Anche Pesaro ha una maratona, grazie al “PDL”
30 gennaio – 221 classificati nella maratona (di cui 46 donne), 207 nella mezza (39 donne), sono cifre che, se rapportate ai dati del 2021, collocherebbero questa nuova 42 km più o meno sulle cifre di gare ben più blasonate come Napoli, Palermo, Sanremo, e per esempio ben davanti al Mugello o a Pescara o Catania. È la risposta concreta che il Club Supermarathon (alias “Popolo delle Lunghe”, o PDL: marchio depositato dal capitano d’industria Paolo Gilardi) dà alla crisi pandemico-burocratica che attanaglia da due anni il nostro sport.
Vale la pena di accostare la contemporaneità di questa maratona (e dell’assemblea annuale del Club che l’ha preceduta) con l’altra cosiddetta Maratona svoltasi nel Palazzo per eccellenza, che potremmo intitolare “Maratona dei Tengofamiglia” e sul cui traguardo stava scritto “24 settembre – Penzione pettutti”.
A 226 km di distanza, il Club ha presentato il suo programma di maratone (direttamente organizzate, o ‘affiliate’ tramite l’Asd “Orta 10 in 10”). Tra le novità assolute, la Maratona della Battaglia, a Curtatone (di Mantova) a maggio, fortemente voluta dal “Sindic” Marco Simonazzi; la maratona dei Trulli a Locorotondo in ottobre; il ritorno di una 42 in Val d’Aosta a giugno, e (diciamolo piano) a Bari in novembre. Questi sono fatti (e citare tutti gli altri sarebbe troppo lungo): altri annullano, qui si propone e a volte si impone (molto divertente l’intervento in assemblea di un socio-organizzatore, che garantisce sull’effettuazione della sua gara, “e se non mi danno il permesso, me lo do io da solo”).
E se qualche volta, l’impressione che ne ricavano i ‘puristi’ che pontificano su riviste patinate e su blog squalificati è quella di maratone fai-da-te, auto-organizzate solo per acquisire totali abnormi di 42 terminate, la taccia non vale per le corse sopra citate (come non varrà per la 100 km delle Alpi dell’8 ottobre, valida come campionato nazionale Fidal sulla distanza); né vale per Pesaro, che ha ottenuto l’omologazione della Fidal Marche (sia pure con la definizione di “corsa da 42 km circa”, e l’apertura agli iscritti degli Eps, cosa che ai tempi dei colonnelli federali era inaudita). Pazienza, i tempi conseguiti a Pesaro non entreranno nelle statistiche, e anche su quei “42km circa” i nostri Gps hanno mosso obiezioni; però intanto si è corso, e dal 1° febbraio … vedremo (per il 6 comunque sono al momento confermate Terni e Circeo, per il 13 la maratona sulla Sabbia di S. Benedetto del Tronto). Sempre che il Palazzo, adesso che si è garantita la pensione, non tiri fuori dal cilindro qualche altro protocollo nefasto.
Veniamo allora alla 42 “circa” di Pesaro, località che pare abbia visto una maratona 45 anni fa, e tutt'al più poteva invidiare la contigua maratona Barchi-Fano (bella e... in discesa!), in una regione che già ha sofferto l’eutanasia della maratona del Piceno (Servigliano / Fermo). Ma il comitato locale, ben sostenuto da Matteo Ricci (sindaco eletto e rieletto col 60% dei voti) è riuscito a creare un tracciato tutto all’interno del Comune (non si sa mai che i sindaci confinanti siano dei proibizionisti), con qualche bizzarria e contorsione, ma a suo modo ‘completo’, chiuso al traffico e in totale sicurezza per chi correva. Verso le ultime battute, un incidente stradale ha fatto chiudere la strada adiacente al nostro tracciato, ma senza il minimo coinvolgimento della “bicipolitana” di Baia Flaminia su cui si muovevano gli ultimi, il Gelati della Bassa emiliana o la Carlotta dell’alta Lombardia, e l’indomito Toschi che ha sempre parole di saggezza per tutti quanti lo affiancano.
Il percorso partiva e arrivava appunto dal lungomare di Baia Flaminia, una zona abbastanza tranquilla della città a nord del portocanale, e per i primi 20 km si snodava sulla panoramica collina di San Bartolo, in direzione della Romagna, raggiungendo per due volte l’abitato di S. Marina a 160 metri slm. Strada godibile, salita agevole e da prendere con calma dato anche il tmax alquanto generoso; clima freschino, che rende meno amara la sorpresa della mancanza di ristori o quanto meno di beveraggi, che tutti ci aspettavamo al km 11 dove finisce il “bastone” e si inverte la marcia.
Probabilmente, i corridori della 21, partiti con noi ma evidentemente più veloci, hanno prosciugato tutto: sta di fatto che a mia disposizione c’è un limone intero, che assalto e ingerisco a morsi, e quanto al bere, verso il km 14 una voce amica suggerisce, alla Gaetano Pappagone, “l’aqqueqquì”, indicando un piazzaletto a lato, che nel salire avevamo trascurato, ma la cui fontanella ora diviene refrigerio obbligatorio.
Dopo un km, c’è invece un problema logistico; troppo piccola la freccina che indica di svoltare a destra, e sibillino il cartello del km 15, messo praticamente a cavallo del bivio: per mia fortuna, una collega podista mi porta sulla retta via, e quando, dopo un altro km di strada-trail, siamo al secondo punto di ristoro (“mi dispiace ma non abbiamo più niente”, tranne un po’ di tarallucci e fette di limone), scongiuriamo uno degli addetti (che ormai lì non ha più niente da dare) che risalga fino al bivio, sennò i 42 km “circa” saranno ancor più “circa”.
Si passa dalla villa che fu l’ultimo o penultimo nido d’amore (ehm ehm) di Pavarotti, ed eccoci di nuovo a Baia Flaminia, in un punto dove sono accostati i cartelli 21-22-23-24-25 km. C’è stato spiegato la sera prima, e un numero sufficiente di addetti ce lo ripete e indica: per raggiungere il fatidico chilometraggio, occorre passare per quattro volte sotto il traguardo (con rilevamento sia manuale, sia chip, sia fotografico ad opera di Sergino, fotografo, arrotino e pittore), poi entrare in un mini-circuito, da dove si uscirà solo dopo la quarta “assoluzione” (prudente chiedere conferma: è il quarto passaggio, vero?).
Mentre passo io, arrivano i primi: vince l’habitué di questi tipi di gara, il 43enne Mohamed Hajjy, in 2:33:34, precedendo due mostri sacri, reduci da ben altri teatri: Alberico Di Cecco (02:36:54), nono alla maratona di Atene 2004, vincitore in una 42 di Roma, secondo a Venezia, Padova, Firenze, che battendo oggi Giorgio Calcaterra (02:37:19) gli restituisce il ‘favore’ ricevuto al Passatore 2011, quando l’allora taxista batté di 3 minuti lui, esordiente. In 2:40 arriverà il quarto, Stefano Velatta, 46enne più volte distintosi ultimamente sulle lunghe distanze.
A noi peones tocca invece di imboccare la “bicipolitana”, costeggiare il Foglia di qua e di là, prendendo infine l’altra ciclabile, quasi rettilinea, che ci porterà, tra spiaggia e ferrovia, sino al confine di Fano, al km 33,5 (ma confesso che dopo i 4 giri in tondo il mio Gps ha sballato i conti), nei pressi del Village Marinella, dove appunto Marinella (Satta, cestista e 252 volte maratoneta) ci prende i numeri rilasciandoci l’ultima greencard.
È insomma un avantindree di 8+8 km, nei quali riconosciamo o magari scambiamo qualche battuta tra colleghi: la prima è Federica Moroni, sesta assoluta e come al solito prima donna, una quasi-cinquantenne che non li dimostra affatto e a queste gare non manca mai perché i suoi tempi le garantiscono trofei certi in ambito regionale: vinse la maratona della ripartenza, a San Marino nel 2020, e ha rivinto spesso dalle sue parti, salvo permettersi un’escursione a Valencia due mesi fa dove i suoi tempi le hanno fruttato il 54° posto tra le donne. Ma a Pesaro vince in carrozza, 23 minuti sulla seconda Francesca Ferraro, e 40 sulla terza Michela Morri che batte allo sprint la giovane jesina Elisa Bellagamba.
Ma non occupiamoci più di campioni, e salutiamo piuttosto, da un distacco valutabile a 7-8 km, Leandro Giorgio Pelagalli, inarrivabile rivale di categoria con 443 maratone concluse (tutte più che dignitose); e poco dietro, Paolo “Scoubidou” Fastigari, che ne fatte “solo” 225. Finirà appena sopra le 4 ore il contabile ufficiale del Club, lo psichiatra Franco Scarpa (che certamente di casi degni di studio qui ne troverà a bizzeffe), cui spetta di verificare l’esistenza e convalidare le maratone dichiarate dai consoci. Intanto arriva alla fine della sua 412^ maratona (o più), e quando arriverò io lo troverò intento a trasportare in luogo sicuro l’urna elettorale del Club, dove certamente non troveremo voti per Amadeus o Terence Hill o Siffredi.
Intanto si continua a correre, ciascuno come può: sotto antibiotici da 3 giorni (non è Covid!) proprio non ce la faccio a reggere il ritmo di Daniela Lazzaro, veneta compagna di tante corse e anche di questa: fino all’ultimo giro di boa, quando in presenza di Marinella (e di un succulento ristoro) le faccio un complimento e lei, ringraziando, si invola prendendosi alla fine 9 minuti; mentre si accontenta di 7 Paolo Farina, pugliese, ideatore della maratona Federico II che non poté correre perché operato a un ginocchio, e ora pensa alla rinascita di Bari. Mantengo invece in limiti onorevoli (quasi beffardi) il distacco dall’avv. Paolo Reali di Latina; e adesso, rientrando a Pesaro-City, tocca a noi incoraggiare chi ritroviamo ancora nel tratto ascendente (c’è un altro ristoro, che vale per chi scende e per chi sale): i concittadini coniugi Saracini/Terenziani, la prof di inglese Laura Failli con cui condivisi tratti della Vinci-Collodi e del Passatore, il ‘trombettiere’ forlivese Lorenzo Gemma che corre più o meno col braccio al collo dopo l’infortunio sul Lamone tre settimane fa; la coppia Rizzitelli-Capecci, almeno 1800 maratone fra tutti e due, miss Carolina Agabiti che aveva incantato l’assemblea della vigilia col suo abito a pizzi.
Incrocio ora ol sindic Simonazzi, al mio km 40, e gli racconto come nel palazzo di fronte, l’Opera Padre Damiani, ebbi il primo grande sconforto della mia vita, quando a 8 anni mi trovai a cominciare un mese di colonia estiva, lontano dal paesello, senza conoscere nessuno. Davanti all’ingresso mi misi a piangere a dirotto, una “signorina” mi chiese perché, e io vergognandomi a dire che soffrivo la nostalgia, dissi che avevo fame… Ma nei giorni successivi conobbi il primo Santo della mia vita (Pesaro per me è piena di prime cose), appunto il padre Pietro Damiani (1910-97), orfano in tenerissima età, poi fabbro, barbiere, calzaturiere, infine prete impegnato nel dare una casa ai bambini abbandonati della guerra, soprattutto i piccoli profughi dell’Istria. Per loro istituì il collegio Riccardo Zandonai (in onore del concittadino e amico musicista), alla cui soglia il bambino spaesato del 1958 pianse, riacquistando poi il sorriso ai racconti del Santo.
Allo stagionato e nostalgico maratoneta non rimane che percorrere il tratto di strada che facevamo ogni sera, in fila per due, dopo cena; poi si passa il ponte, ed eccoci a Baia Flaminia, a quel traguardo da oltrepassare per la quinta e ultima volta.
Ristoro che fa dimenticare le carenze di tre ore prima: scorrono a fiumi birra e coca, per mandar giù ghiotti panini imbottiti. Doccia in albergo (long stay un po’ caruccio), o gratis nel vicino palasport; poi si riparte per la stazione, facendo in tempo a salutare gli amici visti 20 km fa e che vanno a concludere; di nuovo ol Sindic, poi Luca Gelati, la pantera rosa Carlotta Gavazzeni e Gianfranco Toschi a chiudere le 8 ore di sfilata.
Doveroso ricordare anche lo svolgimento della maratonina, in pratica la prima metà collinare della nostra 42, vinta da Andrea Barcelli (1:14:14) e, molto nettamente tra le donne, da Paola Braghiroli (1:25:17), Ma lasciatemi solo citare il ritrovato Alberto D’Addese, tra gli ultimi a tenere in vita, come assessore di Carpi, la fu-maratona d’Italia, e oggi tornato alle gare – come si suol dire – dopo lunga e penosa malattia, per fortuna ad esito fausto. Il Circo darà tante altre occasioni per rinascere.
Servizio TG3: https://www.youtube.com/watch?v=JmY6sCZGL3Y
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