Mesola (FE), Mesola Castle Trail 2021 per quasi trecento
7 agosto – Nel settimo anniversario della scomparsa di Giancarlo Corà, fondatore e rifondatore (1993-2003) della società Corriferrara, già inventore della maratonina di Ferrara (la cui prossima edizione si svolgerà il 26 del mese prossimo) e della Diecimiglia, e resuscitatore nel marzo 2011 della maratona della sua città (qui sotto riporto uno stralcio dal mio commento di allora), il figlio Massimo e tutto il suo gruppo sportivo hanno riportato in vita, in questa fase di Covid sperabilmente calante, anche il trail del Castello di Mesola, ideato nel 2017 su una distanza inizialmente quantificata in 25 km. In un angolo della maglietta-omaggio sta scritto “Da allora tra le stelle corri con noi!”.
Questa volta le distanze ufficiali erano di 21 e 10 km per le due gare competitive (cui si aggiungeva una 10 km ludico-motoria): in realtà, i nostri Gps hanno indicato distanze tra i 22,7 e i 23,5, con un dislivello di circa 90 metri, che sembrerebbe difficile in un’area che sta in parte sotto il livello del mare, eppure è stato realizzato, soprattutto con le salite e discese lungo l’argine del Po nei primi 8 e negli ultimi 2 km. Il numero di iscritti era stato limitato, per prudenza, a 350 (150 ciascuno nelle due competitive, più 50 camminatori), e già una settimana prima dell’evento le liste erano state completate.
Ci si è poi messa di mezzo l’ “invenzione” del green-pass (nome barbaro, che nessun paese estero usa: ma noi se vò ffò l’americani der Kansas City), che sebbene ridimensionata dalla solita arte del compromesso (a pranzo su un lido ferrarese, poche ore prima, nessuno mi ha chiesto niente), era stata introdotta nel regolamento, causando la presumibile rinuncia di molti iscritti: sta di fatto che la classifica finale annovera 127 arrivati per il giro corto e solo 96 per il lungo; sebbene in quest’ultimo i partenti fossero una ventina in più, finiti poi nei ritirati anche per l’urgere del tmax fissato in 3 ore. Da aggiungere poi la schiera dei non competitivi.
Garantisco comunque che, all’ingresso nella bellissima piazza del Castello di Mesola, sotto l’argine del Po di Goro, i controlli sono stati scrupolosi (foto 22; il collega podista che mi precedeva nella fila ha avuto problemi, perché il suo cellulare aveva il vetro spaccato non permettendo allo scanner del controllo di leggerlo bene); dopo dei quali, e della misurazione della temperatura (questa, operazione davvero inutile, capace di far sfuggire gli asintomatici e invece di bloccare chi ha la febbre per un ascesso dentale), ci hanno avvolto attorno al polso un braccialetto cartaceo, che a nessuno è sembrato imitare la stella di Davide. Signori no-tutto, quando all’ingresso in certi musei, dopo che avete pagato, vi appiccicano alla giacca un adesivo di libera circolazione, vi sentite davvero degli ebrei perseguitati?
Dopo la benedizione del sindaco e del parroco, partenze in mascherina (chi ce l’ha, chi no, chi se la toglie subito: quando vedo che non l’ha quasi più nessuno, dopo 250 metri me la metto anch’io al braccio), differenziate di un quarto d’ora tra i due percorsi. In teoria ci sarebbe una minima dotazione obbligatoria per chi fa il lungo, ma non tutti abbiamo uno zainetto o marsupio per contenere gli attrezzi (il mezzo litro d’acqua sembra richiesta eccessiva, a fronte dei 4 ristori con acqua, talora anche tè e succhi, disposti lungo il percorso).
La gara breve è vinta da una vecchia conoscenza di queste parti, Rudy Magagnoli, in 37:07 con 40 secondi di vantaggio sull’altro ferrarese Mattia Bergossi (totale 96 uomini arrivati). Molto più lento il ritmo delle 31 donne, regolato da Francesca Moscardo in 47:09, due minuti sulla seconda Alice Munerato.
La vincitrice appartiene al GR Taglio di Po, località che nella storia si è rivelata fatale a Mesola: che quando fu fondata, a fine Cinquecento, era un’isola, avamposto sul golfo di Goro e Volano dove sorgevano i porti dello stato estense; se non che all’inizio del Seicento, quando il papa estorse Ferrara agli Estensi, i veneziani si vendicarono deviando il Po appunto nella località che fu chiamata “Taglio”, e mandando il fiume (foto 11, 15) con tutti i suoi detriti a ostruire i porti ferraresi, salvando però la laguna di Venezia (dove adesso, nel loro stile-piangina, piangono per l’acqua alta). Risultato, il Delta si espanse nella maniera che vediamo oggi dalle carte geografiche, creando un’infinità di paludi malsane da cui solo le grandi bonifiche tra Otto e Novecento (ben visibili durante il giro lungo) ci hanno salvato, favorendo il proliferare dei cervi e delle zecche loro ospiti abituali (una ha provato a mordere sul collo pure me, ma ha cambiato idea presto).
Più del doppio di tempo hanno impiegato i protagonisti dei 21 o meglio 23, che per almeno 7 km si svolgevano dentro il Boscone della Mesola, su sentieri e carrarecce, spesso con l’insidia delle radici emergenti (e con un clima che, all’interno del bosco di latifoglie, era ancora più pesante che nei tratti all’aria aperta). Ha vinto Giuseppe Del Priore dell’Edera Forlì in 1.23:55, con due minuti abbondanti sul “figlio d’arte” Fulvio Favaron tesserato Zola Predosa, e 8 minuti sul terzo, l’altro bolognese Christian Dall’Olio. Le 14 donne superstiti sono state regolate da una ferrarese ‘ariosa’, Elena Agnoletto da Formignana in 1.44:01, tre minuti su Giorgia Bonci da Russi, e addirittura nove sulla terza, Federica De Caria.
Sentiero ben segnato, e come detto da Corà in partenza, “nel dubbio tirate dritto”: sufficiente la presenza di addetti, con spade luminose nel finale, agli incroci più dubbi. Una sola perplessità ha attanagliato per pochi attimi il sottoscritto e la coppia di triatleti varesini che stavano con me, al km 17 dopo il suggestivo passaggio dalla torre di S. Giustina della foto 16: tirare dritto lungo il canale o tenere la sinistra seguendo certe lucine accese? La soluzione (suggerita dall’ultimo sbandieratore) era tirare dritto, poi tenere la destra a tutti gli incroci, rimanendo insomma sull’argine del canale, a battagliare con le zanzare fino alla risalita finale sull’argine del Po, quando i Gps avevano segnato da un pezzo il km 21 e invece mancava ancora qualcosa fino al traguardo che avevamo visto prima del tramonto (foto 6-7) e ora è illuminato come nella foto 17.
All’arrivo, ci aspettano acqua e birra ghiacciata, una medaglia di legno autentica (la mia ha venti cerchi), un sacchetto ristoro e la possibilità di una modesta risciacquatina negli adiacenti bagni pubblici, aperti ancora dopo le 21 (segno di civiltà, a differenza di quanto capita nelle città insigni dove se hai un certo bisogno devi cercare un cespuglio, e le poche fontanelle pubbliche sono in genere fuori uso).
E’ stata una faticaccia, ma anche l’occasione per conoscere delle aree cosiddette (ex) depresse, come Codigoro (foto 2-3) o la spiaggia di Volano, dove eravamo stati qualche settimana fa dopo la corsa di Pomposa. D’accordo, il mare non sarà quello di Sicilia o Sardegna, ma qua almeno i boschi non bruciano, e alle 9 di sera i 25 gradi possiamo anche considerarli una temperatura accettabile. E' stato anche l'addio alle mie scarpe, ormai scarpacce, Asics gel Pulse H, comprate nel 2015 da Decathlon che me le fece pagare 50 € contro gli 88 del listino; mi hanno accompagnato in 7 maratone, compresa l'ultima New York personale del 2016, e da ultimo nelle tre maratonine autogestite per prati e boschetti corse durante il lockdown di aprile-maggio 2020. Dalla foto 23 vedete che hanno già prestato il loro servizio: deo gratias, amen.
APPENDICE. 28 MARZO 2011. Giancarlo Corà e la rinascita della Maratona di Ferrara (cronaca d’epoca)
Molto nobile l’idea dell’attivissimo Corà, e del team che organizzava la grande maratonina di Ferrara, di subentrare alla vecchia e non meno gloriosa organizzazione della maratona di Vigarano (la cui decadenza cominciò proprio col trasferimento a Ferrara), che nel 2010 aveva gettato la spugna protestando, fra l’altro, contro la concorrenza sleale di Treviso (oltre che quella, meno prevedibile, di un turno elettorale). E se è destino che Treviso intralcerà sempre una maratona emiliana (nel suo gioco di squadra, più o meno voluto, con Roma: prima vittima, temporibus illis, fu Piacenza), era tuttavia giusto che una delle culle del maratonismo italiano e una delle regioni dalla pratica podistica più elevata e popolare ritrovassero la loro maratona, apprezzata non per i coloured strapagati ma per la partecipazione di noi ‘poveri’, dilettanti puri (al limite della risparmiosità e della taccagneria).
Dieci euro per l’iscrizione fatta fin dall’anno scorso (e ricordo Corà girare appassionato per tutte le manifestazioni in regione, a raccogliere moduli compilati), 30 euro come cifra massima pagabile alla vigilia, sono quasi da record ovvero da medaglia dei servizi sociali. Tanto più che la rinuncia a una data forte come quella di metà febbraio, che radunava migliaia di appassionati per la mezza e le gare minori non competitive, potrebbe aver privato gli organizzatori di un incasso certo, a fronte di spese per la maratona che sono indubbiamente elevate. Ad esempio il controllo del traffico, rigorosissimo quasi ovunque, ha visto impiegati centinaia di addetti e decine di vigili, polizia stradale e simili: e vada ad onore del team la frasaccia che ho sentito da un fighetto su auto di lusso, bloccata sui viali di Ferrara al nostro secondo rientro, verso mezzogiorno: “Dovreste correre alle 5 di mattina!”; e la risposta fiorita sulla bocca di un podista: “Alle 5 siamo a letto con tua moglie, corriamo dopo!”. A parte che alle 5 di stamattina (se non prima) ci eravamo davvero alzati, noi delle province limitrofe, complice l’inutile ora legale (i cui vantaggi sono paragonabili ai blocchi settimanali del traffico d’inverno, cioè lo zero virgola) e la situazione dei parcheggi ferraresi, non a ridosso della partenza.
Con tutto questo, alla fine la maratona registra 644 arrivati (su circa 800 iscritti; più i 1100 della maratonina), finalmente un italiano (modenese!) al secondo posto: molti meno dei 2200 di Treviso, ma un progresso rispetto ai 500 scarsi delle ultime edizioni 2008 e 2009 della Vigarano/Ferrara; e si consideri l’altra concomitanza della vicinissima Milano Marittima-Ravenna, che ha portato via altri 300 potenziali podisti, oltre alle maratone o “lunghe” minori organizzate in altre regioni. Evitata invece, una volta tanto, la concorrenza della frequentatissima maratonina e corsa regionale di Pieve di Cento, a 30 km.
Diciamo delle tante cose belle, che rendono comunque positiva questa esperienza: intanto, Ferrara è una città tra le più belle d’Italia, e il giro pressoché completo attorno alle mura, circondate da prati dove sgambavano jogger, giovani famiglie con bimbi e cagnetti; il costeggiamento dell’antico Po di Volano, su cui passeggiarono Ariosto e Copernico; l’arrivo dentro il Castello, sono cose che restano nel cuore.
Quanto ai ristori nostri, va elogiata la distribuzione su più tavoli lungo un centinaio di metri ogni volta; un po’ meno la qualità, perché se l’acqua abbondava sempre (e andava a spreco, in bottigliette troppo grandi), e non mancava una misteriosa bevanda idrosalina (abbastanza diluita!), la frutta (mele o arance) compariva solo dal 15, con biscotti dal color di cioccolato, l’uvetta verso il finale (salvo che non me l’avessero mangiata tutta i 460 che mi hanno preceduto!), banane mai. Regolamentari gli spugnaggi, salvo che al principio le spugne erano poche, più avanti venivano pescate da vaschette con acqua stagnante e sempre più marrone, dove non osavo nemmeno intingere la mia spugna personale. Molto abbondanti peraltro gli addetti, anche con passaggio al volo delle bottigliette. Buono il ristoro finale, dove finalmente compariva il tè mancato per tutta la corsa; da notare anche l’offerta del tipico pane ferrarese, purtroppo chiamato Italian Bread nella pubblicità del principale sponsor (il cui nome domina anche la medaglia). Più che adeguato, sempre rapportando al prezzo, il pacco gara, forte di una maglia tecnica a maniche lunghe (ma oggi, coi suoi 20 gradi, era il primo giorno dell’anno che ho corso in maniche corte!), alimentari (incluso aglio tipico!) e bagno schiuma che portavano molto su il peso.
Dopo il traguardo, molti colleghi cercavano le docce che ai tempi gloriosi erano sotto tendoni militari a cento metri dal traguardo (fatto che io ho sempre portato ad esempio, contro quelle maratone opulente che risparmiano sulla doccia); in mancanza di cartelli indicatori, li ho portati alle docce pubbliche della darsena, indicate sul sito, a 5-600 metri e sottodimensionate fin dai tempi della sola maratonina (mi ricordano, un po’ in meglio, le code che si fanno a Russi). Se non altro erano comode al parcheggio, che però si pagava (sia pure la miseria di un euro).
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