980 la sua carriera di sportivo e di uomo), il 29 dicembre 1965 stabilì il record mondiale sull’ora con la distanza di 15,953 chilometri. La ricorda ancora Giorgio Cimbrico, lo storico dell’atletica italiana, in un contributo del 2018 su “Le pioniere dell'atletica azzurra”, come colei che  avviò il “processo di emancipazione, di abbattimento di cancelli all’interno dei quali erano state rinchiuse” le donne.

Nemmeno un mese  e mezzo dopo il primo record, ecco un altro mondiale di Elsa, su una distanza semplicemente inimmaginabile al femminile, i 30 km, stabilito l’11 febbraio 1966. Fece in tempo a parlarne l’ultima edizione di un libro di culto, L'atletica femminile in Italia e nel mondo di Salvatore Massara (Napoli, L'Arte Tipografica, 19663, dopo una prima stampa del 1955 pubblicata a Vibo Valentia presso un editore che si chiamava, guarda caso, Gigliotti).

Ma mentre il libro usciva, Elsa, a 25 anni, entrava in convento a Vimercate, diventando per sempre suor Elsa, e così dichiarando al “Gazzettino”, il giornale della sua terra (che oggi  ne riproduce le parole): “L’atletica mi ha dato molto, non soltanto sul piano fisico: le mie vittorie più belle, la mia capacità di resistenza allo sport, di soffrire nelle estenuanti gare sono state per me come un segno premonitore che avrei potuto applicare le mie forze fisiche e il mio spirito di sacrificio a un fine più utile di quello che non sia il raggiungimento di un traguardo agonistico. Donando la mia vita a Dio, le darò un senso nuovo, mi completerò, mi arricchirò più di quanto un qualsiasi primato mondiale possa arricchirmi».

Tornò a Schio quattro anni dopo, scrivendo per l’inaugurazione del nuovo centro per l’atletica leggera questa frase: «Qui Cristo mi chiamò. Sì, vengo mio Signore a correre dietro a Te. Tu sarai la mia pista, Tu sarai il mio allenatore, Tu sarai la mia gara, Tu sarai il mio traguardo…».

Domani mattina 15 febbraio, alle 9 nell'oratorio salesiano di Schio, una messa in suffragio. È da sperare che ben altri riconoscimenti  giungano presto a ricordare Elsa anche su questa terra.

Sembra che la Tailandia sia una terra ricchissima di maratone: e se le più celebri sono quella ‘classica’ di Bangkok, che pochi mesi fa ha celebrato la trentesima edizione, e quella di Phuket, la cui prossima edizione è prevista per l’8 giugno prossimo, tante altre si affacciano sull’orizzonte di internet e del turismo, anche di provenienza italiana.

È di pochi giorni fa la notizia, circolata pure sulla stampa italiana, che durante la maratona Chombueng a Ratchaburi, nella parte occidentale dello stato, una ragazza di nome Khemjira, imbattutasi dopo una dozzina di km in un cucciolo di cagnolino, sperduto in mezzo alla strada, l’ha raccolto e con lui in braccio ha completato i  restanti 30 chilometri del percorso. Tagliato il traguardo, con questo esserino “troppo adorabile", Khemjira ha deciso di adottare il cucciolo, cui ha dato lo stesso  nome della maratona: Chombueng.

Pochi giorni dopo, direttamente proveniente dalla maratona di Las Palmas in Gran Canaria, il supermaratoneta pratese Mario Ferri ha voluto sperimentare la seconda edizione della Amazing Thailand Marathon Bangkok 2019, in programma domenica 3 febbraio  (la prima edizione si era svolta il 4 febbraio dell’anno scorso, e ci sono ambizioni per farne l’evento sportivo più importante della nazione), su quattro diverse distanze di gara: maratona, mezza maratona, 10 km e Fun Run di  3,5 km.

Partenza avvenuta, per i maratoneti, alle 3 di mattina dallo stadio Rajamangala, e percorso lungo le strade della capitale toccandone alcuni dei luoghi più celebri,  come il monumento alla Vittoria, la statua equestre di Re Rama V il Grande e il Ponte Rama VIII, con arrivo presso il monumento alla Democrazia.

Ecco la classifica dei primi arrivati:

Uomini

1°:          2:16:01 Kemboi Rotich Kennethi              Kenya

2°            2:17:32 Asrar Abderehman                        Ethiopia

3°            2:18:19 James Tallam                                  Kenya

 

Donne

1^:         2:43:55 Magaret Wangui Njuguna                          Kenya

2^           2:45:23 Tekle Kidst Teka                              Ethiopia

3^           2:47:54 Edinah Jeruto                   Kenya

 

Dunque, il nostro amico Ferri, classe 1946 (che naturalmente ha profittato della trasferta per fare anche turismo e safari fotografici), ha corso ovviamente la distanza maggiore,  pare come unico italiano (almeno, questo risultava all’ambasciatore italiano in Tailandia Lorenzo Galanti, che si è complimentato con lui), e pure come unico over 70, chiudendo 1221° assoluto in 5.06:02 (tempo netto).
Pensare che fino a 24 ore dall’evento la gara è stata in forse, a causa (scrive Mario) di “una cappa di smog fuori dal normale”: poi ha cominciato a spirare una leggera brezza abbassando i valori di inquinamento ambientale, e la corsa ha potuto prendere il via. Ci aggiunge:  “Io respiravo piano piano ma comunque un centinaio di ‘sigarette’ credo di averle fumate!”. Poi, per disintossicarsi, “via in aereo verso Ko Lipe, dall’altra parte del paese, e là mi sono sentito come un personaggio dei libri di Salgari!”.

Lo aspettiamo presto di ritorno, e poi a raccontarci altre avventure di corsa: la sua filosofia è “vivo di emozioni, e allora la penna muove la mano da sola”.

Domenica, 10 Febbraio 2019 23:46

Granarolo (BO), 43° Camminata di Viadagola

10 febbraio - Ben 544 classificati, di cui 119 donne, a questa 10 km che costituiva il secondo  appuntamento del trofeo Uisp Corriemilia, articolato su 15 gare tra cui quattro maratonine e sette 10.000. La gara era inserita in una delle più antiche corse bolognesi, nata come non competitiva e che tuttora conserva una sezione per i non agonisti (2/8/10 km), intelligentemente dislocata su strade del tutto diverse e in orario sfalsato, cosicché non c’è stata nessunissima interferenza tra i due tipi di partecipanti.

Da notare che la gara competitiva era aperta indifferentemente a tesserati Fidal, Eps e Runcard;  si svolgeva su due giri grosso modo a forma di L, il primo leggermente più lungo del secondo (circa 5300+4700), quasi totalmente asfaltati, con due + due rilevamenti chip. Il tocco di classe in più è stato conferito dallo speaker, locale e nazionale insieme, Daniele Menarini condirettore di “Correre”, che ha simpaticamente voluto ricordare anche i 20 anni di Podisti.net di cui si dichiara assiduo lettore.

La vittoria assoluta maschile è stata contesa tra Luis Matteo Ricciardi e Diego Avon, distanziati alla fine di 6 secondi (32:13 contro 32:19), entrambi alla media di 3:13/km; in 32:30 è giunto Mattia Picello. I primi 13 classificati appartengono tutti alla categoria AM (under 40);  la categoria BM (under 50) è stata vinta dal 14° assoluto, Federico Soriani (35:32), solo 4 secondi meglio di Alberto Bonvento. Mentre 19° assoluto è giunto Massimiliano Corticelli, vincitore con 36:01 tra i CM cioè gli over 50. Ovviamente più indietro Roberto Ferendeles, primo tra i DM cioè gli over 60 con 39:36, che comunque significa sempre stare sotto i 4’/km.

Più scontata la vittoria in campo femminile, andata alla rappresentante dell’Esercito Ilaria Fantinel, atleta a tempo pieno dunque, feltrina classe 1998 e campionessa italiana di cross, azzurra under 23 in una 10 km internazionale a Rennes lo scorso ottobre. Con 37:07 ha inflitto 53” alla reggiana Daniela Ferraboschi, classe 1974, seconda assoluta e prima della categoria BF (over 40); in 38:28 è giunta la terza assoluta, e seconda over 40, Isabella Morlini, che ha preceduto la seconda AF, e quarta donna, la 39enne Fiorenza Pierli. Katia Bianchini, prima CF (over 50), ha chiuso in 41:24.

Le premiazioni, che si sono svolte per categorie, hanno coinvolto ben 105 atleti e atlete. Discreto il pacco gara per tutti gli altri, mentre ai non competitivi (iscrizione 2 euro) è toccata la rituale confezione di tagliatelle all’uovo.

Nelle classifiche per società, fondate sulla somma di punti dei 200 uomini e delle 50 donne meglio classificate, hanno nettamente prevalso la Pontelungo Bologna tra gli uomini e la Gabbi tra le donne.

Prossimo appuntamento del trofeo sarà la nuova maratonina di Reggio Emilia del 17 marzo.

Sabato, 02 Febbraio 2019 00:15

Corrida: vietato parlar male di Garibaldi!

31 gennaio - Premesso che la Corrida è la madre di tutte le corse modenesi, e davanti ai suoi inventori Gigliotti e Finelli bisogna solo mettersi sull’attenti, sarà forse il caso di non esagerare troppo con gli aggettivi e col “fiato alle trombe Turchetti”. Il quotidiano locale esordisce parlando di gara “epica”, di “successo a tutto tondo: numeri, livello tecnico, sorrisi”, e prosegue sullo stesso tono.

A uno che di Corride ne ha corse 35 su 45 negli ultimi 42 anni, al di là dell’entusiasmo campanilistico, si può concedere di riportare la gara entro quadri più aderenti al vero, cominciando dai “numeri”, che non sono deludenti ma neppure esaltanti: 651 competitivi arrivati (l’anno scorso erano stati 665); quanto al “livello tecnico”, i tempi dei primi sono leggermente peggiori del 2018 in campo maschile, considerando che il percorso era stato accorciato, causa un tratto ghiacciato, di almeno 400 metri (senza però correggere la posizione dei cartelli, cosicché tra il km 9 e il km 10 intercorrevano 600 metri): il vincitore, africano de noantri, ha impiegato 35 secondi meno del suo omologo 2018, e siccome la media stava sui 3 a km, significa grosso modo un teorico  minuto e 20” in peggio. Qualcosa meglio in campo femminile, dove la Epis ha battuto la Incerti 2018 di oltre 2 minuti, come hanno fatto anche la seconda e la terza, finite a ridosso; dunque, in termini reali, appena una trentina di secondi meglio della vincitrice dell’anno prima.

Di “epico” non c’è stato proprio niente: avevo sperato anch’io di ripetere l’emozione dell’acqua alta di Venezia 2018 correndo stavolta sulla neve, ma purtroppo è smesso di nevicare in nottata, non faceva nemmeno troppo freddo, e le strade erano in perfette condizioni. Semmai, l’intralcio viene dall’insistenza sul disastroso percorso dei primi due km: una curva ad angolo acuto dopo duecento metri, dove a parte i primissimi, tutti gli altri letteralmente si fermano (primo km corso in 6:35, secondo in 5:30); due altre quasi-soste in via Emilia e Corso Canalchiaro causa le strettoie delle bancarelle da cui emana (ha scritto il notista di colore della Gazzetta di Modena) “l’uppercut olfattivo di effluvi di sulséza che incrociano miasmi tiepido-nauseabondi di vin brulé alla cannella”. Sinceramente, negli anni intorno al 1995, quando la partenza avveniva in senso opposto, si andava più lisci: ma vada pure, noi anzianotti abbiamo una scusa in più per giustificare i tempi crescenti di anno in anno.

Il guaio è che, coll'avanzare dell’età, chi una volta partecipava alla Corrida competitiva adesso la fa non competitiva, o peggio (con la scusa dei prezzi d’iscrizione non adeguati al reddito di cittadinanza) la corre senza pettorale: e se dalle foto di Teida CLICCA QUI possiamo essere indulgenti con certe persone ritratte alle foto 440, 658, 671 della seconda cartella, immaginando che portino il pettorale nascosto sotto i maglioni (però nell’ambiente modenese si conosce l’allergia allo spillino di taluni), per altri che corrono in canottiera (foto 424) è più difficile trovare giustificazioni. Onore invece a Giuseppe Cuoghi (foto 643 e 644) che con questa ha corso tutte le 45 edizioni ufficiali, a Elvino Gennari (foto 25 della prima cartella), al carpigiano Gamba ed Lègn (foto 40 e 41), omaggiato persino da Baldini, all'altro sempre presente Emilio Borghi: tutti al traguardo con onore e quasi sempre con classifica.

Che la gara non sia stata straordinaria l’ho percepito anche dalla premiazione finale, insolitamente breve e priva del codazzo di politici che l’avevano, si fa per dire, onorata l’anno scorso: a parte il sindaco e l’Assessore Bello, che non potevano mancare, degli onorevoli presenti sul palco nel 2018 (un mese e mezzo prima delle elezioni, poi rivelatesi per loro disastrose) oggi si è vista solo l’ex ministra Lorenzin (foto 748 e dintorni), premurosa nel coltivare il distretto elettorale dove era stata paracadutata all’insaputa di chi doveva votarla. Ecco, almeno da lei sono venuti i larghi “sorrisi” di cui parla il quotidiano locale.

27 gennaio – Tre anni dopo torno a questa maratona, e soprattutto a quest’isola saldamente europea, verso cui si vola low cost (160 euro a/r prenotando un mese prima, e aerei sempre pienissimi). Siamo nell’ Africa sub-sahariana per il clima (tra i 21 e i 27 gradi nell’aria, tra i 19 e i 21 in acqua), e siamo nell’Europa del nord per l’organizzazione, come si capisce già dai cartelli dell’aeroporto, la cui prima lingua è il tedesco, la seconda l’inglese. Non una cicca o una cartaccia in spiaggia, e se tu pedone ti avvicini sulle strisce le auto si fermano; trasporti pubblici efficientissimi.

Le Canarie sono spagnole da metà Quattrocento, nessuno ha pensato di ‘restituirle’ negli anni Sessanta, cosicché ci si va con tutta sicurezza; migliaia di svedesi, di tedeschi e dintorni le hanno scelte come residenza della terza età, ma anche gli italiani si fanno notare: tra gli ultimi arrivati, incontrerò (nei km finali della maratona) la coppia reale Andrea Accorsi/Monica Barchetti, che hanno dato l’addio alla loro maratona di Crevalcore e si godranno il resto della vita lì dove la benzina costa 1,050 al litro, e una corsa in autobus di 30 km sta sui 3 o 4 euro.

Da sei anni, la maratona di Gran Canaria è stata adottata dal supermaratoneta pratese giramondo Mario Ferri, con l’appoggio di un altro maratoneta italiano, Ugo Fabbri, da tempo residente qui, a beneficio degli amici italiani che vogliano correrla e passare una settimana di vacanza ‘attiva’: dal giovedì al lunedì approfitto dell’offerta, che per un prezzo davvero amichevole mi porta in un albergo di superlusso nella zona delle spiagge di Maspalomas (patrimonio Unesco per le mitiche dune), con l’aggiunta di escursioni quotidiane e del trasporto in pullman da/per l’aeroporto, da/per la partenza della maratona. Ci troviamo così in una cinquantina di italiani, prevalentemente supermaratoneti (il più prolifico è il romagnolo Lorenzo Gemma, che ha largamente superato le 800 maratone concluse; ma attenzione anche al “sindaco di Mantova ” Marco Simonazzi, e allo stesso Ferri, che da quando nel 2014 ha raggiunto le 500 maratone ha smesso di contarle): condivideremo spiagge, ascensioni alla cima più alta dell’isola (quasi 2000 metri),  colazioni e cene abbondantissime nello stile “all you can eat”, due piscine, palestra e così via.

Last but not least, c’è la maratona, che da un paio d’anni si svolge su giro unico e non sul doppio 21,097 come agli inizi, e quest’anno non ha lesinato sforzi (leggi: ingaggi di africani) per ottenere tempi-record. Come è andata?

I due giornali ‘canarini’, “Canarias 7” e “La provincia”, nell’edizione del lunedì contengono entrambi un inserto speciale di 20 pagine dedicato alla corsa: ma a differenza delle gazzette nostrane foraggiate, che generalmente ricopiano le veline ufficiali magnificando tutte le cose ottime e tacendo le critiche; e a differenza dei giornaloni italiani, che esprimono il cosiddetto pensiero unico, impostano i loro resoconti su due punti di vista pressoché opposti.

Abbastanza positivo “La provincia”, che segnala come grazie ai tempi ottenuti la gara si collochi ora tra le prime sette spagnole, e quest’anno abbia migliorato cinque dei suoi record sulle tre distanze principali (maratona, mezza, 10 km). Unico neo, le lamentele dei residenti per le forti limitazioni al traffico automobilistico (il che, per noi podisti, è un pregio).

Decisamente critico invece “Canarias 7”, che rileva il calo di partecipazione, con soli 4343 partenti nelle tre gare (969 nella maratona, con 880 arrivati; 1535 nella 21), e numeri mortificanti nel campionato delle Canarie, proclamato all’ultimo momento e celebrato da soli 7 partecipanti (una sola donna, ‘campionessa’ con 4.59). Le accuse vanno alla Fidal locale, che profonderebbe denari senza criterio, e ai politici che si fanno fotografare sorridenti, davanti a una “caramella con un involucro luccicante, ma che scartata e assaggiata lascia un sapore amaro”. Devo però dire che nel 2016 i finisher della gara più lunga furono 654, dunque ci si può ancora consolare; e che due sezioni a parte delle classifiche ufficiali (http://grancanariamaraton.com/web/en/resultados/) elencano un centinaio tra ritirati e squalificati (oltre ai non partenti, tra cui il validissimo supermaratoneta riminese Alfredo Sboro, richiamato dolorosamente in patria dalla morte della mamma).

La diversità fra i due giornali appare anche dalle classifiche, complete in entrambi ma date da “Canarias 7” secondo i tempi lordi, da “La provincia” secondo il real time, col risultato che il piazzamento a volte non corrisponde al tempo (cioè ti trovi davanti gente che ha un tempo effettivo peggiore).

Non c’è comunque discussione per i primi posti: il vincitore della maratona, il keniano Julius Kiprono (2.12:08 ovvero 2.12:03), batte il secondo (suo connazionale, come pure il terzo)  di due minuti; la keniana Shelmith Nyawira con 2.33 precede di ben 12 minuti l’etiope Fantu Zewude. Completamente africani i podi delle due gare maggiori, se si esclude il terzo posto nella 21 della croata Matea Parlov.

Un po’ di gloria per l’Italia grazie alla vittoria in maratona nella categoria F 70 della romana Paola Cenni in 5.18:05. Un po' meno per i 29 squalificati, tra cui 5 o 6 italiani, soprattutto donne... A titolo di curiosità segnalo che il mio Gps ha dato una lunghezza complessiva di 42,880 e un dislivello di 425 metri: fate conto di aver corso in un paesaggio ligure, teoricamente sul mare, ma con saliscendi continui.

Si parte alle 8,30, insieme, per i 21 e i 42 (staremo insieme nei primi e negli ultimi 8 km). Il tracciato è complessivamente piacevole, panoramico e monumentale insieme (specie per il passaggio dall’antica capitale La Vegueta tra i km 25 e 30, e gli ultimi esaltanti 3 km lungo la spiaggia di Las Canteras); perfettamente chiuso al traffico veicolare e protetto dai pedoni – comunque educatissimi - grazie a un transennamento quasi continuo. Una decina i controlli col tappetino chip, rinforzato da giudici che fanno la spunta manuale. Ristori e spugnaggi regolari (anche se le spugne sono rettangoli ‘normali’, e non più nella forma dell’isola come nel tempo che fu). Forte l’incitamento del pubblico e dei tanti addetti lungo il percorso; orchestrine e gruppi di percussionisti completano la festa. Medagliona rettangolare di cm 11x9, più maglietta di finisher che si  aggiunge all'altra maglietta compresa nel pacco gara. Unica cosa meno piacevole, le docce freddine (per forza, se le collochi in un campo di calcio, quelli dopo i primi 11 le troveranno sempre fredde); soluzione di riserva, personalmente praticata, è il bagno nell’oceano, proprio sotto l’arrivo.

Del resto, per noi del gruppo italiano (cui si aggiunge, curiosamente, “Ronaldinho”, alias Haroldinho Abauna, l’olandese visto un mese fa a Castelfusano, dove pure era la taxista romana Laura Mancinelli, oggi arrivata insieme a me), è una festa, degnamente conclusa dalla cena di domenica sera combinata tra Ferri e la direzione dell’hotel. Torneremo ancora? Non farlo sarebbe un peccato, ma ci sono tante altre Canarie, ciascuna con la sua maratona, che non ci si può permettere di perdere.

È un gran dire che il podismo è in calo, che alle camminate vengono soprattutto i vecchi, che ormai all’ora giusta, dalle parti di Bologna, non parte più nessuno… Poi uno va a Pianoro, 15 km a monte di Bologna, su per la vecchia e inadeguata Futa (mentre i treni sfrecciano indisturbati sulla Direttissima), per correre o camminare la “Galaverna”, trova un parcheggio dubbio (valgono anche la domenica i divieti di sosta davanti ai cancelli delle fabbriche?) a 800 metri dalla partenza (ma tanti si fermano sulla statale, a un chilometro abbondante dal parco in cui è da vari anni collocato il centro gara); e arrivato alla partenza quasi in extremis, sotto un cielo imbronciato che a metà gara lascerà cadere perfino un delizioso nevischio, vede una fila lunga un centinaio di metri davanti alla distribuzione dei pettorali non prenotati, mentre quasi tutte le società hanno già esaurito il proprio contingente (per fortuna io trovo ospitalità presso i ‘dissidenti’ della Porta Saragozza, quelli ‘cancellati’ dal Coordinamento bolognese perché osano chiedere il rispetto delle regole più elementari di buona convivenza podistica).

Si parte, con larga tolleranza sull’orario (cioè anche un quarto d’ora e più in ritardo), in salita, e almeno fino al primo bivio del podere Riosto (quello da dove ha origine la famiglia Ariosto, e dove oggi la linea Alta velocità si stacca dalla Direttissima per immergersi nella sua galleria lunga quasi fino a Firenze), cioè per i primi 3,5 km, la strada è occupata da migliaia di corridori e soprattutto camminatori, moltissime donne, molti bambini e gruppi scolastici, con pettorine stile sci numerate ben oltre 4000 (il record di partecipanti del 2017, 4449, deve aver traballato). Molti recano la maglietta, quest’anno blu, dedicata ad Alice Gruppioni, la pianorese neo-sposa uccisa da un pirata della strada nel 2013 a Lo Angeles durante il viaggio di nozze: e si convince che il podismo, finché sarà messo in pratica da corse come questa, non morirà mai.

Non voglio negare che una parte dell’attrattiva della “Galaverna” dipenda anche dal ristoro, per il quale si parla di costine, salsicce alla brace, polenta e nutella, vin-brulé, caldarroste: dico “si parla”, perché ai miei passaggi dai cinque ristori (2 ore e mezzo per fare i 20,700 del percorso più lungo, con 550 metri di dislivello e circa 5 km sterrati), rimangono solo acqua, tè, arance, banane e biscotti (e non lamentiamoci, per 2 euro di iscrizione!). Al traguardo (intendo, quasi a mezzogiorno), dei panini alla salsiccia sono rimasti solo i panini, e fette di piadina che vengono servite per chiudere almeno temporaneamente la bocca a chi sta aspettando i maccheroni al ragù, le cui pentolate arrivano a scaglioni. Anche il vino, un buon rosso dolce, finisce (ma ammetto che due bicchieri me li sorbisco); mentre tè, acqua, dolci e frutta, oltre al sacchetto di biscotti salati particolari del premio di partecipazione, resteranno ancora a tre ore e mezzo dal via, quando parecchie decine di camminatori continuano ad arrivare e il tradizionale gran fuoco si leva sempre alto nella zona ristori.

D’accordo dunque, ci sarà l’attrattiva della magnazza, ma non basta a spiegare il successo della manifestazione, una delle più antiche d’Italia (ricordo quei grigi giorni del gennaio 1973, quando venni all’ospedale militare di Bologna per la visita di leva, e percorrendo via Indipendenza trovai uno striscione teso in zona stazione, che annunciava la prima Galaverna, e io mi chiedevo cosa fosse).

Quell’anno la saltai (all’ospedale militare mi beccai pure l’influenza), ma poi, con questa ho finito per correrne 12, sempre sul tracciato più lungo che arrivava a 21.5, ora è leggermente cambiato ma conserva i suoi tre colli tradizionali, sui 350 metri di altitudine dopo una partenza a 180 metri, verso i km 3.5, 7.5, 13.5 circa, e infine l’ultima vigliaccata della salita sopra la ferrovia, quantificata in 30 metri verticali dal km 19.5.

Purtroppo gli inverni sono più tiepidi che quando si cominciò, di galaverna sugli alberi non ce n’è, e nemmeno quella neve ghiacciata nella prima discesa verso il km 5, mentre è stato soppresso l’altro tratto, tradizionalmente coperto di ghiaccio, dopo la chiesa di Guzzano intorno al km 15 (una discesa di 110 metri in un km solo, più altri 60 nei due km seguenti), che ci lasciava l’alternativa se scendere col didietro o tenerci stretti agli alberelli. Stavolta si viene giù per uno stradello asfaltato, salvo risalire un po’ verso il km 17 per una carraia fangosa, ma a una quota decisamente più bassa, fino a sfociare nella statale, traversando poi il Savena per entrare nella zona industriale di Pian di Macina, dove sta il nostro quinto ristoro (quello della teorica polenta e nutella): prima della salitaccia finale e del reingresso nel parco da dove siamo partiti.

Tantissima gente dunque, malgrado la concorrenza di Monteforte d’Alpone che in un certo senso somiglia a Pianoro, anche per le sbafate e bevute alcooliche (ma a prezzi ben più consistenti): gente che è rimasta a lungo a commentare, e piluccare i ristori, per non perdersi niente di questa magica atmosfera che commemora Alice nel modo migliore.

La classica invernale del trail parmense si articolava, come di consueto, su due percorsi (li si vedono disegnati nella foto 11 del servizio di Teida Seghedoni), di 23,5 km con 630 metri di dislivello complessivo, e di 14,7 con 430 metri D+: tracciati dunque piuttosto dolci, e resi ancor più corribili da una certa dose di asfalto  (vedi foto da 547 e 602) che fa storcere la bocca ai puristi del trail; ma dotati pure di tratti non solo paesaggistici ma artistici, come, oltre al castello presso la partenza-arrivo,  la Villa dei Boschi visibile nelle foto 105-117. Molto combattuta la gara maschile dei 23,5 km, che ha visto i primi quattro atleti arrivare entro 1 minuto e 40 secondi: ha prevalso il più giovane, il trentenne Loris Zanni (Team Amorotto) con 1.36:52, mezzo minuto meno di Claudio Chiarini, quarantatreenne della 3T Valtaro. Seguono Michele Nieppi (1.38:14) e Alessio Tenani (1.38:30).

Anche le prime due posizioni femminili si sono giocate nei diciotto secondi che hanno separato la vincitrice Monia Fontana (Sampolese), in questo caso la più anziana del gruppo contando già 48 primavere, da Giulia Magnesa (Casone Noceto), di un solo anno più giovane (2.07:35 contro 2.07:53).

Presso che allo sprint si è risolta la contesa maschile sui 14,7 km, dove hanno dominato i giovani: Alberto Gattinoni (Città Genova, 36 anni, 1.04:26), ha fatto valere la sua maggiore esperienza sul 24enne Marco Rinaldi (Kinomana), staccato di soli 5 secondi. Il terzo, Michele Capretti, ventottenne, è giunto a due minuti.

Non c’è stata storia invece nella gara femminile: Isabella Morlini (Atletica Reggio, fotografata nel pregara alla foto 27, e in azione alle 150-157), una settimana dopo l’argento mondiale nelle ciaspole, è arrivata sesta assoluta, e largamente prima tra le donne, con 1.10:23, un paio di minuti davanti a Eleonora Peroncini (Cus Parma), più giovane di 14 anni e undicesima assoluta. Sei minuti dopo è giunta la terza, e più giovane del lotto, Carlotta Vecchi, trentatreenne della Vengo lì.

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