Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
A Spezzano, il Christmas trail festoso dei modenesi
24 dicembre - È un’antica consuetudine modenese (e, sicuramente, di altri cento posti d’Italia) ritrovarsi alla vigilia di Natale per una camminata/corsa autogestita, preferibilmente sui colli, fuori dall’orgasmo mercantile delle città. Scomparsi, ormai da tempo, i ritrovi allestiti dal compianto Gianni Vaccari, da qualche anno (Covid permettendo) il testimone è stato raccolto da Stefano Cappelli, col generoso apporto di tanti amici e di varie società della provincia, per un appuntamento dove il comprensorio ceramico cede il posto alle prime dolci colline che salgono verso il Frignano: in comune di Fiorano, per l’esattezza alla chiesa di Spezzano quest’anno abbellita da un monumentale presepe in legno a grandezza naturale, e con lo sguardo rivolto verso le alture di Nirano e il parco naturale delle “salse”, i vulcanetti che si innalzano a vista d’occhio anche se non fumano più, e non si può nemmeno più salire in cima buttandoci dentro fiammiferi accesi. In compenso, il parco è stato messo a posto, con strade, parcheggi, viottoli, pontili e sentieri ben curati, cartelli e centri museali; e continua ad essere meta di allenamenti individuali e di gruppo (anni annorum fa, il ristorante alla base delle salite fu anche luogo di una gara ufficiale, che se ricordo bene ebbe un epilogo drammatico).
A questo “XMastrail 2023”, per essere annoverato tra le corse canoniche del coordinamento mancava solo la quota di iscrizione, perché il resta c’era tutto, compresi i vigili urbani che disciplinavano partenza-arrivo e attraversamenti delle poche strade con traffico; in aggiunta, un certo numero di volontari sul percorso, una segnatura mediante fettucce degna dei veri trail da un euro a km, e un ristoro finale (senza lesinare su panettoni e spumanti) tanto abbondante che ne è avanzato, come nelle famose moltiplicazioni evangeliche, tanto da poterlo devolvere alla Caritas locale.
Percorsi alla portata di tutte le gambe, da 5 a 17 km (in realtà, un paio in meno), con salita iniziale al castello di Spezzano, alias Rocca Coccapani, dove passava le vacanze estive il sommo Lodovico Antonio Muratori: e piace immaginare che i sentieri di oggi abbiano conosciuto all’epoca anche le passeggiate del Padre della storia. Dopo 5 km l’itinerario ridiscendeva a Torre delle Oche (da dove un’antica strada conduce in territorio di Serramazzoni) e da lì, passato il ponte sul torrente Fossa, si poteva salire alle Salse, non più di un centinaio di metri in verticale per 3-5 km di lunghezza a seconda del percorso scelto, infine rimettersi sulla stradetta di partenza e concludere nella piazza del ritrovo, scaravoltata da lavori in corso e del tutto insufficiente per il paio di centinaia di auto (a occhio) convenute.
Tempo sereno, appena più fresco del clima tropicale di ieri, qualche gloria del podismo e del fotografismo podistico (ringraziando, come sempre, Italo Spina), fascino femminile garantito da Alessandra Fava (che qui organizza abitualmente i suoi ritrovi), Sonia Del Carlo (“la trail runner della porta accanto”), e sicuramente tante altre; in campo maschile, alcuni reduci da Casalgrande del giorno prima (la famiglia di Italo in testa-coda), con l’aggiunta di Micio e Lorella Cenci in discesa da Fanano, e Maurito & Paolino Malavasi, il quale ultimo si è prestato, in onore al Natale, a riprendere in mano gli antichi attrezzi di lavoro per confezionare prodotti d’arte pellettiera come ormai non se ne fanno più.
Le armi del podismo saranno affilate, e le lancette del cronometro messe in posizione di sparo, posdomani al Santo Stefano santagatese: per ora, e di tutto cuore, Buon Natale.
Casalgrande (RE), ottimo esordio dell’“Assalto al Castello”
23 dicembre – Come sanno bene i lettori di queste pagine, quando si va a correre dalle parti di Scandiano si è sicuri di imbroccare bene: alle tante iniziative già andate in porto (ultima, la maratona di Reggio, che a Scandiano è stata concepita), l’antivigilia di Natale ha aggiunto l’ “Assalto al Castello”: intendendosi il castello di Casalgrande Alto, poco e niente pubblicizzato dalla segnaletica stradale, eppure un eccellente balcone, a meno di un km dalla trafficata statale Sassuolo-Scandiano-Albinea ecc., da dove la vista spazia dall’Appennino emiliano alle Alpi veronesi fino all’estremo ovest del Monte Rosa. Complice, s’intende, la giornata limpida e leggermente ventosa, per una temperatura che ha raggiunto i 20 gradi rendendo inutili tutte le bardature invernali che avevamo precauzionalmente messo in borsa.
Alla novità del percorso (che tocca luoghi vicini ad altri ben noti, come il Furnasoun Trail, ma non esattamente gli stessi), si sono aggiunti la collocazione in un giorno dove tutto in regione sembrava tacere, le eccellenti condizioni climatiche, la distanza non insormontabile (11 km, forse qualcosa in meno stando ai Gps) sebbene il dislivello fosse relativamente oneroso (700 metri dichiarati, ma forse 750, quasi tutti nei primi 6 km).
Morale della favola: il numero chiuso delle iscrizioni, fissato a 150, è stato elevato in corso d’opera a 200, e alla vigilia della gara è stato concessa l’iscrizione anche ad altri in lista d’attesa; poi qualcuno (approfittando del fatto che le iscrizioni con Irunning non contemplano il pagamento anticipato) ha dato forfeit, per cui l’ordine d’arrivo ufficiale elenca solo 183 atleti (due ritirati), comunque una bella cifra in rapporto alla data.
Il percorso, piuttosto tortuoso, con tre salite principali più l’ultimo km che crudelmente ci ha portato ai piedi del castello obbligandoci a riguadagnarlo, se guardate il profilo sembra quasi uno struzzo (o comunque un grosso gallinaceo coricato), con la testa in alto a destra corrispondente al castello, e le zampe in basso a sinistra, dove la base piatta è costituita dalla strada di fondovalle – in cui si trovava il ristoro – con le due discese e le due salite per raggiungerla e ripartirne alla volta della “cima Coppi”.
In prevalenza era costituito da sentieri, parzialmente sassosi e in misura pressoché uguale traversante deliziosi boschetti di latifoglie; il resto erano stradine bianche, in minima dose asfaltate; il tutto ottimamente segnato e con numerosi segnalatori umani (tra cui non poteva mancare Paolo Manelli).
Incredibile il tempo dei primi due, rimasti sotto l’ora: ha vinto Luca Carrara, 46enne bergamasco, in 56:35, davanti al 31enne reggiano Riccardo Gabrini (58:09), mentre il terzo, il modenese quasi cinquantenne Matteo Pigoni, ha impiegato 1 ora e 4 secondi.
Nessuna sorpresa tra le donne, regolate ancora una volta da Isabella Morlini con 1.10:37, quattro minuti meglio dell’altra reggiana Alessia Rondoni (classe 2000, quasi trent’anni in meno della vincitrice), a sua volta avanti mezzo minuto sulla terza, Maddalena Pradelli classe 1999.
Con calma, entro il tempo massimo di due ore e mezzo (umanamente elasticizzato per gli ultimi) sono arrivati, al cospetto dello speaker Brighenti e del giudice-capo Mainini, tanti nomi storici delle gare nostrane o perlomeno di queste cronache: da Gianluca Spina (figlio del fotografo Italo che ci ha ceduto alcuni dei suoi scatti) ad Attilio Acito (in Annamaria Cavallo), da mamma Francesca Braidi al glorioso Ideo Fantini (classe 1949), che ha battuto allo sprint Lucio Casali da Formigine; per chiudere con Cecilia Gandolfi (in Italo Spina, per intenderci) e l’accoppiata Paolo Giaroli – Giuseppe Cuoghi, quest’ultimo il più anziano in gara (due anni più di Ideo) ma senza timore reverenziale verso questi tracciati. (Non siamo come a Bianello dove per l’ultimo c’è la gogna…).
Oltre ai premi per i primi cinque, per tutti c’è stato (di fronte a un corrispettivo di 10 euro per l’iscrizione) un sacchetto con due bottiglie di ottimo lambrusco reggiano. Direi che ci si possa largamente accontentare.
Maratona di Reggio: più lunga, meno popolata, sempre adorabile
10 dicembre – Ritorno a Reggio dopo otto anni, per quella che è diventata la nostra maratona di casa dopo l’ingloriosa fine di Carpi (che tempi: il 1996 quando iniziò la maratona ”del Tricolore” di Reggio, e il 1997 quando appunto nel bicentenario della bandiera anche la maratona di Carpi partì da Reggio!).
Ventisette edizioni (più quella in circuito, riservata agli 84 élite nello sciagurato 2020 del Covid), con un immediato successo crescente di simpatia tra gli amatori – perché è una maratona creata e curata da amatori, non da organizzazioni d’affari – cui tuttavia è seguito un calo attuale di partecipazione che sembra inarrestabile. Nel 2015 arrivammo in 3006, e Reggio si trovò a ridosso quantitativo delle maratone metropolitane; nel 2019, ultimo anno pre-Covid, furono in 2454; alla ripresa del 2021 si sfiorarono i 2000, calati però a 1371 l’anno scorso, con un’ulteriore lieve riduzione oggi, già rilevata da Maurizio Lorenzini https://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/11129-reggio-emilia-27-maratona-doppietta-italiana-con-gerratana-e-sucamiele.html.
Emorragia leggermente frenata dai trecento della Dieci miglia (su un numero massimo fissato a 500), che per essere classificata come corsa “goliardica” sembrava alquanto cara (30 euro di iscrizione, cioè la stessa cifra che con certe convenzioni si poteva spuntare per un pettorale di maratona).
Sulla “qualità” dei partecipanti, invece, non mi formalizzo: lascio alle organizzazioni d’affari il calcolo se avere una mezza dozzina di mercenari africani, non ancora incappati nell’antidoping, attrae gli sponsor monetari o le dirette televisive; ma certo, sapere che alla tua gara sarà presente un qualche Kip (ma anche, con rispetto parlando, un Calcaterra) non incide sulla decisione di partecipare degli amatori, e semmai allontana gli élite italiani che vedono sfumare eventuali premi.
Può darsi che il pubblico dell’ultimo chilometro sia attratto da gare combattute, con sprint finale, ma questo vale sia per gli arrivi in 2.05 che per quelli in 2.20, e comunque il pubblico delle maratone non paga il biglietto. In ogni caso, a Reggio 2023 è mancata tutta la suspense dato che il vincitore Gerratana, appena sotto le 2.14, ha dato quasi 11 minuti al secondo, che a sua volta ha preceduto l’over quaranta Simukeka, ruandese di stanza in Toscana, affezionatissimo e sempre piazzato in questa maratona (oltre che in gare minori nella zona).
Il primo dei nostri amici amatori locali, Simone Corsini della MDS di Sassuolo, arrivando quarto assoluto, è stato l’ultimo sotto le 2.30. Tre minuti dopo di lui è arrivata la prima donna (sesta assoluta), Federica Sugamiele, una ventisettenne proveniente dalla pista e in particolare dallo sprint, con una presenza in maratona a Milano otto mesi fa, più un 1.12 nella mezza a Verona dello scorso novembre. Anche in questo caso, la seconda, la trentacinquenne keniana (ma tesserata a Siena e habituée delle maratonine italiane) Lenah Jerotich, è arrivata a più di 10 minuti, a sua volta avanti di 8 minuti sulla terza. Ma questo servirà solo alle complicate alchimie federali per l’assegnazione del cosiddetto “label”; agli spettatori reggiani e a noi podisti emiliani ha scaldato di più il cuore il settimo posto di Tommy Manfredini (quarantenne MDS) o l’undicesimo di “Fillo” Capitani (Modena Runners) quasi allo sprint sul titolato Marco Menegardi. E tra le donne, l’ennesimo piazzamento della cinquantenne romagnola Federica Moroni, quarta assoluta per quello che rimarrà uno degli ultimi trofei in bacheca della sua società Gabbi prossima allo scioglimento. Entusiasmante pure l’arrivo, nello spazio di 27 secondi (cioè 150 metri), intorno alle 3.12, di tre ragazze locali o naturalizzate, Galina Teaca, Bethany Jane Thompson e Lorena Belli, con l’aggiunta della carpigiana Silvia Torricelli che ha anticipato la festa per il 40° compleanno col ventesimo posto sotto le 3.18. E c’è stata festa anche per la bella Daniela Slotova, slovacca residente nell’appennino reggiano, trailer, scalatrice, scialpinista, oggi seconda F 55 con 3.52.
Ma circa questi tempi “mediocri” mi permetto di fare una tara, su cui appaiono concordi tutti quanti hanno corso la maratona con un Gps: il percorso risulta lungo tra i 42,600 e i 42,750, dunque nella più ottimistica delle ipotesi eccedente di 400 metri la distanza canonica. L’ottimo Paolo Manelli, che come sempre è al traguardo ad applaudire fino all’ultimo arrivato, ha la legge dalla sua parte quando mi esibisce l’omologazione firmata da una giudice ufficiale, ma se tutti (ripeto, tutti) i molti colleghi che ho consultato mi danno, non cento, ma 4-500 metri in più (il più 'avaro' dei Gps, quello di Daniela Slotova, dà 42,490), non possiamo tirar fuori la storia che i Gps esagerano per illuderci di aver migliorato i tempi al km.
Nella Reggio 2015 il mio gps diede 42,360, cioè… aveva ragione Manelli; qui i dubbi si fanno più consistenti. Lo "sbaglio" deve essersi verificato nel tratto urbano, perché già al km 5, uscendo dal centro città, avevamo 200-250 metri in più, che erano 350-400 al km 10, rimanendo poi invariati fin dopo il km 35, quando la differenza ricominciava ad aumentare fino all’esito finale. Si aggiunga poi il dislivello, che il sito della maratona riduce ottimisticamente a un centinaio di metri, quando ci sono 90 metri verticali solo tra Reggio e Montecavolo, ma per arrivarci si affrontano salite e discese, che si ripresentano tra il km 25 e 30, senza dire che anche i chilometri sulla pista del Crostolo fra il 36 e il 40 sono ondulati: ma quest’ultima cosa è sempre stata così, malgrado qualche aggiustamento di percorso specie ai km 10-15; fa parte del fascino della gara, e gli amatori “evoluti” potrebbero anche trarre vantaggio dalla discesa prevalente (ma non esclusiva) dal km 22 in poi.
Disquisizioni numeriche a parte, tutto il resto conferma Reggio come la maratona più organizzata e confortevole che esista (a pari merito, secondo la mia opinabile classifica 2023, con Padova): ottimo ritrovo al Palasport che a sua volta sta a 100 metri da un grosso parcheggio gratuito, in aggiunta agli altri parcheggi stradali che la domenica sono gratis. Servizi burocratici espletati con grande precisione: la giovane addetta che mi consegna il pettorale chiede il documento, perché evidentemente non era ancora al mondo quando io correvo lì le prime maratone (le ho fatte quasi tutte tra il 1996 e il 2005); invece dietro lei, il più stagionato Cristian Mainini non ha difficoltà a consegnarmi, senza ricorrere a controlli, l’attestato per le 10 Reggio concluse. Il pacco gara mi viene dato dall’Orietta, ricordando quando corremmo la maratona di Carpi insieme alla campionessa Rosa Alfieri (che trovo invece sul traguardo, sempre cordiale e simpatica); gli altoparlanti diffondono la voce dei due speaker ormai stanziali, Brighenti e Marescalchi, mentre Italo fa fotografie, come le farà il giorno dopo, addirittura poco oltre il traguardo malgrado un certo embargo che in anni passati era più rigido.
Alla maratona di Reggio, tradizionalmente, fa freddo ma c’è il sole: i termometri segnano 5 gradi alla partenza e 10 al mio arrivo, insomma ci si può man mano spogliare di guanti e copriorecchie, magari anche rimboccare le maniche lunghe.
Percorso segnatissimo, con fettucce a delimitare le svolte ‘proibite’, e frequenti indicatori umani (che ci tolgono il dubbio sul km 32 che viene poco dopo il 15): ristori sempre ricchi, più o meno alle distanze canoniche, con l’aggiunta dell’attesissimo doppio ristoro di “Arsura” sulla base di carne di maiale, vino e birra.
Un curioso avant-indree transennato all’ingresso di Montecavolo (per farci acquistare quei contestabili 300) è presidiato da Nerino, nella doppia veste di giudice e videomaker; lo ritroverò poi con la sua Tetyana in un altro miniristoro verso il 35 (residuo di quello allestito per le 10 miglia), un km dopo l’altro fotografo abituale Domenico Petti (s’intende che oltre ai fotografi dilettanti c’è la ditta dell’appalto ufficiale, con spiegamento numeroso – addirittura in un punto controsole usano anche il flash – ma che come sempre non avrà i miei 29,99 euro sollecitati).
Abbondante schieramento di pacemaker, il cui seguito diminuisce con l’aumentare del tempo indicato: i tre delle 4.45 quando mi raggiungono trascinano un solo podista (che poi perderanno), i tre delle 5 ore non hanno nessuno già al km 32: ma se le disposizioni sono quelle di andare al ritmo indicato a tutti i costi, così sia. I miei pacemaker occasionali sono i compagni di tante strade, Werter papà di Silvia Torricelli (che mi istruisce sulla gradazione dei vini, poi si stacca per arrivare esattamente millesimo), Claudio Morselli (che mi sorpassa e poi perdo, salvo ritrovarlo alla fine nella bionda compagnia di Greta Massari), Angelo Mastrolia, “senatore” di 27 Reggio, con cui ricordiamo i tempi che correvamo insieme Padova, spingendo un baby jogger e arrivando sulle 4 ore: oggi all’arrivo si china a baciare il lastricato di piazza della Vittoria.
Altre compagnie di vecchi amici si trovano ai ristori, che gestisco in modo ‘ascetico’, senza trasgressioni, fino al 25, quando non posso resistere all’erbazzone offerto come sempre da Brunetta e i suoi dei Cavriago, incluso Bien Sen Du reduce da ritrovi transoceanici. Dopo di che, dal km 29 si annuncia una voce femminile che magnifica il ristoro gestito dal Correggio, con lambrusco, salumi e una polenta fritta alla quale non posso dire di no; poi si arriva al 32 con il bis di Arsura, e stavolta (siccome i sacri testi prescrivono anche di assumere sale) prendo due assaggi di ciccioli secchi, un culetto di salame e… il vino no, ma la birra sì! Su questi bei fondamenti, accetto il tè di Tetyana vicino al sottopasso, e a questo punto posso anche sperimentare il gel alla caffeina omaggiato all’expo (quello che non uccide, aiuta).
Ecco il Lungocrostolo che a me ricorda una lontana camminata organizzata da Nerino e le riprese video di Prodi 2005; poi la risalita a livello città, i sorpassi subiti dall’inaffondabile Michele Rizzitelli, dalla bella segretaria Carla Ciscato, dalla matematica veneziana Daniela Lazzaro che va a vincere le F 70. Qualche centinaio di metri sui vialoni in compagnia delle due ragazze del Montestella, Elena e Antonella, col supporto del torrilese Stefano Banzola, poi il cinque con Mohamed Moro (qui a scortare i suoi 26 adepti modenesi dei Runners & Friends, che in campo femminile si aggiudicheranno il titolo nazionale Uisp) e Paolo Giaroli (non dimenticato "autore" dello spugnaggio caldo dei bei tempi), fino ad arrivare, poco davanti a Sir Marathon Fausto Della Piana, al marciatore Franco Venturi Degli Esposti cui ci lega il ricordo della povera Lorella (una che, pensate un po’, fu testimone della già citata maratona di Prodi 2005), e risalire la strada per il palasport salutando gli ultimi metri dei supermaratoneti che chiuderanno gli arrivi: la fornaia di Cernusco Rita Zanaboni, la bolognese-bergamasca Marina Mocellin, e Massimo Faleo che non dimentica il nostro arrivo mano nella mano a Ragusa, quando Govi arrivò nel senso opposto.
I tifosi di Alessio Guidi, tornato a pieno regime maratonico (alla faccia di chi sappiamo noi) possono stare tranquilli: vedendomi alla partenza aveva promesso di smettere di correre se l’avessi battuto, ma siccome mi ha dato un’ora potrà continuare a catalizzare e rallegrare schiere di gente che “arriva piano ma arriva”.
L’album di fotografie assemblato da Roberto Mandelli e qui linkato mette insieme foto del sottoscritto e di sua moglie, di Italo, Nerino, del Modena Runners Club, più l’ultima del comitato organizzatore. Non sarà roba professionale, ma è gratis.
Aggiungiamo ora il comunicato ufficiale dell'Uisp, giunto in redazione alle 17,41 di lunedì 11, che informa sul campionato nazionale Uisp abbinato alla maratona.
A Reggio Emilia si è corso il Campionato Nazionale UISP 2023 di Maratona
La “Maratona di Reggio Emilia-Città del Tricolore” di domenica 10 dicembre, valida come Campionato Nazionale UISP di Maratona, ha chiuso l’annata sportiva 2023 della UISP APS-SdA atletica leggera grazie all’organizzazione di Tricolore Sport Marathon a.s.d. in collaborazione con UISP Emilia-Romagna APS e UISP Comitato Territoriale di Reggio Emilia APS.
Le classifiche di categoria del Campionato nazionale hanno premiato Fabia Maramotti (AF-ASD Team Marathon Bike 3:37:59), Francesca Rimonda (BF-ASD Podistica Valle Vairata 3:04:58), Bethany Thompson (CF-Circolo Minerva asd 3:12:17), Elehanna Silvani (DF-Azalai asd 3:12:40) e Paola Bertolucci (EF-Atletica 85 3:38:14), mentre tra gli uomini hanno primeggiato Federico Ganassi Spallanzani (AM-Ass. Pol. Scandianese 2:42:17), Simone Corsini (BM-Atl MDS Panariagroup 2:28:33), Jean Baptiste Simukeka (CM-APD Virtus VII Miglio 2:25:09), Enrico Rivi (DM-Amorotto asd 2:38:17), Fabio Martinuzzi (EM-Montelupo Runners 3:19:03) e Luciano Balzani (FM-ASD Daunia Running 3:31:12).
Nelle classifiche per società il GP Avis Novellara con 92 punti si impone davanti a ASD Podismo & Sport Saracena (59) e a Stone Trail Team asd (58). Nel femminile solo Asd Runners&Friends ha portato il minimo di Atlete all’arrivo.
Per consultare le classifiche del Campionato Nazionale UISP 2023 di Maratona collegamento al link https://www.uisp.it/atletica2/files/principale/campionati-nazionali/2023/maratona/class-maratona-2023.pdf
Portile inaugura le corse di quartiere del dicembre modenese
3 dicembre – E siano benedette le camminate di quartiere! Anche se il nome è ormai un eufemismo, ricordo di una stagione gloriosa quando i quartieri di Modena, e le relative camminate, erano 8 o magari anche 12, facendo perno sulla Ghirlandina, e nelle fredde domeniche invernali ci si riappropriava della città, di via Verdi, di piazza S. Agostino, del Tempio, di piazza Roma, delle mura… Adesso, delle quattro camminate programmate per tutto dicembre, fino all’ultimo dell’anno, nessuna si svolge in centro, l’unica urbana è nel quartiere San Faustino – zona artiglieria e Parco Ferrari, insomma media periferia – le altre si svolgono in frazioni (Cognento, Saliceto Panaro) staccate dalla città (oltre la cerchia delle tangenziali), a cominciare da questa inaugurale che, partendo da una località che si è fatta cambiare il nome rispetto a quello ufficiale di “Porcile”, addirittura si dipana per la maggior parte fuori del territorio modenese, in comune di Castelnuovo Rangone.
Felix culpa, si commentava lungo la ciclopedonale del Tiepido (sponda castelnovese) con Max Nube e Lord Colombini, che questi percorsi ha inventato per la sua camminata del 1° maggio e settimanalmente li pratica in affezionata compagnia serale di camminatori: “ma sì, gliel’abbiamo concesso”, diceva il Lord. E meno male, perché il giro lungo di 10,3 è molto gradevole nel tratto di Castelnuovo, e se non altro diverso dai soliti nella prima e ultima parte modenese, assolutamente tranquilla e senza traffico: i più anziani lo ricordano anche per le camminate del salumificio di Paganine e di un festival dell’Unità anch’esso consegnato alla memoria dei tempi duri e puri.
Iscrizione gratuita, partenza nell’ora civile delle 9,30, baciata dal sole (anche se i tanti vecchiardi insonni partono mezz’ora e più prima), e al traguardo ti danno addirittura mezzo kg di pasta e un buono-spesa da 5 euro (dunque, per chi fa il conto della serva, spendi di più se resti a casa). Oltre tutto a metà – per la cronaca, in territorio di Castelnuovo – c’è un ristoro con tè bello carico e caldo: mi sono chiesto come avrebbe fatto Giangi a chiedere il rimborso della quota di iscrizione… Ma per evitare imbarazzi Giangi aveva scelto altri lidi.
Supporto tecnico agevolato dal vecchio campione, ora scarparo di classe, Pietro Boniburini da Cavriago, che ha fornito l’arco gonfiabile del traguardo (e poco importa se glie l’hanno montato alla rovescia, cioè si parte sotto la scritta “arrivo” e si arriva sotto la scritta “partenza”): non ha ancora digerito la sconfitta della Reggiana a Modena, ieri, e si consola con una pagina falsa e ruffiana della “Gazzetta dello sport” che proclama la Juventus capoclassifica.
Disponibili a fianco un utile parcheggio (però non segnalato sulla via principale) e spogliatoi riscaldati, con possibilità di fare la doccia e di leggere le tattiche dell’Allegri di Portile in un tabellone murale che Mandelli (juventino pure lui, ma combattuto nell'amore della natia Monza) ha inserito nel collage qui sopra: un 4-2-3-1 dove i due centrocampisti arretrati Giovanni e Dade devono allargare su Ivan e Patta, i quali scatteranno alle estreme e crosseranno per Fausto, con Domenico appena dietro pronto a riprendere le respinte della difesa (l’ha copiato Mazzarri in serata, mettendo Raspadori dietro Osimhen, coi mirabolanti risultati che sappiamo). Quelli molto, molto vecchi ricordano quando DS del Portile era Emilio Ghelfi, ex “ciabattino del Modena” (come si definiva, perché aveva fatto le scarpe su misura a Brighenti e Pagliari, Ottani e Goldoni), la cui botteguccia di Corso Vittorio era la sede principe per il Processo del Lunedì; mentre qui vicino sta la fabbrica Richeldi il cui custode era Elio Grani da Vignola, roccioso stopper di Torino e Catania (in coppia col reggiano Fantazzi). Quanto all’attualità, è presente a Portile il quasi-direttore della tribuna del Braglia, nonché speaker di lusso (altrocché il povero Stefano della Nasi…), Giorgio Reginato, pure lui custode di memorie storiche del podismo. Come ne custodiscono Emilio Borghi e Vittorio Collese: insomma, anche a Porcile/Portile si ravviva la storia del nostro sport umile e ricco.
Oltre tutto, la lochèscion della corsa è utilissima per la tappa successiva (chissà se qualcuno l’ha fatta di corsa, in preparazione alla maratona di domenica prossima), fino al centro di Castelnuovo dove, all’ombra (si fa per dire) del monumento al maiale si svolge l’annuale fiera gastronomica, con l’ennesimo zampone da Guinness e soprattutto distribuito gratuitamente insieme ai fagioloni, che sono “la sua morte”, e a un ottimo grasparossa fermo. Eccellente organizzazione anche qui, come conferma (ma guarda un po’) la presenza di Giangi, che a Portile non si è nemmeno fermato e qui raggiunge il suo domenicale appagamento dei sensi.
Campogalliano e Formigine, i modenesi battono due colpi
25-26 novembre – Rieccoci qua, un anno dopo, a celebrare come si conviene due eventi modesti ma che ci tengono insieme e, con tutti i loro e nostri limiti, ci fanno sentire vivi, come nel 2022 quando si provava a riemergere dalla catastrofe. https://podisti.net/index.php/cronache/item/9525-formigine-raduna-i-mille-col-booster-di-campogalliano.html. Potrei riciclare quella cronaca pari pari e si adatterebbe perfettamente anche al 2023, i protagonisti sono esattamente gli stessi e solo qualche capello in meno o ruga in più certifica che è passato un anno; il clima fresco-soleggiato è identico e ci permette di spaziare da abbigliamenti tra il polare e la canottiera che il Fausto Coppi da Soliera indossa 365 giorni l’anno, riscaldandosi peraltro il cuore con la ricercata vicinanza a concorrenti donne.
Italo è sempre presente e come l’anno scorso mi gratifica di una dose omeopatica di foto che, in mano a Roberto Mandelli, assumono valore aggiunto.
A occhio, giudicando dalla facilità di parcheggio nei pressi dei ritrovi, sembriamo di meno, ma le classifiche finali attestano nella patria di Bonaccini più di 350 regolarmente iscritti; come al solito, c’è chi è partito prima perdendosi la serie di edificanti preamboli discorsivi tenuti sotto il gonfiabile: dove peraltro l’intitolazione “Nemmeno con un fiore” (9^ edizione) rende doverosa la riflessione su fatti recenti, e altri a mio parere ancora più tragici, perché prassi sistematica ma che si tende a dimenticare per bieche preclusioni politiche (tra Campogalliano e la Novellara di Saman Abbas intercorrono 25 km, non dico altro).
La corsa è comunque piacevole, in parte anche campestre e ariosa sfiorando il santuario della Sassola (il tracciato, su una distanza massima di 8 km, ricalca per un paio di km, in senso invertito, quello dei Diecimila della bilancia), ma entrando pure nel centro storico del paese, egregiamente sistemato attorno a quel gioiellino nascosto di piazza Castello.
Dal punto di vista podistico, è nota l’assenza di ristoro intermedio (questa volta non chiedo a Giangi se ha pagato l’iscrizione), ma resta garantita la confortevolezza di quello finale all’interno del caldo palasport: e se, oltre a Gabriele, tra gli organizzatori ringrazio Fabio Marri e la signora Daniela, non sto parlando di me stesso ma dei più insigni tra gli omonimi.
Per due euro di iscrizione (cui chi vuole può aggiungere l’acquisto benefico di altri gadget), il premio finale è a scelta tra tisane e pacchetto di pasta. Scontato il premio come prima società del Cittanova con oltre 100 iscritti, esattamente doppiando l’ex casa-madre della Madonnina che ne ha 50. E scalda il cuore vedere tante famiglie coi bambini, chi a piedi, chi in bicicletta, chi sulla carrozzina: grazie a loro, we shall overcome.
Mentre, fra gli attempati Paolino sembra ringiovanire, confessando che questa è una settimana di pausa prima delle maratone consecutive di Vidor e Malaga, e magari anche Cinisello Balsamo l’ultimo dell’anno su un circuito di 1200 metri.
Torniamo a casa in fretta per vedere Sinner dai riccioloni rossi come il Marri d’America, e l’indomani, “seempre guidati dalle foto di Italo” (sto citando Paolo-orsoyoghi-Mieli di Rai Storia), ci si ritrova tutti noi semicompetitivi a Formigine per la 12^ Camminata Avis. Alternanza dei venditori di scarpe identica al 2022: ieri Carlo da Correggio, oggi Pietro Boniburini da Cavriago e dintorni, che agli appassionati clienti mostra sue foto del secolo scorso dove appare insieme ai fratelli Gennari e nientemeno che a Rambo Benassi, non ancora pennuto ma molto più veloce di oggi.
Gli iscritti ufficiali risultano 980, poche decine meno dell’anno scorso; anche qui si cerca di ricavare, nel reticolo industriale che pervade questo distretto ceramico e meccanico, qualche chilometrino erboso; e tutto sommato il giro lungo di 13 km risulta abbastanza piacevole, specie se lo corro ai 6:15/km con la signora Margherita cognata di Italo (la sorella Cecilia è venuta di corsa direttamente da Sassuolo, in preparazione della maratona di Reggio) e con l’enologo Werter Torricelli, che ci illustra gli effetti nefasti degli additivi ai lambruschi di scarsa qualità.
Ottima organizzazione, con simpatica partecipazione delle ragazze targate Avis, strade perfettamente chiuse al traffico, due ristori intermedi e uno finale, dove il premio (sempre dietro corrispettivo di 2 eurini) è un chilo di pasta, e premiazione finale cogestita dalla sindaca (quella dell’autovelox proditoriamente installato sulla superstrada per Fiorano) e sobriamente microfonata da Giorgio Reginato.
Inutile dire che il gruppo più numeroso è il Cittanova, ma curiosamente con meno presenti di ieri (“solo” 95), davanti al locale Sportinsieme (72) e alle entusiaste ragazze dei Runners & Friends (69). Sembra quasi di tornare ai tempi d’oro del podismo amatoriale, con tutte le società modenesi che ne hanno fatto la storia (Madonnina, Guglia, Formiginese, Ghirlandina, DLF) ad affollare con le loro tende la piazza attigua al ritrovo: dove non può mancare Emilio Borghi, il più anziano podista modenese in attività (nel senso che esibisce i diplomi delle tre “Dala Zresa al Lambrusc” 1971-73), sempre presente alla maratona di Reggio dagli inizi al 2013.
E domenica torneranno le gare di quartiere, per finire l’anno modenese felicitandoci di essere ancora vivi e quasi vegeti, malgrado anche questa domenica i fiorentini a traffico limitato causa maratona ci giurino tutti i cancheri possibili esponendo cartelli del tipo “avete rotto il c* con queste maratone di m*, ma perché non andate a fare la corsina in campagna?”. E perché non ci vanno loro, in campagna? se l’onorevole Boschi mi invitasse a un picnic sull’erba, ci andrei anch’io. Di corsa.
Scandiano (RE) – 51^ “S. Caterina” e 34^ “Tre Croci”
12 novembre – 201 arrivati competitivi, più o meno nella media delle maratonine reggiane, cui vanno aggiunti grosso modo 700 non competitivi registrati (oltre a vari gruppi scolastici, non compresi nell’elenco ufficiale dei premi di società ma con premi monetari a beneficio delle scuole): non tantissimi, a dire la verità, per una gara in comune ai calendari reggiano e modenese, che in altri tempi raggiungeva e superava i duemila partecipanti. Eppure non ho mai parcheggiato tanto lontano dalla partenza (e sono 32 anni che frequento questa camminata, dalla ventesima edizione - terza come maratonina – del 1991; quando si partiva e arrivava in centro, e il premio-gara constava di una bottiglia di bianco dolce e una pizzata a prezzo convenzionato; e ci fu un dibattito tra il coordinamento modenese che pretendeva l’applicazione della propria quota di iscrizione di 1000 lire, e i reggiani che erano già passati a 1500…). Un anno o due i modenesi tentarono anche il boicottaggio, salvo accorgersi che i loro affiliati andavano comunque a Scandiano, e così siamo tornati a metterci insieme, sia pure a ranghi più ridotti.
Il passaggio, a principio del secolo, nella zona degli impianti sportivi (teatro anche della memorabile 24 ore, poi maratona serale a squadre, dove Govi faceva sempre misteriosamente il record stagionale) aveva reso relativamente più facile trovare parcheggio, anche per duemila; ma fin che l’organizzatore-capo era Paolo Manelli, i parcheggi erano indicati, adesso invece ci si butta un po’ ovunque non ci siano transenne o fettucce, regolare o no che sia il posto, fidando che i vigili siano impegnati a controllare gli incroci e non abbiano tempo per sindacare le soste.
Comunque, gara consolidata nel suo percorso (allungato di un paio di km rispetto alle origini), e partecipazione qualificata, con dominio modenese in campo maschile, e la singolarità che il vincitore sia anche il più giovane iscritto: Alessandro Pasquinucci, della Fratellanza Modena, ha vent’anni, e ha chiuso in 1.27:14. Anche il resto del podio è decisamente giovane: secondo con 1.28:35 Saimir Xhemalaj, 29enne Modena Runners, terzo Roberto Ferretti (Corradini Rubiera), 22enne, con 1.29:36. Sotto gli “anta” è anche il quarto, l’altro MRC Filippo Capitani del 1985, mentre il primo degli attempati è stato lo scandianese Davide Scarabelli che ne ha 48 e, come si suol dire, non li dimostra.
Coetanea di Scarabelli è la vincitrice, su un totale di 38 donne, Elena Neri (Pol. Rubiera, 1.46:46), davanti a Dinahlee Calzolari (Mud & Snow), vent’anni in meno e tre minuti abbondanti in più; terza Serena Borsari (Vittoria) che come età sta esattamente in mezzo alle prime due, e quarta la carpigiana Silvia Torricelli, reduce dal brillante piazzamento alla maratona di Assisi domenica scorsa (più coraggiosa di noi due anzianotti, il sottoscritto e Giorgio Saracini, che dopo Assisi oggi abbiamo trotterellato su lunghezze inferiori).
Tra le società, primo di gran lunga il Cittanova di capitan Valentini (80 iscritti), poi la Rubierese con 49, appena davanti ad altri due gruppi modenesi, la Guglia Sassuolo e Sportinsieme Formigine.
Percorso rigorosamente chiuso al traffico, ricco ristoro finale, premio per i non competitivi (che avevano pagato 2.50, come gli scolari) un paio di calze, prevalentemente da corsa. Personalmente, tra un percorso oggi per me inutilmente lungo, come i 24 km +450 D, e uno troppo corto e altimetricamente insignificante da 9 km, ho scelto una via di mezzo che mi portato, dal giro dei 9 fino a San Ruffino, poi attraverso una inedita carrareccia “Via Tre Croci”, appunto fino alle Tre Croci e poi ai cinque ripetitori del Monte Evangelo (luogo di passaggio del Furnasoun Trail estivo), con ritorno per gli ultimi 5 km dei tornanti che riportano in paese (e portano ancora i segni della Scandiano-Castellarano di luglio), e il vialone che adduce allo stadio, per una lunghezza complessiva di circa 12 km: occasione per vedere dall’alto il panorama brumoso di questa stagione, il grigio novembrino attraversato dai pennacchi bianchi delle ciminiere ceramiche. Per oggi, poteva bastare. Il resto, mi accontento di vederlo dalle foto di Domenico Petti cui in copertina ho fatto aggiungere da Roberto Mandelli un paio di scatti extra di Italo Spina.
Assisi, San Francesco Marathon: dare da bere agli assetati!
5 novembre - Nella giornata delle quattro maratone italiane, dove la più “italiana” è stata ancora una volta quella di New York con quasi 2400 danarosi connazionali partecipanti, la maratona di Assisi ottiene un risultato discreto in termini quantitativi, con 721 classificati di cui 152 donne, con l’aggiunta di 553 censiti nella 10 km competitiva (cui si è aggiunta una non comp di 5 km).
Per dare un quadro della giornata, la maratona più frequentata in territorio nazionale è stata quella di Torino, con 1319 sulla distanza completa e 1159 sulla mezza; in meno di un migliaio complessivi erano invece sul Lago Maggiore, dove solo 224 si sono cimentati sui 42 km, 144 sulla strana distanza dei 33 km, 429 nella 21 e 149 nella 10 km. Che fine abbia fatto la regola, o almeno l’accordo tra gentiluomini, che cercava di impedire concomitanze, di fronte a due maratone nella stessa regione e in località distanti 125 km l’una dall’altra (Torino-Arona), non so.
Meglio occuparsi di Assisi, di questa dichiarata prima edizione della San Francesco Marathon, nata sotto auspici altissimi che partivano addirittura dal Vicario di Cristo in terra e passavano dal santo più Santo dei santi, sotto la cui basilica avveniva la partenza, e nel cui luogo di morte era stabilito l’arrivo, di faccia alla “cupola bella del Vignola - dove incrociando a l’agonia le braccia - nudo giacesti su la terra sola!”, per dirlo con Carducci: il più anticlericale dei nostri poeti, che però di fronte al Santo prorompeva in un inno di alta spiritualità: “Qual del tuo paradiso in su le porte - ti vegga io dritto con le braccia tese - cantando a Dio: Laudato sia, signore - per nostra corporal sorella morte”.
Cosiddetta prima edizione, dunque, e questo varrà a scusare (almeno in parte) la carenza organizzativa più grave, di cui parlo sotto. Ma molti di noi ricordavano bene le due edizioni della stessa maratona, l’ultimo giorno degli anni 1999 e 2000, con percorso invertito (partenza da S. Maria degli Angeli e arrivo nella città alta), e tracciato che si spingeva a ovest fino a Bastia Umbra, mantenendo invece il giro di boa orientale nella bellissima Spello (vedere foto 68 e 69 allegate). Dunque, gara altimetricamente più dura allora: nella versione odierna il Gps mi dà, tra i 318 metri della partenza e i 152 dell’arrivo, una discesa complessiva di 362 metri, ma con 216 metri di salite; insomma, una cosa abbastanza ondulata, che spiega i tempi non eccelsi dei vincitori: il titolato Lorenzo Lotti, trentanovenne assessore forlivese, si aggiudica la gara con 2.36:54, ben lontano dal 2.30:26 con cui vinse a Busseto nel 2019 e dal 2.31.53 di Messina (per citare una distanza con planimetria omologabile). Precede di oltre due minuti Federico Furiani, di oltre dieci Evgenyi Glyva.
Tra le donne, successo della solita riminese Federica Moroni, 51enne che inanella vittorie in gare di livello tecnico non eccelso e qui ha regolato le compagne con 2.55:35 (il suo primato sta sulle 2.48); la seconda, e sua coetanea, Paola Salvatori sta a due minuti, poi un abisso prima della terza, Cristina Mercuri, che pure ha dieci anni di meno.
Certo però che se riprendo in mano le classifiche delle due edizioni di cui sopra, trovo che col tempo di oggi, il primo uomo sarebbe stato settimo nel 1999 e 12° nel 2000; la prima donna rispettivamente quinta e sesta (la nostra amica reggiolese Antonella Benatti, quinta nel 2000 con 2.54, oggi avrebbe vinto). E, ripeto, gli ultimi 2,195 dei percorsi di allora erano sui tornanti che portano in centro (personalmente, chiudendo fra i 3.52 e i 3.54, ci impiegai un quarto d’ora pulito). Chi lo sa: ma non è da oggi che si scopre l’involuzione tecnica della maratona italiana, che per giunta riposa nelle gambe di atleti con cognomi difficili da pronunciare. Troppo faticoso, per il trentenne discotecaro e tiktoker di oggi, preparare come si deve 42 km: meglio puntare ai prosciutti delle 10 km. Siamo rimasti noi, trenta-quarantenni delle Assisi di allora (eravamo in 897 nel 1999, in 762 nel 2000: ma all’ultimo dell’anno, coll’eremo delle Carceri sotto la neve e il Subasio ghiacciato!), dove oggi torniamo da settantenni, e i più bravi di noi impiegano un’ora più di allora, ma c’è anche chi sfora le due ore: nel 1999, Giuseppe Togni, classe 1926, finì in 4.34, che gli avrebbe garantito oggi un piazzamento intorno al 350°.
Eppure noi sopravvissuti ci siamo ancora e accettiamo con filosofia il passare degli anni, salutando e incoraggiando i non moltissimi “giovani”, o almeno, più giovani di noi, che a quelle Assisi non c’erano ma in queste ci fanno compagnia; e permetterete il campanilismo di segnalare il 5° posto femminile della carpigiana Silvia Torricelli, una “ragazza” che tra un mese compirà quarant’anni e qui è venuta a fare un pazzesco 3.18 (ma otto mesi fa a Roma era stata sulle 3.10); e di Simona Bacchi, qualche annetto in più e mamma due volte, che in compagnia del marito Alessandro Mascia ha sofferto ma chiuso appena sopra le 5 ore. Né manca Rita Zanaboni, la fornaia del Naviglio, che nel 2000 mi diede 10 minuti, esattamente quelli che stavolta le restituisco io; ed è impossibile non citare Angela Gargano, primatista di tutto, che c’era in 5.07 e c’è oggi in 5.59: “ho combattuto buone battaglie e non ho perso la fede”, potrebbe dire col marito Michele Rizzitelli.
Non è un caso che il nostro primo incontro avvenga sulla tomba del Santo; come alla prima di Milano, sempre in quei tempi antichi, avvenne alla messa in Duomo. Nei tempi antichi Michele ad Assisi arrivava un quarto d’ora dopo di me; ora invece mi supera al km 39,5 e mi infliggerà quasi 4 minuti.
Torniamo alla vigilia, o come dicono in Tv “riavvolgiamo il nastro” (senza dire se intendono i VHS o i Beta o i Geloso o le audiocassette, o semplicemente ripetono una frase fatta senza conoscerne il significato). Questa nuova edizione, accuratamente preparata già in altissime sfere (la prima volta, pre-Covid, che me ne parlò il padre Castrilli, mi pregò di non pubblicare nulla), rinviata e alla fine fissata per questa prima domenica di novembre, si basava su una logistica eccellente della quale mi basterà citare la prenotazione alberghiera attraverso la Pro Loco “Umbriasì” che dava diritto non solo al rilascio tardivo della camera ma anche a una tariffa ridotta sull’iscrizione (40 euro, chi è andato a New York faccia la differenza; il pacco gara contiene una bella maglietta a maniche lunghe, che aggiungerò alle due felpe argento e blu degli anni antichi, ma tuttora in pieno uso).
Scelgo un albergo a 50 metri dal Duomo e 150 dal parcheggio principale della città, nella zona forse più caratteristica e commovente di questo borgo che, anche senza San Francesco, sarebbe tra i più stupendi d’Italia (e poi ci aggiungete Cimabue, Giotto, Simone Martini, i versi di Dante, e alla prossima politicante che esecrerà il “ritorno al medioevo” risponderete: magari!). Ritrovo in albergo una legione di concittadini e colleghi di pratiche podistiche, altri ne vedo al ritiro pettorali presso S. Maria (e alle 18 il vescovo celebrerà la messa per noi, con benedizione speciale), altri in giro per i meravigliosi itinerari delle vie S. Francesco, Mazzini, delle chiese di S. Pietro, S. Chiara ecc.: che emozione vedere le scarpe e le calze di Francesco piagato dalle stimmate (tessute da Santa Chiara?).
La notte diluvia e tira vento, ma siamo confortati dalle parole di Alessandro Mascia, che alle 9,30 di domenica smetterà. Ci incamminiamo verso il ritrovo di piazza S. Francesco, infatti, che sta sgocciolando con 14 gradi, e un quarto d’ora prima del via spunta addirittura il sole, accolto da un applauso che ci asciuga gli occhi lucidi dopo la solenne lettura della “preghiera del maratoneta”: grazie Signore perché mi fai correre e non mi lasci solo al km 35… questo mio correre è una preghiera di lode a te che ripeto anche negli ultimi, interminabili, 195 metri della maratona della mia vita. (Lungo il percorso, leggeremo con occhi più stanchi altri cartelli in tema). Festoso ritrovo con gli amici di tante 42, che lo zelante Roberto Mandelli ha voluto assiepare nel solito magistrale collage qui sopra, una foto che forse assembla (che so?) ottomila maratone percorse in tutto da chi appare (io sono tra i più scarsi: non ancora 400…; Giovanni Baldini punta più in alto, ed ha appena finito di scalare attorno a quota 6000).
E si va: un km e mezzo di discesa, nemmeno tanto veloce perché siamo intruppati; poi l’arrivo a S. Maria, primo ristoro di sola acqua e insufficiente a contenere le richieste (decido di soprassedere). Si va per la piana del Subasio, fino a Rivotorto dove ci si entra in una via parallela alla superstrada che grosso modo seguiremo fino a Spello, passando il controllo della mezza poco prima. Uno dopo l’altro, gli amici mi passano: aspettavo Paolino Malavasi verso la metà, invece già al 15 mi supera, con Vanni Casarini cui ricordo il nostro sprint a Malcesine, chissà se in questo o nel secolo precedente. Vanni è troppo più forte, andrà addirittura a prendere Maurito Malavasi sul limite delle 4.45, ma anche papà Paolino mi resterà sempre davanti, accumulando al traguardo una decina di minuti.
Una allegra giovane signora mi raggiunge canticchiando “tu sei stanco, tu sei stufo”: ometto il suggerimento sul modo con cui potrebbe rivitalizzarmi (anche perché sta con una amica e non so se pure a questa poi verrebbero tentazioni poco francescane), e una decina di km dopo, quando le risorpasserò, farò semplicemente notare la mia presenza: ricevendo in risposta solo un sospiro pre-agonico.
Dopo Spello comincia la parte meno godibile del tracciato, un rettilineo infinito di almeno 3 km, poi una curva e un altro rettilineo, quasi tutto contro vento in direzione di Cannara: altro borgo delizioso, col centro storico oltre il fiume Topino (ricordato da Dante in quell’immortale canto XI del Paradiso) che percorriamo in tondo, rendendoci però conto (io almeno) di non averne più.
E’ facile trovare la scusa nella scarsezza o addirittura assenza dei ristori: di sola acqua fino a metà (in uno compaiono pallidi integratori), poi senza bicchieri al km 25 ma in compenso con minimozziconi di banane che un po’ ci alleviano l’arsura; sola acqua al km 30 (stanno versando le bustine di integratore in altre bottiglie d’acqua: aspetta e spera), acqua integratore e banane al 35, niente di niente al 40. Evito di coprire di insulti gli addetti ai ristori, ma santiddio, quando vedete che avete gli ultimi 50 bicchieri o le ultime dieci bottiglie d’acqua, non potete telefonare agli altri ristori, o al limite al traguardo, perché vi portino soccorso? In qualunque posto, sarebbero bastati 5 minuti di auto per recapitare materiale; o malissimo che si mettesse la cosa, suonate a una casa vicina… Al km 28 una signora davanti a casa sua ha in mano una bottiglia di acqua frizzante fresca, e le impartisco una benedizione degna di San Francesco: non sarebbe stato vietato fare una ricerchina del genere, alla peggio in direzione di qualche fontanella pubblica.
Comunque, ripeto, questa è una scusa, e potrei sommarci una sciatica che mi salta fuori al km 30 e mi impedirà di spingere con una gamba per il resto della gara; ma so bene che il motivo alla base rimane “senectus ipsa est morbus”, e che comunque l’Assunta Fava, che mi raggiunge al km 36 e alla fine mi darà 8 minuti, mi batte perché è più brava e più fresca di me. In maratona non c’è l’arbitro venduto che ti regala o nega il rigore: chi arriva davanti vale di più, e se nella mia classe di età risulto decimo su 21, significa che 9 sono più bravi di me e 11 meno bravi (o, diciamo, più sensibili alla sete, che però fa arrivare al traguardo anche me con le labbra screpolate).
Ultimi km un po’ squallidi, prima dell’arrivo scenografico a S. Maria. Bel medaglione, pesante, tondo e dorato come usava una volta; soccorso immediato, dopo l’arrivo, con acqua fresca, prima di costringerci ad altri 150 metri per il tendone dove sta un ristoro più vario (mica tanto: acqua, pallidissimo integratore, pane con l’olio, spicchi d’arance e banana). Lo speaker continua a scandire i nomi di chi arriva, compresi i mostri sacri, i “millenari” Gambelli, Ancora, Zanta, Zanaboni, Gargano; le navette continuano a riportare verso gli alberghi di Assisi chi ne ha bisogno: nel mio, il late checkout verrà allungato senza problemi, per una doccia rigeneratrice e una ripartenza nel sole, e verso il tramonto, nell’aurora boreale.
Non so se sia l’effetto-maratona: ma l’indomani all’una, su Rai 3, l’ubiquo Paolo Mieli, seeempre accompagnato dai suoi gioovani stooorici o semmai attori di wikipedia, dedica il “Passato e presente” alla storia di S. Francesco. Eppure sul Santo ci basta Dante: “Pensa ormai qual fu colui che degno – collega fu a mantener la barca – di Pietro in alto mar per dritto segno… qual segue lui, com’el comanda – discerner puoi che buona merce carca”.
Bondeno (FE) – 30^ e “ultima” Spadzada
1° novembre – Si torna a Bondeno, per la gara più agonistica della giornata mediopadana, di cui si annuncia l’ultima edizione, e forse per questo la partecipazione è aumentata (chissà che non sia lo stesso stratagemma della non lontana Crevalcore, dove ogni anno la maratona è annunciata come ultima). A Bondeno la classifica finale mette in fila 174 atleti contro i 140 del 2022, anche grazie all’apporto di società extraferraresi come i Modena Runners che portano al via 25 competitivi per il loro campionato sociale.
È passato un anno, ma il ponte in centro paese è allo stesso punto di prima (cioè inagibile)
https://podisti.net/index.php/cronache/item/9431-bondeno-fe-29-na-spadzada-par-bunden.html
e dunque siamo tutti sottoposti a quel paio di km in più, segnalato sì e no. Gioiscono i benzinai, aspettiamo il parere di Greta e dell’Arpae. Nessun problema comunque per i parcheggi, mentre la zona del ritrovo è totalmente pedonalizzata.
Ci accoglie la voce di Michele Marescalchi, che dà il via e registra gli arrivi delle competizioni giovanili, in anteprima a quelle degli adulti: questi ultimi hanno a disposizione 9 km competitivi e 5 non competitivi. Come d’abitudine, molti col pettorale non comp da 3 euro fanno i 9 km da 10 euro: la differenza starà nel pacco gara (quest’anno, niente zucca ma pasta, vino e bevande), oltre che nella classifica garantita solo per quelli che hanno il chip.
A vincere è Federico Antoniolli, un bondenese del 1985, in 30:34, a 50 secondi dal tempo del vincitore 2022, ma oggi 11 secondi meglio di Buono De Togni (Tornado), e con un netto vantaggio su tutti gli altri (il terzo, Antonio Adamo, accusa un minuto dal primo).
Più numerosa e qualificata dell’anno scorso la partecipazione femminile, che segna il trionfo della reggiana Rosa Alfieri, classe 1970, 26^ assoluta in 35:38, cioè due minuti meno della vincitrice 2022 e, oggi, 33 secondi meglio di Elena Agnoletto (1979, Formignana), con la terza, Rosanna Albertin, a un minuto e mezzo.
Percorso rigorosamente chiuso al traffico (la parte più bella erano i primi sinuosi km sull’argine del Panaro), e ottimamente presidiato; ristoro unico, solo al traguardo, un po’ lento: quando tocca a me (religiosamente rispettando la coda) sono finiti i bicchieri e bisogna andarli a cercare. Premiazioni dei meglio classificati, ricche per le categorie non veterane e molto avare, secondo tradizione, per gli over 53 anni.
Ci si vede, o non ci si vede, tra un anno.
La mezza di Zibello incorona i campioni provinciali parmensi
22 ottobre – La 3^ Maratonina del Culatello era la terzultima delle 21 prove del circuito provinciale podistico di Parma, e valeva come prova unica per il titolo di campione provinciale della specialità. Così denominata perché incentrata in una delle aree regine al mondo del mangiar bene, cui è anche intitolato uno dei tre itinerari gastronomici della provincia (la “Strada del Culatello di Zibello” lungo il fiume Po, nella terra d’origine del Culatello, della Fortana e della Spalla Cotta di San Secondo); ma è anche la terra dove i lettori di Guareschi, più che i semplici spettatori dei film, ritrovano i luoghi dove sono ambientate le storie del Mondo Piccolo.
Non a caso, Guareschi è nato a 8 km da Zibello, a Fontanelle: qui la sua casa natale ha ancora il balcone da cui il leader socialista Giovanni Faraboli, ispiratore del personaggio di Peppone, espose il neonato Giovannino al popolo radunato per il 1° maggio 1908 (foto 22-27); ed alla piazza del capoluogo Roccabianca, ed alla sua chiesa (foto 17-21), pensava quando vi immaginava i suoi eroi, che poi vagabondavano per i dintorni, da Stagno a Ragazzola al Crociletto a Diolo coi suoi due campanili, e soprattutto sull’argine del Grande Fiume percorso allora dalle strade di grande comunicazione e ogni tanto attraversato da ponti di barche (si tentò di farne uno, nel dopoguerra, anche a Zibello, ma la cosa ebbe esito solo nel 1980 e non esattamente in corrispondenza del paese).
Non sarà un caso che Gian Carlo Chittolini, padre della maratona verdiana e della 50 km di Salsomaggiore, aveva immaginato una maratona guareschiana, da svolgersi appunto il 1° maggio, congiungendo idealmente l’area di Zibello-Roccabianca a quella di Roncole-Busseto (dove Guareschi visse gli ultimi anni, è sepolto e ha lasciato un grande archivio-museo) ed a Brescello, divenuto “il paese di don Camillo” per merito del regista Duvivier che non ritenne abbastanza fotogenica la piazza di Roccabianca. L’idea non si realizzò, eppure anche ora il 1° maggio è una data cui manca una grossa 42, dopo il flebile esito di quelle tentate in Piemonte (ma purtroppo Chittolini si gode una seconda giovinezza a Tirrenia e pare che si trovi troppo bene in riva al mare per aver nostalgia della Bassa).
Veniamo a oggi, anticipando che la maratonina (due giri quasi uguali, metà su strada e metà sull’argine del Po, il che ha prodotto un dislivello complessivo di 50 metri), con alcuni passaggi suggestivi tra cui la bellissima chiesetta sul fiume al km 8-19 (foto 15-16, 34-38), monumentata da lapidi con brani di Guareschi, Pavese e di quell’altro cantore del Po che fu Riccardo Bacchelli, è stata vinta da Claudio Tanzi (M 45 del Circolo Minerva) in 1.15:57, un minuto e 15” su Simone Pau (M 40, Casone Noceto) e 1’30” su Michele Capretti, under 34 del Casone. Noterò che il 19° assoluto si chiama Giovanni Guareschi (CUS Parma).
Tra le donne ha prevalso Blerina Blegu (F 45 del Marathon Cremona) con 1.25:46, per cui il titolo parmense è andato a Silvana Cristaldi (FM 40 del Casone), 1.27:45, davanti alla compagna di squadra e coetanea Evgeniya Kovaleva (1.29:52). Appena dietro, con 1.30:36, è giunta la vecchia amica (s’intende per data di conoscenza, che risale al secolo scorso in terra veneta) Emanuela Pagan, alias signora Fanfoni, ovviamente Polisportiva Torrile, mamma della biondissima Aurora e valida insegnante di sport per i più giovani.
E lasciatemi andare verso il fondo della classifica (227 arrivati, non male, senza contare i partecipanti alle 5 e 10 km Fiasp) per salutare la campionessa delle M 75, Raffaella Dall’Aglio del Casone, compagna di infinite corse emiliane (ne ricordo una a S. Ilario il giorno di Pasqua, forse trent’anni fa).
Giro, come detto, piacevole sebbene ci sia mancato qualche tratto nel greto del Po come sogliono darci i vicini reggiani; in compenso, dall’alto dell’argine lo sguardo spaziava sui tanti campanili che punteggiano questi territori. Un solo dubbio di segnalazione sul percorso, proprio a 400 metri dall’arrivo con l’ingresso nel rettilineo finale del quartiere Pallavicino (foto 11): siccome ci si arrivava, nei due giri, da due direzioni opposte, si era pensato bene di non mettere frecce né sbandieratori; meno male che nel primo passaggio ho visto il Fanfo che portava a spasso l’Aurora e mi sono diretto verso di lui…
Iscrizioni della competitiva, per i “foresti” non iscritti al campionato, a 10 euro + 3 di affitto del chip (col corrispettivo di una maglietta griffata); per i non competitivi, secondo le tariffe Fiasp. Quattro ristori in gara, di sola acqua (non ditelo a Giangi), mentre al traguardo c’erano anche succhi di frutta, biscotti e dell’ottima crostata.
C’è tutto il tempo, prima di rientrare a casa, per rivedere i luoghi guareschiani di cui dicevo, che includono le memorie di Faraboli e del grande critico cinematografico Pietro Bianchi, pure lui di Fontanelle e quasi coetaneo di Guareschi, coi cui giornali collaborò sotto lo pseudonimo di Volpone, venendo infine a morire a Baiso nel reggiano nel 1976. Si corre sempre volentieri, ma la corsa non è tutto nella vita.
Al "Tre Croci Trail" Uccellari e Cerciu festeggiano i compleanni stravincendo
Marano sul Panaro, 15 ottobre – Erede di una corsa nata da pochi anni per sostenere le scuole locali, questo Marun (nome che in bocca lombarda non suonerebbe molto elegante) ha imboccato più decisamente la via del fuoristrada, assegnando al percorso lungo di 16,5 km il nome di “Tre Croci Trail”.
Già, perché non c’è montagna che si rispetta che non abbia tre croci su un cocuzzolo (magari, come succede a Scandiano, croci sommerse dalle antenne di radiotv e telefonini), e in attesa che quelli là non chiedano e ottengano dal CAI il loro sradicamento, gli organizzatori podistici ne fanno meta o intermedio di apprezzate gare.
Non poteva essere diversamente qui a Marano (per i non modenesi: paesone poco a sud di Vignola, all’incrocio di strade importanti per Sestola, Bazzano-Bologna, Serramazzoni, e di altre stradine sui due versanti della Valpanaro predilette dagli allenamenti podistici), dove il podismo che conta è gestito da Mud&Snow, negozio e società sportiva ricca di adepti e iniziative, tra cui la consuetudine dell’allenamento serale su due percorsi fissi, uno dei quali è stato sfruttato nella corsa di oggi (cui si è affiancata una non competitiva di circa 8 km, che dicono molto gradevole come appare da alcune foto del servizio allegato).
Percorso circolare, che dopo 4,5 km sostanzialmente in piano a quota grossomodo di 150 metri lungo la carraia che fiancheggia la riva sinistra del Panaro, si inerpicava per circa 3 km (corribili solo dai campioni) fino a un’altitudine massima di 540 metri; dopo di che, raggiunto il crinale, ovviamente dotato di saliscendi abbordabili, costeggiava a distanza il bellissimo borgo di Denzano (dove nelle prime edizioni di questa gara c’era il giro di boa), saliva alle Tre Croci, con un bel panorama che foschia permettendo si estendeva fino a Modena e oltre, per poi discendere su single track (da affrontare con cautela, delicato ma non pericoloso) e qualche breve tratto di asfalto fino a circa il km 11. Poi ultima risalita (anche qui, i campioni avranno corso, non certamente quelli del mio entourage) fino a una grande acetaia/agriturismo, e il ritorno a Marano per la discesa asfaltata che in senso opposto conduce a Villabianca (altra meta di una corsa a cronometro ormai leggendaria, che partiva dall’altro versante, quello di Castelvetro).
Il Gps mi conferma 16,650 (a un vicino di gara dava più abbondante) e in merito al dislivello sta sopra i 600 metri (rispetto ai 500 promessi dal regolamento). Quanto al risultato, è stato un trionfo incontrastato del triatleta olimpico (Londra 2012) Davide Uccellari, modenese qui coi colori MDS, che in questi giorni ha compiuto 32 anni e li ha festeggiati con 1.13:30, cinque minuti e mezzo sul secondo William Talleri e nove sul terzo Andrea Aldrovandi.
Analogo dominio tra le donne, dove Mirela Alice Cerciu (Corradini Rubiera), che curiosamente ha appena compiuto anche lei gli anni (30), con 1.32:12 ha dato 5’15” a Ramona Barbieri e quasi 11 a Sonia Lauria.
Solo 100 sono gli arrivati della classifica ufficiale (fornita da Endu-Evodata), e qui mi si conceda una duplice tiratina d’orecchie: a occhio, i partenti (vedi foto a sinistra del collage di copertina, come al solito messo insieme da Roberto Mandelli) saranno stati il doppio, incluse amiche amici e conoscenti miei ma di cui non farò il nome perché non li vedo in classifica. Evidentemente avevano il pettorale non competitivo, che in teoria li avrebbe dovuti limitare agli 8 km.
Se questo non è un atteggiamento corretto al 100%, bisogna però guardare anche l’altro lato della cosa: l’iscrizione costava 18 euro, dunque un po’ più del canonico euro/km, ma soprattutto le procedure erano complicatissime, gestite non da Mud& Snow ma dalla Proloco di Marano, che si valeva di un sito spagnolo (!) che pretendeva una quantità industriale di moduli da compilare (manco fossimo ancora al tempo del Covid), e poi si faceva anche la cresta di € 1,80.
Posso dunque capire (non giustificare!) la rinuncia di molti ad acquistare il pettorale competitivo: personalmente l’ho acquistato, ma per esaurimento mentale e in segno di sfida non ho compilato la dichiarazione di scarico di responsabilità, e alla consegna del pettorale nessuno me l’ha chiesta, come non mi ha chiesto il certificato medico che saremmo stati obbligati a esibire (in Spagna sono rimasti alle gride manzoniane firmate da Ferrer e dal conte di Olivares?).
Cresta identica di 1,80 imposta anche per la non competitiva, il cui prezzo base era di 3 euro (ma bisognava stare attenti a cancellare l’assegnazione della maglietta, altrimenti vi costava altri 10 €) e dunque con una tassa del 60%. Ecco la ragione della duplice tiratina d’orecchie (meno male che non c’era Giangi, che avrebbe risolto alla radice il problema-prezzi).
Peraltro, il percorso era gestito impeccabilmente, segnatissimo e con numerose “frecce umane” che indicavano e sorvegliavano gli incroci; tre ristori sul percorso e uno in fondo, ben forniti di liquidi, solidi (dalla frutta alle torte) e di belle ragazze a servirci (come vedete dalla foto in basso a destra del collage mandelliano). Spogliatoi con docce a fianco dell’arrivo; possibilità di pranzo a prezzo convenzionato; pacco gara che includeva maglietta, asciugamanini, marmellata e gadget minori. Premiazioni ai primi e alle prime dieci assolute, senza categorie.
Parcheggi carenti in zona (pieno centro del paese), salvo infilarsi in una piazzetta senza uscita a sinistra della partenza, bella comoda ma dove, guardando bene, un divieto d’accesso “salvo autorizzati” si nascondeva tra le chiome rigogliose e non potate di un albero, restando invisibile a chi entrava stando seduto alla guida. Speriamo che l’eventuale fotocamera sia gestita cum grano salis, e così potrei confermare la risposta alla domanda postami da chi mi ha messo al collo la medaglia (per la precisione, un rettangolo di plastica rossa di cm 7x3 con bassorilievo e traforo): Ti sei divertito? – Certo che sì!