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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Lunedì, 12 Agosto 2024 12:33

Lèguigno, aria buona e giovani speranze

10 agosto - Doveva essere la sesta e ultima gara del circuito podistico CSI della montagna reggiana, ed è invece divenuta la penultima in attesa del recupero della gara di Cinquecerri:

https://www.csire.it/area-attivita-sportiva/atletica-leggera/corsa-su-strada-csi/circuito-podistico-montagna-csi-2024.html

Abbastanza tardiva (lunedì 12) la pubblicazione dei risultati, che danno come vincitore maschile Patrick Francia, ventiquattrenne dell’Atletica Reggio (che piazza quattro suoi uomini nei primi 6) in 37:33, oltre due minuti sul compagno di squadra Christian Domenichini.

Quarta assoluta, e prima donna con margine abissale, Francesca Cocchi della Corradini (41:45), oltre sei minuti su Elena Fontanesi (Self Montanari), e più di 9 su Laura Ricci (qui risultante tesserata Borzanese), che vince la categoria Donne B, popolata da vecchie conoscenze come Valeria Gualandri, le sorelle Gandolfi ed Emilia Neviani: insomma, la vecchia guardia che non muore mai. E provo a indovinare: chissà se il Matteo Guzzon classe 2010, secondo nella sua categoria, tesserato per la stessa squadra di Valeria, come pure le “cadette” Maddalena e Rebecca Guzzon del 2012, sono gli eredi della storica campionessa (dunque nipoti del mitico prof. Leandro, mio quarantennale concorrente).

Confortante il numero di 43 classificati nelle categorie giovanili, dove la categoria più folta, gli Esordienti maschili 10 (nati nel 2013-2014), ha presentato ben dieci partenti con la vittoria del “nuovo italiano” Mikel Chidiebube Ogbodo Smart.

Prezzo di iscrizione minimale per la competitiva adulti (4 euro, contro i 3 della non comp; una fascia copriorecchie/fronte in premio, non so se imparentata con quelle esibite da taluni maratoneti olimpici); partecipazione competitiva scarsina per gli adulti (43 uomini e 15 donne, più i già citati 43 ragazzi), data la stagione: ma era l’unica gara del weekend a una distanza accettabile dall’Emilia centrale, dove nel frattempo la temperatura stava, nel pomeriggio di sabato, sui 35 gradi, mentre a Lèguigno (nome italiano quasi impossibile da pronunciare, rispetto al dialettale Lègngna), 630 metri d’altitudine, si stava sui 29 e, almeno all’ombra, si respirava.

Anche il tracciato, per almeno metà campestre, era spesso all’ombra: siamo in una zona, quella di Vezzano/Casina/val Tassobbio, dove l’offerta podistica è ben sviluppata e contenuta in dimensioni chilometriche accessibili a tutti, presentando prima di tutto una serie di podistiche giovanili discretamente partecipate che lasciano ben sperare per il nostro sport in crisi.

Per me, Lèguigno resta per sempre collegato al padre Cirillo Fornili, frate cappuccino e bonario rettore del collegio studentesco dove mi trovai, recluso ma non troppo, fra i tredici e i quattordici anni; e c’è ancora chi lo ricorda con nostalgia, a molti anni dalla morte (insieme al padre Gaetano, che rividi tanto tempo dopo come rettore dei cappuccini di Salsomaggiore; o a padre Angelico, l’artista che per primo allevò uno che sarebbe diventato scultore famoso, Raffaele Biolchini da Pavullo; mentre nessuno amerebbe ricordare il braccio violento del fratismo, fra Riccardo da Carpi: “str* Riccardo, str* Riccardo – traditor della vita mia – dal collegio m’hai mandato via – ma per romperti la testa tornerò” – versi di tal Bianconi da Fanano, estate di sessant’anni fa).

La corsa è piacevole, e una certa scarsità di segnalazioni nell’area sud (ma anche negli ultimi km i cartelli erano davvero pochi: quando c’erano, magari ne trovavi tre affiancati, poi stavi 500 metri senza una traccia) me l’ha resa involontariamente ancor più piacevole, dirottandomi fuori strada (pare che non sia stato l’unico, nella storia della corsa) alla scoperta del bel castello di Lèguigno, 2-3 km dal ritrovo della gara. Dicono che nel castello ci sia un fantasma, a me sarebbe bastato che ne emergesse la Regina di questi luoghi, Daniela Slotova, a fare piazza pulita dei premi in palio  e degli sguardi ammirati del pubblico; ma - mi dice Ideo – Daniela in questo periodo scala solo alte montagne e concede ad altre i premi che vincerebbe in corsa.

Non disprezzabile nemmeno la chiesa di San Giovanni Battista, attorno alla quale sono personalmente transitato tre volte, rifiutandomi peraltro di prendere da lì la scorciatoia per l’arrivo: dunque non tutto il male (che si è concretizzato in 1,5 km in più rispetto alla distanza prevista di 9,6, e qualche rovo sulle caviglie) viene per nuocere. Ottimo il ristoro finale, sollecite le premiazioni guidate col consueto senso pratico da Roberto Brighenti, e sorrette quanto all’aspetto tecnico dagli “ufficiali di gara” (poi anche atleti) Iotti e Paolo Giaroli.

Si torna in casa, non senza essersi riforniti del locale gnocco fritto al prezzo onesto di 60 cent a pezzo, in tempo per vedere, se Dio vuole, una sconfitta olimpica della Francia, e la quasi-vittoria del Modena calcio a Napoli. Se poi vinceva, mi sarebbe scattato un altro flash di memoria, sempre dei tempi di padre Cirillo: 28 aprile 1963, campionato di serie A, il Modena stava vincendo 2-0 e gli sportivissimi napoletani fecero invasione di campo distruggendo le porte e tutto quello che ci stava intorno. Dubito che il vittimista Saviano ne abbia scritto mai.

4 agosto - Ci eravamo lasciati a metà del “Settebello”, l’intensa settimana che in questo paesone della collina catanzarese invita a svolgere sei maratone amatoriali, su percorsi quanto mai diversi, e concludere il tutto con una Sei Ore per le vie del centro, questa volta classificata Fidal Bronze e dunque con tutti i crismi: https://www.podisti.net/index.php/in-evidenza/item/12056-curinga-cz-il-settebello-curinghese-supera-meta-del-cammino.html .

L’ordine di precedenza impone di completare il discorso sulle sei maratone, confermando il dominio finale di Michele D’Errico e Carolina Agabiti (messi da Roberto Mandelli in copertina del servizio fotografico: senza discussioni nel campo femminile, dove la stakanovista ternana ha tuttavia ceduto il passo in una occasione, nella quale la concorrenza era di qualche spessore); mentre il siciliano ha ceduto tre volte di fronte ad atleti che avevano selezionato le proprie gare.

Così, la quarta maratona “Hostaria delle Memorie” del 31 luglio, una delle più agevoli come altimetria, è stata rivinta in 3.56:40 dal leccese Alberto Ble', che aveva già conquistato la seconda gara, e ha lasciato D’Errico appena dietro, a 16 secondi; mentre il terzo, Gennaro De Fazio, ha chiuso in 4.41. Tra le donne, Carolina Agabiti non ha avuto rivali finendo in 6.19.

D’Errico è tornato a primeggiare nella quinta maratona, la “Due Fontane”, in 3.49:40, rifilando quasi un’ora al secondo Luca Rainieri; assolo tra le donne della Agabiti in 6.29:40.

Stesso esito tra gli uomini ha segnato l’ultima maratona, quella del “Canyon”: D’Errico con 4.34:15 ha preceduto di 40 minuti Rainieri. Da notare l’apparizione (unica) del medico e scrittore barlettano Michele Rizzitelli, che in un certo senso ha fatto le veci dei colleghi supermaratoneti Ancora e Pandian (volati dopo 5 “sole” prove alla kermesse concomitante di Orta, mentre è stoicamente rimasto il “sindaco” mantovano Simonazzi), e ha chiuso in 6.47.

Rimescolato il podio femminile, dove si è imposta la pugliese Anna Maria Matone in 5.28:11, relegando l’Agabiti nella seconda posizione con 6.45:13. Bronzo virtuale, in 7.17, per l’altra pugliese Angela Gargano (qui in toccata e fuga col compagno di una vita Michele Rizzitelli).

Scontato il successo finale “a punti” per D’Errico (3 vittorie, 2 secondi posti e un terzo) e Carolina Agabiti (5 vittorie, virtualmente o effettivamente senza rivali, e un secondo posto): vedili in foto 33 e sul podio nella 40.

Per gli altri, un certo numero di “tacche”, e il ricordo di una ospitalità senza pari in questa terra ricca di memorie storiche, di spiagge dove si sta larghissimi e di cibi succulenti (chi non conosce la fileja coi suoi vari accompagnamenti si perde qualcosa di importante), senza dire che i prezzi sono la metà che nel norditalia, la gente anche sconosciuta ti saluta per strada, e se un contadino ara un po’ in profondo, o un proprietario di casa vuole scavarsi un garage seminterrato, ai primi colpi di aratro o piccone emergono reperti dal paleolitico all’età grecoromana al Medioevo. Reperti talora conservati in eccellenti musei (come a Vibo o a Nicastro), talora purtroppo lasciati nell’abbandono come la millenaria abbazia di S. Eufemia, non lontana da Lamezia (mentre all’Eremo di S. Elia, in periferia di Curinga, pare che stiano iniziando lavori di consolidamento).

E’ tempo di venire alla conclusione in pompa magna del Settebello, la 16^ edizione della Sei ore di sabato 3 sera (ore 18-24), circuito interamente urbano con un dislivello di circa 90 metri, dal punto più basso a quota 342 (appena sotto la Cattedrale di don Pino), al punto più alto (il campo sportivo e parco giochi sopra la chiesa di S. Giuseppe e il palazzo che ospitò Garibaldi), quota 433, da raggiungere due volte ad ogni giro. Nell’ultima mezz’ora, il giro “lungo” di 4,530 km è stato chiuso, lasciando ai podisti solo la sua parte più bassa, poco più di un km con una decina di metri di dislivello (vedi i ghirigori delle foto da 10 a 15).

Perfetta la chiusura al traffico veicolare (nella parte alta, i vialoni che fanno parte di strade provinciali erano transennati, metà per noi e metà per le rare auto), ottima la segnatura del tracciato, i controlli agli incroci, i rilevamenti dei passaggi (mediante chip Icron al traguardo, e con spunte manuali in quattro luoghi almeno, due dei quali affidati a giovani studentesse delle scuole locali: foto 31 e 47).

La Icron (che per eccesso di prudenza ci aveva dotati di due chip, uno per scarpa) aveva predisposto anche uno schermo (foto 22-23) nel quale potevamo apprezzare sia i nostri tempi giro per giro, sia la proiezione del risultato finale allo scadere della sesta ora (quando i due campanoni, del Duomo e dell’Immacolata, si sono messi a suonare a distesa, sebbene sfasati di un paio di minuti…). Potete capire un certo patema in chi, vedendo la sua proiezione iniziale di quasi 44 km (per giri compiuti attorno al 35-36 minuti), la vedeva, passaggio dopo passaggio (foto 16-21), accorciarsi a 42,900, poi 42,500, infine sotto la fatidica soglia dei 42,195; dopo di che, all’inizio dei giri ‘corti’, è convenuto darci dentro per recuperare il margine, venendo infine accreditato di 42,561, quanto basta anche considerando gli 800 metri complessivi di dislivello.

Grazie al presidente della società sportiva, Giambattista Malacari (anch'egli direttamente impegnato come atleta) abbiamo poi ricevuto la classifica coi tempi di passaggio ad ogni giro, molto interessante sia per i partecipanti sia per i curiosi e amanti di statistiche: https://podisti.net/index.php/classifiche/29872-6-ore-per-le-vie-di-curinga-curinga-cz-2.html?date=2024-08-03-00-00

La misurazione è avvenuta secondo le più cristalline regole federali: chi tagliava il traguardo negli ultimi minuti doveva portare con sé un bollo col suo numero di gara, da applicare sull’asfalto allo scoccare del tempo: dove poi passavano i giudici Fidal con la cordella metrica (il sottoscritto ha avuto il suo legittimo “bonus” di 771 metri, che gli è stato aggiunto ai 41,790 sanciti dal chip dopo 8 giri lunghi e 6 corti: foto da 26 a 30).

Sull’asfalto era segnato anche il traguardo della maratona, da raggiungere con 9 giri lunghi e un po’: ha vinto Giuseppe Piegari in 3.15:27, davanti ad Alberto Ble', già primo - come si è detto – in due delle sei maratone preliminari, e qui nella foto 45 dopo le premiazioni.

La gara assoluta, cui hanno preso parte 64 uomini e 14 donne, è stata vinta dal pugliese di Corato Giuseppe Zaza, un M 45 che con 64,339 km ha inflitto un chilometro esatto al materano M 55 Adriano Lamacchia, e 4 km e mezzo all’M35 di Crotone Alessio Calabro (i primi 5 sono nella foto 42). Noterei il decimo posto assoluto (9° maschile) di Luca Rainieri, che aveva partecipato ad alcune maratone della settimana, il 13° (e primo M 70) di Michele D’Errico, il semprepresente più volte nominato; e il 55° di don Pino Fazio, il “prete sempre di corsa” (foto 25, 34-38), che ha posato il suo numero finale ben… 26 metri davanti al sottoscritto (lo Spirito Santo aiuta chi se lo merita!). E non posso chiudere senza rinominare Marco Simonazzi, il mantovano con due lauree e mezzo, alla sua settima esibizione in sette giorni, che qui ha gareggiato per onor di firma compiendo 18,120 km (terzultimo, ma lui almeno ha osato).

Tra le donne, prestazione a dir poco prodigiosa della quarantenne udinese  Elsien Cargniel Bergamasco, che con 61,560 è giunta terza assoluta, infliggendo oltre 5 km a Rosa Cardola (Torre Annunziata) e 8 ad Alisia Calderone (podio nella foto 41, e la vincitrice, sempre sorridente, alla cena finale nella 51).

Dodicesima donna, con 42,737, si è piazzata Anna Maria Matone, vincitrice il giorno prima e mia compagna per buona parte del tracciato insieme alla beniamina locale, di origini ucraine, Sofiya Hirnyak, prima F 70 con 43,653. Tra le partecipanti alla settimana di maratone, solo la veronese Paola Riolfi si è iscritta alla gara maggiore, completando 31,710 km, mentre Carolina Agabiti (foto 5 all’atto dell’iscrizione) ha preso parte alla 22 km (5 giri lunghi) concludendola al 5° posto in 3.19. Tra i 14 classificati di questa gara, il più veloce è risultato Donato Nazzareno in 1.55:42; la prima donna Valentina Maiolino in 2.05:45.

Dei 17 partecipanti alla 10 km competitiva, risulta davanti Venerando Tina (M60) in 1.02:53. Sul sito Icron https://www.icron.it/newgo/#/classifica/20243460  mancano i risultati della staffetta delle 6 ore per squadre di tre; come ovviamente non sono registrati i non competitivi, soprattutto giovanissimi.

Con una temperatura iniziale, alle 18, di 35 gradi, i ristori e “raffrescamenti” hanno assunto un’importanza essenziale: e i due ufficiali, nel punto più alto e in prossimità del traguardo (la foto 6 mostra la preparazione del tavolo), sono sempre stati riforniti di acqua, cola, idrosalini, tè freschissimi, più frutta (pesche, banane, angurie) ugualmente fresca (oltre a cibi solidi, pane e dolciumi); gradite anche le spugne (almeno nei primi giri), e i ghiaccioli che verso il finale ci metteva in mano la signora Caterina Frija (foto 44-45, presente anche in veste di nonna dell’ultimo nipotino nato); più i bicchieroni di birra che uno sconosciuto benefattore mi ha porto in due occasioni. Ma non ho rinunciato neppure al “marendello” (spicchio di pesca acerba) che un bambinetto mi ha messo in mano nella parte alta. La tradizione curinghese ha poi offerto il pasta party nel mezzogiorno antecedente la gara, e una cena completa (dal primo al secondo, col contorno, a dolce e frutta, più vino e birra) durante la cerimonia delle premiazioni, dall’una fin quasi alle tre.

Curinga, nobilissima terra, e la sua équipe sportiva guidata da Giovambattista Malacari e da Elisabetta Prinzi (entrambi al traguardo delle 6 ore) hanno dato il meglio di sé, con generosità persino eccessiva nei riguardi di certe pretese dei devoti di Santa Tacca. Ma su questo, semmai, tornerò in altra occasione.

30 luglio – E’ la quinta edizione della serie di sette-maratone-in-sette-giorni organizzata dall’Atletica Curinga, vivace movimento di questo comune sparso tra le montagne (fino a 1000 metri), le colline (dove ha sede il vecchio capoluogo, a 380 metri di altezza, e le vastissime spiagge calabresi, in gran parte a libero accesso.

Il clou della settimana avverrà sabato 3 pomeriggio, con la 16^ edizione della Sei Ore, gara nazionale Fidal di cui riparleremo; ma intanto, per scaldare i muscoli, da domenica 28 a venerdì 2 il “Settebello” propone sei 42 km (col contorno di percorsi da 21 e da 10 circa), su percorsi diversi che generalmente contemplano un “lancio” di 10-12 km circa e un circuito di 5-6 km o giù di lì, fino a raggiungere la distanza canonica.

Partenza alle 7 di mattina, quando le temperature non sono ancora salite ai livelli di 34-35 gradi che si raggiungono verso mezzogiorno; ritrovo organizzativo verso sera per chi si voglia iscrivere volta per volta, con tariffe che vanno dai 30 euro per gara singola ai 150 per l’en plein; ospitalità a offerta libera nella canonica di don Pino Fazio (un altro “prete sempre di corsa”, sebbene ora, reduce da infortunio, dichiari che si presenterà solo alla Sei ore), oppure a prezzi modicissimi presso abitazioni private: sotto la supervisione della squisita signora e nonna Caterina Frija, circondata da un buon numero di volonterose giovani curinghesi, con qualche maschietto, che fa riferimento per l’aspetto tecnico a Giambattista Malacari.

Le prime sei gare, pur non essendo normate dalla Fidal, sono maratone a tutti gli effetti, con percorsi eccellentemente segnalati, incroci sorvegliati (anche se i tratti su strade aperte alle auto sono abbastanza ridotti), controlli intermedi e finale gestiti dagli organizzatori col sistema dei tempi eroici, ovvero la spunta manale, con una certa fiducia riposta anche negli atleti. Che, chiaramente, sono degli amatori a tutto tondo, e nemmeno in gran numero data la stagione, la concorrenza di altri eventi similari e l’oggettiva difficoltà di raggiungere il luogo (ma anche in questo caso, Caterina e Giambattista offrono supporti e passaggi in auto).

Le classifiche sono diramate, verso sera, da Icron, anche se la loro redazione dipende dalle “spunte” manuali di cui sopra e insomma non sono a prova di bomba.

Dai dati presenti online (https://www.icron.it/newgo/#/classifica/20243461)  troviamo una dominatrice assoluta nel settore femminile, la flessuosa supermaratoneta ternana Carolina Agapiti, che finora ogni giorno ha conquistato il successo (peraltro, su sole 3 rivali, nemmeno sempre in grado di concludere le gare): domenica 28 ha dominato la “Uliveti Marathon” in 7.07, con quasi 40 minuti sulla seconda, la veronese Paola Riolfi; lunedì 29 ha stravinto la Maratona delle “Terme Romane” (uno stupendo complesso dei primissimi secoli dell’Impero, vicino alla località balneare di Acconìa), con un favoloso 5.35, e stavolta la Riolfi seconda (su 3) è arrivata poco meno di due ore dopo; infine (per il momento), Carolina ha vinto anche martedì 30, nella maratona della “Pineta al Mare”, la più fresca e pianeggiante, con 6.42, precedendo stavolta di 1 ora e 10 la francese Magalì Arfel.

In campo maschile c’è un po’ più di varietà, tra la quindicina di sportivi che ogni giorno prendono il via, e ovviamente primeggia chi fa scelte tecniche o insomma più ‘oculate’: così, il primo giorno è stato il dominio, con un 3.20:30 di tutto rilievo, di Paolo Leone, che ha lasciato il secondo Alberto Ble a 56 minuti, e il terzo, il siciliano Michele D’Errico, a 1 ora e 13. Alle Terme il secondo giorno, assente Leone, ha prevalso Ble (3.52) con mezz’ora su D’Errico, mentre al terzo posto, appena dietro, si è affacciato lo studente di ingegneria modenese (ma di origini calabresi) Stefano Grillo.

Assenti i primi due vincitori, il terzo giorno la coppa del primo in Pineta è toccata al baffuto  D’Errico, che con 4.13:55 ha doppiato tutti gli altri: una sola volta Stefano Grillo, due o più tutti gli altri, che secondo la classifica risultano in tutto 12 (Ma di alcuni e alcune delle 4 donne, avendo partecipato personalmente e incrociato i colleghi /-e 12 volte, cioè per ognuno dei 6 giri finali, mi permetto di dubitare).

Classifiche a parte (scaglino la prima pietra gli arbitri e giudici delle Olimpiadi parigine!), la gara è risultata simpatica, messa su con grande abnegazione (e il compito più improbo e ingrato, ma con successo solo parziale, è stata la rimozione dei quintali e quintali di immondizie bellamente depositate da ignoti ai lati delle stradine e dentro il bosco: Caterina mi dice che anche pochi mesi fa i volontari avevano compiuto analoga operazione, ma i risultati sono durati… pochi giorni).

Devo dire che queste brutture sono la tara più grande dei luoghi, segnati anche dall’abbandono e graduale sfacelo di molte vecchie abitazioni nel centro storico di Curinga: e visto che in questi giorni ci sono state pure scosse di terremoto dai 3 ai 3.5 gradi, c’è da rabbrividire pensando a cosa potrebbe succedere.

Lo sport fa la sua parte, e Curinga alta riceve vivacità in questi giorni dai podisti (e i loro familiari): come il super-primatista per maratone concluse, Vito Piero Ancora, 71 anni appena compiuti; il “sindaco” mantovano Marco Simonazzi, il romano Marcello Arena, l’indiano giramondo Sivalaban Pandian.

Oltre, beninteso, ai vincitori citati sopra, e ai volontari “esteri” come Vito o Laurìa, vecchio e memore lettore di Podisti.net. Al termine della gara in Pineta, c’è stata la possibilità di un salutare tuffo nelle acque del Tirreno (sicuramente più pulite di quella della Senna), poi il pranzo offerto dagli organizzatori, e il consueto trasporto in auto verso le sedi di residenza.

Siccome chi scrive rimane qui fino alla conclusione delle “ostilità”, riferiremo anche di come andrà a finire. Intanto suggerisco di dare un’occhiata all’album fotografico messo insieme, dall’altro capo dello Stivale, da Roberto Mandelli, e che documenta non solo la gara della Pineta ma un po' di tutto.

27 luglio – A Modena, 34 gradi; solo 30 a Montorso, 650 metri slm, sulla costola dell’appennino pavullese che si apre alla valle del Panaro. Se alla cena all’aperto c’era il pienone, con una fila per l’accesso che stava sui 50 metri, alla gara nel solito tracciato di 8,500 km con 330 metri di dislivello, con un paio di km sterrati (il tratto dell’originaria “Grotta”, cioè il sentiero antico),  eravamo abbastanza contati: i numeri ufficiali dicono 130, qualche decina in meno rispetto al 2023, anche per la concorrenza di un’altra gara appenninica a Montefiorino (in compenso, questa domenica a Modena sede vacante: persino Valentini della Cittanova, che qui ha dominato la classifica per società con mezzo centinaio di attendati sotto di lui, si prende una domenica di riposo). Non voglio pensare che il calo dipenda dall’aumento della tariffa d’iscrizione a “ben” 3 euro contro i 2 del 2023…: ma è un fatto che oggi Giangi non si sia visto.

Collaudatissima l’organizzazione, nelle mani del mio personale “Podestà” Graziano Pattuzzi (foto 4 e 22 del servizio messo insieme da Roberto Mandelli), che mi rilascia confortanti annunci sul prossimo avvio della circonvallazione di Pavullo (oggi, il paesone dal traffico peggiore dell’intera regione), mentre quanto al completamento della nuova Estense - SS 12 dice che non basterà un secolo (e d’altronde, aggiungo io facendo il confronto tra lui e il suo attuale successore in provincia, con questo qua c’è poco da sperare). Parcheggi ampi e ottimamente gestiti, a compensare la pessima strada per arrivare fin qua, dove basta un automobilista imbranato (e qua ce ne sono parecchi) per causare un blocco.

Perfetta convivenza tra sport, magnazza (vedi foto 8-10) e cerimonie religiose, in una zona ricchissima di uomini di Dio, da padre Sebastiano e fratelli, a padre Pacifico Gianaroli, a padre Berardo Rossi: il cui ricordo, di creatore e signore dello Zecchino d’Oro, è ravvivato dall’intitolazione della fontanella davanti alla chiesa (foto 6, 14-15) a Mariele Ventre, altra santa donna che dello Zecchino è stata l’anima per quarant’anni.

Sempre più ricca la collezione di ex-voto nella chiesa co-dedicata a san Vincenzo Ferrer da Valencia (foto 27-28) e a santa Margherita, perché continuano ad accadere miracoli (come attesta ancora l’on. Podestà); quello della foto 18, sia pur risalendo al 1882, può essere adottato come emblema del salvataggio del podista caduto a terra.

Percorso tra i più duri del suo genere, ma molto bello e panoramico (leggermente meno godibile solo la strada asfaltata verso Gaiato), che oltre alle vedute paesaggistiche svela tesori architettonici, case in sasso antico come il castelluccio della foto 7 (se lo scoprono gli americani, è andato: per sua sfortuna è molto fuori mano, magari ignoto anche ai navigatori). Ben tre ristori in corsa, tra cui succulento l’ultimo de “La Valla” (foto 26), pieno di torte casalinghe e di altro ben di Dio offerto da due belle e simpatiche signore.

Al traguardo poi, oltre a un quarto ristoro e al consueto sacchetto di crescentine, ci attende la stupenda catena di montaggio della tigelleria (foto 5, 12, 17), per godere i cui frutti vale anche la pena di una lunga attesa, sia pure temperata dall’incessante eloquio del Podestà; mentre Peppino e Rambo, aspettati gli ultimi, possono finalmente disfare la tenda (foto 23) e andarsene con Dio.

Ricopio la conclusione del resoconto 2023: “C’è bisogno di ritrovi come questo per non disperdere il patrimonio del podismo popolare e insieme di una terra per tanto tempo avara, ma ricca di storia e di umanità”.

Tennessee, luglio 2024 – Finalmente, quindici anni dopo l’uscita in Italia, e dieci anni dopo che avevo trovato il libro sotto l’albero di Natale, ho fatto quello che tutti i podisti di media cultura (e molti altri) dichiarano di avere fatto da tempo: leggere L’arte di correre di Haruki (nome) Murakami (cognome), scritta in originale nel 2007 con un titolo giapponese molto diverso, e sicuramente migliore (dovrebbe essere qualcosa come “Di che parlo se parlo di corsa”), mentre il titolo europeo rischia di far confondere il libro con l’ennesimo manuale su come migliorare le proprie prestazioni, e magari un resoconto delle proprie gesta che interessano solo a chi le racconta (mi consolo vedendo che Murakami ha praticamente la mia età e i suoi crono sono stati all’incirca i miei, anzi un po’ peggiori malgrado gli allenamenti molto più qualificati, i personal trainer che ha, ecc.).

Comunque, la prima ottantina di pagine è filata via all’insegna del “tutto qui?”, con poche eccezioni: la descrizione del runner’s blues, il sentimento di ingiustizia che ti prende quando il risultato sportivo non ripaga delle fatiche della preparazione (p. 15, poi 99, e in tanti altri luoghi, così che poi diventerà quasi il filo conduttore, non solo sportivo); o il paragone di sé stesso e della nostra categoria con un cavallo da tiro più che da corsa (p. 26). 
Si incontra a tratti lo scrittore (cioè dieci gradini più su del “podista che scrive”); nella constatazione “che la vita è iniqua: ci sono persone che per raggiungere un risultato devono faticare, altre che ottengono quello che vogliono senza alzare un dito” (39), o nella riprovazione della corsa obbligatoria a scuola (mentre la verità più profonda che la scuola deve insegnarci è “che le cose veramente importanti non si imparano a scuola”, 42).

Il Murakami maratoneta (anche qui, obbligatoriamente distinto dal podista che scrive, magari esaltando la maratona chiusa in 6 ore col secondo posto di categoria su 3 partecipanti) salta fuori nel commentare a 48-49 la sua prima maratona, “una competizione in cui si corre, non si cammina”, anche se si è arrivati “a un’età in cui non si ricevono più regali”. Eppure è meglio vivere “intensamente, perseguendo uno scopo” gli anni che ci restano: e la corsa a piedi è (ahinoi, paragone che non  vorrei leggere più, al pari del terzo gradino del podio e del serpentone multicolore) una “metafora della vita” (71).

Tutto qui? Arrivato a p. 79, sia pur apprezzando un’altra bellissima riflessione sulle proprie qualità residue, tante o poche che siano (“come quando si apre il frigorifero, si prende quel poco che resta  e ci si mette a cucinare  qualcosa come si può -  e nemmeno tanto male – anche se ci sono soltanto mele, cipolle, formaggio e umeboshi” [specie di albicocche in salamoia]: p. 74), poi la constatazione sullo skateboard (“cosa ci sia di divertente in quel terrificante arnese, a essere sincero non l’ho mai capito”): di fronte al frusto aforisma sulla nostra condizione umana di “piccola tessera nel mosaico gigantesco della natura” mi chiedo ancora cosa ci sia di tanto speciale.
Per vincere la noia chiedo ad Alexa di suonarmi le canzoni che Murakami dice di ascoltare mentre corre, come quelle dei Rolling Stones o Eric Clapton: francamente, da quegli album preferisco Paint it black perché ci riconosco la cover della Caselli, ma tutti i gusti sono gusti.
Insomma, vabbè, finirò questo libro e non mi verrà certo voglia di rileggerlo: manca una sessantina di pagine… Però… finalmente alla fine del cap. 5 (ambientato a Cambridge, Massachusetts) lo Scrittore comincia a farsi valere con le sue considerazioni sull’imbastire un discorso in lingua materna o in lingua straniera, e aggiunge che fare jogging aiuta a risolvere le difficoltà della seconda cosa: “mentre porto avanti automaticamente le gambe, nella mia mente le parole vanno allineandosi una dopo l’altra. Misuro il ritmo delle frasi, ne valuto la risonanza… senza volere ci metto anche l’espressione, ci aggiungo i gesti, e chi viene dalla parte opposta mi guarda come se fossi pazzo”.

Adesso sì che comincia a piacermi, tanto più quando a principio del cap. 6, che racconta della sua prima e unica Cento km, esordisce con “la schiacciante maggioranza delle persone al mondo – o forse sarebbe meglio dire tutti coloro che hanno un po’ di sale in zucca”, non ci pensa proprio: “i normali cittadini sani di mente non fanno certe pazzie” (p. 88).

Ma la lunga descrizione di questa impresa pazza è la prima cosa dove lo Scrittore ti cattura sul serio: nel descrivere, dopo metà gara i propri muscoli “duri e tesi come pane avanzato da una settimana”, ma che rinunciano alla protesta, accettando “senza fiatare la spossatezza come una necessità storica, uno sviluppo rivoluzionario. Nessuno batteva più sui tavoli, nessuno lanciava più i bicchieri”. Da parte sua, Murakami tiene fede alla sua regola che non si cammina mai (anche sulla sua tomba vorrebbe che si scrivesse “se non altro, fino alla fine non ha mai camminato”): piuttosto ci si ferma a fare stretching, ma poi si ricomincia a “dondolare a ritmo le braccia, spostare in avanti le gambe. Senza pensare a nulla. Senza porsi domande”. Finché si rende conto che la fatica è scomparsa, o meglio “spostata in un angolo recondito, come un brutto mobile di cui per qualche ragione non ci si può disfare”. L’insegnamento di questa Cento (finita in 11h42, insomma, tempo da essere umano) è che “correre non è tutto nella vita, constatazione se vogliamo evidente” (bè, non ai podisti di cui sopra, che festeggiano ogni occasione selfandosi mentre corrono maratone fatte e strafatte); è solo “un amore che ha perso l’ardore irragionevole dei primi tempi” (100-101).

Ora davvero la lettura si trasforma in ascolto e colloquio, quasi come con un Seneca, un S. Agostino, un Pascal…: “forse la vita è così. Forse è una cosa che dobbiamo semplicemente accettare, a prescindere da ragioni e circostanze. Come le tasse, come i flussi delle maree, come la morte di John Lennon, come un errore dell’arbitro durante i campionati del mondo” (102: ecco, ditemi voi quale altro podista-scrivente sarebbe capace di pensieri del genere).

Inevitabile il capitolo su New York e la sua maratona, ma fortunatamente privo dei toni entusiastici da novellino o da tour operator che conosciamo, e semmai con riferimento a una poesia sull’autunno a Central Park: “i sognatori a mani vuote immaginano terre esotiche; ma è autunno a New York, è bello viverlo un’altra volta”. La maratona del 2005 non va “molto bene”, agonisticamente parlando. Ed ecco ancora lo Scrittore:
Avrei voluto chiudere questo libro con le vibranti parole ‘dopo un serio allenamento ho fatto un ottimo tempo. Tagliare il traguardo è stata un’emozione’, poi, accompagnato dalle note trionfali del Theme from Rocky, andarmene via con noncuranza, senza fretta, nella luce del tramonto… Ma a un certo punto della nostra vita, quando abbiamo veramente bisogno di risposte chiare, chi viene a bussare alla nostra porta di solito è qualcuno che ci porta cattive notizie… Il messaggero porta la mano al berretto con l’aria di scusarsi, ma questo non rende più lieto il contenuto della lettera che ci consegna. Non è colpa sua… E’ per questo che noi esseri umani abbiamo bisogno di un piano B.

Com’è come non è, dal 25° km un crampo alla caviglia lo costringe “a ridurre la velocità a quella di un podista” (sic nella traduzione: immagino intenda un jogger, non un runner, ma penso ancora ai podisti-scriventi che postano sui social le proprie 6 ore abbondanti…). Invece 
Ce l’avevo messa tutta, perché doveva venirmi quel maledetto crampo? … se in cielo c’è un Dio, non potrebbe darci ogni tanto un piccolo segno della sua esistenza?

Ma anche quest’esperienza ha insegnato: sei mesi dopo, Murakami corre Boston, per rivincita e contravvenendo alla sua regola di “una maratona all’anno” (vi ricorda qualcuno?? certamente pochi), scientemente riducendo gli allenamenti, e ottiene lo stesso tempo che a NYC. Sa fare tesoro del suo riconoscersi, anche dopo essersi cimentato nel triathlon, “un magro corso d’acqua che venga assorbito silenziosamente dalla sabbia del deserto”, eppure 
anche quando sarò decrepito, quando le persone intorno a me mi esorteranno a smettere dicendomi che sono troppo vecchio per correre, me ne infischierò e persisterò. Anche se farò tempi sempre peggiori… Sono fatto così, è nella mia natura, la gente può dirmi quello che vuole... 
Con la mia natura, come fosse una vecchia borsa tenuta a tracolla, ho percorso molta strada. Non me la porto appresso perché mi piaccia. E’ troppo pesante per me, e nemmeno tanto bella. Qua e là è strappata. Mi sono rassegnato a tenermela perché non ne ho un’altra di ricambio…Continuo a portarmi in spalla la mia vecchia borsa. Probabilmente diretto verso qualcosa di poco incisivo. Diretto verso una maturità taciturna e barocca – o per esprimermi in maniera più umile, verso il vicolo cieco dove si arresterà la mia evoluzione.

Non si vive per correre, ma si corre per fare meglio le cose importanti della vita: nel caso di Murakami, che chiude così il libro (145), “poter dare il meglio nella scrittura:… se per allenarmi alle gare non dovessi più trovare il tempo di scrivere, finirei col confondere causa ed effetto. Per me sarebbe un problema”. Ecco quello che distingue L’arte di correre dalla miriade di libretti dai titoli affini: è un libro scritto, magari senza nemmeno pensarci troppo (“solo” dieci anni!) da uno Scrittore, che occasionalmente fa il podista; non da un podista che decide di fare lo scrittore ma al di là delle maratone concluse e infiorettate da dettagli autocelebrativi non sa dirci altro.

L’opera è dedicata “a tutti i corridori…, a quelli che ho superato e a quelli che mi hanno superato in gara. Senza di loro, forse non sarei riuscito a correre per tanti anni”. E chi l’ha letta “con colpevole ritardo” (per usare una frase fatta) ma con crescente consenso, ne scrive ora, che il grande Lucio Gigliotti (il Murakami dell’Olimpiade) ha varcato un traguardo importante della sua vita, i novant’anni di gioie e successi fondati su pene e sacrifici indicibili della prima età.

Dal soggiorno in mezzo agli Usa viene da lanciare uno sguardo strabico, a destra verso l’Atlantico e l’Europa, a sinistra verso il Pacifico e il Giappone: grazie perché, ognuno a suo modo e coi suoi talenti, ci avete arricchiti.

30 giugno – Non si contano i titoli nazionali (nel senso di campionati) che assegnava questa 47^ edizione della Pistoia-Abetone: ci scuseranno gli altri, ma i più importanti sono quelli Fidal sui 50 km assoluti e master, con la miriade di categorie di 5 in 5 anni, senza gli sconti e gli accorpamenti cari a molti organizzatori risparmiosi.

Ma aldilà dei cacciatori di titoli, o perlomeno invogliati dalle nutrite sportine-premio assegnate al traguardo, credo che il grosso del pubblico partecipante sia rappresentato dai fedelissimi, dai maratoneti più o meno super che anno dopo anno (con la sola eccezione dei covidiani 2020-2021) popolano con entusiasmo il centro di Pistoia e affrontano con gioiosa rassegnazione i quasi duemila metri di dislivello, sotto il sole estivo e sfidando, specie negli ultimi 15 km, le auto e le moto in discesa dalla caotica spianata dell’Abetone (almeno, stessero un po’ più verso il centro della strada…).

Dai risultati completi, usciti online solo il lunedì pomeriggio (suppongo che sia stato laborioso il confronto tra l’ordine d’arrivo e le spunte dei vari controlli in itinere) i grandi numeri sembrano tuttavia in calo, con 682 classificati sui 50 km (erano stati 793 l'anno scorso) e 232 sui 30 km; senza contare i circa 500 partecipanti alle gare minori, tra cui la durissima “non competitiva” sui 20 km da S. Marcello alla cima.

La gara ha avuto un dominatore in Alessio Terrasi, trentaquattrenne del Parco Alpi Apuane, che con 3:35:38 ha confermato il titolo nazionale sui 50 km conquistato l’anno scorso a Castelbolognese (senza dire che nel 2018 si era laureato campione italiano di maratona a Ravenna). Ha confermato il secondo posto del 2023 Simone Pessina, 39enne dei Bergamostars, giunto a quasi 5 minuti, tre dei quali persi nella salita finale (3:40:05: il tempo dell’anno scorso oggi l’avrebbe fatto vincere). Dopo un minuto e mezzo è arrivato il terzo e più anziano, il palermitano Dario Pietro Ferrante (1979, Osteria dei Podisti 3:41:33). Non ha confermato il quarto posto del 2023 il titolato Marco Menegardi, oggi settimo; mentre si è ritirato dopo il 40° un altro dei favoriti, e già vincitore in anni passati, Matteo Lucchese.

Solo master tra le prime cinque classificate: ha vinto la più “giovane”, Sarah Giomi (1985, Pro Patria Milano) in 4:06’24”, sei minuti davanti alla vincitrice del 2023, la sempiterna cinquantaduenne romagnola Federica Moroni (DinamoSport, 4:12:26. “Solo” quarantreenne e molto staccata la terza, un’altra celebrità, Ilaria Bergaglio (Novese, 4:32:43), e un anno in più ha la quarta Ilaria Zaccagni (Casone Noceto 4:44:27): insomma, non pare una gara per giovanotte; oppure, in Italia non c’è ancora il ricambio a questa generazione di fenomene.

Nella 30 km (leggermente scarsi) ha prevalso Lorenzo Castro (Maiano) in 2:00:25, appena sopra la media dei 4 a km, e abbondanti 9 minuti davanti a Claudio Marco Mazzola (Runcard). Quasi allo sprint il finale donne, dove Mihaela Robu (della Silvano Fedi, la società organizzatrice) con 2:20:49 ha prevalso per 40 secondi su Linda Grazzini (Cai Pistoia).

E' stata diramata anche una classifica sulla distanza-maratona, non prevista dal regolamento ma utile per i cosiddetti cacciatori di tacche: confermati i primi due, Terrasi e Pessina (gli unici sotto le tre ore), mentre tra le donne la Giomi con 3.17:28 aveva un vantaggio sulla Moroni di oltre 8 minuti.

Esauditi i doveri della cronaca, torniamo al pre-partenza: alle quote di iscrizione abbordabili, cui viene dato riscontro con uno zaino di ottima qualità, una bottiglia di vino locale, uno scaldacollo (genere di cui i podisti non sentono la mancanza) e qualche gaggetto (come dicono i puristi toscani). Abbastanza comodo, a circa 400 metri dalla stazione, il centro-maratona (ma i ritardatari potranno svolgere tutte le pratiche anche in piazza Duomo nell’imminenza del via).

Il libretto di presentazione delle corse è forse il migliore che abbia mai visto in 35 anni di frequentazione maratonica: una settantina di pagine dove la pubblicità è contenuta in dimensioni accettabili, e invece spiccano le statistiche di tutte le edizioni, dal luglio 1976 al 2023, comprese le altimetrie dei tratti in salita, in particolare i due più duri, i 700 metri verticali verso le Piastre e i 930 degli ultimi 16; e compreso, purtroppo, anche il record imbattuto della corsa, che mi rifiuto di specificare perché firmato Roberto Barbi 2007, per cui passo direttamente al secondo, di Rono Kipngetich con 3.19:16 (dunque un abbondante quarto d’ora meglio del tempo del 2024).

Curiose le “Frasi celebri”, di giornalisti o partecipanti, pubblicate a pp. 51-55, con qualche eccesso romanzesco, come questo firmato da una ex titolare di un ex sito podistico che ha anche passato i suoi guai: “il fascino di questa gara sta tutto nel […] silenzio della montagna interrotto solo dai click delle macchine fotografiche nascoste fra cespugli ed alberi” (mentre i click reali, chiamiamoli così, della gara sono da sempre quelli emessi dalle moto già citate, con annessi gas di scarico). Sottoscrivo invece questa frase di Fabrizio Di Michele (al traguardo nel più che dignitoso 6:17:20): “ad ogni maratoneta non dovrebbero chiedere se ha corso New York. Dovrebbero chiedere se ha fatto la Pistoia-Abetone”.

Al libretto si aggiunge l’edizione speciale di  “Metrorun Pistoia”, ricca di notizie (ma il dislivello è di 1908 o di 1830 metri, come si dice e disdice a distanza di 18 righe a  p. 6?) e curiosità, sia pure inframmezzate da parole ormai ripetute a sazietà e prive di senso: “panorama mozzafiato” in copertina, “alternarsi mozzafiato di salite e discese” a p. 6, “passeggiate mozzafiato” a p. 14.

Vabbè. Respirando regolarmente ci presentiamo alle 7 di mattina nella stupenda piazza del Duomo, ritrovandoci tra amici vicini e lontani (da Massimo Morelli a Werther Torricelli), tra ricordi antichi (sì, il 5:57 di 25 anni fa… piuttosto, teniamo di vista il tmax di 9 ore), spiritosaggini, contemplazioni di bellezze femminili (vincitrice assoluta: Greta Massari), foto e mini-accenni di stretching sui gradini del Battistero. Primi 15 km, fino alle Piastre, perfettamente chiusi al traffico, e godibili per il clima ancora freschino: la salita se ne va via quasi senza fatica.

Anche ai ristori assegno la medaglia d’oro: ogni 3 km, con grande abbondanza di frutta fresca già a spicchi, e per chi lo desidera fette biscottate spalmate di delizie varie. Sempre freschissimi anche acqua, tè e integratori salini, cui nella salita dell’Abetone aggiungeremo volentieri l’acqua che sgorga dalle fontane (grandiosa quella del Duca intorno al km 40: “o pellegrin se del sentier sei lasso – fermati bevi e poi raddoppia il passo”).

Percorso ottimamente segnato con frecce sull’asfalto, e numerosi segnalatori umani specie nei centri di paesi, dove l’orientamento si fa più complicato (tra Maresca e Gavinana soprattutto). Aggiungo il sacrosanto piazzamento di due tappetini chip “a tradimento” (oltre a quello conclamato del km 30; uno serve comunque per la tacca della maratona), e l'ulteriore presenza di due coppie di rilevatrici con foglio e penna: così si fa per evitare la piaga dei “centisti” automuniti!

Il traffico di auto ha una prima impennata verso Pontepetri, e provvidenzialmente dal km 21 al 24 (appunto di Maresca) siamo dirottati su uno stradello ghiaiato e all’ombra. Ma dalla Lima (km 33,5) in poi non avremo più scampo: cercare l’ombra comporta pericolosi zigzag lungo i tornanti, e chi osa, deve stare con l’orecchio teso per valutare la distanza del rombo dei motori, e se viene dall’alto o dal basso (e ci sono anche le bici, che vengono giù sparate senza fare rumore). A un certo punto un cartello a sinistra avvisa che se vogliamo una fontanella dobbiamo traversare verso destra: è un tornante, non mi fido, d’altronde per merito dei ristori non soffrirò mai la sete.

Per chi non si accontenta, il ristoro del km 46 (Cecchetto) offre qualcosa di più: mi fanno una gran voglia le costaiole, ma non è ancora il momento, anche perché la strada sembra spianare ed è ora di tentare la corsa (a 8’ al km, o peggio!).

Sebbene con un po’ di frustrazione, perché il traguardo sembra allontanarsi: se fino al km 35 i segnali dell’organizzazione erano sovrapponibili ai cartelli dell’Anas per la SS12 (cioè prima vedevamo il nostro segnale chilometrico, confermato dai Gps; cento metri dopo un altro segnale, più sbiadito, sull’asfalto, a volte corredato dal “chiodo” regolamentare; e dopo altri 2-300 metri il segnale Anas da cui si capiva che il traguardo sarebbe stato al km 88 e spiccioli); ma poi, e inesorabilmente, i nostri segnali si avvicinavano sempre più a quelli Anas, e al km 38 avviene il “sorpasso”, con un distacco che crescerà sempre più fino a raggiungere il mezzo km almeno. Cioè: prima il segnale Anas della distanza dallo scollinamento, e poi, sempre più tardi, il nostro chilometro. Se l’omologazione Fidal è un dogma di fede (lasciando però il dubbio su come abbiano avvicinato l’Abetone di 3 km rispetto ai primi tempi: d’altronde, anche il Passatore ha tutte le omologazioni possibili, ma è più lungo dei 100 km dichiarati), bisogna dedurre che o i cartelli intermedi sono buttati giù a un tanto il braccio, o che le misurazioni dell’Anas siano sballate.

Cercando di scacciare questi funesti pensieri, che si congiungono al sorpasso patito dal “trombettiere” Lorenzo Gemma (peraltro assistito dalla famiglia in auto chilometro dopo chilometro, e che arriverà un soffio sotto le 8 ore),  al meno 2,5 un ultimo ristoro offre perfino del vino (“bono, dalla mì damisgiana” assicura l’erogatore), e questa volta due dita me le faccio versare, per tre salutari sorsi verso il traguardo dove attende il solito collaudatissimo team Fiaschi-Menarini e una medaglia davvero bella e artistica, una volta tanto, tonda come dovrebbe essere.

In un’organizzazione con vari aspetti di perfezione assoluta, devo dire che il peggio è dopo il traguardo: non tanto per il ristoro immediatamente a destra, della stessa tipologia dei precedenti (bè, però il vino e la birra potevate metterli…), e il recupero nelle immediate vicinanze delle nostre borse; quanto per il cosiddetto pasta party, una cinquantina di metri avanti, cui si poteva accedere solo con un voucher, per ricevere un piatto di maccheroni freddi e sconditi (possiamo aggiungere l’olio) e dell’acqua prelevata da una tanica: tant’è vero che torno indietro al ristoro ufficiale per avere almeno un po’ di frutta e del tè.

Poi c’è da fare un altro centinaio di metri in salita per ritirare la maglia di finisher: disponibile solo in taglie S o XXL (stavolta prendo la S, la darò a un nipotino). Infine, altro centinaio di metri per raggiungere le docce: piccole (sono per i tennisti, dunque 4 erogatori in tutto) e fredde. Forse meriteremmo un po’ di più, e se non altro la massiccia disponibilità di bus navetta consente di tornare a casa o all’albergo per una lavatura come si deve.
Tra un percorso e l'altro ci rivediamo noi protagonisti di sorpassi e controsorpassi "kalipè" a ritmo lento nell'ultima ascesa: non più Werther Torricelli, che dopo il suo 6:21 deve aver già preso la strada per Carpi; né Mauro Gambaiani, il Pico Runner di Fanano (7:07). Franco Scarpa, psichiatra, vicepresidente e contabile dei supermaratoneti, dopo il suo 7:22 sta già sorseggiando qualcosa all'ombra del bar Leoncino, mentre ho perso le tracce del Road Runner Maurizio Colombo (7:44) con cui ci eravamo fatti fotografare una ventina di chilometri sotto. Il suo compagno Paolo Valenti è appena arrivato (8:04), mentre poco dietro ci sono il romagnolo Yuri Fabbri e il fiorentino (ripolino) Massimo Morelli, che hanno rimontato addirittura la luminosa Greta Massari.
Con 9 ore e 7 secondi, cioè appena oltre il tempo massimo, è classificata Fiorenza Simion da Primiero, classe 1943, che penso sia la più anziana del lotto, un anno in più di Giuliano Sidoli (8:00:45): sono vittorie anche queste, non meno belle di chi sta molto più in su.

 

23 giugno – Spostata rispetto all’usuale collocazione in settembre, e penalizzata dalla concomitanza con altre due gare modenesi trenta km a sud o trenta a nord, questa 14^ Verdelaghi (il numero d’ordine ce lo metto io, mancava nei comunicati ufficiali) ha raggranellato alla fine 371 podisti o camminatori, con l’ovvia prevalenza delle due società più vicine, Cittanova (44) e Madonnina (37 iscritti).

Molto gradevole il percorso, ricavato attorno ai laghetti nati per fungere da “casse d’espansione” del fiume Secchia tra Rubiera e Modena, e via via trasformati in un’oasi naturalistica, con vari punti d’interesse, luoghi di ristoro, possibilità di pescare e di girare in barca tra le ochette (interdetta invece la balneazione, ma nonostante ciò ogni tanto ci scappa il morto, pudicamente classificabile come “straniero”, che incautamente si tuffa senza conoscere l’adagio delle nostre nonne indigene, che il fiume  è traditore). Si aggiunga la giornata mite, dopo una settimana afosa, con poche gocce di pioggia cadute verso l’inizio e verso la fine (uso i termini in senso relativo, dato che le partenze sono avvenute alla spicciolata, con un gruppetto forse di una cinquantina che si è avviato insieme qualche minuto dopo le 9).

Percorso ottimamente drenato, su sentieri di base o sugli intricati argini dei vari laghetti come appare dalle foto 2 e 25, col percorso più lungo quantificato intorno ai 14 km, e gli altri a scalare, con scelte equamente distribuite e qualche curiosità, come Tatiana compagna di Fabrizio che insieme a figlio e nuora ha fatto un percorso lungo, mentre Fabrizio si è fatto sgridare per aver svoltato, da solo, verso gli 8 km.

Bravo Gabriele Gualdi, presidente della società organizzatrice (foto 3), a dirigere il folto manipolo degli sbandieratori e addetti vari, tra cui l’immancabile Omonimo che prima ha vigilato su un incrocio poi (foto 20-21) ha sovrainteso alla distribuzione dei premi; e la coppia reale Baruffi-Del Carlo (foto 18-19) che distribuiva il premio per tutti (spaghetti o fusilli, dietro obolo di 2,50).

Squisito il tè dei ristori intermedio e finale (dove si aggiungevano wafer e altre delizie a ripagare le 863 calorie spese secondo il Gps): certo, solo i vecchi ricordano quel ristoro progressivo, dagli antipasti al primo al secondo al dolce al vino, ammannito in una corsa di Campogalliano di trent’anni fa. Forse lo ricordano vecchie volpi come Dervis Montanari da Campegine, o i coniugi Pavesi da Carpi e Vecchiè dalla Ghirlandina, immortalati (come usa dire) nelle foto 22-24.

Chi voleva competere oggi è andato alla Pietra di Bismantova (Dervis desiderava sapere dove erano Giaroli il Veloce o Cuoghi il Veterano); chi vorrà farlo domenica, potrà tornare a Campogalliano per una 10 km da tirare a perdifiato. Mentre i modenesi non competitivi dovranno accontentarsi del giovedì serale, sempre qui vicino, a Correggio: uno dei percorsi più brutti nella storia del podismo padano (sa far peggio solo quello di Quartirolo, Carpi), ma tanto, a Correggio sperano che ci si vada esclusivamente per rimpinguare le finanze del ristorante: si può anche fare a meno di indossare le scarpette.

Monchio (Palagano, MO), 22 giugno – Che sia la quindicesima edizione, come risulta ai miei quadernoni, o soltanto la 14^ come recita l’ordine d’arrivo ufficiale su Irunning https://www.irunning.it/cla_pdf.php?id=42271&man_id=583 , sta di fatto che nella gara competitiva c’è stato un modesto aumento dei classificati (78 contro 73, di cui 22 donne, contro 15 dell’anno scorso), con la schiacciante vittoria, nella classifica a squadre, della “Società-che-non c’è”, vale a dire i ben 29 cosiddetti non tesserati, che hanno distanziato di 22 lunghezze i secondi classificati dell’Atletica Frignano di Pavullo. Alla luce del sole, invece, le classifiche delle società non competitive, largamente dominate dal Cittanova con 62 paganti biglietto (sommando le 8 società più numerose si arriva a 170 partecipanti, e più o meno siamo ai livelli del 2023).

Tra le 15 (insisto) edizioni, il ricordo torna a quella del 27 giugno 2020, quando il podismo era pressoché vietato, ma una giovane mamma in attesa, Giulia Grossi, insieme al suo staff fece svolgere la corsa. Adesso la signora Giulia ha aggiunto, da pochi mesi, una nuova “cucciola”, e per i cuccioli podisti dimostra un’attenzione particolare riservando loro una serie di gare in anteprima a quelle per noi vecchi: è la scoperta, o l’iniziazione (se preferite il difficilese), per bambini che indossano un pettorale quasi più grande del loro torace, come Damiano e Flaminia, pupilli di Costanza e Alberto, che ne vanno giustamente orgogliosi e hanno generosamente concesso le foto di famiglia per la nostra cartellina.

Quanto ai grandi, ha vinto un ventunenne, Nicola Cornali, guarda caso “non tesserato” (dev’essere solo un omonimo del tesserato per l’Atletica Reggio partecipante ai Campionati Mondiali Universitari di Cross in Oman), con 38:03, quasi quattro minuti sul secondo Andrea Costi (Guglia Sassuolo, 26 anni, alla piazza d’onore anche l’anno scorso), a sua volta una manciata di secondi davanti a Enrico Manfredini che di anni ne fa 47.

Undicesima assoluta, e beata tra le donne, la “non tesserata” Gloria Venturelli (classe 1979: 46:19; anche lei, casualmente omonima di una atleta dell’Atletica 85 Faenza che tre mesi fa ha corso in 39:52 alla 10 km di Reggio), pure lei 4 minuti davanti alla seconda, Caterina Filippi (1997, Avis Novellara) e alla terza Francesca Venturelli (Formiginese, coetanea della Venturelli vincitrice, e ancora una volta messa sugli scudi per il suo recente 9h 48 al Passatore e secondo posto al Trittico di Romagna).

Confermato invece l’ordine d’arrivo dal basso, con l’ultimo posto femminile di Cecilia Gandolfi (in Italo Spina) che si è peggiorata di 5 minuti sul 2022 (ma il mio Gps avverte che quest’anno era quasi un km in più). Per pochi metri l’ha superata una Giorgia Ruffilli, classe 1975, che ricordavamo ragazza-prodigio dell’Atletica Ghirlandina poi passata alla Madonnina, dove milita tutt’ora; mentre non c’è stata storia con la sorella di Cecilia, Margherita, che si è messa sulla scia di Angelo Giaroli chiudendo intorno all’ora e 17.

Percorso gradevole, come sempre, e ancor più avvicinato alla tipologia del “trail” (come scrivevano i cartelli indicatori), forse coi tre quarti su sterrato, prati, boschi, strade ghiaiate; tutto perfettamente segnato. Spettacolo nello spettacolo, la lotta nelle posizioni abbastanza di coda (competitivi, non competitivi, non tesserati, tutto fa brodo)  fra il sottoscritto, la sunnominata Cecilia, Nerino Carri e Paolo Giaroli, più un divertente intermezzo a Monte Santa Giulia con Giangi in cappello da cowboy: Paolo era disposto a sorbirsi le mie illustrazioni storiche specialmente nel passaggio dal bel villaggio di Lama (unica rinuncia che facciamo è quella alle amarene portate da un albero poco sotto il sentiero al km 8); mentre Nerino, oggi non gravato da macchina fotografica e telecamera, puntava al risultato, che riteneva raggiunto quando a 200 metri dal traguardo mi raggiunge: il tifo per lui della claque sul piazzale mi dà la spinta per riprenderlo e tagliare la linea fatale dandoci la mano a braccia alzate. Non stuzzicare il cane che sonnecchia. Giaroli arriva poco dietro, ma offrirà ugualmente un passaggio a Nerino per il ritorno.

Ottimi i due ristori intermedi e quello finale, dove attingo soprattutto alla simil-torta Barozzi (ma c’erano pure le crostate), mentre al nostro arrivo, delle angurie restavano solo le bucce.

Il profumo di gnocco informa che si può anche cenare, tentazione cui cede Giangi (che questa volta non ha chiesto la restituzione del costo d’iscrizione) informando poi che una cena di tigelle per due gli è costata solo 12 euro. Personalmente, mi accontento della visita al compagno di banco e barista Dante Venturelli, ginnasiale pentito che si volse alla licenza magistrale. È impossibile saltare Monchio.

21 giugno – Ci ha lasciati Francesco Canali, 56 anni di cui quasi venti trascorsi a lottare con la SLA. La notizia arriva da Parma, e in particolare da amici cari, nostri e di Francesco, che ci promettono (quasi tra le lacrime) un pezzo apposito. Noi nel frattempo rimandiamo alla “Gazzetta di Parma”, dando qui sotto i link per la lettura (c’è anche un pezzo del vescovo di Parma mons. Enrico Solmi), e anticipando solo che le esequie si terranno lunedì 24 a Parma, nella chiesa della Trasfigurazione alle 11.30.

Su Francesco si è confidato con noi anche Giancarlo Chittolini, premettendo “nulla potrei scrivere, meglio di cosa e come ha scritto Claudio Rinaldi”. Si riferisce al commosso ricordo che il direttore della “Gazzetta di Parma”, e compagno di Francesco nelle estreme avventure sportive, ha scritto sul suo giornale nelle edizioni online del 21 giugno e cartacea del 22, in massima parte dedicate alla vicenda umana di Francesco. Da leggere e da conservare:  https://www.gazzettadiparma.it/parma/2024/06/21/news/e-morto-francesco-canali-il-maratoneta-in-carrozzina-794551/

Emozionante anche il ricordo di 12TV Parma, con l’intervento dello stesso Rinaldi “Addio ad un eroe”: https://www.12tvparma.it/puntata/tg-parma-edizione-del-21-06-2024-ore-1245/si-e-spento-francesco-canali-simbolo-di-coraggio-e-speranza-contro-la-sla/https://www.12tvparma.it/puntata/tg-parma-edizione-del-21-06-2024-ore-1245/scomparsa-di-canali-rinaldi-direttore-gazzetta-di-parma-addio-ad-un-eroe/

Ma lo “Spino” ha aggiunto:

Ricordo di avere conosciuto nei soggiorni estivi Francesco Canali, perché era originario di La Latta del Cardinale Ferrari, una piccola località nel comune di Palanzano dove i miei suoceri avevano già dagli anni 80 affittato una casa. Lì con mia moglie ho svezzato e visto crescere nostro figlio Pietro, poi i miei adorati nipoti Amedeo ed Emma.

Francesco, sapendo dei miei trascorsi sportivi e conoscendomi nella veste di organizzatore della Maratona Verdiana (nella quale aveva concluso la mezza a Fontanellato, nel febbraio 2004), mi aveva chiesto qualche consiglio. Dopo aver approntato una scheda d'allenamento glie la proposi.

Ma purtroppo, proprio all'inizio dell'applicazione,  ci accorgemmo che qualcosa non tornava, le gambe sembravano non reggere la fatica... Lo sollecitai a fare gli esami del sangue e già lì si vide che aveva dei valori elevatissimi al CPK: poco dopo, la scoperta atroce della SLA, e fu tutta una rincorsa da parte sua ad aggrapparsi alla vita...

Con lui e per lui organizzammo la “Corri con Francesco”: fu la prima volta che salì su una carrozzina, per i 5000 metri da Roncole a Busseto. All’evento parteciparono personalità di spicco dell’atletica nazionale, come Matteo Villani e Sara Galimberti (futura finalista di Miss Italia e soprattutto vincitrice nel 2018 della Milano21 Half Marathon, con un PB sulla mezza di 1h13). Seguirono le maratone, a Palm Beach (con Andrea Fanfoni e Claudio Rinaldi, fra gli altri) e a Venezia (con Alex Zanardi), di cui tutti sanno.

Francesco ci ha insegnato molto: lo andai a trovare, aveva la capacità di donare affetto e serenità.

Un esempio ammirevole ed unico.

E noi siamo qui, a ripetere con Francesco Guccini: “Vorrei sapere a che cosa è servito - Vivere, amare, soffrire - Spendere tutti i tuoi giorni passati - Se così presto hai dovuto partire. - Voglio però ricordarti com'eri - Pensare che ancora vivi - Voglio pensare che ancora mi ascolti - E che come allora sorridi”.

Ecco dunque riemergere dai vecchi dischetti un sorridente resoconto scritto da Francesco per Podisti.net, giusto vent’anni fa (18 marzo 2004), commentando la 2^ Reggiolo Half Marathon.

"Diavolo di un Morselli", mi sono detto man mano che zampettavo sul percorso della seconda edizione della Half-Marathon di Reggiolo. Vuoi vedere che quel "gambero" testa quadra ha ragione? Ha sbandierato ai quattro venti che a Reggiolo si batte il personale e, man mano che diminuivano i chilometri, me ne rendevo sempre più conto. Intendiamoci, il mio personale non ha niente a che fare con il tempone  di Marco Baldini che con 1h 09' 03" ha concluso il bel percorso nella bassa reggiana, o con quello di Antonella Benatti che con 1h 23'00" è arrivata sul gradino più alto del podio nel femminile, ma avere abbassato di quattordici minuti il tempo di due settimane prima da Salsomaggiore a Fontanellato (in precarie condizioni fisiche) e, senza tener conto del real-time (che a Reggiolo non c'era), di 22" rispetto alla mezza di Parma, non può che avvalorare le previsioni di Stefano.

Ma che i reggiani, e in particolare Stefano Morselli, sapessero fare le cose a regola d'arte, se ne erano accorti in molti, persino dalla vicina Parma, sempre in competizione quando si parla dei cugini di Reggio Emilia. Ma il podismo affratella, non c'è distinzione di città o provincia, ma solo amici che corrono per vincere o per divertimento; e a Reggiolo erano in molti.

Ritiro il pettorale e dopo un saluto al patron della manifestazione faccio un giro prima di iniziare a scaldarmi (anche se la giornata era particolarmente mite rispetto alle temperature polari delle settimane prima), e chi vedo? Una faccia nota, quasi un divo per il popolo di Podisti.net.  Non lo conosco personalmente ma è come se fossimo da sempre amici: è "Arny", al secolo Arnaldo Fantuzzi. Con il simpatico podista-scrittore di Bolzano scambio alcune opinioni prima del via, venendo poi a conoscere anche "Guerna", il veloce Luigi Guarnati. Una stretta di mano e lo sparo ci sorprende. Guerna schizza via come il vento, non lo rivedrò più, Arny lo segue.

Io decido di prendermela con relativo comodo. Primo km a 4'50", troppo per me, rallento e mi affiancano due podisti, uno di Carpi e uno che abita sulle prime colline modenesi, che dice: "A casa mia ci sono ancora venti centimetri di neve". A Reggiolo invece c'è la nebbia e l'umidità si sente, ma se non ci fosse, che Bassa reggiana sarebbe? Il ritmo è di 5'10", ottimo per me in questo periodo dell'anno. Proseguiamo appaiati fino al 7° km poi una sosta forzata mi fa perdere terreno sui due. Continuo quindi da solo guardando ciò che mi circonda e quei pochi spettatori che, al nostro passaggio, sembrano impietriti, come se fossimo dei marziani.

Gli incroci sono presidiati, i ristori non mancano dei prodotti base per arrivare alla fine senza dover arrancare, anche se al ristoro del 20° km riprendo a vedere la nebbia, ma non quella meteo. Credo di essere già passato di lì: non ne avrò mica fatti 40 di km? Mi "dopo" allora con due zollette di zucchero, che mi danno un bel po' di energia e la carica giusta per passare felice sotto le bandierine del traguardo.

Un breve ristoro per rifocillarmi e mi dicono che devo riconsegnare il pettorale per ricevere il pacco gara. Cosa? Ho pagato 1 euro e mezzo e mi danno anche il pacco gara? Non ci credo, e invece è proprio così e, per quella cifra, che pacco gara!

Ma il sudore mi sta congelando, via quindi verso le vicine docce del campo di atletica, pensando che ci sarà la ressa e saranno fredde. Invece ci ritroviamo in cinque con docce calde, una manna. Ancora due parole con Arnaldo sull'eccellente manifestazione ci congedano da una giornata di sport e divertimento.

                             

San Rigo (RE), 16 giugno – Anche se il navigatore della mia auto, al nome di San Rigo, inonda di domande angosciate, e il massimo che si può ottenere da lui è portarti a Coviolo (dialettalmente Chiviol), i podisti sanno benissimo dov’è il Centro Biasola, rampa di lancio e centro di animazione della maratona di Reggio, con le tradizionali musiche dei Nomadi sparate a tutta (e non lontano, il ristoro “abusivo” e desideratissimo di Arsura).

Ammetto di avere (qualche volta, e col permesso di Paolo Manelli) accorciato il percorso della maratona, partendo appunto e arrivando qui, con in mezzo la parte più panoramica del giro, iniziato con le spugne calde di Paolo Giaroli e concluso con una doccia non meno calda negli spogliatoi deserti.

Ma prima della Maratona esisteva la Strachiviol, non a caso arrivata alla 40^ edizione, su un percorso di 10 km (misurati così esattamente che i podisti reggiani - mi diceva Angelo-Cugino Giaroli - vengono qui per cronometrarsi su una distanza sicura e inclusiva di 90 metri di dolce dislivello). L’unica stravaganza è che per fare 10 km esatti in questa gara occorre partire a 650 metri dal ritrovo, che sarà poi l’arrivo: sostiene Mastrolia, qui in corsa imbandierato dal tricolore ma che ieri ha tifato un po’ per l’Albania, che se anche facessero 10,6 non morirebbe nessuno.

Intanto, su una distanza tonda è facile calcolare le medie al km: il vincitore Fabio Ciati (Atletica Reggio, 30 anni esatti), impiegando 32:56, ha sfiorato i 3:15 al km, ed ha superato il secondo, Emilio Mori da Campogalliano&Correggio (che ha 15 anni in più), di un minuto e 20”; distacco che Mori ha dato con gli interessi al terzo, Carlo Carbone della Libertas Mantova, 31 anni per 35:41.

Tra le donne, la titolata trentunenne Francesca Cocchi (Corradini Rubiera) con 38:26 ha vinto abbastanza di misura su Serena Borsari (Victoria, 39:12), che ha avuto la meglio sulle vecchie volpi Rosa Alfieri (40:34) e Sua Maestà Isabella Morlini (41:47), che di primavere ne hanno venti e passa più delle vincitrici.

È ancora lunga la strada per la conclusione dei Grand Prix Reggio e Modena, cui la Strachviol apparteneva: ma voi sapete che a me piace scorrere le classifiche nelle ultime pagine, fino alla coppia femminile del Cavriago Partisotti-Colasuonno, teoricamente madre e figlia (anzi, a puro titolo indicativo, nonna e nipote: 71 anni contro 16, se prestiamo fede ai numeri dei giudici reggiani). Ho assistito alle investigazioni orali di Brighenti, solito impeccabile speaker (sebbene piazzato all’ombra, 50  metri prima del traguardo) che dopo l’arrivo di Brunetta ha aspettato 16 minuti per l’arrivo di Giulia, della quale per un certo tempo mancavano notizie, ma l’ha salutata con la stessa affabilità con cui aveva trattato i “campioni” già transitati: tra cui citerò il trittico femminile arrivato quasi insieme intorno ai 57 minuti, Maria Pia Verzellesi (un’altra prof collega e coetanea di Brunetta), Emilia Neviani e Soraya Pozzi, cui poco dopo si è aggiunta Maurizia Gambarelli, coetanea di Soraya.

Questo è il podismo di quelli che magari erano alla prima Strachiviol (quando la Pol. Biasola era targata Ghiga e ai lati delle strade comparivano i cartelloni dell’illuminotecnica Mainini); e non si può non inchinarsi ai piedi di due che magari l’avranno anche vinta, Anna Maria Venturelli (classe 1964, 52:41), e Antonella Benatti da Brugneto-Reggiolo, classe 1968, tra le più antiche collaboratrici di Podisti.net, oggi 49:57.

Tra gli uomini, va segnalato Medardo Corsinotti, classe 1960 che dopo tanti titoli sulle gazzette per i successi antichi, oggi sta ancora sotto i 5/km; l’altro prof Leandro Gualandri (classe 1950, 48:02) e il prodigioso Ettore Marmiroli, classe 1948, 45:39 cioè 4:35 scarsi a km.

Poi ci siamo noi, oggi non competitivi perché stiamo preparando altro: l’enologo Werter Torricelli che pensa alla Pistoia-Abetone, Paolino & Maurito in partenza per Livigno, Mastrolia che pensa a incantare giovani signore con la sua mise-après-course, Micio Cenci sceso dalle nevi del Cimone per dimostrare a sé stesso che il Covid è un ricordo lontano, Nunzio & Assunta che non mollano mai, Dervis Montanari che ha appena digerito il salame mediopadano diviso a metà ieri sera con Angelo Giaroli. E infine la cornice di quanti non corrono ma partecipano: Boniburini (un altro che qui ha mietuto successi) con la sua bottega viaggiante; Herr Martin Schupfer che sbandiera, al pari di Paolo Giaroli e Domenico Petti; Nerino che fotografa e concede i suoi scatti a questa testata, dove già figurano grazie al tempestivo lavoro di Roberto Mandelli cui si deve pure il solito eloquente collage di copertina.

Per tutti, una bottiglia di lambrusco di Albinea a 11 gradi (insomma, non quegli obbrobri delle Riunite a 8 gradi), ristori abbondanti e vari, compreso un(o) gnocco soffice che non ha bisogno di denti per andar giù. Insomma, un’altra bella giornata di sport e allegria.

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