Il Passatore n° 7 e le “orecchie da mercante” sul traffico
Quest’anno mi ero prefisso come obbiettivo la Nove Colli, odiata e amata dagli ultramaratoneti per le sue difficoltà intrinseche ma, per il timore più che fondato di non riuscire a perseguire l’obbiettivo, mi sono dato una seconda chance e mi sono iscritto alla 100 km del Passatore. In effetti, già prima e durante la gara romagnola mi chiedevo perché correre di nuovo dopo una settimana una gara così importante per distanza, perché stressare così tanto il fisico e la mente, per buttarmi poi per la settima volta su un percorso conosciuto quasi a menadito.
E così in casa e dagli amici, in vista di questa ulteriore prova, sono stato additato come un pazzo, uno scriteriato, uno che non si rende conto che già correre per 202,400 km è massacrante, figuriamoci ripetersi per 100 km a distanza di una sola settimana! In cuor mio mi ritenevo già soddisfatto e un po' ora snobbavo il Passatore, anche perché dover di nuovo affrontare i dolori determinati dalle vesciche ai piedi, il caldo del pomeriggio, un’ intera notte sveglio con tempi di percorrenza non inferiori, secondo le mie stime, alle 18 ore, non era di certo il massimo.
Ma ormai la decisione era presa da tempo, e rinunciare a tutto il contorno della gara non mi andava. Così, archiviata la Nove Colli in 29 ore e pochi spiccioli, il sabato successivo partiamo; il gruppo è questa volta formato dai veterani Aldo (cui si aggiunge la moglie Roberta che gareggerà nel Nordic Walking), Enrico, Martina alla quarta uscita, e gli esordienti Giovanna, Giorgia, Nicola, Marco, Pio, Mario, Armando e Walter. Con i suoi 46 anni il Passatore rimane una delle gare più affascinanti che si conoscano, che tutti i podisti, italiani e non, almeno una volta nella vita devono provare a portare a termine. Quando si pensa all’ultramaratona, si pensa a questa gara, questo cammino estenuante lungo l’Appennino che da Firenze porta a Faenza. Considerata dalle persone normali come una follia, è un sogno per noi che ci crediamo, un appuntamento quasi d’obbligo.
Da molti runners è mal vista perché avendo cancelli orari molto larghi viene corsa da tanti con poco o addirittura senza allenamento, aumentando la possibilità di infortuni.
E’ malvista per la presenza delle auto e le biciclette degli accompagnatori degli atleti che creano intralcio ai concorrenti, e che generano il dubbio dei passaggi agli atleti, i cosiddetti tagli o autostop che siano.
Nonostante tutto, la storia di questa gara in Italia è la storia di questa disciplina delle ultramaratone, e solamente chi l’ha vissuta arrivando al traguardo di Faenza, a volte in lacrime, può descrivere la gioia che si prova; si tratta di un viaggio con se stessi e come ogni “impresa’’ necessita di un pizzico di follia. E non significa correre al limite. Da persona normale prima della partenza, ci si trasforma in una persona migliore all’arrivo; è una grande occasione per dimostrare a se stessi che si possono fare grandi cose in quei momenti; rialzarsi miracolosamente ogni volta che si cade. E come tutte le grandi corse essa diventa una metafora della vita, un intera esistenza raccolta nell’arco della durata di questo viaggio interiore; un viaggio interiore che ognuno fa dentro e con se stesso e che solo le lunghe distanze permettono di realizzare. Momenti di buio e di sconforto si alternano a momenti di euforia determinata, anche dall’incontro di sempre nuovi amici lungo la strada: compagnia che permette di superare i tanti timori e situazioni insite in un percorso di tal fatta. E come in tutte le ultra maratone, difficilmente si resta indifferenti. Esse lasciano un segno indelebile che serve come esperienza per affrontare nuovi limiti. Ciò che rimane è un bagaglio umano di notevole spessore, ci si mette in gioco per testare la propria resistenza fisica, la capacità di sostenere certi ritmi, superare i propri, ascoltare interiormente se stessi, le proprie emozioni e fatiche, percependo alla fine valori essenziali, quali il rapporto con gli altri.
Ed è così ormai da sempre, da quella mattina del 1973 quando nacque quella che allora si chiamava la “100 Chilometri del Passatore Firenze-Romagna (Faenza)”. Un’idea folle che all’inizio rimase in un cassetto ma che poi una sera prese corpo nella “Cà de Bè” a Bertinoro, davanti a una piadina al prosciutto e una bottiglia di Sangiovese. Lì, a tavola, si buttò il seme. E a buttarlo furono quattro appassionati della corsa che avevano in testa un’idea meravigliosa: Alteo Dolcini, forlimpopolese di nascita e segretario generale del Comune di Faenza, Francesco Checco Calderoni, faentino doc, assicuratore e presidente della sezione manfreda dell’U.O.E.I., Unione Operaia Escursionisti Italiani, Renato Cavina, giornalista di “Stadio” e della “Gazzetta dello Sport” e Carlo Raggi, giornalista del “Resto del Carlino”. Quarantasei anni fa, e sembra ieri perchè il tempo scivola via. Quarantasei anni in cui la 100 chilometri del Passatore è diventata non un’ultramaratona ma l’ultramaratona con l’articolo determinativo. Una e una sola. Unica. E’ diventata il sogno proibito, la sfida, la madre di tutte le corse per le migliaia di “folli” che hanno deciso di provarci. Centro chilometri da Firenze a Faenza partendo di pomeriggio e arrivando di notte o la mattina dopo, attraversando il cuore dell’Appennino, passando nei paesi e nei borghi che restano svegli ad aspettare i partecipanti e ad applaudirli. La storia passa di qui. Ed è cosi anche quest’anno. Con 3062 iscritti che sono il nuovo record, con il re Giorgio Calcaterra che dopo dodici vittorie arriverà terzo cedendo la piazza d’onore meritatamene ad Andrea Zambelli .
Quest’anno il colpo di pistola viene dato dinanzi al Duomo, di modo che la partenza sia più veloce. Dopo lo start ci attendono ali di folla al passaggio, mani che non esitano a scaldarsi per applaudire, bambini che salutano. La strada inizia a salire e si sente tutta sulle gambe ancora fredde. Prima dell’erta che porta a Fiesole attraversiamo San Domenico, località rinomata per la presenza dell'antica badia fiesolana, cattedrale di Fiesole fino al 1118 poi ricostruita nel 1456 grazie alle donazioni di Cosimo de' Medici sulla primitiva chiesa dell'undicesimo secolo appartenuta ai Benedettini
Da li si può ammirare tutta Firenze dominata dalla cupola del Brunelleschi. Attraversiamo la piazza della città e da qui la strada spiana un po’.
Dopo aver scollinato sulla Vetta Le Croci, al km 16,5, finalmente la strada scende e permette di prendere un po’ di fiato. Il caldo nonostante il sole si sia abbassato infierisce su tutti, e costringe a bere, a volte più del dovuto, con immancabili sofferenze di tutti i generi. Si arriva al primo check-control a Borgo San Lorenzo, che si attraversa sgusciando tra passanti impassibili sotto il primo traguardo intermedio. La gara lascia temporaneamente la strada principale per entrare nel centro del paese, un passaggio sul tappeto del 31,5. La mia impressione è che stia andando ad un ritmo meno veloce del solito ma mi accontento, prendo fiducia. La salita riprenderà tra il 31° e il 32° km, e lì un terzo di gara sarà andato. Ci accompagnano lungo il percorso i suoni delle sirene delle ambulanze che soccorrono atleti colpiti da malori e crampi dovuti al caldo.
Le gambe vanno, poi la strada sale, sale 34 mo, 35mo, 36mo… Affronto la salita al passo in quanto mi rendo conto che dovrò risparmiarmi per la seconda parte del percorso. Le gambe girano male, si arriva al cartello “Maratona” ma non c’è troppo da distrarsi, la salita continua sino al km 48 a 913m s.l.m, li dove c’è il Passo della Colla e non perdona; non è difatti il punto di arrivo, come dicono molti: “Una volta scollinato è fatta, poi è tutta discesa”. No! E’ lì che il Passatore ci mette alla prova, è lì che si concentra tutto: la notte, il freddo, i dolori, la stanchezza; la solitudine del maratoneta. Non bisogna illudersi che da quel punto inizi la discesa e gli ultimi 52 chilometri si possano correre. Bisogna evitare di farsi prendere dalla foga, di farsi prendere la mano in discesa.
L’agognato ristoro è vicino, tiro il fiato, mi fermo, incontro gli amici , mi riposo un po' e poi giù per 52 km. Mi guardo avanti e indietro, è buio. Ora si è soli, ci si si perde nei fari delle auto che illuminano la strada. La discesa è illusoria ma aiuta a rilassarsi, a vivere lo spettacolo naturale. Migliaia di lucciole a bordo strada farci compagnia; che musica, le rane, con il loro gracchiare, le stelle e, soprattutto, il pensiero che ormai quello che ho da fare è meno di quello che ho fatto. Al ristoro incontro Giovanna e tra una chiacchierata e l’altra arrivo a Marradi, nella valle del Lamone sul versante romagnolo dell'Appennino: qui si passa sotto il secondo traguardo. Inizia la nausea, i dolori ai piedi e alle gambe, soffro maledicendo il giorno in cui mi sono iscritto ad un ennesima 100. Tutte uguali, sempre gli stessi panorami… ma chi te lo fa fare? mi tornano all’orecchio le parole di mia moglie al calduccio di casa: ma come sempre ci ricascherò. I crampi allo stomaco mi costringono ad alternare il passo con la corsa e a non alimentarmi quasi più.
Dolce e chiara è la notte e senza vento, la strada dritta e larga non aiuta di certo, ma è sufficiente alzare lo sguardo e osservare il cielo stellato, maestoso, terso, e la luna che rivela la sagoma delle colline, per commuoversi e sentire tutta la nostra piccolezza. Nel buio, si ode il fiume scorrere sotto la strada, è il Lamone incrociato una trentina di chilometri più su, subito dopo avere attraversato Passo della Colla. E raggiungo il piccolo centro agricolo a circa dieci chilometri da Brisighella, San Cassiano, a 228 metri di altitudine, ammirando il castello sulla collina sovrastante; per i podisti la fermata è d'obbligo davanti al monumento dedicato ai centisti che si trova sulla curva poco dopo il rifornimento.
Non solo Firenze e Faenza insomma, rispettivamente luogo di partenza e di arrivo di questa corsa, ma una miriade di cittadine, borghi e piccole frazioni che partecipano attivamente, ospitando gli sportivi ed accogliendo a braccia aperte i centisti che passano, aspettando ciascuno di essi per incitarlo, tutta la notte fino all'alba. Poi ecco Fognano, con le case arroccate e chiese immerse nella quiete della notte. E’ la volta ora di Brisighella, e poi Errano; intanto comincia ad albeggiare. A ricordarlo è il canto del gallo che scandisce il passaggio al nuovo giorno. Che meraviglia!
Con la gioia nel cuore e la consapevolezza che il peggio è fatto, arrivo al 95 km. Ora i chilometri sono tutti segnalati, ed è bellissimo leggere quei numeri con la consapevolezza di averli percorsi, inizia la conta, meno 5, meno 4 ecc… Il viale d’ingresso alla città vede atleti che aumentano l’andatura, mentre alcuni non ce la fanno e rallentano, ma ormai è fatta, si vede in lontananza il campanile della chiesa, e le arcate della bellissima piazza.
Finalmente l'arrivo a Faenza con il passaggio sotto il display la consegna della medaglia, del vino e del rimborso cauzione.
Permettetemi ora di spendere qualche parola sulla logistica ed annotare la cattiva abitudine di molti concorrenti (quest'anno ancora di più) di farsi seguire dai mezzi. L'organizzazione, per motivi economici fa orecchie da mercante. È inutile che “regolamentino” il passaggio delle auto e degli altri mezzi: essendo una gara Fidal, si devono rispettare i regolamenti della Federazione che vieta qualsiasi aiuto esterno e quindi tutte le auto, camper e anche le bici al seguito. Ognuno dovrebbe affrontare la gara in autosufficienza con il solo apporto dell'organizzazione, sia a livello di ristori e altro. I giudici non vedono o fanno finta di non vedere la centinaia di auto e camper al seguito dei corridori.
Sul sito del Passatore è apparso un “decalogo” composto da 10 consigli. Il nono è il seguente: “Se potete, fatevi seguire in bici o in macchina da parenti o amici. La gara è davvero partecipatissima, è una festa più che una corsa podistica: rendete partecipi i vostri cari di questa impresa!”
Mentre il regolamento del Passatore avverte: “I veicoli degli accompagnatori debbono attenersi assolutamente alle seguenti disposizioni: - Nessun veicolo al seguito fino a Borgo San Lorenzo (30 km dalla partenza). - Per evitare danni ai concorrenti derivanti dalle esalazioni di ossido di carbonio e dagli ingorghi, i veicoli degli accompagnatori non dovranno seguire i concorrenti ma attenderli lungo il percorso in punti di riferimento a loro congeniali.”
Regole a parte, cosa si intende per congeniali? Nella lunga notte del Passatore (ma anche durante il giorno) per lunghi tratti i runners devono vedersela con inquinamento da gas di scarico, acustico, pericolo di investimento.
Da Vetta le Croci in poi il traffico nei due sensi diventa caotico, paragonabile a quello del ponte di Pasquetta. Non solo auto di accompagnatori nella direzione della corsa, ma anche mezzi rombanti che procedono in direzione contraria. Ma all’organizzazione importa poco: i partecipanti firmano una dichiarazione con la quale sollevano la stessa “da qualsiasi responsabilità”.
Ma il Passatore perde molto del suo fascino a causa delle auto, che inquinano abbondantemente l’aria e soprattutto costituiscono elemento di pericolo per la sicurezza di chi corre, tanto che l’uso della frontale diventa indispensabile non tanto per vedere, quanto per farsi vedere.
Purtroppo, però, ritengo che un Passatore chiuso al traffico sia un’utopia, in quanto il numero degli iscritti precipiterebbe drasticamente.
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