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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Sono 2143 i classificati in maratona entro il tempo massimo di 6 ore, e 20865 quelli della mezza maratona, partiti in contemporanea alle 7,15 di sabato 28 (in più erano programmate una 5 km e gare minori). Gli organizzatori parlavano di 4000 iscritti alla maratona: sicuramente molti sono arrivati fuori tempo massimo, come mi era facile dedurre quando, dal mio km 37 e seguenti che si svolgevano in buona parte sulla stessa strada nei due sensi, vedevo camminatori affrontare, già intorno alle 4h 45 dal primo sparo, gli ultimi loro 10-12 km inclusivi di salite. In più c'era la possibilità di optare, al bivio del km 19 e in altri due punti dove noi maratoneti rinvenivamo sul tracciato della mezza (sia pure con circa 8 km in più sul groppone), per autoridursi il percorso e concludere legalmente la gara rientrando in due classifiche 'speciali'. 

Da rilevare pure come gli arrivati in maratona siano equamente suddivisi tra uomini e donne, e per la mezza le donne siano quasi il doppio degli uomini: cose impensabili da noi in Europa, in Italia soprattutto. Non si tratta di supercampionesse: la vincitrice della maratona, la cipriota con doppio passaporto Stella Christophorou, ha impiegato quasi 2.54, infliggendo 13 minuti alla seconda, l'americana Heather Crowe. La vincitrice era smontata dal suo lavoro in Kentucky all'una di notte. Una volata in Tennessee per prendere il via, ma la fortuna di 'trovare' il marito, un militare americano, che faceva servizio come accompagnatore in bicicletta...  della prima donna! Immagino le lamentele delle italiche cacciatrici di prosciutti per un'eventualità del genere.

La maratona di Nashville, nata come 'Country music marathon' ma inserita da alcuni anni nel circuito Rock' n' roll (che comprende varie gare Usa e alcune europee), non è certo una maratona da tempo, per le molte asperità soprattutto della prima parte piuttosto collinare (già il nome di Belmont Avenue su cui si corrono parecchi chilometri è indicativo). Ha vinto per il sesto anno consecutivo il 36enne Scott Wietecha, migliorando il suo tempo del 2017 (quando fece davvero molto caldo), ma senza battere il suo miglior personale qui, in 2.28:18, con un minuto e mezzo di margine sul 22enne libanese Garang Madut. Le cronache fotografiche documentano anche il suo ricorso a una delle numerose toilette mobili disposte lungo il tracciato, davanti alle quali (appunto per la loro numerosità) non si generavano mai le lunghe code che siamo abituati a vedere di solito. Notevole pure che accanto a ognuna delle infinite postazioni per complessi rock ci fosse una toilette. È ovvio che non solo i podisti ma anche i musicisti abbiano certi bisogni durante 6-8 ore.

Anche in altri casi ho constatato con invidia la solita organizzazione americana, a cominciare dalla sistemazione nel vasto parcheggio gratuito dello stadio del football intitolato alla Nissan (che a Nashville ha la sede centrale per  tutti gli States): già nelle strade di accesso alla città (intasate questa mattina  come le nostre tangenziali alle 8 e alle 18 e quasi sempre in altre ore, anche per uno sciagurato camion che la sera prima aveva messo fuoriuso un sottopasso in un incrocio essenziale) c'erano code disperanti, che inducevano molti podisti ad accettare le offerte dei tanti parcheggi a pagamento da 10 dollari in su nelle vicinanze. Io invece ho avuto fiducia e giunto allo stadio verso le 6.15 ho trovato innumerevoli segnalatori che hanno guidato me e figlio (all'esordio sulla mezza) al settore D, zona G, piazzola 46. Da lì, 10 minuti a piedi verso la chiesa battista davanti alla partenza, dove una prima serie di bagni (o come le chiamano qui, sale da riposo) offriva sfogo alle impellenze fisiologiche, cui sopperivano poi altre toilette chimiche piazzate di fronte alla consegna bagagli.

Non sarà la più rinomata delle maratone Usa, ma una città che già nel 1907 aprì una fabbrica di auto chiamandola Marathon e assegnandole un podista come logo, di certe cose dimostra di avere una lunga esperienza...

Partenza nella centralissima Broadway, di fianco al palaghiaccio dove ieri i Predators locali hanno disputato la prima gara dei playoff scudetto. Si parte a ondate, distanziate di un paio di minuti l'una dall'altra, sebbene l'accesso ai vari settori non fosse controllato e comunque i settori non fossero separati. Cosicché,muovendomi in avanti appena sentito lo sparo, mi sono trovato con una coppia bolognese di amici di Podisti net, Andrea Sotgiu e Cristina Pasin, e insieme siamo partiti (loro per la mezza) dopo 13 minuti dal primo sparo. Naturalmente, checché ne pensino i soloni della Fidal, l'unico tempo valido per la classifica è quello registrato dal tuo chip attaccato al pettorale, dunque non serve sgomitare come in Italia. L' unica pecca del sistema è stata per me il non potermi fidare dei tempi indicati dai pacemakers (uno ogni 15 minuti), non sapendo in quale ondata fossero partiti: tant'è vero che sono arrivato a pochi metri dalla pacer delle 4.45, ma il mio real time risulta, come è giusto, di 4.55.

Percorso, a quanto ricordi, identico all'anno passato: il gps dichiara 42,850 metri (+500 di dislivello) ma sto abituandomi a non credergli troppo. Bella la prima parte, con lo stupendo coronamento del giro nel campo da baseball, ripresi dalla telecamera che vi proietta sul maxischermo; più monotona la seconda metà, stradoni, fabbriche, concessionarie e tanto sole. Induce invece a pensare la serie di cartelli esposta verso il km 16  dall'ospedale pediatrico St. Jude, che dà il nome alla maratona con finalità di raccolta fondi, ed esibisce le foto di tanti piccoli suoi pazienti, e alla fine la scritta: finché un solo bambino morirà di cancro,  noi non smetteremo di muoverci.

A proposito di scritte, i cartelli inalberati dal pubblico sono tra le cose più divertenti, seppure non tutte originali: come "su una scala da 1 a 10, tu sei 13.1" (l'equivalente in miglia della maratonina); oppure quello hard in mano a una donna: "hai un fucile sotto gli slip o sei contento di vedermi?". Piu saggio "la sofferenza dura un giorno, la classifica è per sempre"; sacrosanto " il matrimonio è una maratona, non uno sprint"; arguti "se pensi alla fatica che fai, pensa alla mia nel reggere questo cartello", oppure "mi sono allenata tutta la settimana per tenere su questo cartello". Noi italiani non siamo secondi a nessuno nel gestire in allegria le maratone, ma coi cartelli non siamo ancora a questo livello. Arriverà, come immagino che arrivi a breve Alexa, un robottino pazzesco che furoreggia nelle case, obbedisce a comandi a voce tipo "accendi la luce in cucina" o "mettimi una canzone di Joan Baez" o "chi ha vinto la maratona di New York?". Tutto per rendere più pigra e ottusa e obesa la gente: l'anno prossimo voglio chiederle di correre la maratona al posto mio...

Per fortuna, al momento corrono donne in carne e ossa: arrivato nel punto dove chi ne ha deve tirarne fuori, cioè alla deviazione degli ultimi 10 km verso il laghetto e il campo da golf sormontato da un ponte ferroviario come ne vediamo solo nei western o in Cassandra crossing, là dove gli addetti ai ristori (tanti!) cominciano a distribuire sacchetti di ghiaccio e bustine di sale, ingaggio pacifiche battaglie con due cavallone locali, i cui pettorali (nel senso di Bibnumber) dichiarano i nomi di Olson e Gwenthian. La prima mi supera inesorabilmente, la seconda invece sembra cedere, anche perché attardata dall'amica Julia. Insomma, un sacco di donne, che certi modenesi di mia conoscenza, ritratto vivente della sf* (in senso etimologico), che li porta a correre solo se affiancati da una di sesso opposto, ci farebbero più di un pensierino (specie se riuscissero a scroccare il pettorale anziché pagarlo 69 dollari come me).

Io invece arrivo al traguardo in solitudine (la biondina pacemaker fa il suo mestiere qualche decina di metri avanti). Solitudine integrata virtualmente dall'assistenza transoceanica di Roberto Mandelli, che mi rimbalza quasi minuto per minuto tempi di passaggio, piazzamenti ecc., e costruisce a getto continuo album fotografici mixando cene tennesseane e razzi di Alabama, come Alexa non saprebbe...

Dopo l'arrivo, la medaglia e i tanti generi di conforto (tra cui un benedetto asciugamani intriso di acqua fredda e una birra), trovo mio figlio con la medaglia al collo, entusiasta e che già progetta la gara del 2019 con colei che diventerà sua moglie. È giusto che noi anziani cediamo il passo a chi ha la gamba più sicura.

Lunedì, 23 Aprile 2018 10:41

A San Possidonio è quasi estate

I podisti “delle Basse”, raggruppamento geografico non ben definito ma che, direbbe Guccini, sta tra la via Emilia e il West (inteso come il corso del Po dalla reggiana alla ferrarese), si sono ritrovati domenica 22 a San Possidonio, uno tra i comuni più settentrionali della provincia di Modena, e tra i primi a coltivare il podismo di massa (era una tappa delle primissime edizioni della Sgambada, 1972 e dintorni), per una nuova edizione de “Al Gir dal Cumun” (il podismo di queste parti resta fedele al dialetto, altrocché Run e Trail o Trial o Challenge ecc.).

Gara che si svolge da decenni, dapprima solo su asfalto ma che da qualche anno ha inserito nel giro lungo di 18 km il passaggio per l’oasi naturalistica del Budrighello e una lunga sezione sull’argine destro del Secchia, dove una quindicina d’anni fa fu inaugurata la pista ciclabile fino al Po (e all’inaugurazione non mancò una corsa podistica da S. Martino Secchia a Rovereto organizzata dall’immancabile Ilva da Fossoli).

Terra purtroppo che reca ancora i segni dei terremoti del 2012: l’orologio del campanile segna da allora le 5,47, la chiesa è puntellata, nella piazza celebre per la maccheronata di fine agosto regna un’allegria un po’ mesta, da naufraghi che però vogliono riprendere la vita normale.

Come da tradizione, i pettorali distribuiti erano numerati perché c’è sempre una premiazione, particolarmente sentita per le categorie giovanili: su percorsi ridotti (vedere le foto di Teida Seghedoni 412-7) o anche per qualcuno più audace (288) sul percorso lungo.

Presenti anche bambini un po’ cresciuti, come Maurito figlio di Paolino (foto 351), Giangi (160-162, ma non pare gradisse molto essere ritratto), Gamba ed Legn Sala (31, 88) che continua a vantare il record di essere stato l’unico ad autogestirsi in una Modena-Abetone di un quarto di secolo fa, e la dinasty dei Gennari da S. Flis, già incoronata dai Passatori dei bei tempi (e incontrando il Gennari della foto 10 la domanda da fare era inevitabile: “tè sit Loris o Elvino?”).

Il caldo estivo è stato mitigato dalla frescura dell’oasi (foto 52-73), ma una volta saliti sull’argine (foto da 163 in poi), qualcuno ha osato inaugurare la prima tenuta da spiaggia dell’anno (239, 301, 307). Altri tempi, quando queste erano le nostre spiagge e in quell’acqua si faceva il bagno. Ma questa corsa d’altri tempi è viva come sempre.

 

Servizio di Teida Seghedoni

http://foto.podisti.net/p1031039355

 

Dopo una prima edizione 2017 molto contestata, e per la quale fa testo il report di Massimo Muratori che ospitammo su queste colonne e in parte riproduco, mi ero deciso a presenziare (s’intende, con scarpette ai piedi e zainetto in spalla) alla seconda edizione, o per essere più esatti a quella parte di tracciato (gli ultimi 55 km) ritagliata per la prima volta dai 125 del giro totale. Scelta personalmente (intendo: atleticamente) alquanto discutibile, ma utile giornalisticamente, nel senso che trovandoci noi del giro “corto” in gioiosa e/o sofferente convivenza con quelli del giro lungo, che transitavano dal Monte di Fò sotto il passo della Futa, da dove partivamo noi, al loro 70° km, abbiamo potuto scambiare impressioni che, unite a quanto ho visto di persona, mi danno un quadro abbastanza equo. Che naturalmente potrà essere arricchito o corretto da altri partecipanti.

Le prime parole che mi ha detto un super-trailer, già partecipante nel 2017, sono state: “quando si fanno delle critiche costruttive e gli organizzatori sono intelligenti, poi si aggiusta tutto”.

Dunque, aveva scritto Muratori:

Ristori (o, all’americana, Check Point): piazzati con il metodo del lancio dei dadi (alea iacta est, lo diceva già Giulio Cesare su queste strade) con distanze variabili tra i 10,3 e i 24,2 km, con zero punti intermedi di rifornimento acqua; e assicuro che con il mezzo litro richiesto nel materiale obbligatorio si sarebbe fatto ben poco. Solo nel tratto precedente S. Piero (23/93 km) sono state date bottiglie d’acqua in due punti ai volontari, forse dopo le numerose lamentele dei corridori che passavano al C.P.( all’italiana, ristoro) di Monte Fò, punto di cambio indumenti piazzato in un campo di calcio al sole, e dove un po’ di pastasciutta veniva data a patto di mangiarla con le mani, vista l’assenza di forchette.

Confesso di non aver visto il ristoro di Monte di Fò (frazioncina ancora ignota a qualche stradario: era più semplice dire che sta 4 km sotto il passo della Futa, lungo la stessa strada ex statale): il nostro luogo di raduno era all’interno di un camping, tutti i servizi concentrati in pochi metri, con ombra persino eccessiva dato il vento freddo che, a 800 metri di altezza, ci faceva cercare il sole; ma i super-trailer passavano cinque metri sopra di noi e si ricongiungevano solo dopo un km abbondante, dunque non saprei come fossero la loro nutrizione e dissetamento. Però la collega d’università Elena Pacetti, giovane ma apprezzata pedagogista nonché podista, di servizio a Monte Adone, mi assicura di aver visto “atleti sorridenti, capaci di ringraziarti e di scherzare anche se stremati dalla fatica, pronti a sostenersi a vicenda”.

Dal Fò in avanti, i due posti di ristoro anche solido programmati (appunto al km 23/93 e al 39/109) erano alternati a quattro punti di idratazione (6-15-31-43 secondo la nostra misurazione), con acqua, cola, tè (ma al 31 ho mangiato anche due ovetti di cioccolato…), ai quali aggiungo almeno due fontanelle cui mi sono abbeverato con voluttà, più un delizioso “ristorino” gestito, intorno al km 20, da quattro bambinelle di età tra i 4 (“li faccio il 26 di sgiugngno!”) e i 10 anni, che con una precisa turnazione ci offrivano acqua minerale fresca. Dunque non ho mai patito la sete, e ho fruito della mia riserva idrica solo dal km 40 in poi. A proposito di materiale obbligatorio, è la prima volta dopo l’Utmb del 2015 che il mio zaino è sottoposto a rigoroso controllo, PRIMA della consegna del pettorale, con richiesta anche dei materiali tipo maglia pesante, pantaloni lunghi, guanti, che la giornata soleggiata rendeva del tutto inutili, almeno per chi contava di arrivare prima di notte.

Parlare della mancanza di alimenti salati, della quasi cronica scarsità di bevande (solo acqua e sali erano presenti) è una costante. Per la coca assente a Sasso Marconi ci è stato precisato che a Monzuno ce n’era in abbondanza: mancavano solo 24 km! Del fatto che all’ultimo ristoro di Monte Senario alle 19 di sabato era rimasto ben poco da mangiare, e la solita coppia acqua e sali per bere, e dovevano passare ancora più di 60 persone, è un po’ come sparare sulla Croce Rossa.

Sempre relativamente ai miei miseri 55 km, devo dire che il ‘pranzo’ di San Piero a Sieve era al livello di quelli dell’Utmb: panche e tavoli al coperto, piatti, forchette e coltelli, due primi (riso e maccheroni) secondi di vario genere tra cui ho privilegiato 4 fette di squisito prosciutto, frutta secca e fresca, birra tra le bevande - dove non mancavano mai l’acqua frizzante e gli integratori. Mi sono fermato ben 11 minuti; solo 5 in quello successivo di Monte Senario, dove a servirmi – tra gli altri – stava un tipo con aria vescovile. Gliel’ho fatto notare, e mi ha risposto che avevo un po’ indovinato, dato che è l’archivista dell’abbazia (in uno dei posti più belli del nostro percorso, sebbene al termine della salita più dura, 600 metri verticali da rimontare in 14 km, dopo dei quali vedi però, da un meraviglioso prato in falsopiano, Fiesole e Firenze).

Tracciatura: il trailer sia di notte che di giorno ha il chiodo fisso di non sbagliare strada. Non correndo su un biliardo molta attenzione la porge a dove va a mettere i piedi, e la primaria necessità è quella di avere costantemente in vista fettucce, frecce o cartelli che indichino la strada: ovviamente col buio la cosa è fondamentale. Se le bandelle vengono posizionate ogni 100/150 mt, e a volte molto di più, e vengono piazzate dopo una curva del sentiero anziché prima; se poi agli incroci si trova una sola bandella senza il richiamo nei 10/20 mt successivi del sentiero giusto; se le indicazioni date dai volontari sono a volte diverse da quelle indicate dalle frecce; se negli ultimi sei sette km di volontari non vedi l’ombra e ti fai un po’ di statale trafficata in solitudine, seguendo più i cartelli stradali che quelli scarsi della gara: se tutto ciò avviene ecco che il trailer mi diventa ansioso e un filo “irritato”.

Questo chiodo ce l’ho anch’io: anzi, visto lo scenario mistico in cui si svolge il secondo tratto, mi dicevo che era il diavolo tentatore a sibilarmi ogni mezzo km “hai sbagliato strada, torna indietro!”. Però dichiaro solennemente che quest’anno, a parte l’ultima quindicina di km dove un po’ di rarefazione c’era, siamo sempre stati guidati da bolli gialli a terra, freccine (piccolette a dire il vero) in prossimità dei bivii, bandelle biancoazzurre ad altezza d’uomo, qualche bandierina blu con catarifrangente giallo. Confesso di essermi sbagliato una sola volta, appunto a una decina di km alla fine (insufficiente irrorazione cerebrale?), ravvedendomi però nell’arco di pochissimi metri, e di avere avuto gli unici dubbi nella piazza centrale di S. Piero a Sieve, dove solo scrutando lungo le tre strade possibili si vedeva una bandella attaccata una trentina di metri oltre; e a Fiesole, dove era forse venuta a mancare la vernice per i bolli gialli e (mi hanno detto) qualche genietto dispettoso aveva strappato le bandelle. Di modo che, a una certa piazza che finiva in un bivio quasi all’ultimo km, ho fatto un ragionamento su quale strada scegliere (quella di destra) e mi è andata bene. Non ho mai dovuto chiedere niente a volontari, salvo, per eccesso di scrupolo, ripartendo da ogni ristoro “e adesso dove vado?” (ma qui c’entrava forse anche il mio obnubilamento da birra).

Percorso: la VdD è quella: non si discute, può piacere o non piacere, sicuramente più adatta ai corridori che agli arrampicatori, racchiude tratti di asfalto certamente superiori ai 25 km corrispondenti al regolamentare 20% (secondo il punto 1.5 della IUTA), e forse non potrebbe definirsi Ultra Trail, ma in questo caso i “punti” per la regina delle Ultra Trail sarebbero persi, e oggi si vive di punti anche per andare dal barbiere. Ciò che non si è capito bene è la reale lunghezza del percorso, tre km in più ci sono stati ufficializzati via mail senza però dire dove li avevano messi (o ti scarichi la traccia o ti gratti), ma gli altri 4/8 indicati dai vari concorrenti da dove sono arrivati? Azzardo un’ipotesi: qualche giro vizioso per aggiungere km e dislivello sempre in funzione punteggi?

I protagonisti della gara lunga mi hanno assicurato che nella prima parte l’asfalto era stato drasticamente ridotto, a volte costruendo sentieri nei boschi, con taglio di alberi e l’apporto del Cai. Sulla distanza non ci si pronunciava (anche perché la maggioranza dei Gps non reggono una carica di tante ore), ma pare che l’altimetria fosse giusta (rispettivamente più 5000 e più 2000); dal mio Gps, appena bastante per il giro ‘corto’, trovo sostanziale conferma dei 55 km; con un calcolo molto a braccio, direi che la parte asfaltata sarà stata sui 10 o 12 km, inevitabile quando attraversi o arrivi in un grosso centro abitato. Magari non sarebbe male mettere anche qualche paletto chilometrico a terra: non pretendo i segnali ogni 250 metri di Interlaken, però almeno ogni 5 km come a Davos, così ci potremmo regolare.

A un certo punto, quando ormai sulla stessa altimetria di Fiesole (dopo il quarto dei cinque ‘dentini’ che interrompevano la teorica continua discesa degli ultimi 16 km) ci siamo immessi sulla stradina che ci avrebbe portato al traguardo, un addetto ci diceva “mancano solo 3 km!”. Il mio vicino di gara del momento, uno Yuri romagnolo, ha detto di non fidarsi molto di questo tipo di segnalazioni, e ha cominciato a camminare fino al traguardo. Invece mi ha raggiunto e superato (dopo vano tentativo di resistenza mia, durato sì e no mezzo km) una ragazza di Treviso, Mariangela, col suo bravo pettorale verde del giro lungo: “Tu sì che sei eroica!” le ho detto. “Gli eroi sono ben altri”, è stata la sua risposta. Terza assoluta, a una ventina di minuti dalla seconda, Tatiana, che mi aveva superato al 41, con un’andatura per me del tutto insostenibile. Lasciamo chiudere al puntuale Muratori 2017:

Parlando del contorno alla gara: pasta party inesistente alla partenza, mi dicono buono all’arrivo (non ne ho usufruito); docce calde e buon servizio di navette per andata e ritorno, pacco gara di buon livello e, almeno nel mio caso, distribuito da una splendida e solare fanciulla alla quale non ho potuto non rivolgere un complimento.

Confermo il servizio di navette efficientissimo, che sopperiva alle scomodità dell’arrivo in centro ma con docce e pasta party ubicati a 3-4 km; e aggiungo di una navetta supplementare, non dovuta, ma preziosa per me e altri che avevano sciaguratamente lasciato l’auto a Monte di Fò rifiutando la navetta da Bologna del sabato mattina. Nel risalire a Firenze lungo la via “Nazionale Bolognese” (quella delle mitiche Mille Miglia, oggi guastata da troppe inutili rotonde) ci siamo imbattuti in vari addetti a sorvegliare ancora il passaggio dei supertrailer, che avevano tempo per arrivare fino alle 6 di domenica: ma a quanto appare dalle graduatorie apparse già in live nel sito Sdam, gli ultimi classificati sono stati aspettati addirittura fino alle 32 ore, cioè alle 8 (e come al solito mi viene il paragone col Sentiero di Corteno Golgi o con la Sellaronda, quando mettevano fuori gara anche per 5 minuti di ritardo a un cancello). A proposito, da uno dei concorrenti che otto giorni prima era stato al trail di Rocca Malatina (e che arriverà 19° del giro lungo, Riccardo da Fiorano) ho sentito lamentele, non solo sulle classifiche diffuse nell’immediato in forma sballata e corrette dopo cinque giorni, ma anche sul richiamo “tu sei fuori!” rivolto a un suo amico un pelino lento che per la prima volta si cimentava in un trail. “Quello che è giusto è giusto, ma umanamente non è il modo per incentivare la pratica del podismo in natura”. Purtroppo – gli ho commentato, incontrando l’approvazione di un altro compagno di strada – se ci fosse stata la Cecilia sul percorso lungo, la aspettavano, perché il tempo massimo era commisurato su di lei e sulle foto di suo marito… ma purtroppo ha fatto i 20 km!

Quanto al resto della nostra giornata tosco-emiliana, dalle graduatorie vedo 146 classificati (di cui 15 donne) sui 183 partenti dei 125 km: sono 20 in meno del 2017, compensati però dai 92 arrivati, con 13 donne (su 96 partiti), dei 55 km: qui non c’è stato bisogno di arrivare fino alle 02,30 del tempo massimo, perché in poco più di 12 ore (cioè alle 22,30) erano arrivati gli ultimi.

Gara certamente non estrema, paragonabile alla Abbotts way, anzi un po’ più morbida perché non ci sono deviazioni gratuite, fuori dell’itinerario storico, come invece dagli Abati (monte Lama): pochi tratti di discese un pelino pericolose (specie dalla cima più alta della Flaminia, cioè il Monte Gazzaro oltre i 1100 metri), con cartelli di avviso e addetti che ci esortavano alla prudenza, e persino una ventina di metri di corda corrimano. Suggestivo il passaggio dal castello mediceo di Trebbio sopra San Piero a Sieve e dalla badia di Bonsollazzo (spettrale nel suo abbandono, location ideale per film di fantasmi o di monaci medievali), a 525 metri, all’inizio dalla salita verso quell’autentico “Paradiso” di Monte Senario. Grandiosi i panorami ‘fiorentini’ degli ultimi 15 km; nella zona delle Croci- Olmo si interseca la strada Faentina in uno dei punti più antipatici del Passatore, quello dove tutte le auto degli accompagnatori e spesso trasportatori abusivi si affollano e ci rompono alquanto con le loro manovre e i gas di scarico; più pacifico il ricordo invece dell’Urban Trail di Firenze che attraversa Fiesole e le colline circostanti. Delizioso il borghetto delle Molina, anche perché lo affrontiamo in confortevole discesa, e su una mensola uno sconosciuto benefattore ha lasciato una bottiglia di Ferrarelle ancora fresca.

Molto originale l’arrivo nell’anfiteatro di Fiesole, medaglia con la scritta “Pervenit” (ci ho messo un minutino anch’io a capirla...), il vicesindaco di Vaglia (uno dei comuni attraversati) che saluta, si fa fotografare insieme a te e umilmente si piega a toglierti il chip dalla caviglia. Avrei visto volentieri anche Fausto Cuoghi, che ci aveva dato il via da Monte di Fò: ma forse era giustamente andato a festeggiare il suo **tesimo compleanno (diciamo che oggi ha cambiato di categoria MM). È anche grazie a lui, oltre che al commander-in-chief Riccardo Cavara, se la Bologna che da vent’anni non riesce a organizzare una maratona, e che prima annuncia poi cancella l’Urban Trail, è stata finalmente capace di proporre una corsa piacevole, ben allestita e istruttiva anche culturalmente parlando.

Primo ristoro in fondo all’anfiteatro (superata la pena di discendere i gradoni, apprezzatissime le patate lessate in olio, e ovviamente la frutta, l’ennesima birra, ma anche un ottimo tè caldo); poi pullmino per riconsegna bagagli con annesso pacco gara supplementare, docce (calde a patto di farle in non più di due per volta), massaggi e l’attiguo pasta-party (maccheroni al sugo, lonza di maiale, dolce, fragole, altra birra). Data la ristrettezza dello spazio, e anche il lungo arco temporale nel quale arrivavamo nonché la distanza tra arrivo e altri luoghi, è mancato il clima da pranzo collettivo, con speaker, allegria, premiazioni. O forse Cuoghi era là.

In ogni caso, dal sito Sdam ricopio le prime posizioni. Nella gara principe, il vincitore 2017, peggiorando di appena dieci minuti la sua prestazione di allora (ma ottenuta su un percorso più ‘stradale’), arriva secondo dietro Fabio Di Giacomo, che registra un tempo pazzesco di 13h 49. Il terzo arriva due ore e mezzo dopo del vincitore; quarto è Roberto Brigo, secondo nel 2017, che questa volta si peggiora di due soli minuti. Un po’ più ‘calme’ le donne, tra cui prevale Giulia Saggin (13° assoluta), davanti alle due mie sorpassatrici già citate. “Enfants du pays” alla ribalta nella gara corta (Naldi tra gli uomini in 5.04, Michela Migliori sesta assoluta e prima donna in 6.20), con l’eccezione della seconda donna, Sarah Eggleston americana, decima assoluta in 6.38.

Dal comunicato ufficiale già pubblicato (http://www.podisti.net/index.php/notizie/item/1211-ultratrail-via-degli-dei-e-flaminia-militare-i-vincitori.html ) e dal sito Sdam consultato domenica mattina riprendo la lista dei primi.

55 km

1        191     NALDI LORENZO      IL PONTE SCANDICCI         ita      SM45          1        5:04:00       

2        199     CASELLI CRISTIAN    RONDA GHIBELLINA TEAM   ita      SM             2        5:17:13       

3        210     DIANA FRANCESCO  NUOVA ATLETICA ISERNIA   ita      SM45          3        5:46:12

 

F

6        F36     MIGLIORI MICHELA   RUNNERS BARBERINO        ita      SF45   1        6:20:16       

10      F47     EGGLESTON SARAH            usa                        SF              2        6:38:28       

14      F48     CIANCI LUANA                  ita                         SF50           3        6:48:55       

 

125km

1        1        2        DI GIACOMO FABIO  RUNNERS VALBOSSA-AZZATE       ita      SM35          1         13:49:35      

2        2        1        RABENSTEINER ALEXANDER BERGAMO STARS ATLETICA ita      SM40          2         14:51:36      

3        3        27      GIROTTO VALERIO    MONTELLO RUNNERS CLUB           ita      SM45          3         16:24:40      

4        4        3        BRIGO ROBERTO      ATLETICA RIVIERA DEL BRENTA     ita      SM50           4         16:24:41      

 

F

 

13   F18     SAGGIN GIULIA        FRIESIAN TEAM      Ita      SF   1        18:31:59

20      F2      MACCHERINI TATIANA        RONDA GHIBELLINA ita      SF40           2        19:20:03

27      F8      CURINI MARIANGELA MONTELLO RUNNERS CLUB  ita      SF35           3        19:43:55      

Non ci sono solo i premi per i top runners alla maratona di Milano.

Giungendo al traguardo, il supermaratoneta ed ex marò veneziano Adriano Boldrin, che da anni continua a inanellare maratone malgrado seri problemi fisici, ha ricevuto, oltre alla medaglia, un piatto argentato con la dicitura “1° Premio Claudio Zamengo - A chi non si è mai arreso, e ha lottato per raggiungere i propri sogni e obiettivi”. A consegnarglielo sono stati la vedova di Zamengo, signora Silvia Stradelli, accompagnata dal piccolo Andrea figlio di Claudio, e Andrea Basso, già del comitato organizzatore della maratona di Venezia ed ora coordinatore generale di Milano Marathon. Presente anche Tiziano Lamera, titolare di un negozio di articoli sportivi a Martinengo (BG) e collaboratore di Milano Marathon oltre che della Mezza di Monza e di altre gare. Nella festa è stato coinvolto pure Gabriele Mancini, altro maratoneta di lungo corso arrivato al traguardo con Adriano.

Nella giornata delle due maratone italiane (per tacere dei bellissimi Colli Euganei, di Parigi, Rotterdam e di altre estere), della maratonina prestigiosa dei Dogi (oltre a quella dei 33mila di Berlino), e all’indomani del campionato regionale Uisp di trail, non ci si poteva certo aspettare dell’agonismo in una gara come sono le “risaie” di Fossoli, da sempre non competitiva, e nel depliant odierno specificata “a partecipazione volontaria” (conoscete gare a partecipazione obbligatoria?).

Eppure, questo appuntamento tradizionale del podismo modenese ha radunato il consueto migliaio abbondante di partecipanti (assenti però i reggiani, che avevano la loro gara a una ventina di km), diviso su 5 percorsi dai 4 ai 20 km, sebbene non sia facile capire quanti abbiano effettivamente corso, dal momento che arrivando in zona partenza mezz’ora prima del via ufficiale ho trovato il primo km di strada già pieno di camminatori o simil-corridori.

Il percorso ricalca in parte quello della cosiddetta maratonina Città di Carpi, collocata a Cibeno ossia a 4 km da qui, nella parte più a sud (tra San Marino e Cibeno), ma si spinge un po’ più a nord lungo la vecchia e malandata via Remesina, già calpestata ogni inizio estate dalla corsa del festival dell’Unità, oltrepassando lo spettrale ex campo di concentramento (nel servizio di Teida Seghedoni, linkabile anche qui sotto, lo vedete nelle foto 51-56) e sconfinando nel comune di Novi, con passaggio dal centro della frazioncina di Gruppo: ormai abitato-fantasma per le scuole elementari datate 1932 e chiuse da decenni, la torre da cui ogni anno cade già qualche mattone (gli amministratori se la cavano recintando la zona e apponendo il cartello “Pericolo di crollo”), la strada un tempo forse asfaltata ma ormai dominio di buche e ghiaino, oppure, per un tratto di almeno 4 km, mai asfaltata (foto 206, 214, e per altri tratti in disfacimento, 238-9). A poche centinaia di metri da lì, a Santa Maria, è nato Ivano Barbolini.

Paesaggi tipici della Bassa, con poche risaie residue (foto 204, 210), pochi alberi, molti canali di bonifica (218-9) se non sbaglio risalenti al tempo del podestà Conte Zuccolini, davanti alla cui ex villa transitiamo verso il km 14 (foto 370-1), qualche laghetto forse per pescarci il pesce gatto, la collina del rusco di Carpi (222), un paio di trattorie fuori mano e molte ex fattorie agricole apparentemente abbandonate (215, 451, 508. 512).

Eppure ha il suo fascino, e ho visto qualche podista fermarsi a fotografare. Io ci transito con un po’ di magone ricordando quando con mio padre ci passavamo in sella a una Vespa modello 1949 con cambio a bacchetta, diretti a Rolo dallo zio; e con un po‘ di rimorso per quella volta (credo fosse il 1961) quando, sempre per decisione del babbo dopo che la mamma aveva pianto vedendo il lettone sporcato dalle pipì dei gatti (non avevamo la lavatrice, le lenzuola si lavavano con la cenere), portammo in un sacco i suddetti gatti e li abbandonammo in un’aia dove razzolavano galline. Ora non ci sono più né gatti né galline, e i due addetti al ristoro di Gruppo non sono del luogo.

Precise le segnalazioni e buona la sorveglianza sul percorso: l’inflessibile vigile Pavesi (foto 446) ci costringe a stare sul lato sinistro della San Marino-Fossoli, perché così prescrive il codice, anche se ci sarebbe uno spazio più ampio a destra della striscia bianca continua di fine carreggiata (tra la strada e le case o il fosso: vedi foto 376, 413).

Si è rivisto l’ex assessore allo sport di Carpi, e maratoneta, Carmelo Alberto D’Addese (foto 29-30): dopo di lui, la maratona di Carpi è andata a rotoli, sebbene giunga notizia che la maratona stessa abbia uno stand all’Expo della maratona di Milano, e che tra due settimane il sindaco, con immancabile delegazione, sarà alla maratona di Londra per esibire la coppa di Dorando Pietri. Ma rischia di diventare un cimelio la maglietta della maratona 2016 che la podista delle foto 39-40 esibisce. Un numeroso gruppo carpigiano, infarcito di politici, andò a Londra già dieci anni fa per una sorta di gemellaggio: ma gli atleti inglesi che si iscrissero a Carpi quell’anno risultarono meno dei carpigiani andati (non tutti a spese proprie) a Londra.

Solito euro e mezzo di iscrizione, in cui contraccambio si riceve alla fine mezzo chilo di riso locale: viva l’Ilva fossolese che organizza tutte le gare, di qualsiasi colore, si tengano a queste latitudini, e nella quale hanno creduto anche Lupo-sport e Migliorini (foto 17-19) venuti a conferire un carattere anche commerciale a questo disimpegnato raduno di una primavera finalmente sbocciata.

 

http://foto.podisti.net/f491229147

 

Per il terzo anno consecutivo sono andato a questo trail, non solo perché è vicino a casa ma anche per le buone impressioni ricevute negli anni precedenti. Essendomi autoretrocesso al giro ‘corto’ di 20 km (e come me ha fatto Massimo Muratori, che l’hanno scorso si era analogamente misurato sul tracciato lungo di 34 km), il giudizio ridiventa ottimo, dato che le maggiori pecche erano state rilevate nella seconda parte, a volte apparsa inutilmente punitiva per gli atleti non di primo piano.

Forse per dare motivi di partecipazione anche ai non specialisti, quest’anno, oltre alla conferma di un “minitrail” competitivo per giovanissimi (ammesso ora nel Circuito nazionale minitrail), c’era la novità di un trail non competitivo , su percorso “facile e suggestivo di 10 km intorno ai Sassi, al costo di soli 2 € “ (così il comunicato degli organizzatori): in realtà il percorso era stato ridotto alla miseria di 7 km, che ha indotto signore di mia conoscenza (camminatrici di lunga lena) a inventarsi loro un percorso un po’ più dignitoso.

Quanto ai 20 km (confermati dal Gps, che semmai avrebbe da ridire sul dislivello annunciato di 1000 metri, rivelatisi poco meno di 800), come l’anno scorso erano perfettamente tracciati (mai viste tante frecce e bandelle, nemmeno all’UTMB o a Davos-Interlaken che sono il non plus ultra)e si giovavano di 80 (dicono) segnalatori lungo il percorso, aggiunti ai vigili lungo i rari attraversamenti di strade asfaltate. Tra gli addetti, gente che sta facendo la storia dell’ultratrail internazionale, come l’Ermanna Boilini ritratta al rientro della sua fatica nella seconda cartella di Teida Seghedoni (n. 342).

Sul percorso però, i piccoli mutamenti annunciati nella prima parte si sono ridotti a poca cosa, lasciando inalterati i due punti più critici dei primi 6 km, cioè due salite secche su sentiero monotraccia che, vedendo il gruppo quasi compatto (a parte i primi che si erano già involati), ha costretto noi medio-scarsi a fermarci aspettando pazientemente che quelli davanti a noi, scivolando e aggrappandosi agli alberi, arrancassero finalmente verso gli slarghi. È l’effetto "safety car" che Muratori aveva già denunciato l’anno scorso, ma a quanto pare inutilmente. Ammesso che non esistano sentieri alternativi (ne dubito), sarebbe forse saggio invertire la marcia, dato che nell’altro senso l’ultima parte del trail “corto”, di 7-8 km, si svolge quasi tutta per prati e su carraie relativamente larghe.

Ottima la gestione della zona di partenza-arrivo, se si esclude l’inesistenza del deposito borse annunciato (ci siamo fidati a lasciarle nel salone – ho sentito dire di qualche indumento scomparso negli spogliatoi femminili), ed eccettuate le docce tendenti al tiepido/freschino quando le ho fatte io, cioè dopo tre ore e mezzo dal via, dove insomma mancava ancora quasi metà dei partecipanti.

Frequenti i ristori, all’incirca uno ogni 5 km, e suggestivi molti passaggi della corsa, come gli attraversamenti dei due antichi villaggi di Samone e Montecorone, oltre che il periplo e le ascensioni, per quanto faticose, ai caratteristici “sassi”: per la cui durezza (già conclamata l’anno scorso) basti vedere le foto della seconda cartella di Teida, 146-147, 153-158, 178-181, 285-288 ecc.

Grandioso il pacco gara (per cifre di iscrizione iniziali fra i 15 e i 20 euro, senza sovrattasse per pagamenti online): birra, salamino, crescentine ecc. (sebbene non giurerei che il bicchierino di gomma incluso, pardon, la “soft cup speed, che si piega e sta in tasca”, valga davvero i 10 euro dichiarati); c’era però un sovrappiù per chi aveva l’accortezza di recuperare, dai tanti foglietti inclusi nel sacchetto (non nel mio) o disponibili su un tavolone, il buono per ritirare un vino pregiato da una cantina a una decina di km.

Confermato il meraviglioso pranzo finale (per 5/8 euro di supplemento): tortellini alla panna o spaghetti al sugo; tre crescentine con possibilità di scegliere tra cinque farciture; tre tipi di insalatoni; crostate e torte casalinghe; acqua fresca frizzante erogata da un’attigua serie di rubinetti (più birra e altri generi da bar a pagamento).

Insomma, si spendeva meno a venire a correre e a mangiare che a stare a casa: eppure, sono stati rilevati una decina o più di ‘portoghesi’: uno (foto di Teida, km 3, n. 417-418; per altri casi sospetti vedi 302, 404, 428) mi ha passato dopo qualche km, poi l’ho ripreso, poi mi ha ripassato e si è presentato al traguardo festeggiatissimo dallo speaker Brighenti. La sua maglietta biancoverde con tanto di scritta (per niente occultata da un pettorale che non esisteva) non lasciava dubbi sull’appartenenza alla Polisportiva Madonnina, che un tempo era la società più seria ed esemplare della provincia modenese, e adesso a quanto pare alleva partenti anticipati e podisti a ufo. Gli ho chiesto come mai non avesse il pettorale: mi ha risposto che anche due anni fa qui aveva corso senza, perché queste corse non gli piacciono un granché. Cioè: io vado a un ristorante che non mi piace, mangio e poi non pago perché il cibo offerto non era di mio gradimento.

Se a voi organizzatori e speaker va bene così, continuate pure nella tolleranza. Si squalifica gente che corre con pettorale altrui, ed è giusto; ma almeno quel pettorale è stato pagato. Allora, che fare per chi non si sogna nemmeno di pagare? È forse troppo chiedere agli addetti ai ristori di negare il bicchiere a chi non ha i requisiti; ma ad esempio la società per cui l’atleta è tesserato potrebbe sospenderlo. E lo speaker (di cui si ricorda, in anni passati, una frase all’indirizzo della stessa società modenese: “mi vergogno di avere concittadini così”) potrebbe non farsi ammaliare dai riccioloni e dalla parlantina di un personaggio poco festeggiabile.

Rispetto all’anno scorso, si era rinunciato (per evidenti motivi di bilancio) ai chip della Tds; col risultato che malgrado l’impegno dei volonterosi giudici e cronometristi, dopo oltre 24 ore non c’è traccia di ordine d’arrivo sui siti dell’organizzazione e dell’Uisp. Peccato perché quest’anno le due gare valevano quale prova unica del campionato regionale Uisp di trail, che aveva attirato podisti da tutta la regione (in particolare, per quanto ho visto direttamente, dal parmense), senza però ‘scacciare’ buongustai fedelissimi come Lolo Tiozzo della Ovunque, in partenza per Boston e (tra qualche mese) per New York con Podisti.net (foto 479 della prima cartella).

Nella serata di domenica 8 appaiono le classifiche, da cui si nota la stazionarietà degli arrivati nei 34 km (153 contro i 150 del 2017), e invece un deciso aumento per i 20 km, con ben 330 atleti contro i 265 dell’anno scorso. PS: Salvo che le classifiche contengono evidenti errori, e se sulle prime non avevo segnalato (data l'irrilevanza del fatto) che il mio tempo ero stato peggiorato di oltre un minuto, e la ragazza giunta appena dietro a me risultava invece dietro di un altro minuto, all'apparire delle classifiche vere (speriamo), una settimana dopo, non solo i classificati della 20 km aumentano di 6 unità, e di 3 unità quelli della 34 km, ma soprattutto va segnalata la 'cancellazione' della presunta vincitrice dei 34 km, tal Righi Silvia che sembra avesse fatto i 20 km e comunque adesso è sparita. Il suo tempo di 3.55 adesso è attribuito alla ex seconda, ma legittima vincitrice; dunque aggiorno qui sotto le prime posizioni (invariate, per fortuna, le altre classifiche 'da podio').

Risparmiare va bene, ma se saltano fuori pasticci del genere (tanto più in un campionato regionale), allora sarebbe meglio chiedere qualche euro in più agli iscritti, oppure far pagare la quota agli abusivi, e non si farebbero queste figuracce [aggiunto il 15 aprile 2018]

 

CLASSIFICA MASCHILE TRAIL 34 KM

Pos Tempo Cognome Nome Società Anno Ente Sex

1 3:05:38,15 MODENA CHRISTIAN TEAM MUD AND SNOW ASD 1984

2 3:14:27,33 GALEATI GIANLUCA A.S.D. Leopodistica 1983

3 3:23:37,95 VILIOTTI ROBERTO TEAM MUD AND SNOW ASD 1985

 

CLASSIFICA FEMMINILE TRAIL KM 34

1. 3:55:41,89 CONTI ANNA ATLETICA PARATICO 1980

2. 4:20:07,39 GOLINELLI GIADA A.S.D. Leopodistica 1987

3. 4:25:52,23 MUZZI FRANCESCA A.S.D. Leopodistica 1977

 

 CLASSIFICA MASCHILE TRAIL 20KM

Pos. Tempo Cognome Nome Società Anno

1 1:45:02,39 GHEDUZZI ROBERTO MUDANDSNOW 1995

2 1:49:56,56 BINDA MASSIMILIANO ASD RUNNERS VALSERIANA 1992

3 1:50:30,53 VENTURELLI ALESSANDRO ATLETICA MDS PANARIA GROUP 1977

 

CLASSIFICA FEMMINILE TRAIL 20KM

Pos. Tempo Cognome Nome Società Anno

1 2:13:02,15 BIGNARDI ANTONELLA Stone Trail Team 1970

2 2:16:42,10 ROSSI SIMONA Podistica Correggio 1973

3 2:19:26,37 MUNARI ROSSELLA road runners club Poviglio asd 1978

 

 

http://foto.podisti.net/p276436653

http://foto.podisti.net/p312409471

 

 

 

Lunedì, 02 Aprile 2018 18:09

Un Po… (più) di trail e di trailer

Continua la tradizione della Pasquetta sportiva di Gualtieri: siamo alla 35a edizione, alla seconda del trail lanciato l’anno scorso. C’ero anche nel 2017 (il 17 aprile, perché Pasqua era più “alta”), e avevo scritto: “Denominazione discutibile, insomma, ma esperienza positiva per chi l’ha corsa. Per chi l’ha organizzata, si capirà l’anno prossimo”.

Visto che i classificati sono passati da 133 a 218, si direbbe che la ricetta abbia funzionato (erano stati 205 i classificati nell’ultima Pasquetta competitiva, a Gualtieri, nel 2010). Una cosa in comune col 2017 c’era: la partenza con un ritardo di un quarto d’ora. L’anno scorso ci fu “la scusa fantasmagorica di una fiera-mercato che occupava le strade (i caradoni del Po?)”, quest’anno è stato detto della necessità di cambiare il percorso all’ultimo momento causa piena del Po. Se piena c’era stata, questa non è venuta certo stamattina (giornata limpidissima come ieri: si vedevano gli Appennini e le Alpi, tutto innevato); posso solo dire che il “tratto sulla spiaggia” di cui ha scritto Morselli, al km 14, aveva un centinaio di metri fangosi, prima della famosa corda alpinistica con cui tirarsi su; e prima, qualche pozzanghera. Il Po mi è sembrato al solito livello, e in spiaggia c’era perfino qualche turista (non dirò bagnante). A parte interventi dell’ultima ora, che il percorso fosse stato modificato e allungato lo si sapeva già prima della partenza: nel vero e proprio alveo del Po siamo entrati dopo circa 10 km e dopo aver fatto, dall’uno e dall’altro lato, un lungo tratto di argine della parte terminale del Crostolo (quello che, un po’ più magretto, ci accompagna all’ingresso in Reggio della maratona). Quest’anno il Gps mi segna 20,140 km, cioè 2,800 in più della distanza effettiva del 2017, e un dislivello di 65 metri contro i 39 del 2017: ci ho messo 25 minuti in più, superando oggi senza meriti sportivi Ideo Fantini che però aveva da curare la Graziella (che ogni tanto si fermava). Mi ha ‘spinto’ la Maurizia Gambarelli, che tornava ai trail dopo tre anni; e mi ha superato al penultimo km, proprio allo scavalco dell’argine maestro, la carpigiana Stefania Camurri; mentre c’era stato il tempo solo per l’in bocca al lupo iniziale col veterano Giuseppe Cuoghi , che come di consueto chiude il gruppo.

Percorso segnato abbastanza bene, salvo gli ultimi 2 km nella golena esterna, dove le fettucce evidentemente erano andate esaurite; tre ristori un po’ spartani (acqua, tè freddo, qualche biscottino), abbondanza di fotografi (soprattutto però in un raggio di 2 km dall’arrivo – al sabbione non è arrivato nessuno!); discreta la presenza di sorveglianti, tra cui itinerante in bici vedo Luca Salardini, e saldo a controllare, il giudice Giaroli che sabato aveva corso con me a Modena, dandomi un certo permesso ‘giornalistico’ per la corsa di oggi...

Immutato il fascino dei luoghi: proprio sul “Giornale” online odierno Michele Brambilla ricorda, citando Guareschi, che siamo «in quella fettaccia di terra distesa lungo la riva destra del Po, fra Piacenza e Guastalla, con le sue strade lunghe e diritte, le sue case piccole pitturate di rosso, di giallo e blu oltremare, sperdute in mezzo ai filari di viti», dove anche i cani hanno un’anima. E la memoria di don Camillo & Peppone si impone: la stazioncina di Gualtieri è quella dove la banda comunale salutava don Camillo in partenza, o dove Peppone, appena partito per Roma, si pentiva e scendeva dal treno per tornare a Brescello su una bici prestatagli dal reverendo (ma almeno lui era stato eletto, cosa che non è invece capitata ultimamente a un certo suo tardivo compagno di partito, ex senatore ed ex maratoneta di queste bande, che si era abbondantemente esibito -in borghese - ai podisti nelle festività pre-elettorali, ma adesso medita con la sola certezza dei 1000 euro mensili di vitalizio che si è, ehm ehm, meritati). Torna anche il ricordo di altre corse reggiane su scenari simili, come l’estinta Caminada cun i amigh dla Tajada, quella di luglio e della polenta arrostita col lardo sopra, e delle cocomere, dove una ventina d’anni fa corsi insieme a un certo Stefano Morselli “gambero” che conoscevo solo via mail, e durante la via ragionammo se non fosse il caso di creare un sito dedicato al podismo corso in avanti.

I campanili delle chiese qua e là dal grande fiume scandiscono le ore, peccato non ci sia più il ponte di barche dove portava la strada fiancheggiata da pioppi su cui facciamo qualche centinaio di metri; mezzogiorno è già scoccato (complice il ritardo nella partenza) mentre noi ci presentiamo di nuovo alla piazza Bentivoglio già affollata dai tantissimi rimasti al pranzo (e quando arrivo io, Brighenti invita a deporre le forchette, non per la mia presenza che giustamente passa inosservata , ma per applaudire i premiati sul palco).

Docce al solito posto, a cento metri; pacco gara ricco e comprensivo di pasto per i competitivi (forse però era meglio offrire anche un 'prezzo netto', per l'iscrizione senza pasto, diciamo intorno ai 5 euro, che avrebbe probabilmente attirato un numero di corridori paragonabile a quelli che facevano i 17 km della Tagliata); per i non comp c’è la rituale bottiglia di vino, che come l’anno scorso mi convince a comprare un cartone da sei. Anche Pietro Boniburini, appostato vicino al traguardo in modo da coprire il ristoro finale (povero come quelli lungo il tracciato) fa buoni affari: e lasciamo pure che i puristi dei trail (quelli per i quali bisogna perlomeno rischiare la vita) e delle calzature con tripla Eva e quadruplo Adamo si ritraggano sdegnati di fronte alle sue scarpe da 60 euro. Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera.

 

VIDEO di Nerino Carri

Dopo l’appuntamento podistico che di solito si svolge il giorno di Santo Stefano, l’altro incontro tradizionale, questa volta del sabato santo, per i podisti modenesi e reggiani è alla polisportiva Modena Est, affogata in un quartiere industriale poco ameno, ma con la fortuna di trovarsi in linea d’aria a meno di due km dal corso del fiume Panaro: lo stesso fiume che fa da scenario, poco più a monte, per innumerevoli corse tra S. Donnino, S. Damaso e S. Ambrogio.

Gara non competitiva e alquanto ruspante, come appare fin dal volantino in cui si è inserito uno strano indirizzo di Montegrotto Terme, e dalla distanza dichiarata della gara più lunga che oscilla tra i 10, i 10 e mezzo e gli 11 a seconda delle varie scritte su cartelli (si veda la foto 9 del servizio, luminoso come la primavera finalmente sbocciata, di Teida Seghedoni). Il fatto è che, a seconda delle condizioni climatiche, i circa 3 km di argine del fiume Panaro possono essere percorsi o no, dunque quanto sarà lunga in tutto lo scopriremo solo vivendo (stavolta i Gps si fermano a 10,300).

Gara a partenza alquanto “liberalizzata”: nemmeno chi voleva partire all’orario giusto riesce a farlo, perché il via, o meglio il “rompete le righe”, è dato tre minuti prima. Le foto di Teida vi danno un’idea dell’allegro caos prepasquale: il primo corridore ‘vero’, preceduto da una “staffetta”, transita solo a partire dalla foto 136; la prima donna è alla foto 170. Chissà se il cagnolino, sperduto sull’argine alla foto 76, e poi “salvato” (foto 1 e 424), era partito col suo padrone, o si è intrufolato, o è scappato di fronte all’orda, ma alla fine ha trovato una famiglia che farà mangiare un po’ di colomba anche a lui.

Per fortuna, la squallida zona industriale ed ex sportiva (in zona ci sono un bocciodromo dove si disputarono dei campionati italiani, e ora cade a pezzi, e un campo da rugby che il Comune ha reso edificabile) viene abbandonata dopo un km, e l’asfalto dopo 2,5; Teida (che, a differenza dei fotografi stabilmente arroccati in zona traguardo, gira per tutto il tracciato) ha modo di eseguire scatti (da 31 in poi, per esempio) che se fossero firmati Franco Fontana verrebbero disputati a suon di yen e yuan e magari andrebbero a rimpolpare le tristi mostre fotografiche del Comune di Modena; invece ce le gustiamo solo noi, saltando rapidamente i podisti in posa e che si scontorcono e fanno ciaomama, per passare alle immagini panoramiche.

Dalla foto 53 si sale sull’argine, dove un cicerone d’occasione tenta di descrivere quelle che secondo lui erano le “sacche d’espansione” del fiume (in realtà, mai state lì e mai chiamate così: semmai era il “drizzagno del Panaro”).

Modena - A dre Panera 2018


Ecco la lunga teoria dei camminatori ed anticipatori, simbolicamente capeggiata dalla solita coppia carpigiana, il cui bambino cinquantenne qualche km più avanti avrà un litigio con un altro bambino cinquantenne sul tema del ritmo da tenere in gara. Altre coppie regolamentari, e spesso competitive, seguiranno alle foto 347 e 350, mentre la più desiderata delle podiste questa volta fa coppia con un “trentino”, mentre il suo compagno appiedato aspetta fiducioso in borghese al traguardo.

Passano gli ex indiani, entrambi con vistosi segni di sofferenza alle ginocchia (290, 385), passano le signore che hanno fatto la storia delle ultramaratone ma ora si concedono una camminata rilassante tra le fioriture (396, 413 ecc.); insomma, passiamo tutti reimmergendoci di nuovo nel paesaggio industriale e nel traguardo polisportivo.

Come premio gradito ci aspetta un uovo di Pasqua della fabbrichetta modenese di via Scanaroli che tutti i vecchi geminiani frequentano in questa stagione (nel negozio, le uova rotte sono di libero assaggio); alle uova si aggiungono colombe e spumante, ammanniti con larghezza ai tavolini delle singole società. Il Gps ci informa che il percorso lungo ci è costato 850 calorie, mi sa che le recuperiamo con gli interessi.

 

VIDEO di Nerino Carri

Weekend di scarico vicino a casa, e occasione per partecipare a due corsette mai fatte finora.

Si comincia sabato 24 a San Prospero di Modena, zona della Bassa mirandolese dove il podismo quarantacinque anni fa nacque mentre adesso langue (per forza: se da 45 anni siamo le stesse facce, tranne i defunti e i lungodegenti, c’è poco da sperare). Ma questa corsa è relativamente nuova (pare sia all’ottava edizione, sebbene il volantino non lo precisi) ed ha il coraggio di presentare una sezione competitiva che inaugura il Gran Prix modenese 2018. Distanza di 10 km, confermata dai Gps; circa 200 i competitivi (in maggioranza, decisamente tranquilli, cioè non assatanati dal salamino di premio); più numerosi i non comp, che hanno modo di ammirare, lungo un tracciato periferico e non trafficato, un susseguirsi di ville nobiliari – specie attorno alla frazione di Staggia, patria del filosofo Zanfrognini e del germanista Bonfatti - che non hanno molto da invidiare alle decantate ville venete e toscane.

Nove secondi separano il vincitore, il ‘forestiero’ Marco Montorio, dal secondo, Alessandro Donati; tra le donne non c’è proprio partita, con la habituée Laura Ricci oltre un minuto davanti a un cognome illustre, Francesca Prodi: 194 competitivi arrivati, di cui 35 donne.

Pomeriggio di sole tiepido, e dopo che Brighenti sul traguardo ci ha nominati uno per uno (spesso aggiungendo un dettaglio aneddotico per ciascuno), si passa all’eccellente ristoro finale, comprensivo di pere sbucciate e tagliate a spicchi, e di cubetti di mortadella da infilzare con lo stecchino d’ordinanza.

 

Scatta l’ora legale, inutile scocciatura legata alla pretesa antiscientifica del “m’illumino di meno” (come se il consumo elettrico dipendesse dalle lampadine, e non –per dirne qualcuna – dai televisori, pc, impianti di condizionamento, ferrovie ecc., che vanno col buio e con la luce); e il 25, domenica delle Palme e anche dell’Incarnazione (cioè quella data in cui, ancora tre secoli fa, molte città toscane e venete cominciavano l’anno nuovo), si rimane nei territori delle Basse fecondati e minacciati dal lato destro del Po, andando a cercare la benedizione di un altro santo, cioè il San Giorgio patrono ferrarese.

Proprio nella sede medievale della città di Ferrara (la “Ferrariola”, tre km dal centro, sulla strada di Comacchio), è organizzata dal 1974 la “Caminada par San Zorz”, che è diventata la seconda corsa più anziana di tutto il Ferrarese. Corsa nata come competitiva, e che tra i suoi vincitori annovera Massimo Magnani (proprio nell’edizione 1974, poi altre tre volte fra il 1976 e il ’78), Pambianchi (5 vittorie fra l’80 e l’86), e persino Pizzolato nel ’91; tra le donne, un successo della Fogli nel ’76, dodici vittorie di Margherita Gargioni tra il 1977 e il 2006, e ancora successi di Nicolae, Maisto, Bulzoni (la quale ultima era presente anche oggi), fino a Daniela Ferraboschi l’anno scorso.

Distanza ufficiale di 14 km (il Gps dirà 13,750), di cui un paio sterrati; si va in uscita da Ferrara attraverso Cocomaro: sfiorando cioè, ma rimanendo a sud del Po di Ferrara (alias di Volano), il giro della vecchia maratonina del compianto Corà, fino a Cona e al nuovo ospedale, da dove una curva stretta a destra porta verso ovest per tornare a S. Giorgio, tra campi coltivati e un paio di manicomi più o meno in disuso. Eccezionale lo schieramento di vigili a proteggere il percorso, sostanzialmente esente dal traffico anche nei primi 5 km di strada principale.

Lotta abbastanza serrata tra i primi due, il bondenese Angelini e l’ucraino (trapiantato in Emilia) Vaskovniuk, finiti a 11 secondi; nessun problema per la imolese (sic) Chubak a regolare, come le capita quasi sempre in queste gare ferraresi, le avversarie.

In totale, 700 partecipanti divisi abbastanza equamente tra competitivi e no (stante il prezzo molto popolare del pettorale competitivo): così va nelle Basse, mentre altrove, anche a pochi km di distanza, i “fenomeni” sono una categoria numericamente molto più ristretta rispetto ai bipedi normali.

Da notare anche le competizioni sulle distanze minori: 8 km per gli allievi, 600 e 1200 metri per i giovanissimi. Categorie del tutto assenti, il giorno prima, a San Prospero, e salvo rare eccezioni, in tutta l’annata modenese.

Cielo semicoperto, ma si sta sui 7-8 gradi dunque ci si difende, fino ad arrivare alla piazza della partenza-arrivo; buon premio di partecipazione, di fronte a un costo di iscrizione di 3 € per i non comp e di soli 5 per i comp. Ristoro decisamente gradevole, con un tè molto saporito, frutta e di nuovo cubetti di mortadella col rituale stecchino.

Nessuna possibilità di lavarsi dopo la gara (nello specifico, meglio San Prospero dove c'erano spogliatoi e docce), ma i concorrenti sono quasi tutti locali (la società più lontana viene da Porto Tolle, 80 km), e comunque Ferrara è accogliente, specialmente per le sue immancabili, straordinarie mostre d’arte: il solito evento eccezionale a Palazzo dei Diamanti, e una mostra ancora più straordinaria in Castello, per 130 opere possedute da Vittorio Sgarbi e famiglia. La sapienza e l’oculatezza degli amministratori locali si vedono anche dall’esistenza di un parcheggio centralissimo (di fianco al palazzo dei Diamanti), che costerebbe 2 euro al giorno, ma nei festivi è gratis. Qui, Ferrara batte Modena senza nemmeno sudare: Castello Estense e Palazzo dei Diamanti contro Mata e mostra di fotografia 10 a zero.

Da giovane, mi dicevo di andare a Ferrara per prendere lezioni di corsa; adesso, le lezioni sono di vita e di civiltà a tutto tondo. Peccato che gli amministratori modenesi non conoscano Ferrara.

 

Classifica delle Ville di S. Prospero (km 10)

 

Maschile

1 33:39,10 MONTORIO Marco 1986 FI M ATLETICA RIGOLETTO

2 33:48,93 DONATI Alessandro 1985 MO M ATLETICA MDS PANARIAGROUP

3 34:21,91 BERNARDI Francesco 1995 MO M ATLETICA MDS PANARIAGROUP

4 34:25,84 BORGONOVI Manuel 1980 IT M ATLETICA RIGOLETTO

5 34:55,57 VANDELLI Fabio 1990 MO M POD. FORMIGINESE

6 34:58,90 CAPITANI Filippo 1985 MO M MODENA RUNNERS CLUB ASD

7 35:26,94 D'ORONZIO Davide 1973 RE M AVIS SUZZARA

8 35:32,96 GENTILE Fabrizio 1972 MO M MODENA RUNNERS CLUB ASD

9 35:35,77 BENEDETTI Fabrizio 1976 MO M POD. FINALE EMILIA

10 35:37,87 ROMAGNOLI Riccardo 1998 MO M S.G.LA PATRIA 1879 CARPI

 

Femminile

 

1 37:46,68 RICCI Laura 1979 MO F CALCESTRUZZI CORRADINI EXC

2 39:10,81 PRODI Francesca 1996 RE F TRICOLORE SPORT MARATHON A

3 39:28,17 VENTURELLI Gloria 1979 MO F ATL. R.C.M. CASINALBO

4 39:36,00 GUALTIERI Lara 1972 MO F G.P. LA GUGLIA

5 39:40,54 COMERO Elisabetta 1968 MO F ATL. REGGIO ASD 50 F

 

Classifica della Competitiva di S. Giorgio (Km 14)

 

Maschile

1 Daniele Angelini – Atl. Bondeno 45:14

2 Oleksandr Vaskovniuk – Corriferrara 45:25

3 Nicolò Conti – Atl. Estense 47: 26

4 Federico Valandro – Gp Monselicese 49:18

5 Federico Soriani – Quadrilatero 50:29

6 Daniele Di Fresco – Faro Formignana 50:58

7 Nicola Avigni – Salcus 51:21

8 Alessandro Grenzi – Corriferrara 51:23

9 Michele Mantovani – Faro Formignana 51:36

10 Andrea Rosati – Corriferrara 52:14

 

Femminile

1 Nadiya Chubak – Lughesina 54:56

2 Giorgia Mancin Running Comacchio 56:49

3 Giulia Bellini Corriferrara 58:19

4 Catia Roani – Corriferrara 1.00:37

5 Elisabetta Lambertini – Quadrilatero 1.00:44

Bisogna ammettere che qui, nel Veneto confinante col Friuli, quanto a maratone hanno spirito d’iniziativa, anche a rischio di pestarsi un po’ i piedi. Un anno fa, di questi giorni, eravamo a Longarone per la partenza di un’altra “edizione unica”, la maratona Longarone-Busche; molti anni prima, già venivamo a Vittorio Veneto per la partenza della maratona di Treviso (che più tardi era stata spostata a Conegliano, cioè dieci km più a sud). Adesso la maratona di Treviso torna nel capoluogo con un percorso circolare, e quelli di Vittorio Veneto hanno pensato, non dirò come Strafe-Expedition (una settimana prima della data di Treviso!), ma insomma, nello spirito dell’ “a ciascuno il suo”, di costruirsi la loro 42: estrema commemorazione della fine della Grande Guerra, che prende appunto il nome dalla battaglia cominciata da queste parti cent’anni fa e finita, come una volta si studiava a memoria, col bollettino della Vittoria datato 4 novembre.

Va aggiunto che la stessa guerra, e il Piave che mormorava “non passa lo straniero”, erano già entrati in alcune edizioni della citata maratona di Treviso, che scaglionarono la partenza da tre luoghi diversi; e, se andiamo alla preistoria, diciamo pure che in altre località trevigiane (Vedelago, Mareno, Cappella Maggiore con la sua “Trevisando”, Fregona e forse ancora altrove) si sono celebrate maratone, spesso piovose e fangose ma tuttavia meta di appassionati. Insomma, le popolazioni di qua sono abituate a vedere podisti per le loro strade, e le società sportive e gli amministratori locali più lungimiranti sanno come si mettono su le maratone.

Detto fatto, ecco apparire verso l’estate scorsa il preannuncio della maratona, nuova e unica, di Vittorio Veneto (conglomerato ‘artificiale’ del 1866 di due storiche cittadine, Cèneda e Serravalle, intitolato a Vittorio Emanuele II), sulle orme dei soldati che un secolo fa ripartirono dal Piave per arrivare fino al Brennero (dove non volevano nemmeno arrivare: gli bastavano Trento e Trieste …): tariffe decisamente popolari (28 euro scontabili), contorno di una mezza maratona e di una 10 km, insomma, gli ingredienti del successo.

E il sabato 17 pomeriggio, al ritrovo fissato in un palazzetto dello sport funzionale sebbene molto scomodo (3 km dal centro), ci sono quasi tutti gli appassionati di queste gare, cominciando dai “supermaratoneti” che stavolta abbandonano gare cui pure erano affezionati, per non perdersi questa, ora o mai più. Non può mancare il propugnatore della “gara unica”, Hartmann Stampfer, uno che proprio alla battaglia di Vittorio Veneto deve la sua cittadinanza attuale, italiana e non tirolese: va aggiunto che Hartmann per essere presente è guarito in tempo da un inconveniente non secondario, ma dalle parti dello Schlern non ci si blocca per così poco… l’intendenza seguirà.

Allo stesso modo, “Ol Sindic” Simonazzi da Mantova è qui, esternando dubbi sulla sua capacità di finire la corsa, che invece concluderà una buona ora sotto il tempo massimo (generosamente fissato in 7 ore, considerando anche i 500 o passa metri di dislivello da affrontare). Idem per il marò Adriano Boldrin da Bojon: el zenocio el g’à da dir quèo, ma no ghe pensemo, che ala fin g’arivemo, e gnanca ùltemo.

E ghe xe anca el sior Vitorio Bosco da Manzano, allenatore della Debora Serracchiani (le rare volte che la presidentessa della regione Friuli passa dal Friuli), che dice di non correre più maratone: ma qui combatte e passa l’esame anche lui, come tutti o quasi (smetto di citare i volti noti perché andrei avanti parecchio). Quanto alle signore, ecco immancabili “Carlotta” Gavazzeni dalla bergamasca, primadonna dell’annata quanto a numeri (e che riesce finalmente a consegnarmi un cuore biscottato commemorante una certa cifra tonda), e Angela Gargano dalla Puglia, la prima e forse unica che raggiunse le cento maratone in un anno: con calma, ma ci ritroveremo tutti alla fine delle rispettive battaglie.

Dopo il ritiro pettorali ci si sparpaglia negli alberghi per un raggio di una decina di km (non è che la ricettività nel doppio centro cittadino sia molto elevata); qualcuno trova il tempo per una passeggiata turistica (più appagante a Serravalle, la zona nord dove passeremo al secondo e al penultimo km, che nella semideserta Cèneda, che domani attraverseremo solo in partenza).

I meteo-astrologi hanno previsto pioggia e neve, e infatti tutta la notte fra sabato e domenica diluvia; la domenica mattina le cime dintorno sono imbiancate, però è smesso di piovere: e resteremo all’asciutto per tutta la giornata, con una temperatura tra i 7 e i 10 gradi che consentirà a molti di osare pantaloncini e canottiera.

Alle 9,05 parte la maratona, preceduta di pochi minuti dalle carrozzelle dei disabili; alle 9,45 la maratonina, su un percorso del tutto diverso; alle 10 la non competitiva, su un altro giro ancora. Qui non si punta al risparmio, al percorso solo suddiviso in 4 o 5 tipi di gara a disputarsi strade e ristori!

Strade perfettamente chiuse al traffico: un primo anello di 6 km ci fa scorrere la scenografia dei due centri storici, poi ci si immette verso ovest per una serie di pittoreschi paesotti appollaiati sulle pendici (sopra le quali, immaginiamo, erano puntati i cannoni austriaci); e ogni volta il tracciato ci fa arrampicare per quel centinaio o quasi di metri verticali, onde farci gustare l’urbanistica e l’accoglienza di Revine (120 metri più alta di Vittorio Veneto) , Cison e frazioni varie di Valmarino alias Valmareno, fino a Follina dove la strada fa un ricciolo, con brevi tratti sterrati, tra il 19 e il 26 (ristoro unico che vale doppio). Fin qui ci siamo quasi divertiti, e il fischio dell’unico rilevamento chip intorno alla mezza maratona ci suona ancora allegro.

Passato il fiume, siamo a quota 210, ma ci aspetta la “salita degli eroi”, 1500 metri di tornanti al 10%, che invogliano o costringono a camminare facendo due chiacchiere coi pacer delle 4.30 e delle 5.00 (decisamente in anticipo, ma Anna, già “angelo custode” allo Stelvio e al Primiero, preferisce tenersi un po’ di margine). Intorno al 28, nella zona di Tarzo e infinite frazioncine (Zuel de qua e Zuel de là, per esempio) siamo sul crinale, che immagino fosse il fronte italiano (infatti c’è un cannone puntato contro l’austriaco oppressore, morte a Franz viva Oberdan); ma sono in agguato quasi cinque km di salite e discesine illusorie: al km 31 tocchiamo quota 375, pare si scenda ma al 33 siamo di nuovo a quota 335. Finalmente si va giù, ma raggiunti i laghi di Revine (dal lato opposto rispetto a dove li avevamo costeggiati nell’andata) ci aspetta uno strappetto per riportarci sulla strada provinciale del primo tratto, a 240 metri d’altezza.

Ottime le segnalazioni, sia con frecce sia ‘umane’, anche per noi ormai sparpagliati; fornitissimi i ristori (ma le bottiglie di vino sono già vuote …), e c’è ancora qualche residente che dopo l’una rimane in strada a dirci che è quasi finita. Riecco Serravalle, i portici caratteristici e il suo ciottolato, suggestivo sebbene martirizzante per le piante dei piedi; poi il rettilineo d’arrivo, il ristoro finale dove spuntano formaggi e grosse fette di salame. Pesante la medaglia commemorativa, e ci si interroga su chi sia il personaggio ritratto a destra, di fronte al “re Viturìn”: qualcuno lo trova somigliante al Duce…

Il Gps segna circa 300 metri in più della distanza canonica, ma pare che l’ultima strategia dei fabbricanti di Gps sia di abbondare nelle misure così da illuderci che i nostri 7’ a km siano in realtà 6:55. Due sedi per le docce (dal tiepido in giù), grosso modo a un km dall’arrivo e da raggiungere a piedi; poi c’è da tornare al lontano palazzetto dell’Expo dove si usufruisce del pasta party. Alla lettera, solo pasta al pomodoro, più due confezioni di grissinetti, una bottiglietta d’acqua, una mela da mangiare a morsi perché il coltello non è fornito: decisamente esagerato il prezzo di 5 euro per gli “ospiti”.

Nel primo pomeriggio appaiono le classifiche sul sito Tds (vigila su tutto Sandrone Della Vecchia), mentre il sito della maratona non viene più aggiornato, anche adesso a 48 ore dall’evento. La vittoria formale è arrisa a Fabio Bernardi, un M 45 di Conegliano ufficialmente alla sua ultima maratona agonistica, che giunge sul traguardo appaiato al cembrano M 35 Matteo Vecchietti, insieme a cui ha sempre corso, in 2.41:40. Non si tratta di tempi scarsi, data la durezza del percorso; terzo è il supertrailer Ivan Geronazzo, poco sotto le 2.51.

Più modeste le prestazioni femminili: vince la trevigiana Elisabetta Mazzocco in 3.12, quasi cinque minuti meglio della vittoriese (ma tesserata Brugnera) Marta Santamaria, e otto minuti davanti alla friulana, di Cordenons, Manuela D’Andrea. Giorgio Calcaterra, pettorale numero 1, onora il suo ruolo di pacer delle 3.30 (3.28:54, come il chiacchierato Roberto Toniatti); da meno di due minuti è arrivato Daniele Cesconetto, che un anno fa a Conegliano corse a ripetizione sul tapis roulant per beneficenza, mentre qui si è cimentato, allo stesso scopo e per cinque giorni consecutivi dal 14 a oggi, sul nostro percorso stradale: duemila gli euro raccolti.

Tra le 4.30 e le 5.20 arriva il grosso dei supermaratoneti, come cento anni fa arrivò il Duca d'Aosta: avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute.

Saremo in 919 classificati, stavolta senza nessun generoso sgarro al tempo massimo ufficiale; più altri 999 alla mezza, già alla quinta edizione. Se c’era Garibaldi facevano i Mille, ma in compenso c’erano nomi più ‘commerciali’, habitués delle gare monetizzabili: con 1.06:44 vince il keniota Gideon Kurgat (Atletica Virtus) col nuovo record della corsa, strappato ad Abdoullah Bamoussa oggi secondo con 1.07:56; terzo con 1.08:27 il modenese Alessandro Giacobazzi già vincitore alla maratona di Torino. Nomi arabi per il quarto e il quinto; mentre è la etiope Gedamnesh Yayeh a vincere tra le donne in 1.16, anche lei col nuovo record della gara. Sette minuti dietro, Giovanna Ricotta; a dieci minuti Maurizia Cunico del Casone Noceto.

Infine, 650 sono i partecipanti alla non competitiva che si beccano una stupenda bottiglia di vino locale (che a noi maratoneti è stata negata: il vino fa male…).

Vedremo l’anno prossimo, finalmente esente da motivazioni belliche, cosa si inventeranno in queste terre. Suggerirei qualcosa di ispirato al prosecco, ma vero, non solo annunciato come a Conegliano un anno fa, e fatto appena sfiorare ai maratoneti di oggi…

 

https://www.youtube.com/watch?v=jGZA8sO5Nlk

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