Dal 26 “adelante Pedro con juicio”: tocca anche al podismo?
17 aprile - Con la teleconferenza del presidente Draghi di ieri, abbiamo finalmente sentito un annuncio fondato sui fatti e non su quelle melliflue retoriche avvocatesche in cui la parola “chiuso” era sostituita da “protetto”. Si è parlato di “risposta al disagio di categorie e giovani”, di “basi per la ripartenza”, e, nei fatti, di ritorno alla “zona gialla”, di possibilità di spostarsi tra regioni (la famosa “trasferta” di Morselli da Reggiolo a Gonzaga, oggi ancora vietata, e dei maratoneti del Garda da Limone a Malcesine), della ripresa generalizzata delle attività all'aperto.
Qui, a bizantinizzare la comunicazione, ci si è messo il pallido ministro-in-bilico Speranza, dichiarando a denti stretti che “nei luoghi all'aperto si riscontra una difficoltà significativa nella diffusione del contagio”. Se parlasse come la gente normale e non come gli ammaestrati alle affumicate scuole di partito, direbbe papale papale, come ha scritto qui il nostro Primario, e come la prof. Antonella Viola ha ribadito (Corriere della sera, 11 aprile): “Il contagio all’aperto è un evento molto raro. Diversi studi hanno permesso di dimostrare quanto molti di noi sostenevano da tempo, e cioè che la possibilità di contrarre l’infezione da SARS-Cov-2 all’aperto è bassissima. Questo è un dato di fatto che ci dovrebbe permettere di programmare al più presto la riapertura dei bar e ristoranti all’aperto… organizzare corsi e attività ne parchi, intervento quanto mai urgente … per l’importanza dell’attività fisica per la salute di adulti e ragazzi”.
Pragmatico come nella sua natura, capace di soppesare dei calcoli costi/benefici che non sono quelli buffoneschi evocati troppe volte nei due precedenti governi, improntato al “rischio ragionato” (d’altronde, che il “rischio zero” non esista è stato ribadito anche nelle ultime settimane con gli esiti avversi di talune vaccinazioni, tuttavia in percentuale infinitesimale rispetto ai benefìci), Draghi si basa essenzialmente sul fatto che adesso in Italia ci stiamo vaccinando (meno, molto meno di Inghilterra e Germania, ma insomma trecentomila o passa ogni giorno): è il vaccino l’unica arma di attacco che ci farà vincere la guerra (le altre sono solo armi difensive, come la corazza che Clint Eastwood si prepara per il finale del “Pugno di dollari”; ma a decidere il duello sarà la pistola, non la corazza).
Dunque, riaprono ristoranti e luoghi di spettacolo all’aperto, ovviamente con limiti di capienza, e si parla più decisamente del “pass”, passaporto non solo vaccinale, ma anche per chi ha già avuto la malattia, o anche per chi esibisce un tampone negativo (come si è fatto nella Abbotts Way di questi giorni, oltre che nei viaggi in treni e aerei covid-free), per accedere a eventi culturali e sportivi.
Apripista in questo campo è stata la neo sottosegretaria allo sport Valentina Vezzali, con la dichiarata apertura, seppur parzialissima, dello stadio Olimpico per il calcio: geloso, un altro ministro pallido e antisportivo, quello della Cultura (uno che mi sorprenderei molto se lo vedessi fare jogging sulle Mura di Ferrara), ha subito reclamato “o tutti o niente”; tipica manifestazione di invidia italica sotto le mentite spoglie della parità dei diritti, per cui se sei biondo tu lo devo essere anch’io, e se sono malato io, tu non hai diritto di divertirti. E così ha ottenuto che si riaprano anche i musei, il che male non fa, se si rispettano le distanze e se i finestroni sono aperti.
Ineliminabile, e anzi più rigorosa che mai, deve essere la “premessa” enunciata chiaramente da Draghi: “i comportamenti siano osservati scrupolosamente, come mascherine e distanziamenti… in questo modo il rischio si trasforma in opportunità".
Veniamo allora al nostro orticello (che poi non è nemmeno tanto piccolo): se tanto ci dà tanto, se a breve riaprono le palestre, e se delle piscine si è addirittura scoperto l’apporto attivo alla sconfitta del coronavirus (d’altronde, non ci fanno lavare le mani con amuchina o sostanze simili a base di ipoclorito di sodio, insomma lo stesso cloro con cui si sanifica l’acqua delle piscine, oltre all’acqua che beviamo?), cosa impedisce una riapertura sistematica del podismo? Quanto al rispetto delle regole, le gare svoltesi da settembre a oggi hanno mostrato non solo gli scrupoli degli organizzatori, ma anche, nei fatti, l’assenza di ogni contagio in conseguenza delle gare.
L’indisciplina è ben altrove, e andrebbe perseguita questa, altrocché inseguire coi droni il podista o ciclista sugli argini dei fiumi: nel percorso che mi sono personalmente ricavato per i miei allenamenti, rigorosamente in solitudine, passo vicino a una palestra ‘regolare’ di una società sportiva, però chiusa, e cento metri dopo, a un gazebo dove stazionano regolarmente dai quattro ai dieci personaggi che cazzeggiano o si bevono la birra o addirittura fanno la grigliata; e adesso hanno perfino costruito sull’erba un campo di pallavolo, dove dagli 8 ai 10 ragazzotti giocano regolarmente e in allegria (e Dio li benedica, aggiungo).
Avanti pure, dunque, sotto la nostra trinità, o se volete i nostri angeli custodi: Dio benedica Valentina Vezzali e, nel nostro specifico, anche il neo-presidente Fidal, Stefano Mei, che (ad onta delle scriteriate e prevenute richieste di dimissioni da parte di chi, nell’anno e passa precedente, aveva semplicemente cancellato lo sport podistico, azzerando sia i bilanci delle società sia quel poco di salute che ci eravamo conquistati noi praticanti) è andato a dare il via al Giro dell’Umbria (quando mai si era visto un presidente Fidal a una gara che non fosse una competizione internazionale infarcita di campioni e di sponsor?). E Dio benedica anche quei “comunisti” (lo dico col massimo affetto, come don Camillo verso Peppone) dell’Uisp, che hanno saputo farsi, pure loro, un bel calendario di gare omologate dal Coni come nazionali, ponendosi quale utile complemento – non contrapposizione – della Fidal, allargando le possibilità di sport per noi finora reclusi e abbandonati.
Adelante con juicio, insomma, ma adelante.
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