Paratico, Grand Prix del Sebino: valori tecnici, spettacolo, mestizia finale
È stata una bella idea l’assegnazione dei campionati italiani master sui 10 km a Paratico, sulla sponda meridionale del lago d’Iseo: non solo per le doti della società organizzatrice, tra le più forti non solo della Lombardia, ma di tutta Italia, come mostrano i titoli nazionali documentati dalla lussuosa brochure di 72 pagine preparata per l’evento (cui si aggiunge l’ennesima vittoria individuale del dottor Menegardi nella vigilia a Imola), ma per la bellezza della zona, giustamente decantata nella presentazione dalle massime autorità federali (da Stefano Mei a Gianni Mauri) e civili.
Per un campionato nazionale, con partecipazione prevista a quattro cifre (come mi aveva anticipato qualche settimana fa Christian Mainini, responsabile Fidal dell’evento) sarebbe stato certamente più comodo quell’allestimento in vitro, e lasciatemi pur dire squallidino, che va di moda adesso, nelle piste degli aeroporti o degli autodromi o dei quartieri industriali delle città, deserti la domenica (così da ‘corrispondere’ alla più insulsa delle prescrizioni anti-Covid, il divieto di spettatori lungo le strade).
Invece Paratico (cittadina che guarda dall’alto quasi tutto il lago, teatro di una vecchia e affascinante maratona in cui casualmente scarpinai col gruppo dei parlamentari maratoneti) ha scelto, per questa edizione speciale del Grand Prix del Sebino, le sue stradine tortuose e in parte strettine del centro storico, con un dislivello complessivo attorno ai 30 metri per ognuno dei tre giri, esattissimamente misurati: opzione in cui si specchia il presidente Ezio Tengattini, atleta vero più volte ritratto in corsa da Roberto Mandelli per queste pagine.
Per ridurre l’assembramento, siamo stati divisi in quattro batterie di circa 400 partecipanti l’una, dalle 9 alle 12,30: e la categoria dei vecchiardi in cui mi trovo fatalmente intruppato ha scontato la levataccia (per l’anticipo della partenza dalle 10,15 alle 9.00, anzi 8,59) con la soddisfazione estetica di correre insieme alle donne e addirittura con l’azzurrabile olimpica Sara Dossena (che personalmente è riuscita a doppiarmi, completando il suo terzo giro proprio mentre stavo concludendo il secondo: ci sta, visto che ho quasi il doppio dei suoi anni…). A differenza di tanti altri sport, il podismo ha di bello anche che tu puoi gareggiare gomito a gomito coi mostri sacri.
La partenza della gara Femminile e Over70 Maschile
In effetti venivamo da tutta Italia, sebbene ovviamente i residenti nel Centro-Sud (anche da Puglia, Calabria ecc.) fossero in numero minore rispetto ai settentrionali, peraltro da tutte le longitudini comprese quelle friulane: tra i lombardi, faccio la conoscenza (mediata da Mandelli, che con lui corse la London Marathon nel giorno in cui Juliano perpetrò il famoso fallo su Ronaldo...) con Edilio Minetti, presidente dell’Athletic Club Villasanta, che malgrado i suoi tre anni in più mi rifilerà (come previsto) quasi 5 minuti. Parecchi gli emiliani, con tutte le società più rappresentative a cominciare dai plurititolati del Casone Noceto, del Minerva, Gabbi, Castel San Pietro, della Corradini e così via: e ai bordi, c’è un triplete reggiano non male, col citato Mainini a sovrintendere, Roberto Brighenti a intrattenerci al microfono (la sua nuova metafora, prima del via, è “allacciatevi le cinture!”), Morselli a fotografare col suo cannone e prendere appunti per le cronache che usciranno quasi in tempo reale.
Già un’ora avanti il primo sparo, si fatica a parcheggiare l’auto a meno di 500 metri dal ritrovo (mi sarebbe parso utile segnalare la zona del vecchio campo sportivo sotto la chiesa, che invece sfruttiamo in pochissimi).
Ampio e confortevole il parco dove si svolgono le formalità di ritiro dei pettorali e gli altri riti usuali (salvo che manca un deposito borse), ben disciplinato l’accesso al box di partenza. Siccome comanda la Fidal, qui si va col gun time, sebbene, causa la larghezza stradale di 6/7 metri max, gli ultimi di ogni griglia impieghino una quindicina di secondi a passare sotto lo striscione. Dopo un breve lancio quasi in piano, comincia la prima salita verso la parrocchiale, punto più alto del tracciato a circa 220 metri (sui circa 207 della partenza), dopo di che si svolta a sinistra per una stradetta divisa in due dato che dopo 250 metri impone un giro di boa a 180 gradi. Da qui, breve salita e poi prevalenza di discesa, fin che (direbbe Dante, qui evocato in numerosi murales) “noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto”, perché raggiunto il punto più basso a circa 190 metri, dopo 2700 percorsi, abbiamo quello che Brighenti chiama “mangia e bevi”, ma noi che lo percorriamo tre volte definiremmo piuttosto “muretto”: in 300 metri lineari si sale grosso modo di 26 verticali, niente di drammatico sebbene qualche collega di ambo i sessi li faccia di passo.
Ma è il bello di questa gara, e lascia pure che il cardiof segni 178, tanto si deve morire tutti (e comunque non si muore per così poco). Due curve, ed ecco il tappetino che segna la fine di ogni giro, mentre Brighenti continua a snocciolare, senza bisogno di appunti, dati biografici per ciascuno di noi.
Molto bella e ricca la medaglia, consegnata all’arrivo con il sacchetto dei ristori più immediati; non vedo rubinetti o fontanelle, e siccome docce e spogliatoi erano programmaticamente esclusi, ognuno degli arrivati si arrangia come può, o all’aperto o sull’auto propria. Per fortuna, la temperatura è ideale, e anzi la brezza ci asciuga da sé il sudore.
Le classifiche, categoria per categoria, appaiono online poco dopo, presto accompagnate anche dai punteggi validi per la classifica di società (che però non vedo pubblicata sul sito Fidal: serve per le nostre rivalità stracittadine…). Come avete già visto, i risultati sono di eccellenza: lasciando stare la Dossena, al momento su un altro pianeta coi suoi 3:30/km
http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7237-35-33-per-sara-dossena-a-paratico-bs.html
il livello complessivo è significativamente mostrato dal fatto che, correndo ai 4’/km, negli M 40 (dove il primo ha filato ai 3:06) non ci si piazza nei primi cento; e il vincitore M 70 ha corso sui 4:07”!
In somma, una bella esperienza, un bel ritorno all’agonismo: ha scritto Mei che “le strade devono tornare ‘nostre’; di chi le ama; di chi nella fatica trova gioia e soddisfazione”. Per chiudere col Presidente: è stata “una giornata di festa e di rinascita”. Non fosse per la notizia luttuosa che ci raggiunge dal vicino Mottarone: ripenso a quando ci salivamo per la strada del lago d’Orta che in cima scollina appunto per Stresa, con un passaggio di noi maratoneti proprio nel parco d’arrivo della tragica funivia.
Ci si chiede perché cose del genere debbano succedere nel primo Paese turistico del mondo. Piangendo, rifugiamoci ancora in Dante, che angosciato chiede al sommo Giove se, in tanta indicibile disgrazia, dobbiamo aspettarci “alcun bene in tutto dell’accorger nostro scisso”.
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