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Gen 24, 2019

Correre a meno 52 gradi, meno 60...dai, basta così

straordinaria normalità straordinaria normalità Arturo Barbieri

Non me ne voglia il collega ed amico Rodolfo Lollini che, giustamente, riporta delle notizie che in un modo o nell’altro possano incuriosire, interessare, probabilmente anche stupire, ma questa corsa al freddo, o al caldo secondo le stagioni, non riesce proprio ad appassionarmi. Mi conforta che alla fine del suo pezzo abbia scritto che avrebbe preso ugualmente sonno, di fronte al dubbio che abbia fatto meglio uno, o l’altro, in questa “sfida tra i ghiacci”. Bene così.

Paolo Venturini ha corso per 39 chilometri con temperature fino a meno 52 (anzi, meno 52,6, si sa mai che lo 0,6 sia fondamentale ai fini statistici); Dmitri Voloshin, pare aver fatto ancora meglio, arrivando a 50 chilometri, quindi una distanza maggiore ma non solo: vengono riferite temperature di  meno 60 gradi (in questo caso senza gli zero virgola). A questo punto è lecito attendersi che qualcun altro voglia arrivare a qualche chilometro in più, o qualche grado in meno, meglio se tutte e due le cose. Col massimo del rispetto per queste imprese, passate, presenti e future, in genere non esistono criteri univoci di verifica, quindi prendiamo per buono quello che ci viene raccontato. Confidiamo non assomiglino a quelle che un tempo, speriamo davvero non più, erano i record dei super maratoneti, quando le 42 chilometri (più o meno) venivano organizzate intorno al proprio abitato e incredibilmente finivano nel conteggio delle bandierine messe sul terreno di battaglia.

Dmitri Voloshin ha corso per richiamare l’attenzione sulla figlia malata (così viene riportato), quindi ha fatto bene; l’emozione che suscitano queste situazioni fa superare qualsiasi analisi razionale, un po’ come quando vediamo (tragiche) immagini di bimbi nel contesto degli sbarchi. Dmitri peraltro ha nel suo palmares sportivo diverse ottime prestazioni, con piazzamenti di rilievo.

Paolo Venturini non ha un passato atletico di alto livello, sia pure se è arrivato ad un onorevole 8h11’ in una 100 chilometri (per intenderci, Monica Casiraghi ha un personale di 7h28). Da sempre ha preferito dedicarsi a gare fuori dal normale, per richiamare l’attenzione sulle possibilità umane, probabilmente anche su sé stesso. “Trovare il proprio limite, è una delle cose più difficili ed estreme, il solo avvicinarsi potrebbe non farti più tornare indietro”, questo uno dei suoi motti, che francamente trovo un po’ inquietante.

Ma quali sono le vere imprese? Ognuno risponda come crede, per me è correre gli 800 metri in un minuto e 40 secondi, oppure i 10.000 metri (in pista, chiaramente) in 26:30, oppure fare quello che ha fatto Kipchoge, la maratona volata in 2:01:39.

Oppure, molto più semplicemente, accompagnare dei diversamente abili in una corsa podistica, come fatto dall’amico Claudio Ardigò e da Go On in occasione della Marian Ten di Crema, lo scorso 11 novembre.

Troppo normale?

(n.d.r) un lettore che pare attento alle gare ultra che più ultra non si può, ha segnalato che, alla Iditarod, Roberto Ghidoni e gli altri concorrenti si fanno 400 km in autosufficienza con simili temperature.

Quindi? 

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