Direttore: Fabio Marri

* Per accedere o registrarsi come nuovo utente vai in fondo alla pagina *

Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Ieri una corsa in salita, mi sono trovata al punto che solitamente rappresenta il momento in cui inizia la discesa e ho deciso di procedere. Mi si è offerta la possibilità di andare oltre. In quella parte del paesino le persone hanno gli abiti e i comportamenti gentili della gente di montagna, portano carriole di legna, gerle in spalla, battono i ricci nel bosco per estrarre le ultime castagne rimaste, sorridono incrociandomi, ci salutiamo. Mi è piaciuto salire, entrare nel bosco e sentire i piedi leggeri sul sentiero.

È uno squarcio di bella prosa che mi sento di proporre come trailer, come invito a leggere il libro per chi non lo conosce: mi riferisco a  Qualcosa per cui correre di Ariel Shimona Edith Besozzi (Gilgamesh Edizioni, Asola MN, 228 pp. per 15 euro; la versione Kindle è presentata coi sottotitoli  Correre naturale - Correre cambia la vita).
Peccato però che questo brano, e anche le 3-4 pagine che lo seguono (quasi tutte alla sua altezza letteraria), si trovi a p. 144; e chi è arrivato qui abbia dovuto sorbirsi fino a questo momento un prolisso diario quasi quotidiano, dove noticine preziose sono soffocate da una marea di considerazioni ripetitive, non scremate, messe giù con una proprietà stilistica che tuttavia non si risparmia una decina di refusi o errori di altro genere. Per un maratoneta volgare e illetterato, ad esempio, colpisce che in un libro dedicato alla conquista della prima maratona la distanza sia quantificata a p. 120 in km 42,156; che alle pp. 181, 190 e 205 diventano 42,159 (mentre la maratonina a p. 166 risulta di 21,056).
Piccolezze, sicuramente, ma discese da quella mancanza di limae labor, da quella compulsione alla scrittura (più volte autodenunciata: mi sto scordando di scrivere un sacco di cose, ho paura di dimenticare dei pezzivorrei poter registrare tutto… vorrei scrivere ogni giorno; mai combattuta) secondo cui tutto quanto importa all’autrice debba per forza importare anche al lettore, il quale a sua volta ben difficilmente resisterà a leggere tutto il libro (e farvi annotazioni, segno di raccoglimento e partecipazione). Ne sono prova le recensioni (per modo di dire) apparse finora, di cui l’autrice dà conto puntuale in uno dei suoi blog (Diario di Ariel Shimona Edith), ma che sembrano ridursi a ricopiare o tenuemente rielaborare le autopresentazioni sparse in varie sedi, talora scopertamente firmate dal marito della scrittrice stessa.
Il libro è stato stampato nel gennaio 2020, ed a marzo i due mensili più noti nell’ambiente podistico l’hanno, per dir così, recensito: la nota di “Correre” (marzo, p. 91) trascrive integralmente (senza dirlo) la quarta di copertina del libro, con la sola aggiunta che l’autrice è “già una delle protagoniste, 2 anni fa, delle pagine al femminile della nostra rivista”. Un po’ più di riguardo, se non altro di degnazione, per una co-équipier si poteva avere: ma almeno, la lunghezza della recensione è circa doppia di quella di “Runners World” dello stesso marzo (p. 13), con la differenza che RW ricopia solo le prime 8 delle 16 righe della copertina, mentre “Correre” arriva a lambire la riga 15 e addirittura, in un sussulto di indipendenza, osa trasformare in “si dice / si ha” i “diciamo /abbiamo” dell’originale.
Insomma, l’autrice scrive il libro, il marito prepara la recensione, un qualche Vincenzo Mollica ci aggiunge le sue trombe. Purtroppo, gli ispiratori del sottoscritto in quanto recensore restano Giovanni Boine (quello dei Plausi e botte) e Karl Kraus (cui si devono frasi come Quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma; e soprattutto Bisogna leggere due volte tutti gli scrittori: i buoni e i cattivi. Si riconosceranno i primi, si smaschereranno i secondi).
Il titolo dell’opera rimanda, senza dirlo (ma è chiaro che i lettori elettivi cui si rivolge quest’opera lo capiscano), al romanzo di David Grossmann Qualcuno con cui correre: lì, il qualcuno era una cagnetta, animale intelligente e docile che stabilisce un legame di affinità col compagno di scorribande:

Il ragazzo e la cagna galoppavano per le vie di Gerusalemme, sconosciuti l’uno all’altro ma legati da una corda, come se non volessero ammettere di essere davvero insieme eppure cominciassero a imparare, come per caso, piccole cose l’uno dell’altro: il modo di drizzare le orecchie nei momenti di eccitazione, il tonfo delle scarpe sul selciato, l’afrore e tutte le sensazioni che una coda può esprimere.

In questo libro invece, il qualcuno è senz’altro il marito della scrittrice, che la accompagna, aspetta, conforta, rialza: al punto che possiamo vedere nel libro un inno all’amore coniugale, benedetto e benvenuto in un mondo popolato da “compagni” o “fidanzate” senza vincoli. Amore coniugale che però sembra alquanto possessivo (quasi, ci scusino gli interessati, come tra cagnolino e padrona), dato che il lui non è mai chiamato altro che “mio marito”, quasi non esistesse come persona, ma solo in quanto appendice della signora Edith. Lo stesso sembra apparire dalle altre notazioni sugli affetti familiari: pregevoli (specie quelle sui nonni), ma sempre con perno nell’autrice, verso cui deve pendere anche “la mia adorata sorellina” (così chiamata a pp. 173 e 175); e anche “l’amica con cui ogni tanto vado a correre” (fuggevolmente incontrata in bus a p. 193) è una comparsa, della cui compagnia apprendiamo solo qui senza che mai la incontriamo in uno dei tanti allenamenti ‘veri’.
Il qualcuno cancellato dal titolo (ma non dalle pagine) diviene allora un qualcosa: concetto molto largo in cui può starci di tutto, compresi l’amore coniugale e una volontà fortissima di autoaffermazione, ma che sembra di individuare nell’amore per la propria patria ideale, Israele, e nei valori da essa rappresentati. Più volte la scrittrice ricorda le presentazioni, a partire dal maggio 2016 (il diario comincia dall’ottobre 2015 e finisce nel febbraio 2017), quasi sempre impreziosite da “donne bellissime” (pp. 103, 104, 117), del suo precedente libro Sono sionista, a quanto pare un’altra autobiografia che (dice un soffietto editoriale) narra “la trasformazione dell’autrice, l’abbandono delle sue precedenti convinzioni e degli ‘antichi idoli’, gli anni di impegno politico a sinistra, trascorsi coltivando assetti mentali e idee poi trasformate dall’incontro con quella ‘terra antica e giovane, proiettata verso il futuro e con antichissime radici nel suo passato millenario’, superando la vecchia politica per abbracciare un’etica di comportamento condivisa e condivisibile”: “oggi un’altra donna, dopo Oriana Fallaci e Fiamma Nirenstein, anch’essa con un passato di sinistra, afferma con orgoglio e determinazione il proprio essere sionista”.
Ecco dunque precisarsi il qualcosa, che diviene Run against terrorism (titolo della sezione di luglio 2016, pp. 77-98; poi 162 ss.): forse la più impegnata politicamente contro “questa degenerazione dell’essere umano chiamata Islam radicale”, nel lassismo dei politici occidentali per cui colpa si concede “che la morte propugnata da questi nazi-islamisti continui a colpire, torturare e sgozzare chiunque non abbracci l’Islam radicale” (79). Il qualcosa diviene la corsa, “affinché la vita prevalga”, e trionfi “una profonda fiducia nel genere umano, per … trasformare la tristezza in rabbia, poi in scelta, poi in battaglia e quindi in vita”.
Non sono altrettanto convinto di questa funzione politica della corsa in sé: che diviene invece più chiara nella scelta dell’autrice  (e/o del marito) di esordire in maratona scegliendo quella di Tel Aviv del febbraio 2017, e di ‘crearsi’ scarpe da running con la scritta Israel/Love. Ecco dunque che il lettore-appassionato di corsa potrà fare la tara dalla ripetitiva e ossessiva autoanalisi dell’autrice, autodefinita pure “runner cerebrale”, e contrassegnata dal pleonastico ricorrere di possessivi e pronomi personali:

Sento che mi devo affidare a qualcosa che è in me, ma che non ho esercitato per anni. Correndo ho incominciato a lasciare lo slancio e il passo al piede, ma questo infortunio mi ha bloccata, mi ha riportata a pensare, a guardare dove metto i piedi, a consegnare agli occhi [sic]. Gli esercizi servono per ritornare a confidare nel mio istinto. Per correre davvero devo fidarmi dei miei piedi, delle mie caviglie, delle mie gambe e delle mie ginocchia (p. 111).

Mi ha restituito il respiro, ho pensato al mio cuore, ho ascoltato la frequenza dei miei passi alla ricerca della leggerezza, quella della terra, dell’acqua e della pietra. Le gambe mi si sono bloccate soltanto quando hanno raggiunto l’asfalto, pesanti, lente, legnose. La mente ha saputo dominare la situazione e riportarmi a casa. Tengo lo sguardo alzato, mi affido e mi fido dei miei piedi. Vado, non mi fermo, non esito, corro. Recupero il filo dorato che mi tiene legata al cielo e quello che mi tira dal bacino e fa rullare le anche (pp. 130-131).

Mi sento reattiva e dinamica. Anche se sono stanca difficilmente mi fermo, è come se la vita si fosse aperta a me e io desiderassi compierla fino in fondo. Mi rendo conto di quanto io sia stata la peggiore nemica di me stessa negli anni, soprattutto da giovane, di quanto lasciando prevalere la pigrizia e il pensiero fine a se stesso abbia indebolito non soltanto i miei muscoli ma anche la mia capacità di vivere con intensità (p. 146).

Fatta dunque la tara (anche dalle ripetute riflessioni sul ciclo femminile dell’autrice, sui mal di testa e di pancia, l’insonnia, “l’espletamento delle funzioni mattutine” ecc.), il lettore di cui sopra potrà seguire in compartecipazione l’ascesa di Edith, da una vita grigia d’ufficio e “dall’assenza di persone gioiose” (p. 201: ma sarà poi vero che solo in Israele, e non anche nella opaca Milano o la più vivibile Bassano, le gente ti lasci le libertà e le soddisfazioni di cui alle pp. 207, 213 e altrove? E sarà vero che l’uccidere gli animali per dissanguamento sia più umanitario che sparargli un colpo in testa come fanno i crudeli cristiani carnivori, pp. 158, 220??), da una certa pigrizia inculcatale in famiglia o assunta per autoprotezione, alla volontà di andare sempre oltre i propri limiti, al fissare il ritorno dall’allenamento ogni volta mezzo km più in là, al soffrire per le cadute nei trail ma superare gli inevitabili dolori per posture errate o rigidità di movimento.
Ecco allora che le ultime cento pagine emergono dal tran-tran diaristico, senza autocensura né riordinamento (quello che invece seppero fare i grandi diaristi come S. Agostino, Montaigne, Pascal, Proust, fino a Primo Levi e Carlo Levi e il Guareschi dei lager), e portano il lettore a vivere col personaggio-autore l’avversione per le palestre e il tapis roulant in contrapposizione alla corsa in natura, gli allenamenti sempre più gioiosi, anche sotto la pioggia e pensando alla favola bella di Rocky contro l’ipertecnologico Drago, i saluti dei bimbi per strada, le coccole al gatto in comproprietà, e infine la partenza, lo sbarco a Tel Aviv, i preliminari della gara, e infine (ma siamo già a p. 206,  meno 8 dalla conclusione del racconto) la maratona! (il punto esclamativo è nell’originale, e dice più di tanti verbosi arzigogoli).
Maratona che non andrà tecnicamente come sperato (ma l’autrice saprà poi fare di meglio a Ravenna 2018, quando si permetterà addirittura, incredibilmente, di distanziare il marito di dieci minuti), ma che, anche nel superamento del dolore, porterà la happy family a superare il traguardo con le mani unite in alto, e non senza lacrime: già versate al via (p. 207), e di nuovo alla partenza per l’Italia, che “mi sta strappando dalla mia Terra, da mia madre. Fa male, molto male”. Eppure

resta l’esperienza vissuta e la possibilità di costruire su questa esperienza una nuova storia, la mia, la nostra. Quella di chi, una volta che ha cominciato a correre, non riesce più a farne a meno. Infatti questa non è la fine, piuttosto è l’inizio della storia.

Aspettiamoci dunque un’altra puntata.

Secondo fine settimana senza corse, e con le misure ancor più restrittive dell’ultimo decreto, circa le quali abbiamo già largamente informato: da ultimo http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5901-vita-sempre-piu-difficile-nulla-cambia-per-le-gare-aggiornamento-al-13-marzo.html

E restano sempre valide le considerazioni di Maurizio Lorenzini, non a caso visualizzate più di diecimila volte:

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5887-coronavirus-non-pensiamo-solo-al-running-per-favore.html

Tuttavia, specialmente in questi giorni che si resta per lo più nelle proprie abitazioni, c’è più tempo per sbizzarrirsi, e su internet circola di tutto: la procace fanciulla che si allena in un cortile che sembra la via Gluck, mentre il fidanzato che la riprende finge di volerla denunciare; il savonarola di turno che urla “statevenneaccasa”, condendo con insulti a chi osa pensare che sia possibile prendersi una boccata d’aria; l’hashtag di regime “andrà tutto bene”, che ricorda assai il “tutto va ben madama la marchesa”… , e gli arcobaleni infantili dipinti ed esposti sui balconi (l’Opera Nazionale Balilla non faceva di meno).
“Andrà tutto bene?”. E la gente che continua a morire fa parte del “tutto bene”? E gli imprenditori che chiudono per mancanza di avventori/compratori, i camerieri, i pizzaioli, i lavoratori delle terme che ora sono a spasso, rientrano nel “tutto bene”?

No, non sta andando tutto bene; e quando sarà finita (nella ottimissima delle ipotesi, ci aspettano i dieci giorni peggiori dell’epidemia, e una decrescita si spera solo alla fine di marzo) ci saranno lunghi e dolorosi strascichi con cui fare i conti.

Ma intanto noi podisti (che prima di essere podisti siamo persone normali, lavoratori, medici, bottegai, assistenti di anziani ecc. ecc.), e i nostri cugini ciclisti, pur consci che il momento non sia dei migliori, ci permettiamo di prenderci quell’oretta di pausa quotidiana o bisettimanale in pantaloncini e scarpette. Sappiamo che le nostre uscite possono ricadere nelle ire contrapposte di personaggi come quelli tratteggiati da Massimo Gramellini nel “Caffè” del Corriere di ieri venerdì:

“C’è il ligio inquisitore che ha il Dna di un informatore della Ddr e gode nel segnalare ogni starnuto sospetto, con l’alibi di farlo per il bene dell’umanità… Il terrorizzato democratico a cui la delazione ricorda momenti scoraggianti della Storia. Si accontenterebbe di suggerire ai potenziali untori di sciogliere l’assembramento, ma teme che quelli gli diano uno spintone”.

Al punto che: “Sembra la caccia agli ebrei, smettetela, restiamo umani”, invoca il regista teatrale Alberto Oliva.

Ciò premesso (e se ne potrebbero dire da riempire tante pagine quanto le classifiche delle maratone di Londra e New York messe insieme), e senza voler disquisire da profani su tante cose ‘tecniche’ che i medici stessi hanno detto e contraddetto nelle ultime settimane (il virus decade in 30 secondi? No, resta attaccato alle cose per ore? A 35 gradi muore? Serve la mascherina alle persone sane? Basta un metro o è 1,50, o sono due se corri, o cinque se urli allo stadio? Se bevi tanta acqua spingi il virus dalla bocca allo stomaco, dove i succhi gastrici lo uccideranno? Se riesci a stare 10” senza respirare significa che non hai il Covid?), ci limitiamo ai dati ufficiali, nella presunzione, anzi nell’obbligo di credere che essi nascano dalla profonda riflessione dei più competenti in materia.

Dunque, è d’obbligo il rimando (già fatto su queste colonne, ma repetita iuvant) al decreto più recente, e alle circolari esplicative (l’ultima di ieri 13 marzo)

http://www.governo.it/it/articolo/decreto-iorestoacasa-domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/14278

Veniamo allora alle domande e risposte che ci riguardano.

È consentito fare attività motoria?

Sì, l’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli assembramenti.

L’accesso a parchi e giardini pubblici è consentito?

Sì, parchi e giardini pubblici possono restare aperti per garantire lo svolgimento di sport ed attività motorie all’aperto, come previsto dall’art.1 comma 3 del dpcm, a patto che non in gruppo e che si rispetti la distanza interpersonale di un metro.

Posso utilizzare la bicicletta?

La bicicletta è consentita per raggiungere la sede di lavoro, il luogo di residenza, nonché per raggiungere i negozi di prima necessità e per svolgere attività motoria. È consentito svolgere attività sportiva o motoria all’aperto anche in bicicletta, purché sia osservata una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

Naturalmente rimane il “divieto assoluto” di uscire da casa per chi è sottoposto a quarantena o risulti positivo al virus; e la  “forte raccomandazione” per chi ha sintomi da infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5, di rimanere a casa, contattare il proprio medico e limitare al massimo il contatto con altre persone.

E per quanto riguarda la zona degli spostamenti:

Posso muovermi in città?

I divieti e le raccomandazioni valgono anche per gli spostamenti all’interno del proprio comune, ivi comprese le regole dettate per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze di lavoro o di salute ovvero di necessità, nonché per il rientro alla propria abitazione.

Ci sarebbe anche l’obbligo, francamente strano e non sappiamo quanto applicabile, dell’autocertificazione da portare con sé. Ovvio che serva per gli spostamenti meno contenuti, a documentare le esigenze di lavoro ecc.: ma il modulo stesso non prevede una autocertificazione per “attività motoria” o per portare a spasso il cane. Un eccellente audio postato in rete  dall'avvocata Simona Venieri di Brescia si sofferma giustamente sugli spostamenti in auto, certamente più sospettabili e punibili in quanto reato penale (articolo 650 Codice penale), esortando a non pagare l'ammenda perché equivarrebbe all'ammissione del reato e alla conseguente iscrizione nel casellario penale: aspettare la notifica, rivolgersi a un avvocato (se già non vi hanno affibbiato un avvocato d'ufficio), eventualmente fare ricorso, e in extremis fare la "oblazione" che estingue il reato.

Ma quanto a noi sportivi, siamo certi che le forze dell’ordine abbiano quel grano di sale che permetta di capire quale è la necessità di uno che sta sgambettando su una pista ciclabile; e d’altronde, la ministra-prefetta Lamorgese, dopo aver ammonito che “le uscite in compagnia e la permanenza prolungata all’aperto costituiscono situazioni di rischio”, garantisce “è sempre prevista un’autodichiarazione che potrà essere resa anche seduta stante sui moduli in dotazione alle forze di polizia”.

Anzi (Fiorenza Sarzanini, “Corriere” citato, l’intera p. 5): “Se al momento del controllo non si è in possesso del modulo si può giustificare verbalmente lo spostamento”. Cita anche la sottosegretaria alla salute Sandra Zampa (la più diretta discepola di Romano Prodi, e dunque necessariamente grande intenditrice di attività motoria): “Lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro”. La Zampa aggiungeva che i parchi e giardini pubblici possono restare aperti, ma nel giro di poche ore il “suo” sindaco di Bologna, poi quello di Milano e tanti altri (quasi tutti, direi), hanno chiuso i parchi che potevano chiudere, affidandosi al buon senso degli utenti per gli altri.

Quel buon senso che, con un po’ di ‘orgoglio aziendale’ da cui certamente si schermirà il diretto interessato, vorrei chiamare “dottrina Lorenzini”: l’epidemia è grave, non è la peste e nemmeno l’Aids, ma al momento (prima dei vaccini) impegna le strutture sanitarie e i macchinari disponibili (i famosi ventilatori, oltre ai posti letto) al limite delle loro disponibilità (è di oggi la notizia che il tanto decantato ospedale ‘alla cinese’ della ex Fiera di Milano non si fa). Non solo ogni ammalato in più di Covid (seppure quasi sempre curabile) mette in crisi il sistema di accoglienza ospedaliero; ma anche, putacaso, ogni podista (e sciatore, e alpinista ecc. ecc.) che si fa male, si rompe un ginocchio, si becca un infarto, si perde nella neve andando in ipotermia, ecc., o non potrà essere curato perché non c’è posto, o intasando il prontosoccorso toglierà spazi e risorse per i malati da Covid.

Corriamo dunque, da soli o in piccolissimi gruppi (sta a vedere che non posso correre a 99 cm dalla mia partner con cui condivido la tavola, il divano e il letto!); ma stiamo un po’ più accorti. E se ci rompiamo, proviamo ad aggiustarci da soli in casa, o almeno non lamentiamoci se l’ambulanza non ci verrà a prendere entro il tempo che Baldini impiegò a vincere la maratona di Atene. Siamo, come si suol dire, maggiorenni (mica tanto vaccinati): siamo (modo indicativo e congiuntivo-esortativo insieme) responsabili, sappiamo (idem) far fronte alle nostre scelte.

Sabato, 07 Marzo 2020 11:08

I capitani coraggiosi, gli speranzosi…

Qualcuno aggiungerebbe… “gli incoscienti”, quelli che si ostinano a programmare gare senza sapere se potranno poi svolgerle…
Ma noi siamo un organo di informazione, e se un organizzatore ci segnala un suo allestimento, a beneficio degli sportivi lo segnaliamo, senza con questo volerlo sponsorizzare. Diciamo che la speranza è l’ultima a morire; ma il suggerimento resta quello di informarsi presso gli indirizzi/ siti/ telefoni allegati!

A farsi avanti è il Veneto, in particolare il Bellunese.

05/04/2020 - Sospirolo (BL) loc. S.Gottardo - case Barp

Pedonata (marcia) non competitiva "Incontro con la Natura" valevole per il XXVI trofeo Antonella e Michele

Corsa podistica Km. 4-9 - Partenza 9.30 - Promotore  Pro Loco Monti del Sole

Info: 320 3342082  - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Note: accesso dalla provinciale in loc. Ponte Mas; posti di ristoro, omaggi, premi a sorteggio e altri resi noti alla partenza

 

Addirittura la Camignada altobellunese gioca in forte anticipo e propone una strana formula, che forse andrebbe bene anche di questi tempi (salvo il fatidico metro di distanza…). Dal loro comunicato:

Auronzo di Cadore,  5 marzo  – Al via le iscrizioni alla Camignada poi siè refuge, storica corsa in montagna con partenza dalle sponde del Lago di Misurina e arrivo ad Auronzo (Belluno) proposta dalla Sezione Cadorina di Auronzo del Club Alpino Italiano.
Le iscrizioni all'evento, che quest'anno celebrerà la 48a edizione e si svolgerà domenica 2 agosto, partiranno in anticipo rispetto al passato, nel segno delle donne. L'apertura è prevista, esclusivamente per il gentil sesso, per domenica 8 marzo. Proprio nella giornata dedicata alle donne il comitato organizzatore ha infatti voluto far loro un regalo riservando una giornata di iscrizione esclusiva e la quota di adesione speciale di 25 euro.
Dal giorno successivo, lunedì 9 marzo, le iscrizioni (possibili andando sul sito www.caiauronzo.it) apriranno invece per tutti. Novità importante per l'edizione 2020 è la doppia possibilità di partecipazione all'evento auronzano: versione non competitiva oppure versione ludico motoria. La prova non competitiva, per la quale sarà redatta una classifica ufficiale, prevede che i concorrenti al momento dell’iscrizione presentino un certificato medico sportivo dedicato all’attività agonistica. I concorrenti potranno in alternativa iscriversi alla manifestazione “ludico motoria”: in questo caso si avrà diritto a tutti i servizi dell’evento, ad esclusione della presenza nella classifica. Verrà comunque stilato un documento relativo alla “ludico motoria”, in ordine di pettorale, con i tempi rilevati all’arrivo.
La quota di iscrizione dal 9 marzo al 31 maggio sarà di 30 euro per la prova non competitiva e di 28 per la prova ludico motoria mentre dall'1 giugno al 15 luglio di 35 euro per la non competitiva e di 30 per la ludico motoria. Dal 16 al 29 luglio le quote saranno rispettivamente di 40 e di 32 euro. Per i ragazzi fino a 14 anni la quota è fissata a 20 euro per tutto il periodo di apertura delle iscrizioni.

La Camignada 2020 presenterà una novità che sarà di sicuro gradimento per gli affezionati dell'evento. Dopo la sistemazione e la conseguente riapertura della Val Giralba durante la scorsa estate, la Camignada tornerà ad essere ... "poi siè Refuge": verranno cioè toccati tutti i rifugi che hanno dato il nome alla manifestazione, nell'ordine, Auronzo, Lavaredo, Locatelli, Pian di Cengia, Comici e Carducci. È stata confermata anche la variante, apprezzata dai partecipanti, introdotta nel 2019, vale a dire il sentiero 105, affrontato subito dopo la partenza da Misurina, toccando la Val di Rinbianco, la Val de l’Arghena e Forcella Col di Mezzo prima dell’arrivo al rifugio Auronzo.
Il tracciato misurerà circa 33 chilometri, con 1.600 metri di dislivello positivo.

Degna dei legulei più raffinati la distinzione tra “non competitiva” (ma con classifica!) e “ludico-motoria” ma con rilevamento dei tempi e loro pubblicazione in una graduatoria, seppure non in ordine d’arrivo! Chissà se l’avv. Premier Conte la ammetterebbe anche in questo mese di quarantena quaresimale, in base alla parte finale dell’articolo 1, comma C del suo decreto…

Nell’immediato, il massimo della fiducia ci risulta esternato dagli organizzatori della Abbotts Way, che doveva partire da Bobbio (provincia di Piacenza, sic!) nel pomeriggio del 3 aprile, cioè l’ultimo giorno di stop secondo l’attuale decreto Conte. Ebbene, un comunicato del 5 marzo annuncia uno spostamento solo di poche ore, appunto per far ‘decadere’ il decreto.

05/03/2020.
Alla luce di quanto esposto nel comunicato governativo del 4/3/2020 l’organizzazione emette quanto segue:
Stante il fermo delle manifestazioni e raduni sportivi fino al 3 aprile 2020, rendiamo noto che The Abbots Way 2020 viene confermata con partenza in data 4/4/2020 con lo spostamento degli orari e dei programmi di qualche ora rispetto alle disposizioni ufficiali pregresse. Con successivo comunicato emetteremo il nuovo programma che prevede la partenza nella mattinata di sabato 4 aprile.
Abbiamo mantenuto aperte le iscrizioni fino al 22 marzo per dare modo ai partecipanti di valutare la possibilità di iscriversi anche sotto scadenza. Attualmente abbiamo ancora disponibilità di un numero limitato a 80 pettorali.
Consapevoli di quanto stia accadendo stiamo cercando le migliori misure per permettere lo svolgimento, rispettando alcune pratiche cautelative, come da disposizioni della Camera del Consiglio.
[sic]
Inoltre nell’eventualità di uno spostamento di date ne daremo comunicazione immediata con la possibilità di partecipare ad una edizione successiva senza perdere la quota versata.
[24/02]
Inoltre nell’eventualità di uno spostamento di date ne daremo comunicazione immediata. Inoltre se tale eventualità, di non poter svolgere l’evento sportivo si dovesse verificare, stiamo valutando di corrispondere una percentuale di rimborso delle quote (dedotte di spese sostenute fino ad ora) o di spostamento alla successiva edizione. Il tutto a discrezione del concorrente.

Riusciranno i nostri eroi…? A volte, la fortuna aiuta gli audaci: che San Colombano li protegga…

 

L’ingegnere reggiano Antonio Tallarita, dopo sette mesi dall’operazione ad entrambi i piedi per alluce valgo e ricostruzione della volta plantare, è tornato a correre l’Ultramaratona di Helsinki, precisamente la “XIII Endurance 24 h Ultrarun Espoo” del 22/23 febbraio, dove ha conseguito la migliore prestazione Italiana (MPI) della categoria M 60: 199,051 km, 11° su 125 partecipanti.
La precedente MPI era appannaggio del torinese  Domenico Galfione, che alla 24 h di Torino del 2016 aveva percorso 189,934 km. Quasi 10 km in più, ora, per l’atleta di nascita siciliana ma che vive a Reggio Emilia e vanta un personale di 226,335 km.

Chiediamo al protagonista di raccontare questa esperienza.

“Quella di Helsinki-Espoo per me resta una gara di riferimento: da anni rappresenta la mia prima uscita dell’anno. E’ una gara indoor, e come tutte le gare di questo tipo ha un fascino speciale, sia per la particolarità stessa del percorso, ricavato dentro un centro sportivo multifunzionale, sia per gli atleti partecipanti che sono di elevata capacità tecnica. Basta pensare che ad Helsinki ogni anno più di 12 atleti superano i 200 km, mentre in Italia, in una gara di 24 ore, lo fanno meno della metà. Quindi  questa è una gara estremamente competitiva, dura. In questi ultimi anni diversi atleti italiani ci si erano iscritti, e tutti ne sono usciti sconfitti. Non è una gara facile. Per entrarci con la testa occorre tanta determinazione e serenità”.

Appunto, qual è l’approccio giusto per un ambiente chiuso?

Le gare indoor richiedono un approccio mentale diverso rispetto alle normali gare su strada o su pista. Nelle Indoor oltre a non avere riferimenti temporali, giorno e notte - buio e luce, non hai riferimenti tecnici in quanto la temperatura è quasi costante per tutto il tempo. L’aria è secca e quindi per evitare la disidratazione  occorre bagnarsi  continuamente capelli e viso, e lavarsi le mani e le braccia con molta frequenza. Il rischio di disidratarsi senza accorgersene è alto. Pure l’alimentazione è molto importante. Occorre sia bere continuamente (in quanto l’aria secca, dovuta al riscaldamento, asciuga la gola e le labbra), sia mangiare il più possibile cibi semisolidi.

 

Hai avuto un momento in cui hai creduto di non farcela?

L’Ultramaratona è una specialità piena di insidie e di variabili spesso incontrollabili.  Se c’è una cosa che questa tipologia di gare mi ha insegnato è quella di … credere alla resurrezione.  A un tratto sei forte e veloce, e subito dopo sfinito e dolorante da non riuscire a correre. Sei quasi morto e senza energia, ma improvvisamente riprendi a correre come se avessi fatto il riscaldamento. Si! Ho avuto un momento in cui sono entrato in panico. Mancavano 28 km al record ed erano rimaste 5 ore 45 minuti alla chiusura delle 24 ore. Sembrano pochi, 28 km in quasi 6 ore, ma dopo 162 fatti possono essere veramente tanti. Ho promesso a me stesso che quei 28 km li avrei fatto strisciando con le ginocchia. Quella MPI era mia e solo io potevo mancarla. Avevo dato il meglio nei passaggi della 100 km (10 ore 17 minuti), nella 12 ore (114,7 Km) e nella 100 miglia (161 Km in 18 ore), non potevo certo sbagliareil record italiano, per cui mi ero iscritto. Anche questi 3 passaggi intermedi  credo siano le MPI Master 60 (lo lascerò verificare alla IUTA). E’ bastato crederci e sono risorto, al punto da farne 38 di km.

Alla soglia dei 60 anni hai sfiorato i 200 km: un obiettivo  o una opportunità?

Il 3 giugno scorso ero stato operato ad entrambi i piedi contemporaneamente per alluce valgo e per ricostruzione della volta plantare. Molti hanno creduto che difficilmente sarei tornato a correre, e soprattutto a correre le lunghe distanze. Ma io, il Dottor Roberto Bevoni che mi ha operato presso la “Casa di Cura Toniolo”  di Bologna, e mia moglie Gabriella eravamo molto fiduciosi.   Il Dottor Bevoni era stato molto chiaro fin dall’inizio: “Con dei piedi come i suoi, con gli alluci molto sporgenti e una volta plantare ormai inesistente, devo necessariamente fare un intervento fortemente invasivo. Per non modificare la rullata e la fase di spinta è necessario lasciare una traccia di alluce valgo residuo“.  Ci abbiamo creduto, e fiduciosi sono entrato in sala operatoria.

E quando ne sei uscito?

Dopo 45 giorni dall’operazione ho corso il primo allenamento di 3 km, ma i piedi erano troppo gonfi.  Ci ho riprovato al 60° giorno. Altro allenamento, altri piedi gonfi.  Al 90 ° giorno il terzo tentativo. Ero molto ‘legato’, senza tecnica, correvo come se lo facessi sulle uova. Da allora, inizialmente a giorni alterni poi in modo più continuo ho ripreso a correre.  A 6 mesi dall’operazione ho corso la maratona di Reggio Emilia con un discreto 3:42. Risultato non brillante ma soddisfacente.

Ringrazio molto il Dottor Bevoni per essermi stato vicino, stimolo a riprendere la corsa nel più breve tempo possibile. Grande medico lui, grande opportunità per me. Così mi sono iscritto alla 24 h di Helsinki ed ho cominciato a sognare la possibilità di portarmi a casa questo risultato. Un risultato voluto e cercato: anche grazie al Dottor Rocco Fusco della “Tenuta Ippocrate” di Avellino, che con i suoi consigli sull’alimentazione è riuscito a togliermi le problematiche di acidosi, il vomito per stress fisico e per errata alimentazione prima e durante la gara.

Helsinki così è diventata una doppia opportunità. La prima quella della MPI Master 60, l’altra un test per vedere la capacità di resistenza dei miei piedi in previsione del Sicily Ultra Tour.

Già, la prossima sfida. Cosa ce ne dici?

Volentieri. Il Sicily Ultra Tour è una gara di 14 tappe lungo il perimetro della Sicilia. La distanza media da percorrere è di 70 km al giorno. I luoghi di partenza e di arrivo sono tra i più belli e conosciuti turisticamente della Sicilia. Il Sicily Ultra Tour è una gara, ma nello stesso tempo è un viaggio nella storia, nella cultura e nella tradizione della Sicilia. Una gara unica ed affascinante che tocca tutti i sensi umani: vista, udito, olfatto, tatto e gusto. Siamo in Sicilia … ho detto tutto. Sono convinto che verranno degli appassionati: si può partecipare al giro  completo oppure alla singola tappa.
Per maggiori informazioni c’è sito www.sicilyultratour.it

Classifica delle prime posizioni di Helsinki

1          253.958 km      Soikkeli, Jari  Ultrajuoksuseura Sisu            FIN     1970    M        1          M50    1            10.582 283.404 km

2          249.761 km      McGroarty, Edward  Lifford / Strabane AC            IRL     1977    M         2          M40             1          10.407 262.740 km

3          232.378 km      Webb, Ry      Waverley Harriers      GBR    1985    M        3          M23     1          9.682            233.007 km

4          222.558 km      Fredriksson, Therese SOK Knallen              SWE   1986    F          1          W23    1            9.273   223.138 km

5          214.718 km      Hurtig, Petra  Hälle IF          SWE    1979    F          2          W40    1          8.947            221.382 km

6          211.612 km      Jonkka, Matti KU-58             FIN      1996    M        4          M23    2          8.817            211.612 km

7          209.988 km      Glans, Peter   Bålsta IK        SWE    1966    M        5          M50    2          8.750            240.591 km

8          209.967 km      Vierimaa, Milla         West Coast Ultra Runners     FIN     1975    F          3          W40             2          8.749   223.227 km

9          204.505 km      Ahokas, Kati Vegaanijuoksijat        FIN     1978    F          4          W40    3          8.521            212.252 km

10        204.472 km      Eronen, Antti Ultrajuoksuseura Sisu            FIN     1973    M        6          M45    1            8.520   220.503 km

11        199.051 km      Tallarita, Antonio      Green & Sport Gela  ITA     1960    M        7          M55    1            8.294   240.953 km

12        194.452 km      Pilli, Moonika           *Rakvere         EST     1982    F          5          W35    1          8.102            198.259 km

13        192.290 km      Andersen, Stian         BFG Bergen Løpeklubb         NOR   1991    M         8          M23             3          8.012   192.290 km

14        188.530 km      Kämpe, Diana                      DEN    1974    F          6          W45    1          7.855            202.329 km

15        188.297 km      Kesamaa, Liina         Triathlon Estonia        EST     1980    F          7          W40    4            7.846   194.141 km

16        187.350 km      Ovchinnikov, Sergei *Saint-Petersburg       RUS    1978    M        9          M40    2            7.806   193.984 km

.

1° marzo – Podismo ufficialmente vietato nelle regioni ‘gialle’ e in altre zone variamente colorate (dalle Marche alla Sicilia). Particolarmente dolorosa la soppressione di Bologna, che in un certo senso sconta il fatto che la Costituzione l’ha creata capoluogo di una regione comprendente Piacenza. E dire che il primo progetto di Costituzione invece separava le due province, come fanno ancora oggi le Poste (il Cap di Piacenza è lombardo, non emiliano); e in effetti, oggi alcune zone della provincia di Piacenza si sono ‘ammalate’ in quanto gravitanti sulla Lombardia. Pensate come sarebbe stato diverso se passava l’altro progetto: invece è andata nel modo che sappiamo, cosicché nel marzo 2020 da Piacenza a Rimini non si corre (magari si va in palestra, perché i vàirus sopra i 25 gradi muoiono e di solito in palestra fa un caldo boia…).
Questo preambolo per dire che qualche maratoneta emiliano-romagnolo, domenica 1° marzo, vista la soppressione delle 42 km di Bologna, appunto, e di S. Benedetto del Tronto, ha ripiegato sconfinando di 30 km dalla sua regione, giusto appena più a sud di Castiglion de’ Pepoli dove si erano perfino svolte, non moltissimo fa,  due ecomaratone: ed è arrivato alla Briglia di Vaiano, in provincia di Prato (altro paradosso, la provincia più ‘cinese’ d’Italia, che però non soffre della imperversante ‘sindrome cinese’).
Ovviamente, questa Ecomaratona è nata come trail, per allungamento di quello che era il Trail del Monte Maggiore di 22 km (oggi rimasto come nobilissima gara di contorno), e dunque i suoi clienti primari sono i trailer, categoria peraltro che ingrossa attirando vari stradisti: ma non è un vero e proprio trail, nel senso che non propone difficoltà para-alpinistiche come spesso si incontrano nei trail che si adeguano alle cosiddette “regole di Morfasso”. Insomma, è in buona parte corribile grazie a una decina o poco meno di km d’asfalto, una prevalenza di stradine carrabili, e infine qualche sentiero ma con pendenze abbastanza moderate (non ci sono corde né bisogno di abbrancarsi agli alberi per salire o scendere; c’è un paio di guadi, più quello che è successo verso la fine ma ha riguardato solo noi delle retrovie).
La misurazione del percorso lungo è data in 43 km, con 1600 metri di dislivello: dati sostanzialmente confermati dai Gps. Il clou è ovviamente costituito dalla salita al Monte Maggiore, cima di 916 metri, la più alta dei Monti della Calvana che separano le province di Prato e di Firenze, ovvero il tracciato della ferrovia “Direttissima” da quello dell’autostrada. Entrambi i percorsi raggiungono la vetta, i maratoneti dopo 32,5 km, gli altri dopo 12; ma i maratoneti prima avevano dovuto salire due altre cime, partendo dai 100 metri del via fino ai 470 metri dove si arriva ai km 7,5 e 10,7. Segue un discesone che porta addirittura più in basso della partenza, ai 70 metri di Travalle, da dove cominciano 16 km di salita quasi continua (con una breve discesa dopo il ‘cancello’ dei 25 km) fino al Monte Maggiore. Da lì si va quasi soltanto in giù, teoricamente in modo facile (“in discesa tutti i santi aiutano”, dicevano i vecchi), ma soprattutto per gli stambecchi-trailer capaci di correre in qualsiasi condizione.
A questa categoria appartengono i due emiliani arrivati primi della 43 km, il fananese Giulio Piana e il bolognese di Val Samoggia Roberto Gheduzzi, tesserati entrambi Mud&Snow, che hanno dominato la gara. Piana, classe 1981 e quarto qui l’anno scorso con 3.54, quest’anno ha portato il suo tempo a 3.38:06; Gheduzzi (venticinquenne, che nel 2018 aveva vinto il Tuscany Crossing di 50 km e quest’anno si è piazzato nei 57 km della Bora e nei 45 del Brunello Crossing), l’ha seguito a poco meno di 5 minuti. Il terzo, Angelo Simone (lucchese di Stiava) è arrivato a 37 minuti da Piana.
Tesserata in Emilia anche la prima donna, Giulia Magnesa del Casone Noceto, del ’72, giunta 15^ assoluta in 4h50'35'', tre quarti d’ora prima della seconda, Chiara Barassi. Insomma, questi emiliani un vàirus ce l’hanno di sicuro, quello della vittoria. I toscani si sono consolati con l’intero podio maschile dei 22 km: primo Filippo Bianchi (Il Ponte Scandicci) in 1h46'33'', davanti a Mileno Frediani (Montecatini Marathon) a 6 minuti e ad Alessandro Melani (Il Ponte Scandicci) a 10.
Quasi incollate le prime due donne, Camelia Barboi (del ’66, Isolotto di Firenze), in 2h14'30'', 47” davanti a Stella Pacini (del 1981).
Poi ci sono gli altri, e nessuno mi sgridi se ne cito solo pochi del percorso lungo: la coppia reggiana Federica Zini & Giuseppe Pellacani (5h10); il supermaratoneta Timothy Chaplin (5h16); l’altro supermaratoneta pratese Leandro Giorgio Pelagalli, vincitore della categoria “Oro” (over 70) con un egregio 5h51, appena davanti all’altro socio del Club, il fananese Mauro Gambaiani; e l’avvocato di Latina Paolo Reali, che dopo avermi ripreso nel mio incerto guado del km 10, si è involato dandomi quasi un’ora.
I classificati sono in tutto 93, 17 in meno dell’anno scorso (e 96 nei 22 km, anche qui con un certo calo; poi un numero non precisato nella non competitiva di 12 chilometri, la Monte Maggiore Free Run).
Ma vanno messe in conto le proibitive condizioni atmosferiche (ampiamente previste, tanto da dissuadere molti dal venire in loco), che dopo le prime ore di pioggerella lieve, che deliziosamente bagnava e rinfrescava i simpatici maiali, le paciose mucche e i cavalli dei pascoli più alti cui si ispira la medaglia, sono nettamente peggiorate alla quinta ora, quando un nubifragio con vento fortissimo si è abbattuto sui tanti che stavano salendo sul Maggiore (o, i meno lenti, ne stavano scendendo): qualcuno non ce l’ha fatta e si è ritirato, prontamente soccorso dalle ambulanze della Misericordia salite fin quasi in cima o comunque al ristoro posto a 850 metri. Altri si sono scaldati e cambiati d’abiti nel delizioso piccolo rifugio Gensini, un centinaio di metri prima della vetta, allietato da un focolare acceso.
Per i restanti, è rimasta la larga cima del monte, immersa nelle nubi e dal fondo pantanoso (provvidenziali le bandierine arancioni piantate a vista l’una dell’altra), poi la discesa prima sassosa e largamente cosparsa di enormi pozzanghere, indi sentieri divenuti veri e propri torrenti (a un certo punto, se non avessi visto le bandelle, avrei creduto di aver sbagliato strada); e solo l’ultimo km di asfalto fino al traguardo.
Gli organizzatori hanno fatto tutto il desiderabile, e anzi di più: per un prezzo d’iscrizione che partiva da 25/30  euro, un pacco gara davvero pesante (inclusa una birra dedicata espressamente all’evento); sette ristori, sempre forniti di tè caldo e frutta, oltre che dei tipici cibi toscani, dalla fettunta agli affettati di cinghiale alle crostate; segnalazioni precisissime (e collegate a un foglio illustrativo di una chiarezza e ricchezza estreme), sbandieratori frequenti e ‘tifosi’ (specie nell’ultimo tratto); docce calde, pasta party nella tradizione toscana, incluso il vino a volontà, e una amichevole tolleranza nei confronti di quanti stavano superando il tempo limite ma ormai erano in zona arrivo. D’altronde, da un supermaratoneta come Daniele Mulinacci, organizzatore con centinaia di lunghe all’attivo, non ci si poteva aspettare di meno.

Venerdì, 28 Febbraio 2020 23:39

Malta lascia col fiato sospeso fino all'ultimo

Aggiornamento 29 febbraio ore 23,20.

Qualcosa si è mosso, anche se non riusciamo ad avere notizie dal grosso della comitiva. Ma se non altro Franco Scarpa, del consiglio direttivo del Club Supermarathon, subito dopo aver aggiornato le classifiche mondiali dei maratoneti

http://www.clubsupermarathon.it/miscellanea/4805-classifiche-internazionali-del-world-megamarathon-ranking-300.html

è arrivato a Malta a metà giornata del venerdì con un volo da Pisa: previo controllo della temperatura in aeroporto è stato ammesso sul suolo maltese e lì è riuscito a ritirare il suo pettorale per la maratona di domattina. Scarpa era uno dei danneggiati dalla maratona 2019: era già a Malta quando fu annunciato l'annullamento della gara; è dunque lì per celebrare la sua rivincita (mentre all'ultimo ha rinunciato l'altra supermaratoneta Carla Gavazzeni, che durante la bufera del febbraio 2019 si era vista piombare una tegola su un piede con conseguente frattura e lungo periodo di riabilitazione). Mentre scriviamo sembra ancora in sospeso, ma confidiamo per il meglio, la situazione del gruppo di Travel Marathon. Saremo lieti, domani, di annunciare la partecipazione di tutti gli italiani, ma purtroppo al momento possiamo solo riproporre il testo di ieri.

28 febbraio - Avevamo annunciato ieri delle difficoltà, o per dir meglio della minaccia di negare il pettorale ai maratoneti italiani delle zone ‘infette’ http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5829-gare-internazionali-many-italians-not-welcome.html

In particolare, una circolare specificava “che il pettorale sarà consegnato solo a partecipanti che presenteranno una carta di imbarco o comunque un documento che dimostri la provenienza da paesi oppure zone non ad alto rischio”. Come tutti gli anni, l’agenzia toscana Travel Marathon ha portato o sta portando centinaia di maratoneti italiani a Malta: i voli d’arrivo sono previsti anche nella mattinata di domani. Ebbene, il cortesissimo Alberto aveva programmato di andare questa mattina a ritirare il pettorale per il suo gruppo: in un primo tempo gli organizzatori gli hanno chiesto di andare nel pomeriggio, causa affollamento eccessivo, rinviando di ora in ora l’appuntamento fino alle 21.

L’ora è venuta; controlli di passaporti e carte d’imbarco per tutti, fuori senza pietà cinesi, giapponesi, iraniani e dintorni; invece gli italiani sono stati dirottati in una stanzetta della cosiddetta Expo (in realtà inesistente: anche il pacco-gara sembra sia decurtato rispetto alle promesse); qui, accanto alla bandiera italiana spiccava l’elenco degli aeroporti, o meglio, di quegli aeroporti off limits. Chi aveva la carta d’imbarco da questi (i tre di Milano, poi Verona e Treviso, Torino, Bologna e Pisa) era escluso senza remissione. In fondo alla lista vedete un “Fi” cancellato: Firenze non è nella lista nera? Bene, perché vorrebbe dire che la fiorentina Travel è a posto. Sì? Peccato che, a detta degli addetti alla distribuzione dei pettorali, i suddetti pettorali di spettanza della Travel siano al momento “smarriti”. Il buon Alberto è stato invitato a recuperarli domani sera, vigilia della maratona, alle 21.

La nostra costituzione (quella maltese non sappiamo) ci obbliga a ritenere tutti innocenti sino a prova contraria: dunque vogliamo credere che i pettorali siano stati “smarriti” e domani salteranno fuori. Ma non vorremmo che i maltesi stiano rispolverando quella furberia che, non a caso, in Italia è stata chiamata “levantina”.
Boccaccia mia statte zitta, concludeva Provolino: speriamo, tra 24 ore, che questi sospetti siano smentiti dai fatti. Altrimenti (se avessimo un ministro degli esteri che sapesse spiaccicare qualche altra parola, oltre a vàirus) ci sarebbe da farne un caso diplomatico.

28 febbraio – Oggi venerdì (il giorno consueto in terra israeliana), si è svolta la maratona (e mezza maratona) di Tel Aviv. I dati della vigilia parlano di quarantamila partecipanti, evidentemente  sommando tutte le manifestazioni. Ha vinto Tobias Singer  in 2:31:01, quattro minuti davanti a Yotam Pessen (2:35:07), che a sua volta ha preceduto di tre minuti il terzo, Muket Derebe (2:38:00). Prima donna, la russa Elena Tolstyk  (2:44:17), molto davanti all’israeliana Irene Konovalov (2:51:23).

Ma il fatto grave è che è stato impedito di partecipare, con la motivazione del Coronavirus, al centinaio circa di atleti italiani iscritti, che erano giunti in Israele tra lunedì 24 e mercoledì 26. Le procedure per lo sbarco erano state gradualmente irrigidite: fino al 25 erano necessari controlli medici per chi giungeva dall’Italia, il 26 era stata introdotta la quarantena obbligatoria  di 14 giorni, e dal pomeriggio del 27 i voli provenienti dall’Italia sono stati rimandati all’aeroporto d’origine, dopo averne fatti scendere solo i residenti in Israele. Nello stesso giorno la compagnia di bandiera israeliana ha cancellato i voli per l’Italia; ed è scattata anche l’esclusione dalla maratona di Tel Aviv, in programma per l’indomani (cioè oggi 28 febbraio) di tutti gli iscritti stranieri.

Il podista torinese Gianluca Logozzo  (Torino Road Runners, M40; in precedenza CUS Torino, nella mezza maratona 1h31'42", in maratona 3h25'01") ha raccontato di essere arrivato a Tel Aviv lunedì  con la moglie: tutto è filato liscio fino all’arrivo della circolare del Ministero della Salute in cui si vietava la partecipazione alla Maratona e Mezza Maratona non solo per i cittadini dei paesi con epidemia conclamata (cinesi, coreani, taiwanesi), ma anche per austrialiani e italiani. I quali però non sono stati ‘espulsi’ da Israele, né sottoposti a limiti nella circolazione: l’unica cosa loro vietata è stata la corsa, cioè quello per cui erano venuti da quelle parti.

Da notare che fino al 27 i contagiati totali in Israele erano cinque (come segnala il sito Terrasanta.net), quasi tutti israeliani provenienti dalla sciagurata nave da crociera Diamond Princess ormeggiata al largo da Yokohama dal 3 febbraio. Solo una coppia sarebbe reduce da un viaggio in Italia il 23 febbraio. Cerca di gettare acqua sul fuoco l’Ambasciata di Israele in Italia, secondo cui (lo apprendiamo dal sito mosaico-cem.it) ”le misure restrittive circa l’ingresso di cittadini stranieri in Israele, legate all’emergenza Coronavirus, non riguardano i soli cittadini italiani, ma indistintamente qualsiasi cittadino straniero, senza distinzione di nazionalità (esclusi cittadini e residenti israeliani), che provenga o abbia soggiornato negli ultimi 14 giorni in Italia, così come in altri Paesi già precedentemente coinvolti da simile provvedimento (Cina, Macao, Singapore, Hong Kong, Tailandia, Giappone e Corea del Sud)”. Il ministro degli Interni israeliano Aryeh Deri ha così giustificato il suo provvedimento. “Non posso farci niente se il virus si è diffuso in Italia”. Magra consolazione, la promessa che “gli iscritti stranieri alla maratona saranno rimborsati” (chissà se anche di viaggio e soggiorno…).

La rigidità israeliana, in questo come in tanti altri campi, non è un mistero: ma dobbiamo segnalare, dall’altra parte (cioè la nostra) le poderose zappate sui piedi che l’allarmismo governativo e i provvedimenti restrittivi di tanti capetti locali hanno prodotto: un politico straniero avrebbe buon gioco a replicare che, siccome noi italiani abbiamo chiuso perfino le chiese,  un cosiddetto governatore ha soppresso una maratona, e un suo collega indossa la mascherina anche quando parla al microfono, significa che stiamo covando qualcosa di grosso ed è bene tenerci alla larga.

Il nostro calendario, come tanti altri, per l’ultima domenica di marzo registra la “Stramarzolina” di Capanne indicandone la distanza in “Km 20 – 9”. Sarebbe vano cercarla tra le mezze maratone, appunto perché la distanza è inferiore a quella canonica; in altri calendari leggiamo invece “Maratonina km 20”, che non è una definizione proprio ortodossa; e il sito Atleticainumbria scrive decisamente “km 4/10/21,097”.
Ma il volantino della nostra gara recita “Corsa podistica di km 20,00”. Mentre quello del 2019, per la stessa manifestazione, aveva un’altra distanza: “Corsa podistica di km 21,00”, cioè (se trascuriamo i decimali), quasi una canonica “mezza”.
Esce ora un documento di Sauro Mencaroni, presidente dell'Atletica Capanne organizzatrice della gara (http://www.atleticacapanne.it/eventi), sul motivo di questa dicitura modificata.
Faccio seguito a tanti (podisti, presidenti di società etc.) che mi hanno chiesto delucidazioni sul fatto che il volantino della 34a Stramarzolina riporta ‘percorso KM 20’. Preciso che ho scritto percorso 20km, su richiesta del responsabile del Comitato FIDAL Umbria delle corse su strada, Patrizio Lucchetti, ma in effetti il percorso della Stramarzolina 2020 - Corsa Podistica di Capanne è lo stesso delle precedenti 33 edizioni cioè 21 e rotti, da misurazione ed omologazione effettuata 4/5 anni or sono. Ora la Federazione Italiana di Atletica Leggera per fare cassa ha stabilito che una mezza che non sia messa sul calendario Nazionale, addirittura non si può chiamare né mezza-maratona né maratonina se non si paga la relativa quota di euro 1.700 circa, più un euro a concorrente. Ora ditemi voi: come può fare a sopravvivere una gara di circa 300 concorrenti se non facendo pagare 25/30 € a concorrente? Per me non è giusto "tassare" così i podisti, pertanto la mia gara non sarà omologata dalla Fidal come mezza (anche se farà parte del Grand Prix Fidal) ma di questo a me non importa, visto che il tracciato storico non consente di fare grossi tempi. Ma dove sta scritto che io non posso chiamarla mezza-maratona? Secondo me è ora che tanti organizzatori che sono nella mia stessa condizione si ribellino e dicano la loro su tale argomento!
P.S. la quota per la Stramarzolina di quest'anno è di € 15,00 con premi per TUTTE le categorie della Fidal, cioè 5 anni x 5 anni, e anche su questo sarebbe ora di fare chiarezza: non va bene che alcune gare, anche con tanti concorrenti, prevedano 2 cat. o al massimo 3 per le donne, e [una sola] da 60 in poi per gli uomini. Scusatemi per lo sfogo, ma credo che sia ora di farci sentire (noi organizzatori)
.

Abbiamo già dibattuto varie volte, l’anno scorso e fino al 4 gennaio di quest’anno (https://www.podisti.net/index.php/commenti/item/5530-maratone-e-mezze-2019-running-o-falling-project.htmlla questione della pretesa della Fidal di arrogarsi l’esclusiva delle gare sulle distanze più prestigiose. Senza voler tornare su questioni di diritto, basta quantificare i risultati monetari di queste operazioni, e pure l’effetto dell’uscita dalla federazione di tante organizzazioni, oppure i vari escamotages adottati per allestire delle maratonine de facto e non de iure. La Stramarzolina è solo l’ultimo caso. Chissà se tra i tanti (??) aspiranti alle cariche della prossima Fidal ci sarà anche chi si porrà realisticamente il problema se conviene emanare norme che non si riesce a far rispettare, o scendere dal pero, o meglio dalla alta turris eburnea del Palazzo, per guardare alla realtà del podismo amatoriale stando a livello stradale.

23 febbraio - Alle ore 21,44 sul sito Fb, alle 22:05 sul sito ufficiale della Maratona di Bologna, è apparso il seguente comunicato:

Siamo terribilmente dispiaciuti di dovervi informare che l’ordinanza firmata dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e dal ministro della Salute, Roberto Speranza, prevede la “Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc, svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico”.
La sospensione è attiva fino al 1 Marzo e questo, purtroppo, impedisce lo svolgimento della Bologna Marathon 2020.

Seguiranno nei prossimi giorni comunicazioni sui canali ufficiali.

L’ordinanza, del tardo pomeriggio (abbiamo un report delle 19,19), è introdotta da queste melliflue parole del presidente Bonaccini neoletto (dunque al sicuro per almeno altri 5 anni salvo proroghe):

 “Abbiamo deciso di mettere in campo una serie di provvedimenti per far sì che si possa fronteggiare la diffusione del virus offrendo le migliori condizioni possibili di sicurezza e tutela ai cittadini. E voglio davvero ringraziare tutti i professionisti della sanità, e parlo di medici, biologi, tecnici, infermieri e quanti sono al lavoro da giorni, per quanto stanno facendo, che è davvero straordinario. Si stanno valutando misure ulteriori per Piacenza e il territorio piacentino, d’intesa con le istituzioni locali.

Ed ecco, dopo la carota, il bastone: “Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc., svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico”.
Prevista poi la “chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani ad esclusione dei medici in formazione specialistica e tirocinanti delle professioni sanitarie, salvo le attività formative svolte a distanza.
Sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura. Fanno eccezione le biblioteche”.

La cosa curiosa è che, in una sua nota aggiuntiva (ricevuta alle 19,32) Bonaccini dichiara:

Al momento non esiste nessun focolaio del virus nel territorio emiliano-romagnolo, ma da subito intensificheremo i controlli nell’ambito del monitoraggio continuo della situazione.

E qualche riga sotto, dopo aver elencato i compartecipi della decisione - curioso che ci fosse il futuro assessore alla sanità, Raffaele Donini (l’attuale, Sergio Venturi, è alle prese con una piccola indisposizione) -, ripete: al momento, in assenza di un focolaio in Emilia-Romagna, bisogna attenersi rigorosamente all’ultima ordinanza del ministro della Salute”.

Allora, nessuno è malato ma ci mettiamo in quarantena tutti: versione tecnologico-politica dell’antico motto “fasciarsi la testa prima di essersela rotta”. Peccato che nelle stesse ore le agenzie diffondano un
Aggiornamento Coronavirus, nove casi positivi all’ospedale di Piacenza. Piacenza non è in Emilia-Romagna, oppure, siccome i malati pare siano lombardi, il “focolaio” non ci tocca?

Nel dubbio, tocca allo sport pagare pegno: già nella mattinata di domenica si era dovuta scontare l’assurda delimitazione regionale (dunque politica) del divieto di fare sport in Lombardia ma non in Emilia (dunque sport vietato a Gonzaga che è “lombarda”, ma non a Reggiolo, distante 4 km ma “emiliana”). Vedremo se domenica prossima sarà vietato fare sport a Riccione (Emilia-Romagna) ma non a Gabicce (Marche). Si sa che i virus rispettano i confini decisi dai politici.

Intanto la maratona di Bologna, così voluta, e accolta con tanto entusiasmo, non si fa.

Lunedì, 17 Febbraio 2020 23:40

Rubiera (RE), 40^ Eco Caretera ed Rubera

16 febbraio – Una gara che arriva alla quarantesima edizione, sebbene non si possa parlare di gara vera e propria dato che la sezione competitiva è stata abolita da un pezzo, merita tutto il rispetto: d’altronde, qui siamo nella patria adottiva di Stefano Baldini, della società Corradini e… di Roberto Brighenti, quindi il podismo è componente essenziale del territorio, al pari dei mangimifici e della Tetrapak. Ogni anno si parcheggia sempre più lontano dal centro, e la grossa area messa a disposizione da qualche anno, mezz’ora prima del via è già esaurita.
E’ vero che, mezz’ora – o forse un’ora - prima del via, ci sono già parecchi podisti per le strade, a impegnarsi nella loro simulazione di quella che un tempo era una corsa agonistica di gruppo: guardate le foto di Nerino Carri tra la 500 e la 600, o quelle di Domenico Petti tra la 365 fin quasi alla 1000, e avrete un’idea di quanti sono partiti e arrivano alla spicciolata: chissà se i primi arrivati tra i partenti regolari sono quelli delle foto 598 e 600 di Nerino, o il 1171-2 di Petti; e la prima donna è quella della foto 801-802 di Petti.
Ma l’agonismo qui oggi è la cosa che conta meno, per i circa 5500 iscritti ufficiali (senza contare gli scolari, in elenco a parte): forse, quello che importa di più è il premio di una borraccia in alluminio per i primi 5000 (a fronte del pagamento dei soliti 2 euro), tant’è vero che quasi tutti ci precipitiamo, prima della partenza, a ritirare l’ambito premio (ritratto nelle foto 20-22, 31-32 di Teida Seghedoni), col risultato che nessuno correrà col pettorale, necessariamente consegnato agli organizzatori!
Il numero esorbitante (a mia memoria, toccato, fuori dai capoluoghi di provincia, in una sola altra gara della regione, la Quattro Porte di Pieve di Cento) è dovuto alla ‘desistenza’, ovvero compartecipazione, del Coordinamento di Modena, che ha sempre incluso Rubiera (e quasi sempre la vicina Scandiano, mai invece la confinante Arceto) tra le ‘sue’ gare; tant’è vero che, delle prime dieci società classificate come numero di iscritti, otto sono modenesi, e le loro tende spiccano nella piazzetta davanti al teatro (foto di Petti 14-40, di Teida 51-58). La prima società reggiana, il Correggio di Pederzoli (foto 700 di Nerino), è appena settima, con meno di un terzo degli iscritti del gruppo più numeroso, la solita Cittanova di Modena, località che dista da qui 5-6 km (ah, quel 1997 quando passammo di qui per la maratona Reggio-Carpi in edizione unica! Allora c’era la rinomata e costosa trattoria Nunziadeina, oggi abbandonata e nascosta dai rampicanti che le arrivano fino al tetto).

La partenza dei ‘regolari’ intasa la via Emilia centro per lunghi minuti, e per centinaia di foto (Petti 143-316, Nerino 80-500); e la cosa più pittoresca sono le famiglie, specialmente le mamme coi bimbi: guardate nelle immagini di Nerino la bella mamma della 657, con due bimbi di cui il più piccolo è voluto scendere dal passeggino e camminare pure lui; oppure l’altra mamma della 693, coi due che sembrano gemelli; e poi, verso il traguardo, i piccoli delle foto 945-956, poi 1133-34 ecc., che si impegnano nello sprint.

Poi, naturalmente, ci siamo noi vecchiardi che abbiamo fatto la storia, anzi la preistoria del podismo: Gamba ed legn Sala, fermo nella foto 27 di Teida, in azione nella 1024 di Nerino; Tiziano Franchini, già motore della fu-Casa Modena, ora col suo cane (Nerino 1108); nonno Bandieri che, forse lanciando la prospettiva di tazze fumanti del suo cioccolato, corre in compagnia di due bellezze femminili (Nerino 1895), fino a che il figlio non lo ricondurrà alla dura realtà quotidiana (Teida 927-8).

Impegnatissimo (tra i pochi) Micio Cenci (Teida 392), mentre chi scrive passa un’ora e mezzo in compagnia di Paolo Giaroli (cugino del celebre Gelo: foto di Nerino 397, di Teida 674-5): uno che a 19 anni corse la sua prima maratona nella bassa reggiana (dove organizzavano delle 42 con partenze ogni anno da un luogo diverso, Rolo, Novellara ecc.); fu ingaggiato seduta stante dal sottoscritto come staffettista in una 4 per mezz’ora di Barco, vent’anni fa, dove era venuto a mancare uno dei 4; e ora spesso classifica, come giudice di gara, i maratoneti, raccomandando spesso indulgenza per chi sfora di poco il tmax. Mentre ce lo stiamo raccontando, raggiungiamo Cecilia Gandolfi (moglie del fotografo renitente Italo), che racconta appunto di essere nota agli addetti della maratona del Ventasso come colei che devono aspettare prima di chiudere la gara.

Si entra nel tratto più suggestivo, la Villa Spalletti (niente a che fare con lo scarso allenatore calcistico), nel cui parco ci attende Teida per la maggior parte dei suoi scatti (tra il 200 e il 500 circa, con proseguimento lungo i viali e le campagne illuminate da un sole convinto): ci ripasseremo, noi del percorso lungo di 16 km, dopo il giro di boa di Arceto (teatro della famosa gara della gallina come premio, cui Rubiera contrapponeva il cosciotto di tacchino): adesso, niente tacchino, ma ristori ecologici che comprendono persino dei ceci cotti al punto giusto.

E’ tempo di tornare a Rubiera, nella piazza come al solito piena di banchetti e con ristoro sufficiente per tutti (il tè è bello carico e zuccherato): sono rimaste perfino alcune borracce-premio, che possiamo riempire con l’acqua fresca dell’ente intercomunale di servizi (coraggiosamente diverso dalla megautility romagnola che spadroneggia a Modena, Bologna e altrove). C’è poco da dire: nel territorio di quelli che Guareschi chiamava “quadrispigoluti” sta il meglio del podismo italico.

Ultimi commenti dei lettori

Vai a inizio pagina