Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
4^ Maratona di Rieti: pochi podisti, molti premiati...
Ma che ci siete venuti a fare a Rieti?”, ha chiesto una negoziante al cui bancone stavamo facendo acquisti.
“Per correre la maratona”.
“E venite fino a Rieti per fare la maratona?”.
Si può solo allargare le braccia, aggiungendo che Rieti merita comunque una visita, sia per il suo centro lindo, quasi libero dal traffico automobilistico e con edifici d’arte notevoli (il più recente è un monumento alla lira, ottenuto fondendo esclusivamente monete da 200 lire), sia per i suoi dintorni, ricchi di suggestive reminiscenze dei ripetuti soggiorni di San Francesco.
La corsa è certamente schiacciata dalla concorrenza con Reggio: ben pochi supermaratoneti, ad esempio, l’hanno frequentata (tra questi, i laziali Paolo Reali e Gianni Baldini, il marchigiano Francesco Capecci, e l’inossidabile coppia barlettana Rizzitelli-Gargano). Il percorso è molto scorrevole, pressoché in pari nella levigata piana reatina dove le uniche alture sono i ponticelli su fiumi e canali; le quote di iscrizione sono quasi irrisorie, con l’aggiunta di pacchetti-soggiorno favorevolissimi, e la concreta prospettiva di recuperare quanto speso attraverso i premi assoluti e di categoria nella “maratona più premiata d’Italia”.
Eppure, i risultati numerici dei classificati non premiano lo sforzo dell’organizzatore principale, Felice Petroni, e dei suoi collaboratori tra cui citerò solo “Ciccio”, cuoco di Amatrice che gestisce il pasta party, ovviamente a base di amatriciana e di “gricia” distribuite in abbondanza: dei 103 iscritti alla maratona solo 71 risultano i classificati, più 41 giunti al termine della mezza maratona, e 29 della 12 km competitiva (più svariati altri della non competitiva).
Di positivo, va detto che le gare si sono svolte comunque, mentre nel 2016 erano state annullate per una scossa di terremoto due ore prima della partenza; anche pochi giorni fa la terra aveva tremato a un livello 4 Richter, ma per fortuna senza provocare altri danni.
Clima molto familiare, quasi da ritrovo tra vecchi amici, nel magnifico stadio per l’atletica Guidobaldi, teatro del famoso meeting, e la cui pista azzurra abbiamo percorso quasi per intero nel passaggio del km 21 e all’arrivo. Senza problemi le formalità di iscrizione (a parte il preventivo girovagare tra siti che non si aprono e altri con notizie frammentarie), la consegna di pettorali e chip Icron (quelli a forma di striscia che si arrotola intorno al legaccio della scarpa); partenza ritardata di mezz’ora (col rischio di andare incontro al maltempo previsto da metà giornata), e stranamente collocata a un centinaio di metri dallo stadio, dove però si arriva dopo una corsetta ‘guidata’ di un chilometro. L’anello da percorrere è di 21 km abbondanti (alla fine i Gps oscillano tra i 42,500 e i 43), equamente suddiviso tra stradine non trafficate e piste ciclabili; per ragioni legate ai sismi non si passa per il centro di Rieti né si attraversano centri abitati tranne Chiesa Nuova, quasi un sobborgo del capoluogo (gli agglomerati urbani più caratteristici stanno tutti sulle prime alture che sovrastano la piana); le nuvole basse concedono visioni solo parziali sul Terminillo innevato e le cime minori attorno.
Ristori molto frequenti, uno all’incirca ogni 3 km, ma forniti soprattutto di bevande fredde (pare che sia circolato un po’ di tè caldo, ma esaurito subito), uvetta, biscotti e wafer. Segnalazioni ottime, e necessarie specie nel secondo giro quando noi maratoneti di basso rango, abbandonati dai mezzi maratoneti dopo l’arrivo loro, ci troviamo distaccati anche di centinaia di metri l’uno dall’altro; ad ogni attraversamento di strade trafficate ci sono comunque i volontari che fermano le rade auto in transito.
Ha vinto Massimo Lizza in 2.58:50, appena 21 secondi meglio del secondo, Gianfranco Perrozzi, e 1:41 su Fabio Amabrini; netto invece il distacco degli altri: ma per i primi 5, uomini e donne, era in attesa un prosciutto intero come premio principale. Decisamente amatoriale il tempo delle categorie femminili, tra cui ha prevalso Silvia Vinci in 3.26. Ben diciotto le categorie premiate, con abbondanti confezioni alimentari.
Spogliatoi sufficienti, docce tiepidine, e come si diceva amatriciana a cofane, seppure in mancanza di tavoli per poterla gustare in compagnia. Il ‘terzo tempo’ è proseguito in serata, con ulteriori prelibatezze laziali direttamente nell’osteria di Ciccio; poi, chi ha voluto, ha espiato i peccati di gola visitando i quattro conventi che ospitarono San Francesco, tra cui quello di Poggio Bustone poi divenuto noto come patria di Lucio Battisti.
E proprio a Poggio Bustone l’infaticabile Felice Petroni progetta di far svolgere, il prossimo 11 marzo, una delle tante maratone che va programmando, il cui nome non potrà essere altro che “I giardini di marzo”.
Bologna City Night Trail: dolce e chiara è la notte
Comincio dalla fine, e da una delle cose che mi sono piaciute di più: le docce, ampie e caldissime (nei trail, e anche in certe corse più ‘togate’, non capita sempre). È stata però l’unica cosa totalmente positiva del finale di questa gara: su tutto il resto c’è da ridire, eccome.
Per trovare un’altra cosa molto positiva devo riavvolgere il nastro (come dicono i giornalisti, sebbene i nastri, audio e videocassette non esistano più), e arrivare al momento cruciale di quando si cerca il parcheggio: in una zona caotica come è lo stadio di Bologna, dove i podisti si rassegnano a parcheggiare sperando che non passi il vigile, la disponibilità del parcheggio dell’antistadio (sebbene contrassegnato all’ingresso dalla scritta rossa “Completo”, falsa e bugiarda ma che dissuadeva molti), adiacente alla zona di partenza-arrivo e gratuito, è stata una manna: peccato per chi ha creduto alla scritta e ha parcheggiato in quei budelli di strade, sensi unici e divieti, residuo dei tempi eroici che si correva la Casaglia – San Luca con partenza da via XXI Aprile, e quanto a parcheggiare, aiuto!
Anche sul sito del City Trail campeggiava da almeno una settimana la scritta “Completo” (anzi, in ossequio all’esterofilia, Sold out, come se a correre da queste parti venissero gli americani e i giapponesi): 450 iscritti o magari qualcuno in più, ad un prezzo “di lancio” di 15 euro l’uno, divenuti 20 nelle ultime due settimane. Cifre che, a dire la verità, erano state imposte quando la gara era indicata come competitiva, e sono rimaste tali e quali anche dopo che è stata declassata a non competitiva: il che significa niente classifiche, niente giudici da pagare e tantomeno chip (sebbene il logo di Sdam/Dapyware comparisse nel volantino); e – vergogna somma – obbligo di correre rispettando il codice della strada, perché le strade sono aperte e al semaforo rosso ci si ferma!
Ma, nonostante queste cose fossero risapute (sebbene circolasse qualche leggenda metropolitana in base alla quale i prezzi sarebbero stati abbassati), se si fa il tutto esaurito, gli organizzatori saranno giustificati l’anno prossimo a far pagare 30 euro, cifre cui ci si sta avviando per tutte le Color e le Christmas e le 5,30 e le DJ e le 21 sorte dal nulla. Il mercato li autorizza, e intanto a Bologna un incasso minimo di 6750 euro (supponendo che tutti abbiano pagato solo 15) è garantito, con dispendi modesti e senza tener conto delle eventuali sponsorizzazioni (ad esempio appariva il logo di Agisko, si suppone non solo in cambio di quella bustina di gel inserita nel pacco gara). La denominazione “Benmivoglio” degli organizzatori trova conferma anche da questi dettagli.
Il tutto esaurito penso sia dovuto alla bellezza del percorso, già testata nel 2016 con l’etichetta di “numero zero”; un anno fa avevo partecipato a un Urban Trail di Firenze, che forse è stato il modello per Bologna, ma vi posso garantire che l’attraversamento del giardino di Villa Spada a Bologna (intorno al km 8) è altrettanto ricco di fascino di quello del Giardino di Boboli a Firenze. Poi ci si aggiunge l’incanto della notte di luna piena (“e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti – posa la luna, e di lontan rivela – serena ogni montagna”: io le virgolette le metto, a differenza di Rondelli e Galimberti): notte che nasconde le infinite brutture urbanistiche di Bologna, e ci regala la visione di tante isole di luce giù in basso. Quasi magico l’apparire delle Due Torri dall’alto del parco S. Pellegrino (dove era l’unico ristoro del tracciato, acqua fresca uvetta e poco più, sicuramente niente di caldo); persistente e confortante la vista del santuario di S. Luca, che raggiunto in meno di 3 km, poi ci si mostrava per quasi tutto il resto della gara, mentre correvamo sul crinale di una catena collinare a ferro di cavallo.
I nostalgici del luogo hanno riconosciuto nel tracciato i luoghi già frequentati in altre gare bolognesi, alcune estinte: la citata Casaglia-San Luca, della quale risaliamo col fiatone i chilometri scesi a rotta di collo nell’ultima parte; la leggendaria 25 km dei Colli (dalla medaglia rettangolare d’argento), che ora abbiamo percorso in senso inverso da via Felice Battaglia (che fu il mio Rettore!) lungo i tornanti di via del Genio; la Petroniana, ritrovata sia nel parco di Ronzano (km 12) sia nella discesa finale lungo le vie dei poeti (Petrarca, Guinizelli, Vallescura). Quante volte sono salito in Vallescura con apprensione mista ad affetto, a visitare il Grande Vecchio professor Spongano che fino ai cento anni ci impartì lezioni e affettuosi rimproveri; solo avanti con gli anni ho capito quante ragioni avesse, nel cominciare i suoi predicozzi con “figliuolo!”. Per coincidenza degli opposti, in questo stesso sabato pomeriggio viene sepolta in Certosa, a pochi metri dallo stadio, un’altra collega, più famigerata che brava: per dirla ancora con Leopardi, per lei non mi rimane nemmeno un sospiro.
Gran quantità di cani in corsa, tutti debitamente lampadati: almeno cinque mi sorpassano nella salita del portico, trascinando i padroni. Crudeltà antianimalista o soccorso indebito? Ma è non comp, si fa di tutto, e se io inciampavo sul guinzaglio di uno che mi ha tagliato la strada, chissà chi aveva ragione.
Ma gli scenari della Bologna notturna hanno il sopravvento: dopo la prima cima di San Luca al 2,8, ecco la seconda di San Pellegrino dopo 5,3, cui segue l’unico ristoro (Spongano avrebbe detto che nella dicitura del programma “ristori lungo il percorso”, il plurale è fuori luogo: figliuolo, ripassa a fare l’esame al prossimo appello); poi la discesa sterrata verso villa Spada (8,3), con risalita a Ronzano, alta come San Luca, al 12,1. Squisita l’idea di munire di catarifrangenti gialli le radici che attraversano il sentiero, perfetta l’assistenza lungo il percorso (“shtate a sinishtra, perché a deshtra si sivola!”), anche per merito degli scout di Villanova memori dell’antico precetto di aiutare la vecchietta a traversare la strada.
Sentiero con qualche salitella impossibile da correre, verso l’ultima cima, l’Osservanza (meta prediletta di Pascoli negli ultimi anni di vita) al 13,7; poi rimane il discesone verso i viali di circonvallazione sud (chiacchierata zona Staveco, pancia mia fatti Coop), che percorriamo sul marciapiede fino a sbucare a porta Saragozza (il parco da dove parte la camminata è aperto, ma non ci entriamo) ed imboccare infine il tratto iniziale del portico di San Luca che ci scorterà, senza altre segnalazioni (freccette o bandelle pare siano state vietate per ragioni di decoro urbano: seeh!), e con i radi sbandieratori che ci bloccano ai semafori rossi, fino al traguardo. Che non è dopo i 16 km dichiarati dall’organizzazione (+600 m di dislivello) ma di 18,400 +565 metri D (“figliuolo, ripassa quanto saprai fare i conti”); e che, non essendo minimamente segnato, né da un arco né almeno da una riga bianca, è riconoscibile solo per la presenza del fotografo modenese Italo. A lato campeggia un podio, il cui uso è indecifrabile data la non competitività, né uno speaker di serie B ci dice che arriva Otello o la Franchina, ma semmai pare interessato a giudicare su chi aveva le lucine più sexy.
Ristoro post gara: sarà che quando arrivo io (mica ultimo) si sono mangiati già tutto, ma io trovo solo tè freddo e pezzi di panettone, più un panino con mortadella consegnato previa spunta sul pettorale: che non ne prendessi due, come era consuetudine dei magnapodisti bolognesi a 2 euro nella attigua camminata di Porta Saragozza. Ritiro ‘pacco gara’, il cui clou consiste in un portascarpe (con logo, almeno quello) come ne possiedo già alquanti (tutti omaggi), ma che non ho mai visto usare da nessun podista per riporci le scarpe fangose. Chiamasi bisogno indotto.
Deposito borse custodito: un bel seeh! ce lo metto anche qui. E’ vero che ci consegnano un adesivo da attaccare alla borsa, ma questa borsa la portiamo noi in tribuna (come nella maratona di Reggio), scegliamo noi il gradone e la abbandoniamo fiduciosi, in mancanza di qualsiasi addetto; all’arrivo, risaliamo la tribuna e recuperiamo self service la borsa. La mia era stata solo spostata, ma c’era ancora. Spero che nessuno tiri fuori la storia della non competitiva, perché anche a una gara parrocchiale come la Cacciola di Scandiano, dicesi deposito borse quello dove tu consegni la borsa a un addetto, che la ripone in un recinto dove può entrare solo lui, e al termine te la riconsegna in base al tuo numero di pettorale.
Ma che lamentele vado facendo: lo scenario goduto durante il giro vale il prezzo del biglietto. Italo mi obbliga a posare alla base del podio preconizzandomi che verrà buono per la maratona di Bologna. In che secolo?
Roberto Mandelli fotografo, 800 K+M
Con le 1500 foto pubblicate su Podisti.net da Almè il 3 novembre per la “Corsa sulla Quisa”, Roberto Mandelli ha raggiunto le 800 mila (800 K come si scriveva ai primordi dei computer) fotografie podistiche pubblicate. Ma il conto è già approssimato per difetto: alle statistiche risultano 912 album suoi finora usciti, e a questi dobbiamo aggiungere i suoi “collages”, le combinazioni di foto altrui con le quali, spesso con ironia, illustra le cronache e i commenti della nostra testata.
A volte Mandelli serve anche come ‘collaboratore di giustizia’, ovvero come quelle telecamere che riescono a far scovare l’assassino o, nel nostro caso, il tagliatore o almeno il responsabile di prestazioni ‘strane’: e basta guardare gli eventi degli ultimi giorni per capire…
Poi c’è un Mandelli non podistico, che non sempre pubblica, ma inoltra solo agli amici le foto della sua famiglia allargata (nel senso che oltre ai figli ci sono i fratelli, i nipoti, i commilitoni e perfino 444 amici al bar), tra escursioni in montagna, allegre tavolate ai rifugi, e visite al santuario della Madonna della Rocchetta a Paderno d’Adda, gestito dal fratello.
Famiglie che addirittura si “allargano” anche per merito suo: in occasione di una maratona di Reggio Emilia, giusti dieci anni fa, capitò che Roberto apparisse fotografato a fianco di Claudia, bionda avvocata milanese. Un anno dopo, Claudia si presentò al compleanno di Roberto (14 aprile) con una torta: anche questo evento fu oggetto di un servizio fotografico, il quale, insieme al precedente, fece scoccare una certa scintilla di Giorgio, avvocato milanese pure lui: da cosa nasce cosa, e i due colleghi ora sono marito e moglie; lei fa le torte per lui ma qualcheduna ancora pure per Roberto.
Ecco dunque perché agli 800 K si aggiunge almeno un M come Matrimonio. Uno solo? Non crediamo: la Madonna della Rocchetta avrà sicuramente interceduto per qualche altra unione consacrata tra i podisti. Servizio fotografico di Roberto Mandelli, prossimamente a-million-photos-baby.
Allegre dissidenti a Modena: "Women in Run"
In questo buio finale di autunno, dove la tetraggine delle giornate non è resa pià allegra dalle trappole commerciali del Venerdì Nero o dalle monotone rassegne televisivo-boldriniane sulle donne in sofferenza (anche quelle che vent'anni dopo denunciano di aver 'dovuto' fare certe cose? - allora viva Marilyn che ammise 'certo che l'ho fatto, e se non lo facevo io ce n'erano altre 25 che l'avrebbero fatto al posto mio'!), e dove il calendario del podismo emiliano offre eventi ripetitivi e sconfortanti... per far muovere le gambe in compagnia non ho trovato di meglio che lasciar perdere la corsa prescritta dal Coordinamento, oltretutto programmata alle 14,30, coi suoi partenti anticipati e i soliti maschietti in crisi di astinenza che vanno alle corse per imbarcare, puntando invece su una corsetta allestita da un negozio sportivo di fresca creazione ma già molto attivo come uno dei suoi gestori, Mohamed Moro (Fratellanza, 33 anni, 48.76 sui 400, 1:47.14 sugli 800, 15:51 sui 5000, 1.10 in maratonina).
Nessuna benedizione del Coordinamento (anzi, presumibili sanzioni o gride minacciose, per una tariffa 'antisociale' di ben 2,50 a pettorale, ben più alta del prezzo da reddito di inclusione o Ape sociale per i poveri podisti modenesi; e per giunta con pacco-gara riservato alle signore); boicottaggio dei podisti soliti e dunque partenza tutti in gruppo al via ufficiale, alla presenza - per dirne uno - di Alessio Guidi, bolognese arioso amico delle corse fuorilegge, e soprattutto di molte donne che ben di rado si vedono nelle corse 'normali' (eccezion fatta per la bionda pimpante Alessandra, che si rifà della sconfitta patita non per colpa sua al trail notturno di Vezzano).
E non erano presenti solo donne camminatrici, peraltro almeno un centinaio, ma altrettante ragazze sportivamente assatanate, che non sono riuscito a tallonare pur andando ai 5:23 a km (media ragguardevole per il sottoscritto di questi tempi e col pranzo sullo stomaco): e insomma hanno percorso i 6 km esatti del tracciato, quasi metà campestri, in mezzora o meno.
Tracciato ricalcante in buona parte quello degli allenamenti serali che il negozio propone da un paio di anni, quasi tutto su piste ciclabili con una escursione notevole nel parco cosiddetto della Resistenza, ai cui margini crescono minacciosi palazzoni delle varie Coop costruzioni, prima avvisaglia della cementificazione già decisa per tutta l'area verde che ancora separa questo quartiere Buon Pastore dal quartiere S. Agnese. Modena ha seimila alloggi vuoti (alcuni dicono ventimila), ma c'è bisogno di costruirne altri per soddisfare la sete di guadagno di certi costruttori, che avevano acquistato terreno agricolo misteriosamente indovinando che sarebbe diventato edificabile. E il cosiddetto consumo zero di territorio sta diventando, nelle ultime dichiarazioni di chi comanda, una specie di somma algebrica: qui vi consumiamo dieci ettari, ma vi garantiamo che nel resto della città faremo crescere dieci ettari di bosco dove adesso stanno i ruderi delle fabbriche con la loro brava dose di scorie di carbone e amianto.
Intanto, dove si è corso, abbiamo notato un eccezionale spiegamento di sbandieratori, non meno di uno ogni cento metri: essendo una gara rivolta principalmente alle donne, i loro mariti sono stati caldamente invitati a presidiare l'area, col sottoprodotto non trascurabile di controllare se nessun maschietto in corsa si permetteva qualche licenza verso più o meno consenzienti. Per di più, un paio di vigili hanno garantito il passaggio dell'unica strada trafficata, e non c'è stato insomma nessunissimo problema.
A occhio e croce, almeno trecento i partecipanti; tè caldissimo al traguardo, talmente caldo e saporito che era concessa la facoltà di allungarlo con acqua. Pacco gara (per sole donne come si è detto) assai abbondante: novità , scatolette che sembravano il solito tonno e invece erano carne di pollo, molto originale. Accertatomi che non era per gatti ma per umani, l'ho assaggiata e devo dire che era decisamente buona.
Non solo modenesi alla partenza: nessun carpigiano, è vero, e dunque tutti hanno corso col loro bravo pettorale spillato, senza evasioni da tirchieria; c'era Giangi che pur abitando a 2 km dalla gara 'coordinata' è venuto qui, e addirittura gente da Finale Emilia che ha sorvolato la stessa località della corsa ufficiale per giungere, dopo più di 40 km, dalle parti del nostro speciale, e oggi allegramente femminile, Modena Park.
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Ripescando negli archivi del 2011...
Scrivevo per Podisti.Net anche senza saperlo...
Mercoledì 11 Maggio 2011 11:40 | Scritto da Rodolfo Lollini – Redazione Podisti.net | | | Maratona - Sommacampagna (VR) - 12^ Maratona del Custoza
corse su strada, capita di avere una moto a precedere la gara. Domenica a Custoza abbiamo scoperto che questo utilissimo mezzo di trasporto può
avere un'altra funzione, quella di aiutare un podista a percorrere qualche chilometro di una maratona in pieno relax, salvo poi scendere di sella e
riprendere la gara come niente fosse.
Modena - 1^ edizione Corrimvtina MMCC
I pochi cui possa interessare il podismo modenese, forse ricorderanno che una cinquantina di giorni fa avevo annunciato la fine ingloriosa non solo della maratona d’Italia (o di Carpi, come l’abbiamo sempre chiamata tutti), ma anche della più partecipata camminata non competitiva della città di Modena, capace di adunare 12mila (secondo i sindacati) ovvero 4mila (secondo la questura) camminatori: la Corrimodena, prossima alla sua 38^ edizione. Scrivevo che:
Il suo merito principale consisteva nel richiamo offerto alle scuole, che per pochi spiccioli potevano iscrivere centinaia di ragazzi e alla fine ricevere consistenti premi ‘didattici’ ed educativi. È vero che spesso gli studenti iscritti stavano a letto e consegnavano i loro pettorali ai prof i quali passavano alla cassa con 800 tagliandi a fronte di 30 che erano venuti a correre sul serio. Ma insomma, i premi alle scuole (grazie agli sponsor, beninteso) arrivavano. Nel corso degli anni abbiamo più volte denunciato le storture, le falsificazioni, le goffaggini di questa gara: ma era innegabile che ci andasse comunque gente che per il resto dell’anno non frequentava le corse. E poi, c’era “il trionfo di Roncarati” celebrato annualmente in piazza Grande ad opera di speaker pagati per quello, e poi ripreso dalla iperbolica stampa locale, ad azzittire la nostra voce stonata.
…
Sembra che l’assessore allo sport di Modena (il cui merito principale è quello di essere un bellissimo ragazzo) abbia convocato d’urgenza le società modenesi per organizzare qualcosa di sostitutivo: e la cosa non è difficile da realizzare, dato che la Corrimodena è una corsa dove si parte quando si vuole, si arriva (o meglio, si assediano i tavoli del ristoro finale) quando si vuole, non ci sono classifiche, e pur che se magna tutti sono contenti.
Bisogna dare atto che la comunità modenese, in cinquanta giorni, è riuscita a ripetere il miracolo che già aveva operato una ventina di anni fa, quando la gloriosa Fratellanza (allora guidata da un presidente socialista e megalomane) aveva rinunciato all’organizzazione della “Corrida di San Geminiano”; e il movimento podistico allestì una gara sostitutiva, per certi aspetti migliore dell’originale, che lungo due anni pose le basi per la ripresa della corsa che si fa anche adesso, di nuovo sotto l’egida della Fratellanza, anche se i mugugni non mancano.
Torniamo ad oggi: proibito usare il marchio originale (gelosamente custodito dal suo ottuagenario ideatore che ogni anno “trionfava” sulla bocca degli imbonitori radio-tv-cartastampatori), si è inventato un succedaneo quasi uguale, che ha preso l’idea dai 2200 anni della fondazione di Modena romana, Mutina appunto (scritto con la V come usavano gli antichi romani). Che poi i romani del 183 a.C. corressero, è da vedersi: certamente il tracciato della gara ha calpestato, nei primi km, il sito orrendamente ribattezzato NoviArk, da dove partiva la strada per Verona fiancheggiata da tombe degli avi illustri.
Peccato che nelle stesse ore in cui il via alla corsa era dato dall’Assessore Bello Guerzoni (così lo chiamo io, sebbene nessuna donna di mia conoscenza condivida la qualifica), il Modena calcio fosse costretto a dare forfait per la terza volta nel campionato di serie C, incappando nella radiazione, alla cui base una fetta di colpa ce l’hanno anche il Comune e l’assessorato, impegnatisi in una autolesionistica lotta contro la proprietà della squadra, combattuta negando l’uso dello stadio a una truppa di pochi professionisti senza stipendio, ultimi eredi di una società centenaria, che ventitré anni fa era in serie A e due anni fa in B. Ma sono tristezze che può sentire solo chi ha visto giocare Ghezzi, Silvestri, Cinesinho, Brighenti, Toro, Braglia padre e figlio, Daniele Adani; non certo un assessore giovincello dalle eleganti basette e dai capelli lunghetti quanto basta a incantare i cultori di Fb.
E torniamo alla corsa, una delle poche capaci di richiamare in centro le famiglie coi bambini, e (forse) le scuole. Dico forse, perché nei decenni mi ero abituato alle sceneggiate delle finte iscrizioni sottoprezzo pur di accaparrarsi i ricchi premi per i gruppi scolastici. Sarà andata meglio quest’anno? Gli organizzatori parlano di 6000 partecipanti effettivi e non ho argomenti per smentirli. Ma l’immagine più bella che mi rimane da questa corsa è la famigliola (papà, mamma, tre bambine di cui la più grande avrà avuto 8 anni), che dopo l’arrivo, ben rivestite, hanno inforcato sotto la pioggia le loro biciclettine e sono tornate a casa per un bel bagnetto caldo.
Torneranno alle prossime gare podistiche? Lo spero, ma non ne sono tanto sicuro. Qualche giorno fa, rovistando in solaio, mi è riemersa una busta che conteneva i materiali della Sgambada di Mirandola del 1973, quarantaquattro anni fa. Il giornale scriveva: “In 1400 sfidano la pioggia”; e pubblicava la classifica di tutti i 1400 divisi in seniores e juniores (c’erano persino i gemelli Gennari al loro esordio). Tutti partiti insieme, con un pettorale numerato dal costo di 100 lire, e tutti censiti al traguardo col loro piazzamento.
Arrivando alla Corrimvtina di questo 2017, tre quarti d’ora prima della partenza, ho trovato già un km fuori del centro podisti (quasi tutti senza pettorale visibile) che traversavano le strade, per lo più camminando lungo il presumibile percorso, con i vigili che gli davano via libera. E riflettevo che la Corrimodena targata Roncarati sarà stata l’avviamento alla corsa per tanti, ma è stata anche una scuola di anarchia per i podisti (si parte quando ti pare), di truffa per le società (siete in 50? Iscrivetene 150 che vi arriva un prosciutto di premio e ci guadagnate), di menefreghismo per gli organizzatori (chi se ne frega di prendere l’ordine d’arrivo? Tanto, chissà a che ora sono partiti).
Lo sbocco di queste cose non è il podismo agonistico (“l’agonismo è la morte dello sport”, diceva un portavoce di Roncarati, che non faceva nemmeno mettere i segnali dei km perché se no stimolavano la competizione), ma sono le Color Run.
Detto questo, va dato atto ai post-roncaratiani di aver fatto molte cose per bene: percorso chiuso al traffico, o per lo meno su una corsia separata dalle auto lungo il mefitico vialone che costeggia la ferrovia e il sovrappasso sulla ferrovia stessa (fortuna che era una “giornata ecologica”!); arrivo nella piazza Grande con passaggio davanti alla facciata del Duomo (passaggio che non avveniva nelle precedenti edizioni); ristori sufficienti sebbene non all’insegna dello spreco e del magna-magna di una volta; premi ‘intelligenti’, piade nell’immediato e buoni-sconto per supermercati, non per negozietti di fighinerie come capita a volte (e uno sconto di 5 euro di fronte a una iscrizione da 1,50 si commenta da solo); e premi a parte per le scuole.
Tracciato così così (12,6 la lunghezza massima), evitando la parte sud di Modena dove ci si spingeva una volta (ma il cui verde residuo è bene non sia visto dai podisti, alla vigilia dell’ennesima cementificazione), e andando invece nella zona nord a ridosso della ferrovia, cimitero di fabbriche in disuso, aree edificabili dove nessuno vuole edificare, quartieri-dormitorio dove la popolazione indigena è in minoranza e si protegge da sola con le squadre di sorveglianza di vicinato. Ma invaso dall’esercito di podisti, persino il famigerato viale Gramsci sotto la pioggia ha assunto sembianze umane. E l’arrivo in centro è comunque bello.
Le foto dei due fotografi-principe del podismo centro-emiliano, Nerino e Teida, ne danno un’idea