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Mondiali della 100 km: Fidal chi convochi?
La Croazia in questo periodo sembra quasi al centro del mondo: domenica si giocherà la sua prima finale ad un mondiale di calcio, un grande traguardo per una nazione con 4 milioni e 200 mila abitanti. Ma la Croazia è anche un paese che corre, anzi ultracorre. Il prossimo 8 settembre, nella croata Sveti Martin na Muri, si correrà il campionato del mondo della 100 km. Si correrà in una nazione dove negli ultimi anni il movimento è veramente cresciuto soprattutto a livello femminile: il merito va ad una “banda” di ragazze terribili capitanate da Nikolina Sustic capace quest’anno di vincere 50 km di Romagna, 100 km del Passatore e la Pistoia-Abetone. Ma non dimentichiamoci di Marija Vrajic, altro pezzo da 90 molto conosciuta sulle nostre strade e vincitrice di numerose maratone e ultra. Se a loro aggiungiamo anche Veronica Jurisic ecco che il gioco è fatto!
Anche noi italiani ci saremo e faremo bella figura, sicuramente. Abbiamo una lunga tradizione nella 100 km: molti stranieri, in passato, hanno voluto studiare la materia da noi cercando di carpire qualche nostro segreto. Negli ultimi anni siamo un po’ calati, ma siamo sempre forti e lo dimostreremo.
Ma un momento…. ci saremo per davvero? Le convocazioni dovevano essere fatte entro il 30 maggio ma al momento non si conoscono i nomi.
Come da documento della Fidal (CRITERI DI PARTECIPAZIONE), la scelta degli atleti veniva fatta in base a:
- Atleti preselezionati: Laura Gotti, Giorgio Calcaterra: due nomi ci sono, l’intramontabile ultramaratoneta romano e la parrucchiera bresciana che però è stata dirottata alla maratona degli europei di Berlino che si disputeranno in agosto;
- Vincitori del campionato italiano della 100 km: e qui non si scappa, gli altri due atleti sono Matteo Lucchese e Daniela De Stefano che vanno di diritto (dopo la sospensione della Pitonzo in attesa della probabile squalifica per doping);
- Migliori prestazioni tecniche conseguite negli ultimi 24 mesi in manifestazioni ufficiali nazionali e internazionali sulla distanza di 100 Km, purché ricomprese nei tempi limite di 7h15’ (uomini) e 8h30’ (donne): tolti Calcaterra e Lucchese, sotto le 7h15’ troviamo cinque atleti: Andrea Zambelli, Gianluca Tonetti (ma anche lui sospeso in attesa della squalifica per doping), Francesco Ciancio, Hermann Achmuller e Francesco Lupo. Tra le donne, tolte Gotti, De Stefano e ovviamente Pitonzo, non abbiamo nessuna che rispetti questo criterio. Chiara Milanesi ha corso in 8h34’ nel marzo 2017, Elisa Zannoni in 8h43’ l’ultimo Passatore e Federica Vernò 8h52’ quest’anno a Seregno;
- Scelta tecnica: qui entrano in gioco Paolo Germanetto (Responsabile tecnico di corsa in montagna, trail e ultradistanze) e Tito Tiberti (Assistente alla direzione tecnica) che dovrebbero valutare il percorso fatto dagli atleti e la loro affidabilità in gara.
Siamo al 12 luglio, mancano meno di due mesi all’appuntamento mondiale, ma ancora non sono state diramate le convocazioni ufficiali.
Le ipotesi possono essere molteplici:
- gli atleti interessati sanno già che dovranno correre il mondiale in Croazia, si stanno tranquillamente allenando e le convocazioni non sono state rese pubbliche per qualche problema burocratico;
- gli atleti non sanno nulla, sono nervosi e si allenano (male!) sperando che prima o poi arrivi la chiamata tanto attesa;
- Germanetto e Tiberti si sono completamente dimenticati di mandare le convocazioni e quando leggeranno queste righe correranno immediatamente ai ripari scusandosi, in primis con gli atleti, per l’inconveniente;
- Alla Fidal non interessa nulla dell’ultramaratona, fa finta di niente, non convoca nessuno e risparmia risorse economiche da utilizzare in altri settori facendo, di fatto, morire questa nazionale che tante soddisfazioni ci ha regalato in passato.
Ci piacerebbe che qualcuno che sa facesse chiarezza, magari gli stessi Germanetto e Tiberti, in modo da rispettare una disciplina che, come detto sopra, tante gioie ha regalato agli appassionati. Attendiamo fiduciosi, l’8 settembre è sempre più vicino!
Torino 15 aprile: troppa grazia!
Da 35 anni Vivicittà è la gara italiana con maggiore partecipazione, coinvolgendo, in una globalizzazione ante litteram, 60 città di cui 12 straniere, nello spirito internazionale della UISP, con classifica unica compensata.
Si svolge normalmente la prima domenica di aprile, ma quest’anno era Pasqua, quindi lo spostamento è stato inevitabile; la domenica successiva si svolgono le due più importanti maratone italiane, Roma e Milano, insomma era giocoforza spostarla al 15 aprile.
A Torino ha sempre coinvolto un migliaio di podisti, ma…
Si narra che il 18 giugno del 1836, quando fu costituito il corpo dei Bersaglieri, il Re, partito subito dopo da Piazza Castello in carrozza, trovò a Stupinigi un reparto dei fanti piumati a rendergli onore.
Rimproverò il generale Lamarmora per averne costituiti due anziché uno come ordinato, ma il generale rispose “Maestà, è lo stesso reparto, che vi ha preceduto di corsa”.
Lo stesso percorso è oggi Tuttadritta, 10 km che attraversano il cuore di Torino in una festa che in 17 anni ha visto al traguardo, ogni volta, oltre 5000 partecipanti. La Turin Marathon prima e la Team Marathon poi, hanno sempre curato la manifestazione con la massima attenzione a misura di podista: servizio navetta, spogliatoi, trasporto borse, classifica con transponder, pasta party finale.
Le stesse considerazioni valide per Vivicittà hanno portato a stabilire anche per Tuttadritta la data del 15 aprile.
Possibile? ma l’Assessore allo Sport Finardi, che a suo tempo impedì l’effettuazione della Royal Half Marathon (di Enzo Caporaso) per “motivi di ordine pubblico” non ha avuto nulla da obiettare?
La FIDAL e la UISP non si sono messe in contatto? e sì che si conoscono le date di Vivicittà fino al 2020 (7 aprile ’19 e 19 aprile ’20); e analogamente dovrebbe essere per Tuttadritta, essendo manifestazione internazionale.
Per fortuna i due percorsi nemmeno si sfiorano, Vivicittà da sempre si svolge tra il Parco del Valentino e i lungopò… ma anche solo istituire un servizio d’ordine per due grandi manifestazioni è tutt’altro che semplice.
A parziale scusante dell’assessore Finardi c’è da dire che in un anno (52 settimane) a Torino si svolgono 20 manifestazioni, di cui almeno cinque con grande partecipazione: le Mezze della Base Running e della Team Marathon, che organizza oltre a Tuttadritta anche la Stratorino e la Maratona, inoltre Base Running ha in calendario anche la mezza Un Po’ di corsa.
C’è poi Just the woman I am del Cus Torino, e la new entry, la Mezza della Felicità di Giannone.
C’è proprio da dire: “troppa grazia Sant’Antonio!” (e vinca il migliore…).
Fidal sentenzia: “pentirsi” o accomodarsi alla cassa
Il Run Project FIDAL sta entrando a regime e già si vedono i primi “frutti”: due decisioni del Tribunale Federale del 12 marzo, relative alla Mezza Maratona di Caserta del 19 novembre ed alla 11^ Mezza Maratona Terre d’Acqua città di Trino del 26 novembre 2017. Nel primo caso si è rilevata la presenza di 435 tesserati EPS, mentre l’articolo 34.1 delle norme non stadia prevede esclusivamente la partecipazione di tesserati FDAL, IAAF, Runcard e Runcard EPS. Il Presidente Francesco Rivetti ha espresso il suo sincero pentimento per una decisione motivata dalle ingenti spese sostenute a fronte della mancanza di qualsiasi contributo degli Enti. Grazie al comportamento processuale, la pena è ridotta a 20 giorni di inibizione, e la sanzione a carico della Società Reggia Run a 666 euro. Nel secondo caso la gara, non organizzata sotto l’egida FIDAL e non inserita in un calendario condiviso come previsto dalla Convenzione FIDAL EPS, ha visto la partecipazione di 251 atleti tesserati FIDAL e 28 Runcard: situazione particolarmente pericolosa in quanto la copertura assicurativa e medico-sportiva è garantita unicamente ad atleti partecipanti a gare regolarmente autorizzate. L’assenza di un rappresentante della Società alla seduta del 12 marzo non ha consentito un esame di eventuali attenuanti, e l’inibizione del dirigente è di 30 giorni, mentre la sanzione per il GP Trinese è di 1000 euro.
Stadio Paolo Rosi: accordo Roma Capitale-FIDAL
Approvata il 6 marzo dalla Giunta comunale di Roma la delibera relativa allo Stadio Paolo Rosi, che diventerà finalmente la “Casa dell’Atletica Romana”. Roma Capitale e FIDAL hanno raggiunto un accordo di cooperazione con l’obiettivo di riqualificare lo stadio partendo proprio dal ripristino del manto della pista di atletica e delle annesse pertinenze. L’obiettivo è quello di promuovere valorizzare e diffondere lo sport, e in particolare l’atletica leggera, nelle varie fasce d’età della popolazione, con particolare riguardo alle categorie disagiate e alla terza età. Verranno inoltre messe a disposizione ogni anno otto borse di studio per i giovani talenti dell’atletica romana.
«Finalmente avremo la Casa dell’Atletica Romana, la quale diventerà un vero e proprio polo di riferimento e di aggregazione per le diverse specialità sportive dell’atletica. Grazie alla convenzione di Roma Capitale con la FIDAL quest’ultima si impegna a ripristinare il manto della pista, restituendo così alla cittadinanza lo stadio in tutta la sua bellezza. Per l’Amministrazione, promuovere lo sport come elemento qualificante la vita sociale, e intendere l’attività sportiva come un percorso di integrazione e inclusione sociale, avvalendosi della collaborazione delle varie federazioni, del Coni e delle società sportive, è obiettivo primario da sempre. Siamo davvero orgogliosi, dopo anni di tentativi vani, di essere riusciti a sbrogliare la matassa e ad arrivare a una convenzione che porterà vantaggi tangibili per tutta la popolazione romana», dichiara l’Assessore allo Sport, Politiche Giovanili e Grandi Eventi Daniele Frongia.
«È una notizia che il mondo dell'atletica aspettava da tempo ‒ commenta il presidente FIDAL, Alfio Giomi ‒ e che oggi accoglie con grande soddisfazione. È un traguardo che porterà finalmente alla riqualificazione di un impianto chiave per la promozione e la pratica del nostro sport nella Capitale, adiacente al Centro di Preparazione Olimpica dell’Acqua Acetosa. Un ulteriore passo nel solco di una collaborazione tra la Federazione e l’amministrazione di Roma Capitale che ha già portato all'organizzazione congiunta di eventi come la Roma Via Pacis Half Marathon e il Fly Europe a Piazza del Popolo».
Sono cresciuto allo stadio Paolo Rosi. Si chiamava stadio delle Aquile. Ho iniziato l'atletica in età giovanile. Mi ci recavo qualche volta la settimana, dopo la scuola. Vi ho visto correre campioni come Pietro Mennea, Stefano Tilli (mio compagno al liceo scientifico), la Ottey, Donato Sabia, Alessio Faustini, Franco Fava, ecc. Con il tempo il campo di atletica si è deteriorato. Il Progetto Filippide vi ha fatto il suo campo di allenamento, luogo d'incontro con soggetti con disabilità. E' facilmente raggiungibile con i mezzi propri e c'è la fermata del trenino, ma non una linea bus efficiente. Una volta (30 anni fa e oltre) alle 17 d'inverno chiudeva. Ora si era arrivati anche fino alle 20, ma le condizioni interne sono poco felici. Una volta il martedì e il venerdì era riservato al calcio, il sabato al football americano con Nicola Pietrangeli. Ricordo che il giorno dopo gli spogliatoi erano di una sporcizia indicibile.
Speriamo che le promesse siano realizzate. L'atletica è uno sport che permette di relazionarci con il nostro corpo, la nostra mente e con gli altri. Non è da considerarsi uno sport proletario, in quanto i costi non sono indifferenti tra abbigliamento, tesseramento, iscrizione società, iscrizioni gare, fisioterapia in caso di infortuni. Se poi si aggiunge il dover pagare una quota d'ingresso e la doccia post-allenamento, allora divengono ancora più elevati.
Purtroppo spesso l'Italia pare “una repubblica fondata sul... pallone". Manca una vera cultura sportiva. Per praticare sport necessitano strutture efficienti.
L'augurio è di vivere un futuro più roseo.
Iscriversi a quote crescenti e con optional obbligatori…
Sicuramente non sono il primo e credo nemmeno l’ultimo che propone il problema delle quote iscrizione elevate, alcune molto elevate, con l’aggiunta di optional obbligatori e quasi obbligatori.
Mi spiego: alla quota di iscrizione già elevata - per le mezze si arriva a € 30/40, per le maratone intorno a € 60/80 -, per le iscrizioni on-line (anche qui in molti casi obbligate, perché non ci sono alternative) si aggiunge la quota della transazione, “diritti di vendita”. Col pagamento tramite carta di credito si aggiungono altre spese per ogni iscritto, anche se si fanno 10 iscrizioni. Con il bonifico iscrivo 10 persone e pago una sola commissione, mentre con la carta pago una commissione ogni iscritto: e questo è obbligatorio per alcune organizzazioni: le banche ingrassano.
Per non parlare della “furbata” dell’assicurazione per poter trasferire la propria iscrizione ad un altro atleta o posticipare tale iscrizione all’anno successivo. Costo dell’assicurazione altri € 10; ma non è finita perché nel caso di trasferimento iscrizioni chiedono altri € 10 per diritti di segreteria: in pratica chi vuole iscriversi ad una maratona/ina deve quasi chiedere un mutuo! La Fidal non potrebbe intervenire con qualche direttiva, come obbligare gli organizzatori a stabilire una quota senza pacco gara? Lo so che è già stata sperimentata, ma evidentemente gli interessi degli organizzatori venivano meno e quindi ben pochi l’hanno attuata.
Se poi pensiamo al pacco gara - sempre più carta e cavolate varie e sempre meno sostanza - la rabbia di chi deve sborsare un sacco di quattrini è evidente. E’ vero che nessuno viene obbligato a partecipare se ritiene la quota elevata, ma è altrettanto vero che sembra che gli organizzatori si siano coalizzati in una specie di cartello, e se vuoi correre è così, altrimentistai a casa.
Sono rari, ormai, gli organizzatori che pensano al bene dell’atleta, quasi tutti pensano solo ed esclusivamente al proprio tornaconto, si deve avere un buon margine di utile. Ho sentito alcuni organizzatori e tutti piangono miseria, illustrando le spese sostenute, oltre a quelle per la Fidal, per il discorso della circolare Gabrielli, del personale, dei giudici, del pacco gara (ridicolo, perché al 90% sono sponsorizzati). Però non accennano mai alle entrate degli sponsor (vedi striscioni o pubblicità sui volantini) e dalle iscrizioni, che sono un salasso per i partecipanti: pagare 30/40 euro più accessori vari per una maratonina è davvero un furto legalizzato, che dovrebbe far riflettere chi di dovere.
Un plauso, invece, ai pochi che mantengono le quote entro limiti decenti, ma soprattutto non permettono alle banche di ingrassare ulteriormente e non chiedono 10/20 euro per un trasferimento del pettorale ad un altro atleta. Da segnalare che questi balzelli favoriscono quelli che corrono con un pettorale altrui, insomma inducono a ‘peccare’ per risparmiare. Si dice di non fare i furbi, che non è regolare o non è permesso, giusto! Per carità le regole vanno rispettate ed è giusto rispettarle, ma perché solo da parte dell’atleta?
NdR. Già, dove è finita la regola Fidal di una quota ridotta senza medaglia e pacco gara?In ambito di deregulation, temiamo che non ci siano troppe regole obbligatorie per gli organizzatori; e almeno la circolare Gabrielli (oltre tutto, interpretata troppo estensivamente, dato che non riguarda gli eventi sportivi di piccole-medie dimensioni) è un salasso per i piccoli organizzatori; molti dei quali infatti danno forfait. D’accordo per il fastidio dei balzelli sui pagamenti con carta di credito o attraverso certi siti che offrono tutto “cotto-e-mangiato” agli organizzatori: il nostro consiglio è pagare tramite bonifico bancario online, che è gratuito ed è ammesso da quasi tutti gli organizzatori (dieci e lode poi ai pochi che ammettono il pagamento con carta di credito senza sovrapprezzo!). [FM]
Se ne è andato Marco Martini, storico dell'atletica
Marco Martini non è più tra noi. Nato a Bologna nel 1953, ha speso gran parte della sua vita a Roma. È stato uno straordinario appassionato di atletica e di statistica con il pallino per la ricerca, una ricerca appassionata e scrupolosissima. Atleta in gioventù con la maglia del Cus Roma, i 400 m erano la sua specialità. Nella Capitale si era diplomato all’ISEF nel 1976. Insegnante di educazione fisica nella sua prima vita lavorativa, ruolo che ha espletato sino al giugno del 1982. A parte gli impegni lavorativi (è stato dipendente della Federazione Italiana di Atletica Leggera), Marco ha dedicato i suoi interessi culturali alla storia dell'atletica e alle origini dello sport, divenendo motore dell’ASAI, l’archivio storico dell’atletica leggera, nel quale sino all’ultimo ha svolto un ruolo determinante. Autore di un apprezzato e prezioso lavoro sulla storia dell'atletica maschile, che vide la luce a puntate sulla rivista federale Atletica, e subito dopo fu raccolto nel volume Da Bargossi a Mennea. Co-autore di parecchi libri di storia del nostro sport, ha collaborato con i suoi studi a diverse pubblicazioni specializzate di sport, circo, antropologia del sacro.
È autore anche di diverse voci monografiche (antropologia, circo, colonialismo, donna, etnologia, evoluzione dello sport, religione) sulla Enciclopedia dello sport della Garzanti, meglio conosciuta come Garzantina (2008). Qui di seguito la lista delle sue principali pubblicazioni: Atletica Europea Indoor (FIDAL, 1978); Storia dell'atletica leggera italiana femminile fino al 1950 (1994); Storia dell'atletica leggera italiana maschile (FIDAL, 1995); Correre per essere, origini dello sport femminile (AICS-ASAI, 1996); Storia dell'atletica leggera laziale, 3 volumi (Italia Marathon Club, 2003-2005-2007); Ritorno alle tradizioni (ASAI, 2009); L' energia del sacro: lo sport tra i popoli di interesse etnologico (Aracne, 2014).
Storia del Palasport di San Siro: 3 - Il crollo e la mancata ricostruzione
La genesi, i fasti, il crollo, la mancata ricostruzione e le prospettive future
Terza ed ultima puntata
Link Prima puntata - Link Seconda puntata
Le vere cause del crollo
Oggi riprendiamo il racconto da dove avevamo iniziato la prima puntata. Ovvero le ore 1.35 antimeridiane del 17 gennaio 1985. Dopo quattro giorni e tre notti di nevicate che avevano depositato al suolo circa 90 centimetri di coltre bianca, il tetto del Palasport crolla, per fortuna senza provocare vittime. Gli ultimi sportivi ad utilizzarlo erano stati alcuni ciclisti dilettanti e poi la compagine dell’Inter che svolse una partitella di allenamento, in quanto i campi di Appiano Gentile erano impraticabili e sostanzialmente irraggiungibili. Le precipitazioni record fecero crollare molti altri tetti, fra cui quello del velodromo Vigorelli. Purtroppo le cause del cedimento non vanno ascritte soltanto alla neve ma anche alla mancanza di manutenzione ed all’assenza di comunicazione tra le parti interessate. Occorre ricordare che la copertura era costituita da una serie di funi metalliche che si incrociavano tra loro, che a sua volta sosteneva la struttura di tamponamento, ovvero il tetto. Le funi metalliche, quando sotto carico, hanno inizialmente un allungamento permanente, per cui è necessario controllarle periodicamente ed eventualmente riprendere la geometria della tensostruttura, in modo da rientrare nei valori previsti dal progetto. In seguito fu appurato che durante il decennio di attività, i cavi non erano mai stati controllati e si erano allungati eccessivamente. In conseguenza a ciò la copertura aveva assunto una conformazione anomala. In parole povere si era creata una grossa insaccatura, se così possiamo chiamarla, nella parte centrale del tetto.
Il 16 gennaio, il responsabile tecnico del Palazzone decise di cercare di sciogliere il manto nevoso che aveva assunto dimensioni preoccupanti, in quanto superiori a quelle massime previste in fase di progettazione. Per raggiungere tale obiettivo innalzò al massimo la temperatura interna e prolungò il riscaldamento anche nelle ore notturne. Poche ore dopo ci si accorse con sgomento che l’acqua di fusione formatasi sul tetto non usciva dalle condotte di scarico, in quanto le stesse erano ostruite da ghiaccio misto a sabbia. E ciò era conseguenza del fatto che a settembre, durante i lavori di riverniciatura, fossero stati impiegati dei getti di sabbia per rimuovere la vecchia vernice. Al termine dei lavori la sabbia, anziché essere rimossa, era penetrata nei condotti di scarico, ostruendoli. L’acqua di scolo che scendeva dal tetto aveva poi riempito i tubi, e dato che nei giorni precedenti vi era stato un periodo di freddo intensissimo, si era gelata. I tecnici attuarono allora due manovre disperate, dapprima cercando di rompere le tubazioni di scarico, sperando di trovare una zona non ghiacciata da dove fare fuoriuscire l’acqua di fusione accumulata sul tetto. Fallita questa strada cercarono di forare la volta della copertura, onde consentire all’acqua di cadere sul parquet. Le dotazioni interne si sarebbero danneggiate, ma questo escamotage avrebbe salvato il Palasport. Entrambe le soluzioni non ebbero successo. Nel frattempo il problema diventava sempre più critico perché aveva cessato di nevicare e pioveva diffusamente. Questa situazione non aumentava il peso complessivo che gravava sul tetto del palazzone, ma l’innalzamento della temperatura favoriva la formazione dell’acqua di fusione che date le pendenze andava a confluire nella sopracitata insaccatura. Ciò incrementava la criticità in quella zona. Infatti, aumentando il carico di quel punto, le funi si allungavano ulteriormente, l’insaccatura diventava ancora più profonda e l’acqua affluiva ancora di più. In un circolo vizioso senza fine. Si stima che al momento del disastro, nella zona centrale della copertura vi fosse un carico superiore a 500 kg/m2, mentre il progetto prevedeva un massimo di 140 kg/m2 tra neve e peso proprio delle struttura.
La mancata ricostruzione
Sono molte le ragioni che stanno alla base della mancata ricostruzione. Di sicuro la vicenda processuale che con i suoi tempi lunghi, congelò ogni azione immediata. Tanto è vero che nel 1992 si giunse ad un accordo extragiudiziario tra impresa costruttrice e CONI. Poi l’inserimento di Milano, da parte del ministero competente, in un area considerata ad elevata nevosità. Questo fatto faceva si che le nuove costruzioni dovessero rispondere ad un carico di neve di superiore a quello del progetto iniziale. Sebbene il palasport fosse una struttura già esistente, buon senso suggeriva di fare altrettanto per non correre ulteriori rischi. A ciò andava aggiunta la scomparsa di Rodoni, il Presidente della Federazione Ciclistica e come raccontato nella prima puntata, grande sponsor del Palasport. Inoltre Il CONI stesso che aveva ricevuto un rimborso esiguo dalle assicurazioni, non aveva più intenzione di promuovere e gestire una simile struttura. Bella, ma mangia soldi. Anche il Comune si svincolò e dopo la distruzione con esplosivi di tutta la struttura, le macerie furono evacuate per fare posto ai lavori di miglioria dello stadio e delle zone attigue, in vista dei mondiali di calcio di Italia 90. Macerie che peraltro ospitarono anche loro degli allenamenti sportivi di cui fui testimone. Alcuni pugili venivano portati in mezzo alle macerie dal loro preparatore atletico, l’italo americano Ruti Del Vecchio. Un vero sergente di ferro, in quanto ex-sergente dei marines, reduce dalla guerra in Corea. Una volta sul posto i pugili dovevano intervallare riprese di box figurata a picconate sulle macerie! Nel luglio del 1998 ci fu un ultimo tentativo di rinascita, in quanto la Giunta Comunale approvò una delibera per realizzare un nuovo palasport da 10.370 spettatori da realizzarsi nella stessa area del precedente. Nel 2000 seguì l’approvazione del Consiglio Comunale, ma l’iter burocratico si arenò nel 2003 e da allora non si parla più di ricostruzione.
Come si sono organizzati gli altri sport e gli eventi musicali?
Bene. Nel giro di un anno dal crollo, fu costruito il Palatrussardi, struttura da quasi 9000 spettatori e nel 1990 sorgeva il Forum di Assago che contiene oltre 12000 persone. Basket, volley, tennis, pugilato, concerti e quant’altro hanno trovato una nuova casa. Solo due attrezzature sportive non possono essere accolte in questi impianti, ovvero le piste di atletica e ciclismo. Per quest’ultimo ricordiamo che comunque Milano dispone del Vigorelli (pista rifatta di recente - 8000 posti al coperto) e sempre restando in Lombardia, da circa dieci anni a Montichiari c’è un moderno velodromo indoor che ha una capienza di circa 2000 spettatori.
E l’atletica?
E’ l’unica che non ha provveduto a trovare delle soluzioni. Dopo il crollo del palasport, la sua pista fu recuperata e cominciò a girare in cerca di un tetto. Nei primi anni novanta trovò alloggio a Lodi, in un linificio dismesso, ospitando allenamenti e campionati regionali. Nella seconda parte del decennio fu trasferita nel varesotto, a Castellanza, in un freddissimo capannone dove furono organizzati anche dei campionati nazionali junior e promesse. Da quel momento si sono perse le tracce. L’atletica è restata l’unico sport col cerino in mano. Acceso. Il panorama lombardo è sconfortante. Ci sono solo alcune piste/corridoio da sprint sui 60 metri a Saronno e Castenedolo (BS). In arrivo, dopo laboriosa gestazione anche quello sotto le tribune del campo XXV Aprile a Milano. Di anelli da 200 metri nemmeno a parlarne. Per trovarli bisogna spingersi fuori regione, fino ad Ancona o a Padova. E non è che nel resto della penisola ci sia molto altro. Sostanzialmente due impianti in tutta Italia. Con le aperture ad intermittenza e chiusure di anni a Genova e Torino. Infatti ora sono entrambe indisponibili. Oppure le piste più corte di Parma e Firenze. Prospettive non ce ne sono. Nemmeno oggi, nel pieno di una campagna elettorale forse povera di contenuti, ma certo non di promesse che vengono elargite a piene mani su qualsivoglia argomento. Molti schieramenti hanno promesso di tutto e di più, sia a livello nazionale che regionale. Ma di nuovi impianti indoor per il nostro amato sport nemmeno a parlarne.
Tristezza.
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Caso Schwazer: condannati i medici Fidal
Il caso Schwazer non finisce mai: nel processo penale di Bolzano, proprio a seguito della testimonianza del marciatore altoatesino, sono stati condannati per favoreggiamento gli ex medici federali Pierluigi Fiorella e Giuseppe Fischetto: due anni con l’interdizione della professione per l’identico periodo. Condannata a nove mesi Rita Bottiglieri, funzionaria della Fidal all’epoca responsabile dell'Area Tecnica.
Il verdetto del Giudice Carla Scheidle si riferisce al processo sul primo doping di Schwazer, nell’agosto 2012, quando prima dell’Olimpiade di Londra, era stato trovato positivo all’epo: lo stesso atleta aveva patteggiato otto mesi di condanna.
Le condanne vanno oltre le richieste del pm Giancarlo Brumante (un anno e dieci mesi per Fiorella, un anno e otto mesi per Fischetto, assoluzione per Bottiglieri) e fanno storia poiché è la prima volta che due medici sportivi, inseriti nella dirigenza di una federazione, vengono condannati per favoreggiamento nel doping (sapevano dell'uso di sostanze dopanti da parte del marciatore, ma non avevano denunciato il fatto).
Soddisfatto il legale di Schwazer, Gerhard Brandstaetter: “La sentenza del tribunale di Bolzano contro i medici Fidal conferma che Alex Schwazer davanti ai giudici ha detto la verità. Questo per noi è una importante conferma. Prima di commentare una sentenza, alla quale non ho direttamente assistito, voglio comunque vedere e leggere le motivazioni”.
Storia del Palasport di San Siro: 2 - I fasti
La genesi, i fasti, il crollo, la mancata ricostruzione e le prospettive future
Seconda puntata
L’impianto
La struttura, progettata dall’architetto Valle per quanto riguardava gli aspetti architettonici e dall’ingegner Romaro per la copertura, si distingueva per dimensioni e bellezza estetica. Proprio per questi motivi, oltre che per l’innovativa soluzione tecnica della copertura, nel 1976 il progetto vinse il premio della Convenzione Europea per le Costruzioni Metalliche. Il palasport era costituito da una struttura in cemento armato a pianta ellittica, con ben 24 ingressi e che ospitava le tribune poste sui lati della vasta platea. Da questa struttura si innalzavano 35 mensole, distribuite sul perimetro che sostenevano la copertura, coprendo una superficie di 15.500 mq. Il tutto senza colonne intermedie. Bellissima.
La platea accoglieva una pista ciclistica, con curve sopraelevate, di lunghezza pari a 250 metri e con larghezza 7 metri, molto più bella di quella del Palafiera che era più stretta e corta. Vi era poi una pista per la corsa a quattro corsie, anch’essa regolare in quanto lunga 200 metri. Ampi spazi potevano facilmente accogliere tutte le attrezzature per le varie specialità dell’atletica leggera. Al centro c’era spazio per un parquet per il basket o il volley, anche se quest’ultimo non entrò mai nell’impianto. Oppure il ring per il pugilato, insieme a delle tribune supplementari. In quest’ultimo caso la capienza aumentava da 12.300 spettatori ad oltre 15.000. Il Palasport aveva pertanto una capacità d’accoglienza superiore al Palazzo dello Sport di Roma ed al mitico Madison Square Garden dell’epoca.
I fasti extra-sportivi
Oltre allo sport, il palazzone ospitò molti altri eventi importanti. Nel tardo pomeriggio del 23 maggio 1983, dopo sei secoli dall’ultima visita pastorale papale, Giovanni Paolo II incontrava le religiose presentate dal cardinale Martini. Ma la lista dei protagonisti è lunga, dalla politica, col leader del PCI Berlinguer, all’opera lirica della Scala. E poi i balletti, Holiday on Ice, Giochi Senza Frontiere. Passando per tanti concerti. I primi ad esibirsi furono gli Inti Illimani, un gruppo folk cileno che ai tempi andava per la maggiore. Gli ultimi furono i Queen. Per non parlare di quella serata estiva con Reinhold Massner, appena rientrato da una delle sue quattordici scalate oltre quota ottomila. Erano presenti migliaia di persone, tanti dovettero addirittura restare fuori e nonostante il caldo allucinante, restammo tutti in religioso silenzio ad ascoltare la sua avventura.
Gli altri sport
Come accennato nella prima puntata, il Palasport era nato per accogliere il ciclismo ed infatti era un grande velodromo coperto, buono anche per l’atletica, di cui parleremo nel prossimo paragrafo, ed altri spettacoli, ma poco adatto per altri sport, o meglio per gli spettatori.
Nel ciclismo, la prima sei giorni fu un successo memorabile, col trionfo della coppia formata dal campione d’Italia in carica, Francesco Moser, e dal belga Patrick Sercu. Accorsero quasi 90.000 spettatori.
Ci fu spazio anche per il tennis al massimo livello. Un torneo WTC con Borg a battere in finale Gerulaitis. La ginnastica ospitò Nadia Comaneci, la prima atleta al mondo ad ottenere un 10. Presente anche la boxe, con incontri validi per la corona mondiale o continentale, come Antuofermo-Warusfel, Arcari-Mattioli, Stecca-Cruz, McCallum-Minchillo che registrarono spesso il tutto esaurito.
Lunghissimo il capitolo del basket, tra tornei della nazionale, campionato e coppa campioni. Erano gli anni della Xerox dello sceriffo del Nebraska, Chuck Jura, ma soprattutto l’inizio dell’epopea dell’Olimpia di Dan Peterson, Meneghin e D’Antoni. Come spettatore posso purtroppo confermare come, in queste occasioni, si formassero tre gruppi ben definiti, i primi due formati da chi giocava e chi vedeva la partita seduto nelle tribunette a bordo campo. Il terzo si trovava sulle tribune, a distanza chilometrica dal campo e la partita più che altro se l’immaginava. Anche perché ai tempi di tabelloni elettronici che fornissero immagini e replay, non se ne parlava proprio. Non esistevano nemmeno internet o trasmissioni via satellite e quando nel settembre del 1981, per sfidare l’Olimpia, sbarcò al palazzone una selezione NBA capitanata dal Doctor J, al secolo Julius Erving, l’effetto fu simile a quello dello sbarco dei marziani. Ed io non dimenticherò mai un suo terzo tempo, iniziato quasi da metà campo e terminato a canestro. Mi venne subito in mente una definizione di Aldo Giordani, storico commentatore e divulgatore televisivo della pallacanestro. Il basket è atletica giocata. Ebbene, io avevo appena visto il nuovo record mondiale del salto triplo. Con pallone.
L’atletica nazionale
Nel 1976, 1977, 1978 e 1980 il palasport ruppe il monopolio di Genova, ospitando i campionati nazionali indoor. A questo proposito abbiamo brevemente intervistato un protagonista di quei tempi, oltre che fruitore della struttura. E’ Franco Ambrosioni, più volte azzurro e nono assoluto alla maratona di New York del 1978: “Ai tempi l’attività indoor non esisteva. In occasione delle mie trasferte con la Nazionale era brutto vedere come invece in Europa gli impianti, anche molto belli, non mancassero. Prima del palasport noi correvamo indoor giusto un giorno all’anno, quando si andava a Genova per i campionati Italiani. Mi ricordo che c’era una pista in legno non bellissima e molto rumorosa. Invece quella di San Siro era un gioiello. Si correva benissimo e per noi corridori di lunga lena era fantastico potersi allenare anche lì e vedere come i risultati del nostro lavoro “organico”, venissero “trasformati” su quell’anello. I 3000 metri erano una distanza troppo corta per me, ma correre vicino a casa e davanti a chi mi conosceva fu un grosso incentivo. Agli Italiani del 1977 vinse Gerbi, ma in quella combattutissima finale a venti, io riuscì a conquistare il terzo posto con una super volata. Ricordo ancora il tempo: 8’12”.”
L’atletica internazionale
Tra le date storiche dell’atletica indoor milanese vanno senza dubbio menzionate l’11 ed il 12 marzo 1978, quando per la prima volta in Italia vennero ospitati i campionati europei.
Ai tempi il programma delle gare al coperto non era ricco come al giorno d’oggi. I 200 metri non erano previsti e quindi fu chiesto a Pietro Mennea di regalarci un oro sui 400 metri, dove in 46”51 prevalse di soli 4 centesimi contro il polacco Podlas che anche grazie a qualche scorrettezza gli diede del filo da torcere. L’altro successo arrivò da Sara Simeoni che saltò 1.94 m. L’argento della Bottiglieri sui 400 ed il bronzo di Buttari nei 60 ostacoli completarono il nostro medagliere, spingendo l’Italia al quarto posto, dietro soltanto a Germania Est, URSS e Finlandia.
Questa edizione sarà inoltre ricordata per il cosiddetto “volo di Volodja”. Il russo Vladimir Yaschenko compì qui la sua impresa. Saltando 2.35 conquistò l’oro, il primato continentale e l’imbattuto record mondiale con tecnica ventrale. Fu l’ultimo acuto di una giovane promessa la cui esistenza, condizionata dalla dipendenza dall’alcool e dagli infortuni, fu molto breve.
Il 6 ed il 7 Marzo del 1982 Milano concesse il bis, con la XIII^ edizione dei campionati continentali al coperto. Cambio degli interpreti in casa Italia, ma conferma al quarto posto nel medagliere, grazie alla doppietta di Maurizio Damilano e Mattioli sui 5 km di marcia, l’argento di Cova sui 3000 in 7’54”12, i bronzi di Evangelisti nel lungo e Di Pace sui 200 metri in campo maschile. Al femminile furono decisive le nostre mezzofondiste. La Dorio vinse i 1500 in 4’04”01. Agnese Possamai, che si esaltava sulle curve del palasport e fece incetta anche di titoli italiani al coperto su questa distanza, trionfò nei 3000 metri col tempo di 8’53”77.
Tra i tanti meeting è giusto ricordare anche ciò che avvenne il 24 febbraio 1977, con la miglior prestazione mondiale di Carlo Grippo negli 800 metri: 1’46”37. Il palasport fece ancora in tempo ad ospitare un paio di volte Bubka. Il re dell’asta aveva già inaugurato la spettacolare e proficua politica del miglioramento centimetro dopo centimetro. Nel febbraio del 1984 fu la volta di quota 5.82 metri.
Nel prossimo articolo parleremo delle cause del crollo, che fine fece la pista di San Siro e le prospettive future in materia d’impianti per l’atletica al coperto. (fine seconda puntata)
Storia del Palasport di San Siro: 1 - La genesi
La genesi, i fasti, il crollo, la mancata ricostruzione e le prospettive future
Prima puntata
Premessa
Il 17 gennaio 1985 crollava il Palasport di San Siro che era diventata la casa dei milanesi per molti sport indoor, atletica compresa. A trentatré anni esatti di distanza non è stato ricostruito. Oggi cominciamo una serie di articoli che con cadenza settimanale vogliono raccontare le ragioni per i quali fu edificato e le sue caratteristiche per i diversi sport ed eventi che ha ospitato. Seguirà una carrellata sui suoi otto anni di attività, costellata da eventi importanti. Descriveremo le cause del crollo e la mancata ricostruzione. Vedremo anche come, nel frattempo, si sono riorganizzati i vari sport ed i promotori di altri eventi. Anche qual è stata l’unica Federazione sportiva che dopo il crollo non ha rimediato ed è restata col cerino acceso. Si, avete indovinato. E’ la FIDAL. Ma non vincete nulla: la domanda era troppo facile.
Ringraziamenti e fonti consultate
Prima d’iniziare vorrei ringraziare Mauro Gurioli che con il suo articolo pubblicato sul sito www.museodelbasket-milano.it/ mi ha dato lo spunto per questa iniziativa. Partendo dalla sua scrupolosa ricerca ho integrato la stessa con altre fonti. Quindi ciò che leggerete si baserà principalmente su:
- il precitato documento;
- l’archivio del Corriere della Sera;
- articoli scritti dal progettista, l’Ing. Giorgio Romaro;
- pezzi pubblicati dai siti FIDAL Roma e Milano;
- alcune interviste con i protagonisti del tempo.
Tutto questo verrà integrato dai ricordi di chi Vi scrive, che è stato spettatore al Palazzone in molte occasioni. A questo punto non mi resta che augurarVi una buona lettura.
La genesi
A Milano negli anni cinquanta la disponibilità d’impianti sportivi coperti di grandi dimensioni si limitava al palazzo dello sport ubicato nel recinto adibito ai padiglioni della vecchia fiera campionaria. Nato nel 1933, era stato realizzato con criteri ottocenteschi: una grande platea a pianta ellittica circondata non da tribune, così come intese al giorno d’oggi, bensì da una serie ininterrotta di palchi, disposti in maniera simile a quelli dei teatri dell’epoca. Il montaggio e smontaggio delle tribune era laborioso ed antieconomico. Salvo nelle giornate di gara, il Palafiera, successivamente chiamato così per distinguerlo da Palalido e Palazzone di San Siro, non veniva adeguatamente riscaldato, come mi ricordava Sandro Gamba, giocatore e poi allenatore delle mitiche scarpette rosse del Simmenthal, l’attuale Pallacanestro Olimpia. Faceva un freddo cane, ma per il basket era già un passo avanti rispetto al campo all’aperto di via Washington, oppure alla palestra Forza e Coraggio di via Gallura. Bella, ma con poca tribuna. Qualche volta si ricorreva al palazzo del ghiaccio di via Piranesi, riadattato per l’occasione. Tuttavia si trattava di un costoso e faticoso palliativo.
Fu così che il Comune decise di costruire finalmente una struttura flessibile ed adatta ad alcuni sport indoor, quali il basket, il pugilato, il volley ed il tennis. Con l’inaugurazione del Palalido, alla fine del 1960, ebbe praticamente termine ogni attività sportiva al Palafiera, ad eccezione del ciclismo su pista che anzi godette di grande popolarità grazie alle 6 giorni. L’impianto però non soddisfaceva né gli organizzatori né il pubblico, per cui Adriano Rodoni, vicepresidente del CONI, oltre che presidente della Federazione Ciclistica, cercò in tutti i modi di convincere il Comune di Milano a realizzare un grande palazzo dello Sport. Ogni tentativo fu vano perché il Comune si era già molto indebitato per realizzare la linea 1 della metropolitana. Rodoni tuttavia non mollò la presa. Ai tempi era una potenza. Per chi non lo conoscesse, si può paragonarlo a Primo Nebiolo, che governò l’atletica mondiale come presidente IAAF dal 1981 fino alla sua morte nel 1999. Analogamente il milanese Rodoni fu presidente UCI, l’Unione Ciclistica Internazionale dal 1957 al 1981. Quindi fallita la strada con il Comune, pensò fosse possibile utilizzare i fondi CONI provenienti da Lotto e Totocalcio che ai tempi convogliavano grosse risorse essendo in pratica i soli giochi d’azzardo consentiti.
E l’atletica? In questo frangente svolge un ruolo marginale. L’attività al coperto praticamente ancora non esiste. Quindi non c’è una vera domanda. Per il primo campionato italiano indoor bisognerà aspettare il 1970, quindi per usare un paragone ciclistico, resta a ruota, in scia a Rodoni, ovviamente ben lieta di ricevere questo possibile nuovo quanto gradito regalo.
La costruzione
E’ il 1965 quando il CONI accetta la proposta. Tre i fattori decisivi: Rodoni, la popolarità del ciclismo ed il fatto che Roma avesse avuto in dono, grazie alle Olimpiadi, una serie impressionante di impianti sportivi. Secondo i desiderata del Comitato Olimpico, l’impianto avrebbe dovuto sorgere in zona est del capoluogo lombardo, ma l’amministrazione comunale spinse per farlo vicino allo stadio calcistico in quanto la zona era l’unica ad essere già attrezzata per accogliere un numero considerevole di sportivi grazie ai mezzi pubblici ed agli ampi parcheggi. I punti qualificanti dell’accordo tra CONI e Comune prevedevano che:
- il CONI avrebbe realizzato il Palazzo e ne avrebbe anche garantito gestione, funzionamento ed operatività, senza alcun onere per il Comune;
- Dopo 29 anni il Comune avrebbe rilevato la struttura dal CONI ad un prezzo prefissato e pari alla metà del budget stabilito per la costruzione; era data al CONI la possibilità di prorogare la proprietà per ulteriori 29 anni, ma al termine di quest’ultimo periodo la proprietà sarebbe passata gratuitamente al Comune;
- Il CONI, nell’ottica di favorire non solo lo sport di vertice, avrebbe totalmente finanziato la creazione di alcuni centri sportivi di base nelle periferie cittadine, sempre senza alcun onere per il Comune.
L’arredo interno prevedeva una pista ciclistica di lunghezza omologata, una pista di atletica, oltre alla possibilità di installare attrezzature idonee per ogni sport indoor, inclusa una eventuale superficie ghiacciata. Nel mesi di maggio del 1969 fu finalmente aperta la gara per la designazione dell’impresa costruttrice. In dicembre dello stesso anno la Commissione proclamò vincitrice la ditta CONDOTTE D’ACQUA con un progetto che prevedeva una spesa complessiva pari a 2,7 miliardi di lire, equivalenti a 1,4 milioni di euro, che con la rivalutazione, ad oggi corrisponderebbero a circa 25 milioni di euro. Il 24 febbraio 1970 veniva posta la prima pietra del Palasport e nel contempo venivano iniziati lavori per le strutture sportive di base: il centro sportivo al Forlanini e sei piscine da realizzare nei quartieri Gorla, Bruzzano, Sant’Ambrogio, Gallaratese, Lorenteggio e Gratosoglio. Tra ritardi, interruzioni e modifiche in itinere al progetto iniziale, servirono 6 anni per terminare l’opera. Il bilancio finale parla di oltre 1.000.000 di ore di lavoro, 27.000 metri cubi di calcestruzzo, 4.000 tonnellate di acciaio, 6.000 metri quadrati di vetro. Il costo finale fu triplo rispetto al budget: circa nove miliardi di lire. Prima dell’apertura, il 10 gennaio 1976 si svolse un meeting non ufficiale di atletica, a porte chiuse, a cui partecipò anche Pietro Mennea. Sabato 31 gennaio 1976, in diretta televisiva, con la conduzione di Mike Bongiorno, il Palasport venne ufficialmente inaugurato. Fu un grande show, con musica, cabaret oltre a molti ospiti sportivi tra cui i ciclisti Alfredo Binda, Vittorio Adorni, gli schermidori Dario ed Edo Mangiarotti, il pugile Duilio Loi. (fine prima puntata)
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Maratone e mezze "gold-silver-bronze": statistiche 2017
File da scaricare:
Raffronto Maratone dal 2006 al 2017
Statistica sulle gare di Mezza Maratona 2017
Statistica sulle gare di Maratona 2017
Terminato il primo anno del Run Project FIDAL è tempo di fare i conti e lasciar parlare i numeri, anche se la statistica, come dice Trilussa, è quella scienza secondo la quale se io mangio un pollo e tu resti a digiuno ne abbiamo mangiato metà a testa.
Cominciamo dalle Maratone: i dati farebbero pensare ad un’esplosione dell’attività da 54.196 classificati del 2016 a 60.819 con un incremento del 12%; in realtà la situazione è più complessa: ci sono 20 gare “anomale”, 14 fanno parte di due manifestazioni con maratone giornaliere consecutive, e 6 sono gare accessorie a latere di ultramaratone.
Sul podio della partecipazione salgono Roma con 13.318, Firenze 8.391, Venezia 5.905; per la media dei primi tre tempi maschili invece troviamo Roma 2h08’40”, Milano 2h09’00” e Brescia 2h10’20”; al femminile svetta Firenze con 2h30’16” davanti a Roma e Milano con 2h30’20”.
Il dato più significativo, invece, poste le premesse, cioè il “monopolio” FIDAL, è la suddivisione delle maratone: 43 FIDAL, 28 UISP (anche se ci sono le 14 di cui sopra), 2 CSI e una “naif” degli Elba Runners.
Il fenomeno però non ha influito sul 2018: le maratone FIDAL perdono quattro manifestazioni, ma ne guadagnano tre e Trieste si accontenta della sola mezza maratona.
I mesi più graditi sono dicembre, ottobre, marzo e aprile: non fanno testo agosto e giugno, in cui si sono svolte le maratone in più giornate consecutive.
Un’ultima considerazione riguardo al ritorno finanziario per la FIDAL; senza riportare i conti al centesimo, considerando 4 gold, 4 silver, 31 bronze e 4 territoriali le tasse approvazione danno circa 81.000 euro: i classificati sono 56.973, ma l’euro si paga sugli iscritti, che sono in media il 12% in più, quindi altri 68.000 euro. Si può allora ipotizzare una cifra intorno a 149.000 euro nelle casse federali.
Molto più complicato il discorso relativo alle Mezze Maratone, dove la creatività italica si è sbizzarrita non poco; dal momento che il termine maratonina non è dotato di copyright è stato usato con gare di 21 km, 21,108 eccetera da Società FIDAL, mentre gli EPS, soprattutto uno, lo hanno opportunamente ignorato arrivando a scrivere non solo km. 21,097, ma anche “omologati” dall’Ente stesso: una fake news, dal momento che, questo sì, la FIDAL è l’unico Ente che, a livello internazionale, ha questa prerogativa. Ma veniamo ai numeri delle Mezze: 255 gare, 183 FIDAL, 56 UISP e 16 altri, tra cui una non competitiva! I classificati sono 205.407 , di cui 177.498 FIDAL, 22.818 UISP e 5.051 altri. C’è da fare un discorso sul variegato mondo FIDAL: 18 mezze maratone fanno parte di una manifestazione unica con la maratona, 12 sono regionali, con il trucchetto di cui ho già parlato. C’è però un fatto molto strano: per caso ho scoperto che la maratonina di Olbia inserita nel calendario nazionale ha però l’approvazione regionale, dai regolamenti sembrerebbe non ammesso, però… Sui podi della partecipazione, della media dei tempi maschile e femminile, i primi due posti sono della Roma Ostia, 9.974, 59’41” e 1h07’50”; poi Milano con 6.358, 1h01’28”e 1h09’33”; il bronzo va rispettivamente diviso tra Verona 5.389, Trento 1h02’12” e Verbania 1h09’50”. Un discorso sulla stagionalità: i mesi d’oro sono ottobre, novembre e marzo. Il calendario provvisorio 2018 riporta 164 mezze maratone FIDAL, vorrebbe dire un calo di 19 unità: in realtà se consideriamo che ci saranno comunque delle maratonine regionali, il calo non dovrebbe essere drammatico, soprattutto legato a quelle manifestazioni che non hanno potuto organizzare la gara nella data richiesta per i regolamenti imposti dal Run Project. Aver portato la distanza chilometrica da 300 a 250 chilometri fa sorridere. Termino anche qui con i conti: considerando 3 gold, 7 silver, 171 bronze e 12 regionali la tassa di approvazione dà un introito di circa 183.000 euro, i classificati sono 177.498, ma sempre calcolando un 12% in più gli iscritti sarebbero circa 213.00 per una somma totale pari a 396.000 euro, con i 149.000 delle maratone fa un totale di 545.000 euro. È proprio vero che i podisti contribuiscono non poco all’attività federale, speriamo almeno che questi contributi diano frutti a Berlino.
Campania: FIDAL, FISDIR e FISPES firmano storico accordo
Chiuso storico accordo tra le tre Federazioni che a livello campano, ma soprattutto a livello nazionale, si occupano di Atletica Leggera. Abbattute definitivamente, così, le barriere tra atleti normodati, paralimpici e con disabilità intellettiva relazionale.
Nelle stanze del Coni di Napoli, l’altro giorno, si sono incontrati i presidenti e delegati di FIDAL, FISDIR e FISPES (Sandro Del Naia, Alfonso Palumbo e Alfonso Ancona) per ratificare un Protocollo d’Intesa che li impegna ad una promozione ed alla diffusione dell’Atletica Leggera in maniera sinergica.
“Tale protocollo è il primo in Italia sottoscritto dalle tre Federazione e per questo motivo si può parlare a giusta ragione di risultato storico, dove si vede la regione Campania essere capofila ed in anticipo per quanto concerne lo sviluppo dell’Atletica Leggera su tutte le altre regioni del territorio nazionale”, hanno chiosato i presidenti e delegati di FIDAL, FISDIR e FISPES .
Infatti, attualmente i rapporti tra le tre Federazioni Nazionali sono regolati dal Protocollo d'Intesa sottoscritto nel 2006 tra la FIDAL e il C.I.P. la cui validità, nell'anno 2010, è stata tacitamente estesa, in seguito allo scioglimento del "Dipartimento 3 di Atletica Leggera del CIP", alla FISPES.
Il Protocollo firmato in questi giorni parte dal presupposto che, quello siglato tra le parti nel 2006 necessità di un'ampia revisione soprattutto in funzione del forte sviluppo che l'Atletica Paralimpica italiana ha conosciuto nelle recenti stagioni agonistiche.
Tra le Parti, a livello nazionale, è in atto una proficua collaborazione di carattere organizzativo, non ancora sostanziata in un protocollo operativo, e un costante interscambio di professionalità ed esperienze che può essere un valore aggiunto a servizio dell'intero movimento nazionale dell'Atletica Leggera.
Da oggi in poi, invece, con questo storico accordo firmato in Campania, le Parti s'impegneranno a creare quante più possibili occasioni di integrazione e crescita sinergica agli aspetti di promozione e diffusione dell'Atletica Leggera.
Il presente Protocollo d'Intesa deve essere considerato, pertanto, uno strumento operativo i cui benefici in termini tecnici, organizzativi e gestionali devono concorrere alla sana crescita ed ad un continuo sviluppo dell'Atletica Leggera italiana senza pregiudizi e barriere culturali.
La FIDAL è la Federazione Sportiva Nazionale deputata alla promozione, all'organizzazione, alla diffusione e alla disciplina dell'Atletica Leggera Olimpica in Italia in armonia con le deliberazioni del CIO, del CONI e della IAAF.
La FISPES è la Federazione Sportiva Paralimpica Nazionale deputata alla promozione, all'organizzazione, alla diffusione e alla disciplina dell'atletica leggera paralimpica in Italia su delega del Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e in armonia con le deliberazioni dell'IPC e dell'IPC Athletics.
La FISDIR è la Federazione cui il CIP (Comitato Italiano Paralimpico) ha demandato la gestione, l’organizzazione e lo sviluppo dell’attività sportiva per gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale, regolando il più proficuo avviamento alla pratica di varie discipline sportive tra le quali l’atletica leggera.
Giovinazzo e Babbo Natale: Azzeccagarbugli chi?
La squalifica dell’amico Francesco Cannito non mi ha per nulla sorpreso.
Alla Maratona del Mugello 2015, per motivi pratici, avevo il pettorale ben visibile sulla parte inferiore dell’addome, mantenuto da una cinghia che qualche volta si trova nel pacco gara. Alla partenza, una giudice mi ha fatto notare che il pettorale si chiama tale perché va portato sul petto, e mi avrebbe squalificato se non lo avessi applicato come prescritto dal regolamento. Non ho obbedito alla sua richiesta, logica ma assurda, perché era troppo tardi, non certo per spirito d’insubordinazione. La sfortuna ha voluto che lo stesso arbitro fosse sul traguardo a registrare manualmente i numeri dei pettorali. Ha puntato meccanicamente i suoi occhi sul mio petto, e non trovandolo, ha portato il suo sguardo più in basso, perdendo qualche frazione di secondo che avrebbe potuto dedicare agli altri concorrenti, nel frattempo, sopraggiunti numerosi. “Te l’avevo detto!”, ha esclamato con animo irato, e mi stava squalificando. Non so neanche io perché, poi, mi abbia graziato. Non mi ero vestito né da Babbo Natale né da carnevale. Ero in regola per tutto il resto. Eppure una giudice di una (grande) Regione, che non ha un giudice come Governatore, voleva squalificarmi.
Al pari della giudice toscana, anche l’ultraottantenne Luigi De Lillo, come afferma Roberto Annoscia, conosce i regolamenti “a memoria”, è persona irreprensibile che ha dedicato un’intera vita al volontariato, e soprattutto lucida.
Azzeccagarbugli lui? I suoi detrattori, piuttosto.
Si dimentica che le gare Fidal sono competitive, e la prima regola è che i concorrenti devono riconoscersi. Alle Olimpiadi di Atene, Stefano Baldini non poteva mimetizzarsi sotto le sembianze di un dio greco. E lo stesso vale anche per chi aspira al podio nelle categorie maschili e femminili.
Vi volete divertire travestendovi da carnevale o da Brigitte Bardotte? Bene! Tutte le non competitive sono vostre. Che poi le norme Fidal vadano aggiornate alle esigenze delle maratone di massa, questo è un altro discorso.
Perché a Ravenna sì e a Giovinazzo no; perché a tizio sì e a caio no. Anche coloro che commettono reati gravi adducono queste giustificazioni. Viene punito chi viene scoperto.
Mi auguro che non passi l’interpretazione dell’ammenda di 100 Euro. Le trasgressioni sono tali e tante da rendere la Fidal ancor più ricca e i maratoneti sempre più poveri.
NdR: In Spagna il pettorale si chiama dorsal, in Francia dossard. Se ne desume che quando corriamo là, secondo la giudice mugellana, dovremmo spillarci i “dorsali” sulla schiena? E aspetto di vedere quale trattamento sarà riservato in Italia alle atlete che graziosamente esibiscono il proprio “torso” nudo fatta salva l’area off-limits celata dal reggiseno: sarebbe davvero un reato contro l’estetica se fossero costrette a coprirsi con una maglietta su cui spillare il numero (o si potrebbe brevettare un pettorale stile cerotto, non bisognoso di spille?).
Quanto al Cannito, non è che a Ravenna o Reggio non sia stato “scoperto”: semplicemente i giudici Fidal locali hanno usato il buon senso, che evidentemente difetta all’irreprensibile giudice De Lillo, governato dal giudice Emiliano. La Puglia è una “regione etica”, e semmai il giudice De Lillo andrebbe perseguito per omissione di atti d’ufficio e dissipazione di pubblico denaro (l’ammenda da 100 euro è legge, non credo soggetta alle interpretazioni), non avendo proposto per la squalifica o almeno la multa tutti gli altri partecipanti alla maratona che non indossavano la maglietta societaria. E soprattutto quelli vestiti da bersagliere o in altre fogge disdicevoli all’austerità etica regionale, ma ben documentati dalle nostre foto.
La corsa è una cosa seria, guai a chi ci va per divertirsi! [F. M.]
Gli Azzeccagarbugli della Fidal in azione a Giovinazzo
Domenica 17 dicembre si è svolta la Maratona delle Cattedrali, con arrivo a Giovinazzo (BA). Bella manifestazione, 511 arrivati nella 42 km e 318 nella maratonina: cifre non indifferenti, in questa zona e stagione. Ha vinto Massimo Leonardi in 2.29, precedendo di ben 9 minuti il secondo classificato, Francisco Pedrero Salcedo, che malgrado il nome è indicato come italiano, e risulta tesserato solo con la Runcard; dunque, ahilui, in base ai regolamenti federali non gode di pari diritti rispetto ai tesserati Fidal. Una Runcard è anche la vincitrice femminile (col tempo decisamente dopolavoristico di 3.14), Ashleigh Barron, e pure la seconda, Laura Parker, date entrambe per italiane. Sarà. Ma il veleno viene dopo, come apprendiamo dal commento affidato ai social da Francesco Cannito, macchinista di treno e maratoneta 56enne tesserato Happy Runner Altamura.
Domenica 17 dicembre ho corso la Maratona delle Cattedrali. Visto il periodo natalizio, ho corso vestito da Babbo Natale, come di usanza ho fatto in tutte e quattro le edizioni e già la settimana prima alla Maratona di Reggio Emilia. Ero già nelle vicinanze della partenza, facevo foto insieme ad amici Runners, vidi un signore che passandomi vicino guardava. Non lo conoscevo, era fisicamente malandato e in età avanzata. Qualche minuto prima della partenza si è avvicinato e senza presentarsi mi disse che se avessi corso così mi avrebbe squalificato. Non feci caso alle sue parole, pensavo fosse una persona uscita da qualche casa di cura, mai avrei pensato fosse un giudice, non credevo potesse aspettare fino all’ora della partenza per darmi questa notizia senza concedermi il tempo per potermi cambiare.
Ho corso la mia gara in modo corretto e con il pettorale ben in vista come faccio sempre. [Ndr: in realtà dalla foto dell’arrivo di Roberto Annoscia il pettorale risulta quasi totalmente coperto dal marsupio… E’ vero però che il tempo è dato dal chip Icron].
Durante il percorso ho dato un po’ di colore alla mia maratona , strappando sorrisi al pubblico presente, regalando caramelle ai bambini che mi chiedevano anche il cinque . Sono arrivato in 4 ore e 06 minuti a fianco alla mia dolce metà, anche a lei avevo regalato il sorriso per averla aiutata a fare il suo personale. [Ndr.: infatti Lucia Niniviaggi, visibile nella foto Annoscia, risulta classificata, addirittura come vincitrice della categoria SF 55].
Sembrava una giornata perfetta. La sera vedendo la classifica noto con molto rammarico di essere stato squalificato. [In realtà, la classifica pone Cannito all’ultimo posto, col tempo lordo di 6.00.00, real time di 5.59:07, media di 8:31 / km , con una prima mezza in 2.01:35 cioè 5:46 / km].
Il regolamento Fidal prevede che bisogna correre con la maglietta sociale pena la squalifica. Non dice che chi corre da Babbo Natale viene squalificato e chi corre con maglie strane e non di società può essere graziato. Alla maratona c’erano tantissimi atleti che non avevano la maglia sociale, ma se la squalifica era solo per colpire me e la mia società non l’accetterò MAI.
Se la regola deve essere applicata lo deve essere fino in fondo, non solo a metà. Ho subito un’ingiustizia pesante, qualcuno ha abusato del suo potere per farlo. La mattina seguente apri FB e vedi tantissimi amici vestiti da Babbo Natale che corrono festosi nella maratona di Pisa, gare di Brescia e altre senza che nessun giudice dica niente… poi pensi e ti ricordi che sei al sud. La rabbia aumenta notevolmente. Con che coraggio puoi dire ai tuoi amici di venire a correre da noi? La mia decisione è di non rinnovare la tessera Fidal con la mia società, società che ho fondato orgogliosamente con altri amici; non correrò più gare Fidal nel territorio pugliese. Vi chiedo umilmente scusa, amici Runners e organizzatori di gare, se ho fatto questa scelta. I miei soldi li guadagno lavorando onestamente e non li butto per foraggiare quelle brave persone che hanno scritto una pagina nera dello sport nei miei confronti.
Dunque, Cannito chiede: anche a Reggio ho corso (come tanti altri) con lo stesso costume e tutto andava bene; aggiungiamo noi che un mese fa, alla maratona di Ravenna, Cannito aveva destato la curiosità di sportivi e media per aver corso “elegante”, in un completo pantaloni - giacca – camicia – farfallino – bombetta in testa. Applausi e risate, non squalificato, ma classificato 818° con 4.12:24.
Abbiamo appurato chi è il giudice che ha mantenuto la promessa di squalificare Cannito: si tratta nientemeno che del responsabile dei Giudici pugliesi, Luigi De Lillo, 80 anni compiuti “e tutti i regolamenti a memoria” (come attesta Roberto Annoscia): ma le motivazioni della sanzione restano misteriose.
Non può bastare la mancanza della maglietta sociale, cosa obbligatoria solo nel caso che la gara valga per un campionato: e ammesso che Giovinazzo fosse valevole per qualcosa, allora andava squalificato il 95% dei partecipanti. Ma nella congerie di regolamenti più o meno vigenti, pare che l’uso di magliette ‘diverse’ non porti alla squalifica dell’atleta ma solo a un’ammenda alla società.
È anche vero che la Puglia (non a caso governata da un giudice…) sembra particolarmente severa in proposito: meno di un mese fa, fu squalificato a Palagianello un atleta che indossava il costume da maialino per promuovere una gara...
Mi chiedo se allora la normale inclusione nel pacco gara di magliette griffate col logo della manifestazione non sia una pericolosa istigazione a delinquere: mettete le nostre magliette, non quelle della vostra società… Giudice: ci sono tanti avvisi di garanzia da spedire!
Sia come sia, il giudice De Lillo, e i suoi colleghi che hanno avallato la sanzione, per ora hanno ottenuto uno scopo: quello di perdere un altro ‘cliente’, e forse di più se il suo appello sarà raccolto.
Visto che la Fidal nuota nell’oro e che le partecipazioni sono ovunque in calo, ci mancano solo gli Azzeccagarbugli. Che, come è noto, finiscono per fare gli interessi non di Renzo e Lucia ma di don Rodrigo.