Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
La Corsa della Bora nella tempesta del “Green pass rafforzato”
Trieste, estrema propaggine d’Italia, eppure è divenuta così “centrale” per le ultime settimane di vicende Covid, con un significativo aumento dei contagi precipitosamente addebitato alle marce di protesta (mentre è più verosimile che nascesse dalla contiguità con la Slovenia, dove la situazione virale e vaccinale è decisamente peggiore. Quali che ne siano le cause, bisogna fare i conti con le conseguenze e coi provvedimenti, mutevoli e a volte contraddittorii, presi dalle pubbliche autorità.
Ecco dunque gli organizzatori della “Corsa della Bora”, prevista nelle sue varie distanze (da 21 a 80 km) il 9 gennaio 2022, impegnati nella dura lotta per realizzare un evento ‘legittimo‘ e regolare, a un anno di distanza dall’edizione che ha visto 1100 concorrenti correre in piena pandemia, con misure di sicurezza elevatissime: ecco quanto fanno sapere fin d’ora.
Oggi, a differenza dell’anno scorso, ci troviamo nel mezzo di una situazione di grande conflittualità, di divisioni e rabbia.
Trieste, città della cultura e della scienza, città che con la Corsa della Bora, nel 2021, ha per prima fatto vedere come si può correre in sicurezza, da alcuni vuole essere propagandata come capitale mondiale della protesta e della divisione.
Trieste è un crocevia di culture, di idee e con chiese di tutte le religioni, una accanto all’altra. Una città di cultura, scienza e rispetto delle idee.
Questa è la Trieste che conosciamo, la Trieste della Bora, di Umberto Saba, Italo Svevo e Margherita Hack.
La situazione normativa per gestire un evento come la Corsa della Bora è piuttosto articolata [incasinata, se potessimo usare un termine poco diplomatico, NdR].
Stando ai protocolli AICS per gli atleti non sarebbe richiesto il Green Pass, per quelli FIDAL lo sarebbe.
Per le non competitive non sarebbe richiesto, per gli sconfinamenti nelle gare transfrontaliere la situazione si complica ancora.
A questo aggiungiamo i ristori al chiuso, la gestione delle docce e degli spogliatoi e il pernotto in gara in spazi condivisi per la gara su lunga distanza.
Questa situazione variegata ci consentirebbe, di fatto, di creare gare per ogni gusto. Di fare correre e partecipare tutti, con un ventaglio di opzioni che vanno dal Green Pass Rafforzato alla semplice autocertificazione e controllo della temperatura.
La domanda da porsi, nelle ore in cui il Governo pensa a un lockdown di 15 giorni da dopo l’evento, non è tanto cosa sia meglio fare a livello organizzativo e di marketing.
La domanda da farsi non è quali opportunità potremmo cogliere in questo momento.
La sola domanda è cosa sia più sicuro ed eticamente corretto nei confronti dei concorrenti.
Una non competitiva ad oggi, anche con il DL Super Green Pass, consente la partecipazione senza Green Pass e senza tampone negativo. Ma i ristori, i servizi e gli spazi che questi atleti occuperanno, saranno i medesimi degli atleti che hanno fornito maggiori garanzie di sicurezza. Questo non sarebbe eticamente corretto e non garantirebbe le medesime condizioni di sicurezza per tutti gli atleti.
In quest’ottica il comitato di gara ha deciso quanto segue:
Per partecipare alla manifestazione sarà richiesto a tutti, anche ai non competitivi, di avere: doppia vaccinazione, o tampone negativo entro 48 ore dalla gara (effettuato e certificato da un medico), oppure avvenuta guarigione da COVID negli ultimi 6 mesi.
Chi vorrà ritirare il pettorale in qualsiasi punto o con qualsiasi metodologia prima delle 48 ore dallo start della gara, dovrà caricare sul sito un green pass che attesti la doppia dose o la guarigione, in corso di validità al giorno della gara.
Tutti gli atleti dovranno compilare la liberatoria che attesti l’assenza di sintomi o contatti con infetti nelle ore e nei giorni antecedenti alla gara.
Per gli atleti, l’accesso ai ristori in gara, al ristoro post gara sulla finish line, accesso alle navette e trasporti, spogliatoi o docce, valgono gli stessi requisiti di partecipazione alla gara.
Per la ristorazione al tavolo post gara, o per l’accesso all’evento da parte dei visitatori, sarà necessaria la doppia vaccinazione o l’avvenuta guarigione. Green pass rafforzato.
La liberatoria aggiornata ed il modulo caricamento GreenPass (per chi volesse ritirare prima il pettorale) saranno disponibili sul sito, dal profilo runner, a partire dall'8 dicembre.
Nashville, è ripartita la maratona di una città-mito
20 novembre – “Congratulazioni per esserti iscritto alla maratona di Nashville del 25 aprile 2020”… Immaginate come è andata (il 14 marzo scattò il travel ban, divieto d’ingresso per gli stranieri, abrogato solo l’8 novembre scorso). Primo “deferral” al 24 aprile 2021; idem con patate. Finalmente, la data buona diventa il 20 novembre 2021, ma gli organizzatori (ai quali erano bastati poco più di 60 euro per iscriversi, senza nessuna cresta “alla bolognese” per confermare la partecipazione) avevano offerto ben 15 altre possibilità, ricavate in massima parte dal circuito “Rock’n’Roll” che annovera, per esempio, le maratone di Washington, San Diego, San Antonio, o le mezze di New Orleans, Virginia Beach ecc.
Torno a Nashville dopo tre anni; c’è una ragione di più per portarmi qui, un diabolico frugoletto dal doppio passaporto e dai riccioli rossi, patito dei cars e dei trucks, che comincia a chiamarmi nonno e in braccio al nonno smette immediatamente di strillare.
Ma c’è anche il fascino di questa terra favolosa, tutta un’altra America rispetto a quella dell’inflazionata East Coast, e che si rinnova, pur conservando immutate le sue caratteristiche di città honky tonk, dove in ogni ristorante e bar del centro un complessino suona a getto continuo, e tu puoi entrare senza pagare e metterti ad ascoltare per quanto vuoi (e se suonano The house of rising Sun, scusate ma a me viene un groppo alla gola); o se credi, puoi aggiungerci un bicchierino di Jack Daniels (prodotto nei dintorni), o ancora fidarti dei cuochi tuffando il naso e la forchetta nei piatti misti di carne, patate, funghi, magari anche pesce gatto o alligatore, su cui versare il succo di acero allo stesso modo di Rain Man.
Rispetto a tre anni fa, altri grattacieli si sono aggiunti alla skyline già resa celebre dalla torre, detta “Batman” per le sue orecchie che svettano; e altri musei, di cui non c’è l’uguale altrove: il rinnovato Museo di Stato che esibisce le Colt e le Remington dell’epopea del West (raccontata in modo politicamente correttissimo), la divisa del sergente York (uno di queste parti) che da solo catturò 200 tedeschi nel 1918, o i cimeli di Wilma Rudolph che correva per l’università del Tennessee. E il nuovissimo museo della musica afro-americana, aperto nel 2020, dove ti attacchi alle cuffie e puoi ascoltare e/o vedere Chuck Berry di Johnny B. Good, Mahalia Jackson di We shall overcome, Aretha Franklin in I say a little prayer, e di ognuno conoscere gli influencers, i peers e i followers, dunque da Duke Ellington e Miles Davis ai Rolling Stones e Janice Joplin. Io non so se in Italia ci sia un museo del genere; e se anche ci fosse, ai loro Elvis, e Wilson Pickett o Little Richard noi potremmo contrapporre Little Tony e Orietta Galimberti, magari anche Robby Crispiano ("Uomini uomini...") e Piero Inzaina ("Ti vedo dopo messa - mantieni la promessa") per concederci il lusso.
Veniamo alla maratona, che ha subito una flessione negli arrivati, ma non negli iscritti: voglio dire che se questa volta siamo stati classificati in circa 1600 (ma in 6667 della mezza maratona), contro i circa 2000 del percorso “full” nel 2018, gli iscritti erano praticamente il doppio. Un cartello ironico visto lungo il percorso era “Ti ricordi di esserti iscritto nel 2019?”; e per entrare nel concreto, delle 133 iscritte della categoria femminile 18-24 anni, ne sono arrivate 71 (e sfido qualunque maratona italiana o europea a classificare 71 donne under 25); della categoria W 25-29, su 243 iscritte sono arrivate in fondo 112. Vi rendete conto, 183 ragazzine sotto i 30 anni che finiscono una maratona (e con tmax di 6 ore, mica le 8/10 ore delle 42 per sfi...duciati nostrani)?
Significativo che il vincitore di oggi, Will Cadwell da Cincinnati (2.26:45, in un tracciato con 350 metri di dislivello) abbia 20 anni e non ricordasse più di essersi iscritto due anni orsono, tant’è vero che due settimane fa aveva corso la mezza di Indianapolis; qualcuno gli ha ricordato in extremis l’“impegno”, ed eccolo qua. Tra le donne ha prevalso una 36enne nashvilliana di origine messicana, Gisela Olade (2.46:11). Tutti nashvilliani i podi della mezza: primi il 27enne Nick French con 1.10:18 e Meg Murphy con 1.23:38.
Le due gare sono partite insieme, alle 7,20 di mattina, precedute alle 6,30 dalla 5 km per tutti (con medaglia e classifica comunque, non le tapasciate italiche che servono agli organizzatori di maratona per millantare 5000 partecipanti di cui 500 alla 42km), nella classica location di Broadway, tra l’arena del palaghiaccio dove si esibiscono i Predators e l’altro grandioso museo della musica (dove puoi anche incidere un disco e portartelo fuori già stampato ed etichettato col tuo nome e fotografia).
Invece il centro maratona era stato spostato nella classica sede d’arrivo, il monumentale stadio del football teatro delle gesta dei Titans, dotato di parcheggi immensi e gratuiti, a 400 metri da Downtown. Obbligo della mascherina (fornita, con logo, anche dall'organizzazione) nei luoghi chiusi, così così; in compenso, per accedere all’omaggio della birra analcoolica del dopogara occorreva sottoporsi a una specie di controllo, dopo di che ti mettevano un braccialetto al polso. Solo con questo potevi consumare, all’indomani, la birra, rigorosamente nel piazzale degli arrivi, ma non portarti fuori la lattina, ancorché analcoolica. Estremi rigurgiti di proibizionismo, forse, di cui nemmeno i buttafuori capivano la ragione (ho platealmente infilato nel trash la birra bevuta, ma ho portato fuori dentro la sacca l’altra lattina ricevuta allo stand, pensando alle risorse italiche e ad Al Capone).
Disponibilità di toilette mobili, parecchie ma non abbastanza; ma avevamo libero accesso ai bagni dell'Hotel Hilton, il più lussuoso della città, a 200 metri dal ritrovo, oltre che nella solita chiesa presbiteriana di fianco al via, dove offrivano anche il caffè caldo. Partenza con 0 gradi Celsius (le mascherine, o meglio le bandane scaldacollo, servivano soprattutto a ripararsi dal freddo, sebbene qualche ardimentoso -a si presentasse al via a torso nudo o con push-up wonderbra); al passaggio della mezza erano 7°, all’arrivo 14°.
Clima o no, da accapponare comunque la pelle il consueto inno a stelle e strisce, cantato dal vivo, nel religioso silenzio degli 8000 e più (lo documenta il video girato dall’ingegnere modenese Davide Saguatti, qui da cinque anni per insegnare ai costruttori come si piastrellano le case a regola d’arte, e oggi al suo record sulla mezza in 1.54:45); partenza tutti insieme, ma entrando in staccionate da dove si usciva 5-6 alla volta per lanciarsi direttamente sul rilevatore del chip (è ovvio che l’unico tempo a valere è quello real, che in Italia sarà introdotto per le classifiche quando io vincerò la maratona di Catanzaro).
Tracciato ovviamente chiusissimo al traffico, grosso modo a forma di 8 a sud e a nord del Cumberland River, su e giù per le relative colline, con l’incessante presenza di complessi rock (quasi uno ogni miglio) che dal vivo ti danno la carica coi loro Tutti frutti o Rock around the clock e similari. Ristori frequenti, con acqua (clorata!) sempre, Gatorade bello carico quasi sempre, gel energetico in 3 occasioni, e verso il 15° km un bicchierino contenente una misteriosa pallina gialla: uovo sodo? prendiamolo! E' una deliziosa patatina lessata al forno! Si aggiungono i banchetti privati, che in un paio d’occasioni offrono cicchetti superalcoolici (“questo ti farà andare più forte, forse”; “questo è il booster per te, chissà”).
Giro rinnovato, per quanto ricordi, attorno ai km 14-18, con passaggio dal parco del Bicentenario (dal 1796, anno in cui il Tennessee divenne uno Stato dell’Unione; da non confondere col parco del Centenario dove è ambientato il mitico film di Altman con Keith Carradine, dal sensualissimo "I am easy"); suggestivo anche il costeggiamento del grande ospedale St. Jude, che riceve parte dei proventi della maratona: specializzato in tumori infantili, esibisce con orgoglio le foto dei bambini, all'atto del ricovero e oggi, divenuti bei ragazzoni (magari con qualche libbra di troppo) e riconsegnati alla vita. "Noi non smetteremo finché un solo bimbo si ammalerà di cancro".
Dopo la divisione dai mezzi maratoneti, per noi rimane il fascinoso passaggio per il campo di baseball First Horizon Park, dove ti puoi vedere in azione dal maxischermo; poi (secondo cambio importante) il giro per lo stradone verso nord è opportunamente ridotto rispetto alle precedenti edizioni, in favore di un più celere ingresso nel grande Shelby Golf Park di nord-est, lungo il fiume, dentro a cui faremo due giri di circa 6 km ciascuno. Stupefacente, e improponibile in Italia, il fatto che questo doppio giro sia ‘protetto’ da un solo rilevamento chip, senza nessun addetto che controlli chi volta o chi tira dritto al bivio, e addirittura un avant-indree di circa 400 metri sia totalmente impresenziato; ma nessuno si sogna di ‘rubare’ nemmeno un metro, è una questione morale, direi quasi religiosa: come diceva Guareschi, Stalin non ti vede, ma Dio sì. A me viene un accidente quando, dopo il cartello del miglio 18, appare quello del miglio 21 (oddio, sta a vedere che ho tagliato); poi viene il miglio 19 e così realizzo che sono i cartelli dei due giri consecutivi, e non ho "peccato".
Si esce dal parco passando dal cartellone del 24° miglio, e poco dopo il Batman appare all’orizzonte, rassicurandoti che l’arrivo è vicino; rimane un paio di salite poi, per la gioia di noi morituri, l’arrivo è in leggera discesa così possiamo sorridere di fronte a fotografi e parenti.
Dopo la medaglia (originale ma non bellissima, a essere onesti), in un centinaio di metri si arriva al ristoro e alla citata birra; altri duecento alla riconsegna delle sacche dai camion cui le avevamo date (previa ricevuta portata con sé in altro braccialetto), e poi subito fuori a riprendere la Kia Soul (modello sconosciuto in Europa) noleggiata per scorrazzare nel Tennessee: tanto, le autostrade a 4/5 corsie sono gratis, quando c’è l’ingorgo si va a 40/50 miglia l’ora, e la benzina costa mezzo euro al litro. Ti arriva un messaggino: hai vinto la tua categoria (poca gloria: 6 partiti, 2 arrivati).
Greta Thunberg può anche blableggiare in Cina e India, dove ce ne sarebbe bisogno, ma alla faccia sua noi torneremo ancora a Nashville.
Bologna marathon “first edition”: bè, parliamone…
31 ottobre – Al traguardo in piazza Maggiore, lo speaker ha subito notato la maglietta da finisher che indossavo: Bologna Marathon 1992, e ha voluto saperne di più. Ebbene sì, l’avevo corsa (29 marzo, era campionato italiano amatori, 2090 classificati), bissando la partecipazione dell’anno prima, 12 maggio 1991, che era già la quinta (dal 1987), l’ultima ad avere Piazza Maggiore come traguardo, dove ci presentammo in 864 (su 1100 partiti). Seguirono anni piuttosto stentati: “Gnarro” ne saltò tre, nell’aprile 1996 ci provò il gruppo di Amici, “l'uomo del Giro dell'Emilia”, coadiuvato da Claudio Bernagozzi, col nome ”MaratonaBologna”, incappando proprio nel giorno delle elezioni anticipate, che fecero vincere il podista bolognese Prodi, ma solo nelle urne, perché l’evento sportivo fu un fallimento. Altra sospensione, surrogata dalla maratona di Calderara (tutt’un’altra roba, per carità), finché Giagnorio ci provò con tre edizioni dal 2002 al 2004, decisamente tristi, dove il centro di Bologna era solo una toccata e fuga. Poi silenzio fino al 2018-19, quando si ricominciò a parlare di una maratona a Bologna con data ipotizzata e approvata per il 1° novembre; ma sarà solo con l’avvento dei gestori attuali che il progetto prenderà decisamente piede fino alla fissazione della data al 1° marzo 2020, e azzeramento mediatico di tutto quanto esistito finora.
Poi arrivò il Covid, o meglio, i primissimi focolai alle porte di Piacenza: e se il 23 febbraio si era corsa la maratona verdiana in provincia di Parma, a pochi giorni dall’evento bolognese arrivò il divieto dei politici (proni ai voleri dell’allora assessore regionale alla Salute, che adesso si dichiara pentito, ma allora mandava in onda quotidiane intemerate Fb contro chi fa “le corsette”), e buonanotte (tralascio il fatto che alcuni degli iscritti a Bologna quello stesso 1° marzo andarono a correre una ecomaratona ai confini della regione, in provincia di Prato: evidentemente il virus si fermava davanti ai cippi confinali del Granducato di Toscana).
1. A Bologna, cominciò l’odissea capitata a tanti altri eventi: rinviata all’autunno, anzi no, alla prossima primavera, neppure, e finalmente al 31 ottobre 2021. Stavolta, pubblici amministratori compatti nel tutelare il diritto dei bolognesi alla loro 42; gli organizzatori si fecero detestare pretendendo un supplemento di 10 euro alla tassa già versata per il 2020, ma l’alternativa era di perdere tutto e allora in tanti abbiamo accettato (in 800, pare, si sono iscritti alla 6 km non competitiva, che già partiva da un prezzo poco promozionale di 6 euro, e nell’imminenza di questo evento era passata a 15 anche per i già iscritti: non sarà un caso che il coordinamento podistico bolognese in questa stessa giornata offrisse una non competitiva in provincia).
Devo aggiungere che la tassa di iscrizione originaria per la maratona era abbastanza contenuta, sotto i 40 euro (nella vicina Crevalcore, dove i problemi logistici sono enormemente inferiori, per gennaio prossimo ne chiedono già adesso di più, e tra due settimane ne vorranno 55): il supplemento è parso anche a me una cresta che gli altri organizzatori non hanno applicato, sebbene possa capire che ci fosse una struttura di addetti da mantenere (una maratona in una grande città esige apporti professionali), e anche la nostra medaglia, un’originale ruota dentata in probabile omaggio a uno sponsor, e con data “1-3-2020”, è stata dotata di un – diciamo così – salvaschermo in plastica che ricorda i “lunghi e faticosi mesi” (esattamente venti!) passati nell’attesa.
Insomma, ce l’abbiamo fatta: loro a farci correre, noi ad affollare le strade di Bologna come -ripeto- non ricordavo dal 1991/92. Oltre tutto, con un percorso per “tutta Bologna”, tutti i quartieri, coi primi 3 e gli ultimi 6 km nel centro storico, e gli altri alla scoperta delle periferie verso Casalecchio e verso San Lazzaro, in parte ammodernate e, insomma, vivibili (certo che per noi podisti, subito buttati in cima alla Montagnola, e poi in tutti quei sottopassi e cavalcavia -utilissimi per la vita dei giorni feriali-, per un totale ufficiale di 274 metri di dislivello, non era proprio il massimo).
I 1582 classificati (con un po’ di riguardo per qualche decina oltre il tempo massimo, anche per intercessione del maratoneta oggi appiedato Mario Liccardi), più 7 stranamente messi a parte come non competitivi in quanto stranieri (boh?), più una cinquantina di squalificati (mai vista tanta severità), sono una cifra ragguardevole per un esordio, tanto più in una domenica nella quale si era venuta ad aggiungere un’altra maratona a 280 km.
Vedremo alla prossima "eventuale" del marzo ‘22, quando ci hanno promesso che i 10 euro saranno trasformati in sconto per la nuova iscrizione. Intanto, dalle prime classifiche di gradimento disponibili presso Endu, il voto è di 3,6 su 5: insomma, il sette più di Cochi e Renato. Dai social invece sembra che il giudizio viri sul peggio.
3. Ritiro pettorali solo venerdì e sabato, in modo da fare contenti anche gli albergatori (come peraltro è prassi di tutte le grandi maratone estere e molte italiane). Pacco gara con qualche gadget, su cui spicca una maglietta ‘tecnica’ non disprezzabile anche perché non caricata di loghi; operazioni rapide e funzionali, a cominciare dal controllo temperatura, richiesta greenpass e autodichiarazione, dopo di che (come a Parigi) ricevevi un braccialetto che sarebbe servito come lasciapassare.
Molto comodo, la domenica, il ritrovo per chi fosse venuto in treno (modalità scelta da parecchi, che tra le 8 e le 9 sono sciamati dalla stazione quasi come nei giorni che c’è lezione all’università); funzionale il deposito di bagagli, insufficienti le toilettes (come purtroppo staranno constatando, il giorno dopo, i titolari di molti edifici o lavori in corso nel raggio di 300 metri). Abbastanza ben regolamentato l’accesso ai box, salvo che l’obbligo di mascherina lì e per i primi 500 metri è stato bellamente disatteso: però, diciamolo chiaro, se noi podisti abbiamo tutti il greenpass (si spera, da vaccinazione) e ci hanno provato la febbre, non abbiamo virus da propagare e comunque se ci sono virus in giro siamo quasi immuni. E malgrado qualche squalificato e finto-morituro faccia il tifo perché qualcuno di noi si ammali e magari schiatti (come ha più volte augurato al sottoscritto, che infatti con questa di Bologna ha finito nell’era-Covid 12 maratone o ultra e 10 maratonine, più varie distanze minori), sono convinto che non abbiamo messo a repentaglio la salute né nostra né altrui. Specie a confronto di quello che abbiamo visto nelle vie del centro durante i nostri ultimi km, dove la movida constava di migliaia di giovanotti a passeggio o attovagliati all’aperto in stretto contatto, e ben restii a scansarsi quando passava un corridore: e a quelli nessuno ha chiesto il greenpass.
4. Eccoci dunque, in prossimità delle 9,30, all’incrocio della cosiddetta T, per la partenza da via Indipendenza: non larghissima di per sé, poi ristretta per lavori edilizi, e siccome si partiva tutti insieme (mi pare una novità), dallo sparo ufficiale al nostro passaggio sul tappetino del via sono passati fino a 3 minuti, che la graduatoria finale (ancora retrograda sul gun-time dei parrucconi Fidal di quando le maratone avevano 50 partecipanti) non ci restituirà. Le regole Fidal erano peraltro ‘elasticizzate’ con l’accorpamento delle categorie ogni 10 anni, e non ogni 5 come sarebbe prassi, cosicché i 44enni hanno dovuto misurarsi coi 35enni e così via. Sembra invece che dipenda dalla Fidal (e alla lontana, dal nostro malrasato e antisportivo ministro della Salute) la limitazione dei ristori: solo acqua in bottigliette, gel annunciati in 4 punti (ma in realtà presenti solo in uno, più due dove c’erano barrette al cioccolato), niente frutta o cibi solidi, e dal 25 in poi solo acqua (almeno quando passavamo noi figli di un cronometro minore). A Parigi due settimane fa, sia le banane sia i tortini abbondavano fino all’ultimo km, e anche nel ristoro del traguardo: eppure il Covid c’è là tanto come qua (ma c’è anche più Stato). “Bologna Parigi in minore”, predicava Guccini, “mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto”. (Qui pare che alla fine della sua 6 km abbia cantato Gianni Morandi: mi era venuto in mente ai Giardini Margherita, nel piazzale dove lo vidi medagliato sul podio mentre io ancora arrancavo per la Run Tune Up: salvo poi apprendere dalla classifica, qualche giorno dopo, che era stato squalificato).
Se il percorso era ottimamente segnato, sia con frecce e bandelle, sia dai numerosissimi addetti, molto discutibile, anzi decisamente sballata, la collocazione dei segnali chilometrici. È vero che tenendo gli occhi fissi all’asfalto, si intravedevano minuscole scritte in rosso con indicazioni precise; invece i grossi tabelloni sembravano messi giù a casaccio, cominciando dal km 1 della Montagnola che era 1,100, poi con un crescendo progressivo poi recuperato al km 11 che era preciso; poi si andava in calando (cioè il 27 era il 26,5 dei Gps), fino al km 28 che era 28,5 (tant’è vero che il controllo chip vicino è marcato km 29). In sostanza, c’è stato un chilometro che in effetti ne misurava due; poi, con l’ingresso in città, i km hanno cominciato a misurare 950 metri (al km 31 abbiamo rilevato con un pacemaker che il segno sull’asfalto veniva 300 metri prima del tabellone), e insomma al traguardo la differenza coi nostri gps era nei limiti della normale tolleranza (ma dove sono quelle ‘belle’ maratone d’antan, dove dopo 41,500 avevi già la medaglia al collo?).
Molto gradita la chiusura al traffico, sebbene in certi incroci della seconda metà ci fosse il solito frastuono dei clacson condito da qualche diverbio tra podisti e automobilisti (verso il 25 si è quasi arrivati alle mani, col coinvolgimento anche di un ciclista decisamente fuori giri). Cavalcando il malcontento, i giornali e i più antisportivi dei politici insistono sui contrattempi, riportando la frase di Roberta Li Calzi, ex calciatrice e neo assessora allo sport del Comune: "Ci sono stati disagi ai quali andrà assolutamente posto rimedio in un’eventuale prossima edizione. Sia in termini di percorso che di informazione preventiva". Peggio è stato il traffico pedonale alla fine, quando le transenne, anziché adoperate per lasciare spazio ai corridori, sono state messe di traverso per stopparli: ma ci torno dopo.
Non una grande idea quella di mandarci, a Ponticella (intorno a quel famigerato km 28) su per un rettilineo di un km tra due rotonde, indi al dietrofront dove la salita diventava più dura, e tornare alla prima rotonda: suppongo che a qualcuno sia venuta la tentazione di tagliare lì (anche per l’assenza di separazione tra le due direzioni), ma la presenza dell’unico controllo chip dopo la seconda rotatoria l’ha poi iscritto nell’albo degli squalificati.
Incontrollato invece, dicevo, il traffico pedonale e mangereccio al nostro rientro in città: passi (si fa per dire) per i dehors che in zona Santo Stefano, laddove “ad ogni bicchiere rimbalzano le filosofie – e i vecchi imbariaghi sembravano la letteratura”, riducono la carreggiata a un metro e mezzo; ma via Zamboni era totalmente occupata da branchi che scorrazzavano in su e giù, e l’unico addetto in divisa gialla stava alla larga, in piazza Verdi per instradarci su via Petroni (un po’ più libera). Crudele tentazione era farci passare, al km 39.5, a cinquanta metri dal traguardo, ma poi allontanarcene per regalarci il passaggio sotto le due torri (dove già la movida e gli attraversamenti pedonali costringevano a gimcane) e poi nella zona universitaria, sfiorando anche la casa del succitato Prodi.
Ma per concludere: o vuoi la maratona in città, e allora devi sottostare a questi inconvenienti, oppure dovrai cercarti le maratone ariose (come le chiamano qui), dove il centro lo vedi in partenza e arrivo, e per il resto vai su caradoni di campagna venendo a patto con le auto dei locali.
5. Un’ultima considerazione la farei sulla qualità tecnica della gara: i vincitori sono figure di secondo piano a livello internazionale, quelli che a Parigi li vedresti dopo mezz’ora dai primi arrivati, a secco di prosciuttini, ma che si ritagliano un proprio circuito regionale o nazionale dove la concorrenza è scarsa, impinguando così il proprio palmares e aggiungendo qualche monetina al conto in banca (quando non sono premi in natura). A loro va bene così, e a me pure, a patto di non cadere nell'1 vale 1 equiparando un successo di un atleta a San Marino con uno a Berlino: per fortuna ci sono ancora degli organizzatori in Italia, tra i risparmiosi e i coraggiosi, che non fanno niente per favorire la presenza dei mercenari d’allevamento; e noi che indossiamo le scarpette, di conseguenza, abbiamo anche piacere di dare un cinque (o un elbow bump) al corridore della porta accanto, dal nome e cognome pronunciabile, e col quale possiamo anche scambiare due chiacchiere prima o dopo della gara.
E siamo confortati dal poter condividere le nostre impressioni sotto fiatone col vecchio compagno di gare, che magari non vedevamo in maratona dal 2019: l’esemplare presidentessa della Guglia Sassuolo, Emilia Neviani, che dopo aver ritirato tutti i pettorali della squadra al sabato, in prima persona realizzerà un fantastico 4:05 (si tratta di una signora molto giovanile, ma pur sempre del ’72); Paolo Garuti da Vignola, col quale facemmo più o meno insieme la sfortunata “maratona del trenino” con arrivo qui ai Giardini Margherita (oggi km 36) e adesso fila via in 4.12; la famiglia Malavasi, che mi stringe sempre nella morsa tra Maurito (ormai avanti delle mezzore) e Paolino che ogni tanto riesco a tenere dietro, e qui arriva con Aligi Vandelli, sassolese, che a sua volta con 4.55 è secondo degli over 75; Leo Manfrini, antico bibliotecario dell'Alma Mater, trasferito nella terra dei padri ma che a Bologna per la maratona torna a fare 4.37; Ideo Fantini il reggiano, che si vendica della medaglia d’argento regionale Uisp che gli ho scippato da poco a Correggio, rifilandomi un quarto d’ora (insomma, la graduatoria ripete quella antica del primo Ventasso, salvo che oggi non ci sono salamini per noi, costretti a competere coi sessantacinquenni); Antonino Gioffrè del Torrile, che mi fa compagnia in zona stadio ma poi fila verso il suo 4.41.
Bè, mi rimane la consolazione di arrivare mezzo minuto prima di… Stefano Baldini, mio pari età del Pontelungo Bologna, e di tanti del Passo Capponi, la gloriosa società di Alessio Guidi (lo dico a voce alta), che ha portato a correre la maratona anche a persone che non ci sarebbero mai riuscite da sole. Stiano pure nell'empireo delle riviste patinate i record mirabolanti ottenuti con le molle sotto le scarpe, ma il podismo che preferisco è questo.
Cfr. anche http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7935-1-bologna-marathon.html
Reggio Emilia, 38^ Camminata di San Prospero
24 ottobre – Sembrava quasi di essere tornati ai vecchi tempi, in questa luminosa mattina autunnale di San Prospero Strinati, alle 9.15: partenza tutti insieme, davanti i competitivi (82, non molti); appena dietro i non competitivi, poi a scalpitare i giovanissimi dai 5 ai 15 anni, meritoriamente chiamati dalla società organizzatrice Faba e dal factotum Nando Ferretti (già nella stanza dei bottoni un mese e mezzo fa, per la Camminata dei caseifici) per gare tutte loro su distanze congrue dai 450 ai 1500 metri. E a misurarsi sono stati 81 ragazzini, quantità che induce alla speranza in un mondo come il nostro dove il Covid, o meglio le limitazioni ai movimenti, sembrano aver lasciato definitivamente a casa una generazione intera di praticanti. Lasciatemi citare almeno i sei anni di Camilla Bertoldi, da San Polo d’Enza, che sulla sua distanza ha rifilato ben mezzo minuto alla compagna di squadra Bianca Salavolti.
Tra i grandi, qui, sono mancati totalmente i modenesi (eccetto pochi competitivi), in una giornata nella quale a Modena non si correva (come accade quasi sempre, da 17 mesi) e dunque non c’erano scuse: non starò certamente a rimpiangere quelli che partivano con un’ora d’anticipo per essere primi davanti al ristoro finale; ma ho pure negli occhi il tripudio dell’ultima camminata comune tra Modena e Reggio, a Rubiera verso la fine di febbraio 2020, dove se non si era duemila poco ci mancava.
Tuttavia, dicevo, ai vecchi tempi ha almeno riportato la partenza tutti insieme, non scaglionata come era accaduto ancora ai Caseifici reggiani di settembre. Mancava il ristoro dell’arrivo, sostituito dal sacchetto sigillato, cumulativo di bevanda e premio di partecipazione (acqua, succo di frutta, wafer, buono sconto per una improbabile destinazione pizzaiola in provincia: l’obolo da versare erano i soliti 2 euro, 3 per chi si iscriveva sul posto). Speriamo che anche in Italia si torni al costume antico delle gioiose macchine da guerra in scarpette, correggendo peraltro le storture più volte evidenziate.
La competitiva ha visto nelle prime posizioni gli stessi protagonisti di sempre, a questi livelli e latitutidini; tra gli uomini, Andrea Bergianti della Corradini di Rubiera ha prevalso per soli 5 secondi sul più anziano Taoufik Bazhar tesserato MDS di Sassuolo. Altri due modenesi nelle posizioni seguenti: terzo a 22” Saimir Xhemalaj, un giovane tesserato Modena Runners che dà il meglio di sé nei trail e nei lunghissimi; quarto Lorenzo Villa (MDS), quinto Davide Scarabelli tesserato Scandianese.
Arrivo quasi altrettanto combattuto anche fra le donne, con sei over 40 nei primi sei posti, regolate dalla miglior realtà tra Enza e Panaro dell’ultimo quinquennio, la modenese d'origine, trasferita nella patria di Govi e tesserata Corradini, Fiorenza Pierli, con 41:21, 9 secondi meglio della coetanea Gloria Venturelli (in copia conforme all'arrivo della 10 km di Formigine domenica scorsa); più staccate Laura Ricci, Isabella Morlini e Simona Rossi.
A chiudere il gruppo è l’indomito Renato Sacco, parmigiano di Torrile, che non fa speculazioni monetarie e si iscrive volentieri alle competitive pur sapendo che non sarà ripagato dai premi.
Percorso gradevole, 10,7 km per circa metà sullo sterrato dell’argine sinistro del Crostolo; area di ritrovo molto tranquilla, in una zona piacevolmente urbanizzata non lontano dallo stadio, con parcheggi più che sufficienti data la scarsità dei convenuti.
Reggio, capofila del podismo emiliano, ha i numeri per guidare il rinascimento delle camminate popolari, con chi ci sarà ancora.
Da Parigi una lezione anche per l’Italia?
17 ottobre - Diciotto mesi era la durata del servizio militare quando toccava ai miei ‘coscritti’; e diciotto mesi è durata la naja della 45^ maratona di Parigi, prevista la prima domenica di aprile 2020, e arrivata di rinvio in rinvio a questa edizione (marchiata sulle magliette 2020/21) di cui conoscete già i primi dettagli:
http://podisti.net/index.php/cronache/item/7867-parigi-maratona-di-parigi.html
Iscritto già dal 2019, ammetto di essermi spazientito, non tanto per il primo rinvio (nell’aprile del 2020 eravamo tutti ostaggio dei cinesi) quanto per l’annullamento del ‘recupero’ previsto a ottobre, epoca nella quale forse si poteva correre ed effettivamente da qualche parte si era corso (Davos, San Marino, Pescara per limitarmi alle esperienze vissute). Chi fa questo genere di trasferte sa che difficoltà ci siano a spostare i voli di aereo e le date degli alberghi, spesso prenotati con tariffe economiche e non rimborsabili: ma per questo devo dire che mi è andata bene, ovvero ho scelto i partner giusti: Air France, che prima mi ha spostato i voli, poi me li ha rimborsati, e infine mi ha di nuovo accolto, a un mese dal via definitivo, con una tariffa decisamente economica (260 euro con valigione in stiva e snack a bordo), e – last but not least – mi ha portato a destinazione e riportato indietro con 20 minuti di anticipo sugli orari di arrivo previsti.
Davvero simbolico che la partenza per Parigi sia stata il giorno che Alitalia ha smesso di rompere (sebbene i suoi sprechi tipicamente romani continueranno a pesare sulle nostre tasche per decenni), e non ne sentiremo proprio la mancanza. Le ultime trasferte maratoniane con Alitalia furono per me a Cagliari (dove mi smarrirono il bagaglio sia all’andata sia al ritorno) e a Palermo (dove l’OK per il volo di ritorno, che per errore loro mi avevano messo intorno a ora di pranzo, mi arrivò solo a due ore dalla partenza del volo che avevo prenotato). Riposi in pace, e soprattutto lasci in pace noi (magari, soffrirà la solitudine quella ex amica che, fatta la conoscenza di un pilota Alitalia, si faceva scarrozzare gratis sui voli e ospitare negli alberghi ufficiali, sdebitandosi nella maniera che immaginate).
2. Il secondo partner ben scelto è stata l’agenzia Ovunque di Modena; a parte l’antica conoscenza col principale, ex maratoneta da tre ore, che risale perlomeno alla trasferta per la maratona di Monaco nel 1992, dichiaro solennemente e senza contropartite (se volete vi mando le ricevute dei pagamenti, a tariffa non scontata) che una agenzia così ‘onesta’, efficiente e solidale non l’ho ancora trovata (come si vede anche dalla recente quérelle su New York, in cui Ovunque è stata l’unica agenzia ad annunciare sul suo sito la rinuncia al viaggio e la politica di ‘ristori’ per gli iscritti).
Diciotto mesi (anzi di più, perché la prenotazione risale a un paio d’anni fa) di continui aggiornamenti, ipotesi, pagamenti dilazionati (il saldo ce l’hanno richiesto dieci giorni fa!), e insomma ci siamo trovati in 35, ognuno col suo aereo o treno preferito, messi in un alberghetto a 200 metri da partenza e arrivo (impagabile uscire dall’albergo già vestiti da gara, e rientrarci per la doccia appena venuti fuori dalla zona-arrivo), scortati la vigilia tra RER e metrò fin dentro la grande fiera di Porta Versailles, e aiutati a superare le problematiche relative alla documentazione, soprattutto anticovid.
3. Il Covid, appunto. Mi fanno malinconia i comunicati ufficiali delle corse italiane dell’ultimo anno, dove l’aggettivo “rigoroso” accompagna sempre il soggetto “rispetto dei protocolli”: perché se omettete “rigoroso”, magari, Speranza e Arcuri vi bloccano la gara. In Francia, dove ci insegnano democrazia non da duemila anni come crede il nostro ministro degli esteri, ma almeno da 232, il cosiddetto green pass va tenuto sempre con sé perché te lo chiedono in aeroporto, in ristorante, al museo ecc. (e non si limitano a dargli un’occhiata, lo scansionano sul serio), e la mascherina va portata in tutti i negozi, bus, metropolitane (si vedono anche cortei no vax e no greenpass, ma pacifici, e rumorosi nei giusti limiti, scortati discretamente dalle forze dell’ordine). Inesistente il controllo della temperatura: il razionalismo l’hanno inventato in Francia, da noi non è ancora arrivato, salvo che… all’aeroporto di Bologna il termoscanner non funzionava e siamo entrati tutti in allegria (come diceva un saggio, la severità delle leggi italiane è compensata dalla loro disapplicazione).
In compenso, l’Italia (ministero della Speranza) si è inventata un ennesimo illogico, inutile, seccante e paranoico documento, sedicente europeo ma in realtà vigente solo da noi, Malta e Slovenia, intitolato “Autodichiarazione giustificativa per l’ingresso in Italia dall’estero”, e pomposamente (io so ammericano der Kansas City) PLF, Passenger Locator Form, dove anche gli italiani devono dichiarare il motivo per cui rientrano in Italia (nostalgia degli spaghetti è un motivo valido?), indicare precisamente il volo con cui rientrano e il posto occupato in aereo, e perfino il numero di telefono di una terza persona da contattare (ero tentato di metterci il mio nipote dodicenne!).
Il documento, siccome la burocrazia speranzosa ama le scartoffie, va compilato online ma anche stampato: e la compilazione online è di una complicatezza che meriterebbe l’incarcerazione nella Bastiglia per chi l’ha ideata. Anzitutto bisogna registrarsi al sito, inserendo tutti i dati e inventando una password; poi entrare, reinserire i dati (come se il più sfigato dei navigators non fosse capace, partendo da nome e cognome, di risalire a tutto quanto lo Stato e la Rete sanno di noi); e ancora dare il codice del volo (nel mio caso, AF 1028), e una volta dato questo, specificare anche da dove parti, in che albergo sei, dove arrivi e a che ora, e per di più dire anche in che regione ti trovi e in che regione atterrerai (perché il suddetto sfigato navigator, o l’ultimo pulitore di cessi nella sede di Google, può non sapere, se parti dal CDG e atterri a Bologna, la regione in cui sei e quella in cui ti troverai). Non è dittatura, nooh, è stupidità sanitaria. Comunque, tutto fatto e stampato. Poi arrivi all’aeroporto di Parigi e nessuno vuol vedere niente, il check in è completamente automatizzato e nessuno ti controlla (salvo poi, all’ingresso delle partenze, sequestrarti la mezza bottiglietta di acqua: pavido riconoscimento agli eroici assalitori del Bataclan e di Charlie Hebdo); arrivi a BLQ (ah no, nel PLF la sigla dell’aeroporto è diversa) ed esci senza incontrare nessuno. Chissà se la autodichiarazione che ho tenuto varrà anche quando tornerò da Valencia, oppure se ci sarà un nuovo funzionario che ne inventerà un’altra, ricevendo l’approvazione del ministro mentre costui si farà la barba (ma poco, per non sembrare un bambino).
4. Il Covid e le Paris Marathon. Non so se anche qui ci sia un ministro Espoir che impone il respect rigoureux, ma sta di fatto che all’ingresso dell’Expo ci controllano (con scanner) due volte il pass, la prima come gente qualunque che va a una esposizione, la seconda, trenta metri oltre, come iscritti alla maratona: dopo di che ci allacciano al polso un braccialetto, che sarà obbligatorio mostrare all’ingresso nei box domenica mattina, dove ovviamente avremo la mascherina da deporre dopo partita la gara (in realtà qualcuno se la toglie pochi metri prima del via ufficiale). Al traguardo ce ne daranno una nuova, da indossare… ma con calma, doucement.
Siamo in circa 35mila, che credo sia il record europeo dalla ripresa (altroché le majors italiche dove accedi solo se stai sotto le 2h45), e le partenze sono scaglionate nell’arco di quasi tre ore (come del resto già succedeva prima, a New York o Chicago ecc.), secondo megagruppi basati sull’obiettivo cronometrico dichiarato. Ovviamente il tuo tempo sarà esclusivamente real, con rilevamenti ogni 5 km e al 21,097, e rilascio delle medie cronometriche parziali e complessive: da Concorezzo, Mandelli resta incollato allo schermo e mi vede avanzare, prima baldanzoso poi sempre più fioco, lungo l’ippodromo di Vincennes o la Senna, e con uno scatto d’orgoglio equino all’uscita dall’ippodromo di Longchamp.
I ristori cominciano dal km 8 e seguiranno regolarmente, con tavoloni preannunciati da cartelli 250 metri prima, e lunghi (non esagero) 100 metri, e centinaia di addetti, che prima ti mettono in mano la bottiglietta d’acqua Vittel aperta, poi ti lasciano prendere con le tue mani la gran varietà di cibi solidi (banane francesi di Guadalupa e Martinica, biscotti, prugne e albicocche secche, tortine, zollette di zucchero e tanto altro), infine ti danno ancora da bere. Simpatici i tantissimi cassonetti raccoglitori, nel cui coperchio sollevato è dipinto un bersaglio, da centrare con la tua bottiglietta che cadrà esattamente dentro, come a basket se tiri sul tabellone (ammetto di aver sbagliato due centri tirando di mancino, ma in altri due casi ho messo a canestro la bottiglia senza bisogno di rimbalzo, in uno con un tiro che sarebbe stato da 3…). In ogni caso, i puristi salutisti e rigoristi (non come Veretout) si scandalizzeranno, però 35mila podisti di tutto il mondo hanno affondato le proprie mani nel cibo collettivo, come al traguardo hanno ripreso in mano la propria borsa dei ricambi, lasciata nei depositi ufficiali: il vaccino cosa ci sta a fare, se non garantirci queste semplici libertà?
5. Eccoci alla maratona, a correre per le strade dove ogni angolo ha una lapide ricordo di qualche grande evento storico: la chiesa dove Manzoni si convertì e quella frequentata da Dante, il convento dove Mabillon ricostruì la storia del cristianesimo, la casa dove morì Chopin e quella dove Stendhal scrisse Le rouge et le noir, Notre Dame ferita e la Tour Eiffel in via di ridipintura per i giochi olimpici del 2024 (quelli che Roma non ha voluto): state facendo 42,195 km (avvisa uno striscione) nella città più bella del mondo.
No, dire che è la più bella forse non è vero (mi tengo Roma, Firenze e Venezia), ma certamente non basta: è la capitale culturale del mondo civile, una Città-Luce (come viene chiamata) dove il 67% dell’energia elettrica è prodotto dalle centrali nucleari, il 13% è idroelettrico, l’8 % eolico, solo il 7% è da combustibili fossili (da notare che lo sponsor principale della maratona è la Schneider Electric, che si occupa di tutto quanto è elettrico, digitale, per la valorizzazione sostenibile di ogni risorsa); la città dove gli uomini di cultura non si preoccupavano di andare da Fazio o di sfruculiare sulle carte delle procure, ma lanciavano i loro rischiosissimi J’accuse contro il Potere; dove un De Gaulle, il 18 giugno 1940 (non il 24 aprile 1945) inventava la parola Résistance in una frase come “Qualunque cosa succeda, la fiamma della Resistenza non deve spegnersi e non si spegnerà mai… Il destino del mondo è là”; o altre frasi da mandare a memoria e pronunciare con un groppo alla gola: “Che tutte le nostre libertà ci siano rese. Che l’ideale secolare della Libertà – Uguaglianza – Fraternità sia messo in pratica. Che questa guerra abbia per conseguenza un’organizzazione del mondo che stabilisca la solidarietà e l’aiuto mutuo delle nazioni”.
Correre la maratona di Parigi è anche pensare a cose come queste, perché se è vero, come Le Parisien del lunedì mette in bocca a un arrivato, “ci siamo io e gli altri, quelli che hanno fatto una maratona, e gli altri. C’est genial!”; la Verità più resistente di Parigi è quella dell’invenzione del metro e del pendolo di Foucault, la scoperta del radio o la creazione della bicicletta, della mongolfiera o della macchina a vapore, l’ideazione dell’alfabeto Braille, l’insegnamento di Cartesio e Molière, di Zola e di Baudelaire, e perfino dei coniugi Leroy e Merlin, o di Louis Vuitton il cui museo è al km 40 della gara; quella che ha portato a Parigi, da un’Europa ancora impaurita, trentacinquemila corridori, più le centinaia e migliaia in coda per i tantissimi musei e luoghi di culto cristiano o laico. Parigi val bene una tacca, e molto di più.
6. Su come sia andata la maratona, saprete già l’essenziale. L’Equipe intitola, credo con un gioco di parole, Le coup de pompes à l’idole, “Rotich, un keniano inatteso aiutato dalle calzature al carbonio, ha strappato il record della corsa all’iconico Kenenisa Bekele”: una quarantina di secondi limati, sette anni e decisivi progressi tecnici dopo (cui forse alludono quelle “pompe” in grado di pompare le prestazioni come le gomme di bicicletta). Comunque sia, è di tutto valore un 2.04:21 su un percorso abbastanza ondulato come quello parigino (duretta la salita al km 16 di Vincennes, con le risalite dai tunnel dei km 26/30, gli ultimi strappi nel parco di Boulogne fra il 35 e il 41); e fa piacere apprendere che Rotich, 31enne finora vincitore solo a Eindhoven nel 2018, terzo ad Amsterdam nel ’19, è pupillo di Michele Zangrandi, coach bresciano formatosi nel team Rosa.
Presto arrivano a ciascuno sul telefonino le misure della sua prestazione (chissà come l'avrà presa quel ragazzo che appena davanti a me scoppia in un pianto deluso, invano consolato dalla sua ragazza, stupenda come quasi tutte le francesi, specie quelle di colore); poco dopo anche un video di 3 minuti (gratuito), e nel mio caso una sessantina di foto ufficiali prese da varie posizioni, scaricabili per meno di una trentina di euro (per salire neanche a metà della Torre Eiffel ne spendi 16,70, per entrare al Pantheon 11,50, per il museo degli Invalidi 14… la cultura costa).
Il mio Polar direbbe anche altro, se credessimo alla sua misurazione di 43,150 km (non ci credo, beninteso, però non mi è mai capitata una differenza così netta dalla misurazione ufficiale); serve a consolarmi dal mesto confronto col record personale di Parigi, 3.28 di 27 anni fa. Eppure ci si muove ancora; ne avremo a sufficienza per la Parigi olimpica del 2024??
Correggio (RE) – 37^ Camminata di San Luca: Kaba senza rivali
10 ottobre - SERVIZIO FOTOGRAFICO - L’acqua di Correggio è più gasata di quella di Modena (ed è pure gratis). Questa semplice constatazione, desunta dalla “casa dell’acqua” nei paraggi del raduno di oggi, e confrontata con la situazione della città da cui provengo, potrebbe essere trasportata metaforicamente, da una giornalista coi fiocchi (stile Conchita De Gregorio o Gaia Piccardi, non dirò la sublime Federica Galli) alla situazione del podismo nelle due confinanti province: a Correggio si corre addirittura una maratonina valida come campionato regionale Uisp, all’interno di un calendario che da mesi annovera gare competitive e chiuderà in gloria col campionato nazionale di maratona a Reggio; a Modena, di maratonine non si osa parlare, e grazie tante se, dopo le 10 km di Campogalliano e San Donnino, a Formigine domenica prossima ci sarà un’altra 10 km, competitiva e no; dopo della quale resterà la terza Sassuolissima in tre mesi, e poi speriamo nel 2022.
Ma torniamo al “San Luca” correggese (par San Lòcca, chi an-n’ha semnèe se splòcca, cioè chi non provvede per tempo al suo futuro, saranno cavoli suoi), abbinato per la trentesima volta alla “Maratonina Dorando Pietri” (eh già, Dorando era nato in territorio correggese; nella sua adottiva Carpi, la maratona è entrata nello stesso ‘stallo’ - diciamo così, dalle stelle allo stallo - in cui è precipitata la squadra di calcio, 5 anni fa in serie A e adesso esclusa dalla serie D).
E allora, passiamo il confine e dedichiamoci solo a Correggio, ritrovando la sede di tante gare passate, sotto cui c’era l’anima del grande Franco Pederzoli, che ci ha lasciato per sempre nel giugno scorso: ma la sua è stata una scuola che continua a insegnare, naturalmente col contributo di ‘scolari’ più che addottorati come i vari Emilio Mori o Guido Menozzi, e l’immancabile corollario della voce di Roberto Brighenti, ‘ambidestro’ tra Modena e Reggio, e che insomma in queste contrade conosce le vite di tutti (sappiamo che è anche lettore assiduo di Podisti.net).
La serietà organizzativa si vede fin dal primo mattino: parcheggi comodissimi e guidati a menadito; distribuzione pettorali senza code (era consigliata la preiscrizione anche per i non competitivi, accorsi in gran numero; in alternativa, l’iscrizione costava un euro in più, che magari sarà stato l’alibi ai soliti noti per correre a sbafo); partenze in orario distanziato di almeno mezz’ora tra non competitivi e competitivi, su percorsi nettamente differenziati, tanto che non ci siamo mai incrociati; distribuzione di mascherina ai non comp dopo l’arrivo.
La maratonina, per la prima volta, si svolgeva su tre giri da 7 km “secoramente ben mesorati” (come diceva su una tv modenese il cronista di una trasmissione podistica, ovviamente estinta come tutto il resto che si è detto), tassativamente chiusi al traffico e ricalcanti in buona parte ma in senso inverso la camminata estiva che il citato Pederzoli metteva in piedi ai tempi belli quando al ristoro c’era la lingorria e il profumo di gnocfrètt si spandeva per l’aria; 2.3 km a giro erano sterrati, il che ha probabilmente influito sui tempi di percorrenza, senza incidere però sul nettissimo successo del guineano Mamadi Kaba (tesserato Castenaso, lo vedete già nelle foto 103 e 505 di Nerino Carri), che ha vinto con 1.13:28, un minuto e mezzo sul primo ‘terrestre’, Simone Colombini (Atletica Frignano Pavullo), il quale a sua volta ha rifilato un minuto al terzo, Miller Artioli (San Vito).
Questi primi, ormai lanciati al traguardo, hanno passato noi della retroguardia che stavamo completando il secondo giro: che dovevamo fare? Applaudirli e continuare, perché come si canta da queste parti la strada non conta - e quello che conta è sentire che vai… fin quando fa male, fin quando ce n'è.
Piuttosto staccate le donne, con un’altra frignanese, Manuela Marcolini, 38^ assoluta e prima del suo sesso (o si dice genere?) in 1.26:47, un minutino scarso meglio di Lucia Ricchi; terza la correggese Simona Rossi (1.29:03): chi s'accontenta gode, così così.
Gli arrivati complessivi sono ben 297, cifra che non ricordiamo da anni in una competitiva di queste parti. Rilevante il pacco gara (per 15 euro che sembra ormai divenuta la cifra normale di iscrizione alle maratonine), tra cui spicca una mortadellina del locale salumificio, oltre alla bottiglia di lambrusco elargita anche ai non competitivi da 2 euro: decisamente più ricco di quello intascato nelle ultime maratonine corse in giro per la Padania.
Ma non mi stancherò di ripetere che una gara non vale per la borsina che ti porti a casa. Per chi va alle corse per far spesa a poco prezzo, il Liga risponderebbe che Tanto Mario riapre, prima o poi.
Predappio-Forlì, in 500 alla nuova “mezza”
3 ottobre - In questa prima domenica ottobrina che, almeno per l’Emilia-Romagna, è stata ancora estiva (con temperature fino a 27 gradi e grandi code sull’autostrada all’ora del rientro), e che, quanto al podismo agonistico in Italia, ha segnato una ripresa in grande stile, da era-preCovid (almeno tre maratone, un’infinità di maratonine e di altre gare, più vari trail), anche la provincia di Forlì, che Dante chiamava città nuovissima eppure centro rappresentativo di tutta la Romagna, si è presentata con una nuova manifestazione: forse sostitutiva della maratonina che in anni ormai lontani si correva a Forlimpopoli affrontando una piccola parte del percorso della “Nove Colli”, e forse (come lasciano trapelare gli organizzatori) preambolo di quella 42 km che da queste parti non si è mai corsa (fatta eccezione per maratone in circuito, una delle quali è prevista domenica prossima).
Nuovo, per quanto ne so, il tracciato, apparentemente facile perché dalla partenza di Predappio all’arrivo nella magnifica piazza Saffi di Forlì intercorrono 140 metri di discesa; in realtà, la strada principale si è fatta solo nei primi 7 km, che già presentano qualche breve “mangiaebevi”, ma da San Lorenzo ha deviato di nuovo verso le colline, giungendo a Vecchiazzano dopo un paio di km (9-11) di salita a tratti impegnativa; e anche arrivando nel capoluogo, al km 15, si sono percorsi quasi 3 km all’interno del parco Pertini alias Urbano, bello e popolato di conigli, ma alquanto ondulato; restavano infine gli ultimi tre km tutti in città, con qualche curva secca e molti tratti acciottolati.
Ciò spiega il tempo non precisamente di livello mondiale del vincitore, il keniano Eric Muthomi Riungu, tesserato Atletica Saluzzo, primo in 1h07'28", oltretutto poco sollecitato dal netto divario coi concorrenti, dato che il secondo, il marocchino Ismail El Haissoufi (Rimini Nord) è arrivato dopo 3 minuti e mezzo (insomma, un chilometro), precedendo di 19 secondi il primo italiano, Marco Ercoli del Circolo Minerva.
Appena più combattuta la gara femminile, vinta dalla cesenate Martina Facciani in 1h16'29" davanti a due africane, un minuto e mezzo su Esther Wangui Waweru (1h17'58"), altri due minuti su Meseret Engidu Ayele (1h19'50").
Noi competitivi eravamo in 233 (di cui 40 donne); grosso modo altrettanti, se non di più, i non competitivi, partiti venti metri dietro, sullo stesso percorso (e senza misurazione della temperatura, cui invece i competitivi sono stati graziosamente costretti da una simpatica scannerizzatrice). Mi è poi capitato di superare, lungo il percorso, vari personaggi senza pettorale, forse inadeguati a correre tutti i 21 km (magari, non hanno rinnovato l’idoneità), o troppo ‘poveri’ per pagare i 15 euro dell’iscrizione competitiva o i 5 della non comp. Piatto ricco, mi ci ficco; ovvero, i Parasites non sono solo quelli del noioso film coreano.
Egregio il trasporto con bus appositi da Forlì a Predappio, sia prima sia dopo la corsa; rigorosa la chiusura al traffico, salvo poche interferenze verso Vecchiazzano. Due ristori, il primo di sola acqua un po’ tardivo, verso il km 8,5; il secondo circa 5 km dopo comprensivo anche di gel. Al traguardo, tra i generi di conforto consegnati c’era un piatto di maccheroni al sugo, da consumare su tavoli predisposti, in una sorta di pasta party dei vecchi tempi. Egregia la colonna sonora vocale gestita dalla storica speaker Veronica Bellandi Bulgari (foto 15-16).
La manifestazione podistica era organizzata dall'associazione Edera Atletica Forlì, cui apparteneva il compianto Maestro di maratone Sergio Tampieri, fondatore del Club Supermarathon, che ogni anno ci riuniva per una cena romagnola tra Predappio e Meldola, e ad inizio primavera ci aspettava per la maratonina della Cava di Forlì, giro bellissimo e purtroppo abbandonato come tante cose belle della vita: lo ricorderà una maratona a circuito domenica prossima, proprio nel parco Urbano, anche se escluderei che le maratone-trottola fossero le preferite di Sergio. Che forse avrebbe scelto i Diecimila dei Campionati Italiani assoluti su strada, ugualmente programmati a Forlì lo stesso giorno.
E mentre noi stagionati, duri e quasi-puri partivamo da Predappio, in piazza Saffi si svolgeva una corsa che ha coinvolto circa 150 scolari delle scuole primarie e secondarie, quattro giri in tondo per la gioia di tutti.
E per aggiungere una valenza culturale a questa mattinata di sport, grazie all’anno dantesco sia la partenza sia l’arrivo offrivano spunti ottimi: a Forlì, le semisconosciute (ma assolutamente straordinarie) collezioni Verzocchi e Righini, a 400 metri da piazza Saffi e nei pressi di dove Dante soggiornò durante l’esilio, regalano una serie favolosa di pitture e sculture del Novecento, oltre alla collezione di manoscritti e antiche stampe dantesche; mentre a Predappio, la casa del quondam Duce, ottimamente adibita a museo, esibisce testimonianze del culto dantesco durante il ventennio (roba retrò? Ah bè, se preferite il culto odierno dei vari Maneskin, Fedez, Achille Lauro ecc., lasciamo pur grattar dov’è la rogna). Quasi sottobanco, le addette museali forlivesi e predappiesi ci suggeriscono un salto alla vicina “Madonna del fascio”, preziosa creazione in ceramica, il cui salvataggio dalle mani dei talebani anni ‘45 è raccontato da una poesia di Ada Negri, “un’azione vittoriosa / con l’aiuto del Signore”.
Vittoriosa è stata pure questa nuova Mezza di Romagna. Avrà un futuro? Mo Deuscì!, direbbe ancora quel gran camminatore di Dante.
Modena, San Donnino Ten 2020: ottima la seconda!
19 settembre - Era dal 6 giugno scorso che a Modena capoluogo non si correva una gara competitiva: allora però era stata una gara in pista (sia pure sulla pista di un ex ippodromo) sui 5000 metri, mentre per questo secondo appuntamento era il turno di una corsa stradale, ripresentata dopo l’interruzione forzosa, addirittura sotto forma di gara Fidal “bronze”, con un percorso misurato al metro (più la tolleranza dell’uno per mille) da un misuratore federale con bicicletta tarata; chip e giudici in divisa bianca al traguardo (le foto di Teida Seghedoni hanno privilegiato in apertura la giudice Simona Neri, candidamente avvinta nelle foto 70-71 al decano podista Luigi Bandieri, e attenta sorvegliante degli arrivi nella 540).
Partenza tutti in gruppo al colpo di pistola (la vedete nelle foto 82-107), il che ha portato al ripristino del gun time invece del real time di quando si correva con partenza semilibera.
Tralasciando quest’ultimo dettaglio, che mi vede in disaccordo ma è legge (“ho l’onore di obbedire a un ordine che non condivido”, rispose alla curia vaticana un grande prete, don Zeno, che proprio in questi paraggi, vicino alla chiesa di Collegara che era il nostro km 2 e 7, trovò rifugio dopo essere stato esautorato dal governo di Nomadelfia), mi sento di elogiare in toto la gara di San Donnino, da alcuni anni gestita dalla società emergente Modena Runners Club, guidata da Alberto Cattini (foto 7-10, 61-62): giovane industriale chimico ma forte mezzofondista reduce da allori vari su pista conquistati ai regionali Fidal di Santarcangelo tre settimane fa, e che ha saputo coagulare attorno a sé un gruppo coeso di agonisti sempre pronti a dare una mano anche nelle mansioni più umili, come la certosina ripulitura di strade e fossi svoltasi alla vigilia (alle foto 46-50 vedete alcuni di questi lavoratori, che almeno in parte, espletati i doveri d’ufficio, hanno preso il via nella corsa, come vedete in tante foto, 258, 275, 291 ecc.).
Avevo sgambettato a San Donnino parecchie volte, ma – per esempio - non ho mai trovato parcheggio così comodo e ben gestito come adesso; e certamente le norme Covid, rispettate con scrupolo ad esempio nella creazione di percorsi obbligati per accedere alla zona ritrovo e partenza, hanno aiutato a s-ciarir (come si dice nel dialetto locale) molte cose.
Gli sportivi hanno risposto in modo soddisfacente, venendo da tutta la regione, e le società più attive sono state gratificate col ritorno, dopo quasi due anni, alle premiazioni dei gruppi. Non è casuale la presenza del presidente provinciale Uisp per la sezione Atletica, Maurizio Pivetti (foto 26, e in azione nella 504), finalmente a correre “in casa” dopo tante emigrazioni (come quella a Moena/Cavalese di due settimane prima, nel vuoto del calendario nostrano). E mi ha pure dato 34 secondi…
I classificati sono 214 in tutto, di cui quasi un quarto donne: ha probabilmente influito sulla presenza anche la “combinata” col Challenge di Fiorano, le tre gare estive su pista che si sommavano, per punteggi ‘compensati’, a questa gara, dando luogo a una seconda premiazione officiata, ancora una volta da Claudio Bernagozzi, prima che il raduno si sciogliesse (foto 593-621).
La gara di San Donnino è stata vinta (foto 304-307) da Marco Fiorini, venticinquenne tesserato Castenaso, in 31:08, con 8 secondi sul diciannovenne Federico Rondoni della Corradini. L’onore degli ‘anziani’ è stato salvato dal 39enne Vasil Matviychuk, però con appena 2 secondi sul ventunenne della Fratellanza Davide Rossi (ha sedotto anche Teida, che lo moltiplica nelle foto 550-553; viene in mente l’apostolo Giovanni nell’Ultima Cena di Leonardo). Ha chiuso gli arrivi degli uomini Renato Sacco da Torrile, ‘appena’ 57enne, preceduto dall’84enne sopra citato Luigi Bandieri, davvero una “bandiera” della società organizzatrice.
Inserisco un codicillo personale per dire che il sottoscritto, arrancando ai 5:08 nell’ultimo km, era stato raggiunto e superato da Claudio Morselli (Pico Runners), che però a cento metri dal traguardo ha rallentato facendosi raggiungere, col dire che “non è giusto arrivare davanti a uno che ti ha fatto l’andatura per tutto il percorso”. Caro Claudio, invece era giusto; mi è venuto però da confrontare il tuo comportamento con quello di un altro collega, onusto di gloria, che sulla pista di Fiorano mi aveva passato nell’ultimo mezzo giro di un cinquemila, confessando candidamente che ero stato il suo punto di riferimento per tutta la gara. E’ la legge dello sport: la stessa legge in base a cui il ‘vincitore’ di Fiorano oggi si è beccato quasi due minuti, e addio Challenge.
Tra le donne, in questo diecimila si sono prese la rivincita le ‘stagionate’, se tale può definirsi la prima assoluta, Fiorenza Pierli (Corradini, foto 379-382) classe 1980, e ormai da indicare come la miglior podista modenese del decennio: ha vinto in 38:08, 10 secondi davanti ad Anna Spagnoli (Gabbi), del 1972, che ha audacemente corso in duepezzi malgrado la pioggia imminente. Sono in età sinodale (come avrebbe detto Manzoni) e cariche di allori stradali anche la terza e la quarta, Gloria Venturelli e Rosa Alfieri; mentre quelle che una volta si chiamavano teenagers e adesso Generazione Z riescono a mandare solo al quinto posto la ventenne Chiara De Giovanni (Fratellanza).
Comincia a scendere la pioggia quando sono in corso le premiazioni del Challenge, cioè la combinata coi due migliori risultati delle gare in pista svolte a Fiorano tra giugno e luglio: indiscussa la vittoria femminile di Fiorenza Pierli, con 350 punti di vantaggio su Daniela Paterlini (oggi 13^) e oltre 500 su Laura Ricci, oggi ottava.
In campo maschile si fanno valere piuttosto i mezzofondisti un po’ in età, con vittoria finale del sessantenne Marco Moracas (Fratellanza), oggi solo 77° ma le cui prestazioni in pista l’avevano reso pressoché inattaccabile.
Ricordo che le classifiche del Challenge sono basate sui punteggi Fidal rapportati all’età, una sorta di tempo compensato che spinge al secondo posto il cinquantenne Giancarlo Bonfiglioli, che a San Donnino rifila al compagno di squadra quasi due minuti, insufficienti però a colmare lo svantaggio accumulato nei doppi e quadrupli giri di pista fioranesi. La Fratellanza, non a caso società eminentemente pistaiola, fa poker piazzando appena dietro i suoi due Alessandro, Bianchi e Manfredi.
Ecco la classifica delle prime posizioni:
Maschile 1° MORACAS Marco 2619 punti 2° BONFIGLIOLI Giancarlo 2314 punti 3 °BIANCHI Alessandro 2245 punti 4° MANFREDI Alessandro 2213 punti 5° GENTILE Fabrizio 2209 punti 6° BARBIERI Fausto 2114 punti 7° POGGI Fabio 2053 punti 8° CARPENITO Giacomo 1929 punti 9° BARGIACCHI Alessio 1299 punti 10° GUIDETTI Luigi 1234 punti
Femminile 1° PIERLI Fiorenza 2793 punti 2° PATERLINI DANIELA 2443 punti 3° RICCI Laura 2259 punti 4° MONGERA Annarosa 1769 punti 5° DEBBI Barbara 1696 punti.
Roteglia (RE), Trail del Pilastrino: la prima volta che…
12 settembre - … Me l’ha fatto notare una podista venuta fin da Berlino per camminare qua: è la prima volta che al termine della gara c’è un tavolone ricco di prelibatezze (metto personalmente sul podio l’uva dai grandi acini succosi; foto 53), cui tutti possono attingere, senza l’obbligo di prendersi il sacchetto con le cibarie e smammare il prima possibile. D’accordo, non eravamo tantissimi (poco più di un centinaio secondo le cifre diramate), essendo la partecipazione limitata dalla vicina e ‘ufficiale’ gara di Borzano dove pare si sia sfiorato il mezzo migliaio di presenze; dunque era facile mantenere il distanziamento all’interno del bellissimo cortile nel Borgo di Casa Maffei (foto 10-11, 14) dove si erano svolte tutte le operazioni di iscrizione (5 euro, senza preiscrizioni o data di scadenza, e senza pacco gara). D’altronde, sugli spalti degli stadi, in questa giornata, la mascherina sembra un oggetto vietato (la porterà l’1% dei tifosi, oltre tutto a contatto strettissimo), dunque ancora una volta non saremo noi podisti gli untori della prossima inevitabile “ondata”. Notevole qui da noi anche la presenza di ampie e confortevoli toilette in muratura, dove non si è mai dovuto fare la fila: negli stadi invece, non saprei come sono messi.
Partenza, in gruppo, con 5 minuti di ritardo perché le iscrizioni si erano protratte (ultimo o quasi era arrivato il Cuoghi della Cavazzona in foto 19, raccontando che la sua auto si era diretta in automatico verso Borzano, ma quando lui se ne era accorto aveva invertito la marcia e puntato su Roteglia).
Percorso mai collaudato in gare, sebbene qualche suo pezzo più corribile facesse parte di una classica camminata preserale dello stesso paese, grosso modo in questa stagione; e soprattutto, noi foresti ci siamo meravigliati arrivando, dopo 3 km e mezzo, e tornandoci dopo 8 km se avevamo scelto il giro lungo di 15 km (+880 D, che però il mio Gps riduce a 620), in un agriturismo intorno a quota 400 che era la sede di una “camminata di San Valentino”, più o meno all’epoca della festa di S. Anna. Gradito ritorno, augurale per futuri eventi: notevole che Italo (fotografo ‘della concorrenza’, ma pur sempre un amico), dopo averci fotografati in partenza, sia già arrivato lì per ulteriori scatti (foto 3, poi 26-30).
Diciamola tutta: non siamo né sulle Dolomiti né perlomeno sul Monte Valestra che si staglia nelle vicinanze: qui si corre sui calanchi, in parte sventrati dall’industria delle piastrelle, e dove i tipi di terreno a fatica permettono la nascita di arbusti e fiori (però mi sorprendo a vedere parecchi bucaneve, se sono davvero loro, nel sottobosco). Si sta quasi sempre su stradette bianche, a volte sassose, che la seccaggine ha cosparso di crepe, capaci a volte di trasformarsi in tagli che inducono frane. Giunti in quota si hanno belle visioni, ad esempio su quella “big bench” (mega panchina per salire sulla quale ci sono dei gradini) verso il sesto km; oppure sul Monte Stadola, circa 440 metri (cioè 250 metri più su della partenza-arrivo), dove pare di riconoscere (a me e al fido Paolo Giaroli) il tracciato di una antica camminata di San Valentino, che facevamo in senso inverso, talora imbattendoci in capre al pascolo.
Il percorso è ampiamente segnalato da bandelle, con una piccola defaillance (parlo sempre a nome dei foresti) verso il km 13/14: qui, un cartello non ufficiale (?) informa che tenendo il centro-destra si arriva al Pilastrino (che dà il nome alla gara), una chiesetta commemorativa su un cocuzzolo; ma i pendagli biancorossi portano a sinistra, in direzione di un’altra chiesa (“Maestà Nera”) che ci attira anche col suo scampanare. Risultato: chi segue il percorso ufficiale non passerà né dal Pilastrino né dalla Maestà Nera (che resta sopra); solo i più curiosi o i meno agonisti fanno la deviazione turistica, che avrei fatto anch’io se avessi conosciuto la topografia locale.
Pazienza, mi accontento di foto panoramiche, prima di scendere, lungo una stradetta con uno strano e fastidioso acciottolato antisdrucciolo, di nuovo verso Roteglia (eccola apparire in foto 52): dove c’è di nuovo Italo a fotografarci, quasi tutti con una gran fiacca addosso, salvo signore pimpanti come quella delle foto 24 e 53-54, che -come diceva Carlo Porta - “desdott in fira [bè, qui sono 15] e fresca cum un oeuv”.
Arrivano Giaroli e le sorelle Gandolfi (foto 6 e 13), arriva Cuoghi, arriva il nutrito gruppetto della Guglia di Sassuolo capitanato dalla signora Emilia e dalla sua seconda mamma Silvana. Si suda (verso le 11 stiamo intorno ai 28 gradi), ci si accovaccia sul prato, si cerca l’ombra, sorseggiando cola o succhi di frutta e sgranocchiando la squisita uva di cui sopra. La festa è finita, oppure siamo solo agli antipasti della festa grande della Liberazione?
Reggio, 1° festival dei Caseifici: qualcosa si muove…
SERVIZIO FOTOGRAFICO - 11 settembre 2021 – Nel ventennale esatto della tragica ricorrenza statunitense (ma ricordo che anche quel giorno dalle nostre parti si corse, esattamente alla sagra di Ganaceto), il podismo reggiano dà un altro segno di vita, re-inaugurando la stagione delle non competitive con una corsetta molto vicina a quella classica di Villa Curta che si svolgeva tradizionalmente ai primi d’autunno: siamo sotto l’egida Uisp, ma ci chiedono ugualmente il greenpass (la parola è talmente balorda che il correttore di word ti segna errore): anche perché l’ingresso nel recinto dà diritto a visitare l’annessa mostra dei caseifici reggiani, ricca di giochini e animazioni per bambini quanto priva di assaggini: per fortuna, qualche pillola di formaggio sarà inserita nel pacco gara, ricco all’inverosimile se si pensa che la quota d’iscrizione è quella dei vecchi tempi, 2 euro.
Siamo nell’aeroporto di Reggio, meglio noto in Italia (da quando Ligabue ci fece un concerto) come Campovolo, a breve distanza dai vecchi Campi Csi e dalla partenza di una maratonina competitiva che andava verso la Bassa. Qui dentro sta la pista per la scuola di ciclismo “Giannetto Cimurri”, usata anche da podisti come l’ing. Tallarita per i suoi 1000 km in 10 giorni, e da altri per competizioni con risultati meno invidiabili, salvo le ‘tacche’ elargite a buon mercato senza timore di ridicolo.
L’identificazione del greenpass è fatta molto seriamente, con lo scanner e il programma apposito (mentre in alberghi e ristoranti al massimo lanciano un’occhiata distratta); fin che non si corre va indossata la mascherina, e se non bastasse dobbiamo anche compilare l’autocertificazione. Dopo di che ci danno un grosso pettorale con l’ordine di indossarlo, quasi fosse un lasciapassare: e almeno questo ben venga, se riuscirà a frenare l’andazzo di “quelli che… l’ho lasciato in tenda/in auto/nella borsa perché a portarlo si perde”, e quelli che “mè a cur agratis”.
1° Festival dei Caseifici
Contorno di lusso, dallo speaker Morselli a tutti i fotografi della zona, compreso Nerino che ha in simpatia la torre di Pisa, a vedere da come ci ritrae. Il giro è di 5,150 km in senso antiorario, che si può fare una o due volte, attorno al Campovolo, in buona parte su strade sterrate, anche attraverso una sorta di boschetto naturale, per finire sul soffice prato, innaffiato anche adesso, dei contorni aeroportuali.
Tanta bella gente e almeno un paio di podiste decisamente carine, come la bionda longilinea che mi sorpassa impietosamente nel secondo giro e taglia il traguardo ritratta nelle foto 172-174 di Morselli. E guardate quel buongustaio di Domenico Petti come presenta la gara con la foto 2, e poi insiste tra la 126 e la 136.
Tanti reggiani (dei due cugini Giaroli uno corre e l’altro fa lo sbandieratore), e pure molti modenesi, (“tant da nuèter an gh’è gninta”: bè, sabato e domenica prossima si riparte, addirittura con un trail tosto e poi una 10 km nel comune capoluogo, sebbene in zona alquanto ‘ariosa’), compreso Giangi, la famiglia Bandieri da Formigine e l’imperdibile Cuoghi della Cavazzona che arriva immancabilmente in ritardo.
Ristoro (acqua in tetrapak) a metà e all’arrivo; e se qualcuno osa abbandonare il campo senza aver ritirato il pacco gara (maglietta, berretto, formaggio, acqua) , viene richiamato dagli organizzatori: io che l’avevo messo in borsa e stavo uscendo, sono stato invitato a prenderlo, ma ovviamente ho spiegato il perché della astensione: non è che sia no-pakx, ma la seconda dose non mi spetta!
Partecipazione non ancora ai livelli pre-covid: siamo forse a metà rispetto alla ricordata Villa Curta, ma, correggendo un po’ De Gregori, qualcosa si muove tra le pagine chiare e le tante ancora scure, e forse presto i nostri piedi potremo spedirli a indirizzi nuovi.