Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
Mangiare naturale per stare bene… e correre meglio!
Modena, 12 ottobre – AIMO, sigla con molti significati, comprendendo anche i Medici Oculisti, Osteopati, Olistici e forse altri ancora: ma in questo giorno che una volta celebrava la scoperta dell’America, nell’aula magna di Medicina dell’università di Modena è stata la volta di scoprire l’Accademia Italiana del Microbiota Orale.
E che ci fa un podista, tutt’al più letterato, ad ascoltare medici esperti di flora batterica (il nome che un tempo si dava all’insieme di microorganismi che popolano il nostro apparato digerente, specialmente nell’intestino)? Confesso che l’attrattiva numero 1 è stata ascoltare dal vivo Luca Speciani, bi-dottore lombardo-ticinese, a suo tempo eccellente podista e oggi (senza aver smesso per niente la frequentazione di piste, “siepi”, sentieri e asfalti) fautore di una medicina-zen, ovvero della “deprescrizione”, che si contrappone alla “cultura bellica” della medicina asservita alle case farmaceutiche (come il caso recente del covid ha dimostrato): per usare una sua figura, è come voler liberare un prato dalle erbe cattive bombardandolo col napalm.
Antibiotici su antibiotici, antinfiammatori appena ti gocciola il naso o ti fa male un ginocchio, disinfettanti se hai una gengiva rossa o un “rospetto” sulla lingua, e poi gastroprotettori o “inibitori di pompa” per rimediare ai guai delle medicine, e analisi infinite fondate su parametri talmente ristretti (citati la densitometria ossea o i valori di colesterolo) che ne veniamo fuori tutti malati e bisognosi di medicine, in un inseguimento folle che arricchisce soprattutto Big Pharma.
Cosa propongono invece Speciani e i suoi (vale la pena di citare almeno la rivista “L’altra medicina”, giunta al fascicolo 40 con la promessa di altri due entro l’anno)? Cominciare a star bene mangiando bene, con calma, senza l’ansia di dover rincorrere gli impegni della giornata, secondo una “dieta” che recupera il valore etimologico del termine, “stile di vita” (e qui il discorso di allargherebbe a un altro dei temi topici di Speciani, quella dieta “gift” o “di segnale” che ‘convince’ l’organismo di essere sazio e lo dissuade dall’abbuffarsi, a differenza dei cibi salatissimi o zuccheratissimi che invece ‘costringono’ a mangiare sempre di più).
E poi: gustarsi i cibi, sceglierli naturali - meno industriali e raffinati che si può -, variarli (un altro intervento congressuale ha detto che i piatti d’oggi sono grigi, scoloriti, mentre dovrebbero avere colori sgargianti; un successivo relatore ha notato che il tuorlo d’uovo ci darebbe la vitamina K2 oggi dichiarata fondamentale, ma solo se il tuorlo fosse ben rosso, come invece accade sempre più raramente); masticarli a lungo, insalivarli permettendo così al “microbiota” della bocca di avviare una digestione che lo stomaco e l’intestino completeranno, anziché dover combattere con cibi ancora non “smontati”, producendo cortisonici e mettendo in circolo i famigerati radicali liberi.
Quanto all’osteoporosi, vera e spesso presunta, le tradizionali cure mediante vitamina D e calcio ("mangiare le Dolomiti") potrebbero essere integrate, quando non sostituite, dalla camminata o corsetta al sole, in ogni stagione. Senza dire che altri farmaci che oggi vanno per la maggiore (anche come prezzo), a fronte di un miglioramento istantaneo dei dati della MOC, presi in continuazione finiscono addirittura per favorire le fratture. “I farmaci sopprimono i sintomi, non guariscono”, è un altro aforisma di Speciani, che può anche non convincere al cento per cento (in fondo – dico da profano – la chimica farmaceutica ci ha prolungato la vita…) ma va sempre tenuto presente e accostato al vecchio adagio ippocratico secondo cui il buon cibo è la medicina migliore.
Tornando al tema del giorno, cioè il microbiota orale (sapevate che ogni giorno deglutiamo un litro e mezzo di saliva, spostando così il microbiota, e le sue eventuali alterazioni, fino all’intestino?), il suo equilibrio è da perseguire non estirpando i batteri o funghi “cattivi” (la candida, l’helicobacter ecc.) ma rafforzando i loro antagonisti “buoni”. E le sue degenerazioni vanno seguite con molta attenzione: si può dire che non solo, come dicevano i latini, la prima digestione avviene in bocca, ma anche la nostra salute, il sistema immunitario, le capacità riproduttive, la salute dei nascituri e dei neonati, cominciano dalla bocca: dunque le mamme in dolce attesa visitino… spesso il dentista e l’igienista dentale. Senza dimenticare poi (ma questo vale per tutti) una costante attività fisica che vada dalla “ginnastica dolce” fino (perché no?) alla corsa.
L’infiammazione è il nostro vero nemico: non in sé (in quanto sarebbe una risposta del nostro organismo a un patogeno che si è intrufolato), ma quando la produciamo noi con pratiche alimentari scorrette, e poi ci illudiamo di sopprimerla con medicinali che spesso producono o favoriscono altre infiammazioni.
E noi podisti, o almeno quelli di noi che pur di non perdersi la maratonina mandano giù la pillolina o la pozione magica, ne sappiamo qualcosa.
Grado: Maratone nel fosso, Mythologia e Deontologia
Riceviamo e – come usa dirsi – volentieri pubblichiamo questo ulteriore post di Alessandro Genuzio -General Manager Mytho Marathon.
Egregio Direttore, la ringrazio per essersi esposto ed essersi preso la "responsabilità del titolo" che a mio modo di vedere poteva essere diverso da quello proposto... Rimango del parere che in questo caso e anche in altre occasioni la vostra testata non si sia mai espressa in maniera corretta ed oggettiva nei confronti del nostro evento, forse perché non compriamo i vostri spazi pubblicitari?... non voglio pensar male...ma questo dubbio non me lo toglie nessuno... Senza fondamento la giustificazione relativa alla tempestività della notizia... bastava infatti prendere spunto dal comunicato stampa e successivamente approfondire la tematica, ma forse non avreste potuto innescare la polemica che invece vi porta molte più visualizzazioni... Trovo invece, molto grave e di pessimo gusto, che su questa testata venga data la possibilità ad un organizzatore (in questo caso Marco Colavitti) di commentare il lavoro di un altro organizzatore... Io non mi permetterei mai pubblicamente di giudicare il lavoro di un altro collega, perchè so cosa c'è dietro l'organizzazione di una manifestazione... sbaglierò? Forse si... ma per me prima di tutto esiste il rispetto del lavoro altrui... Ringrazio invece il signor Colavitti che non sapendo come rispondere al mio intervento, abbia voluto snocciolare il suo interessante curriculum...magari tra i lettori di questa importantissima testata ci sarà qualcuno interessato a trovargli un nuovo incarico... Ps. non avere i social nel 2024 non significa non essere leoni da testiera [sic], significa semplicemente non essere al passo coi tempi... Detto questo rimango a disposizione per un incontro conoscitivo davanti ad un bicchiere di vino... Cordialmente.
Lasciamo al giudizio dei lettori (ed eventualmente dei partecipanti alla maratona) la seconda replica del signor Genuzio, dopo la tempestiva pubblicazione – da parte nostra – della prima. La questione del contendere era quel tratto di 450 metri (secondo la misurazione di Genuzio) percorso coi piedi a mollo o nel fango, rilevato dal concorrente Colavitti all’interno di un commento altamente elogiativo (https://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/12325-il-mytho-fa-scalo-a-grado-tra-mare-laguna-e-monti-innevati.html ); e poi ripreso dal sottoscritto, in un altro commento denso di elogi ma che non taceva – secondo uno stile che i miei lettori conoscono da un quarto di secolo – certune problematiche, ad esempio le millantate docce al traguardo su cui il signor Genuzio nulla replica (https://podisti.net/index.php/cronache/item/12326-la-luminosa-giornata-di-grado.html ).
Se poi da questo il General Manager (che di mestiere fa il Marketing & Communication Consultant, secondo il suo profilo Instagram, con evidente e legittima vocazione per gli affari, e principale specializzazione negli sport invernali) deduce che la nostra testata non si è mai “espressa in maniera corretta ed oggettiva nei confronti del nostro evento, forse perché non compriamo i vostri spazi pubblicitari?”, ci costringe a rileggere (come chiunque può agevolmente fare grazie al nostro motore di ricerca) la quindicina di volte in cui ci siamo occupati della Mytho Marathon dall’ottobre del 2021, pubblicando tutti i comunicati che ci giungevano dagli organizzatori, anche in mancanza di qualsiasi contratto pubblicitario.
Accusandoci di scarsa correttezza e oggettività, forse il General Manager si riferisce tardivamente alla pubblicazione di una lettera aperta dei precedenti organizzatori in zona (quelli dell’Unesco: https://podisti.net/index.php/commenti/item/8416-cividale-aquileia-una-o-due-maratone-la-parola-all-accusa.html ), avvenuta il 9 marzo 2022, che risulta abbia totalizzato oltre 3300 lettori, evidentemente con esclusione degli organizzatori del Mytho che in ogni caso non ebbero niente da dire. (Con altrettanta malizia di Genuzio, dovremmo dire che la sua organizzazione, stizzita per la pubblicazione dell’altra campana, ci abbia negato qualsiasi sponsorizzazione, peraltro non richiesta, e concessa invece ad altre testate purché raccontassero sempre e solo che il rancio era ottimo e abbondante…?).
Eppure, nonostante tutto ciò, abbiamo sempre pubblicato i resoconti ufficiali, tranne in quest’ultima occasione nella quale il sottoscritto è venuto di persona (come un utente qualunque, senza qualificarsi, pagando la quota come tutti, senza meritarsi nemmeno quel calice di prosecco offerto ai privilegiati nell’Expo), e poi ha gradito l’invio del primo commento di Colavitti, cui si è rifatto nel proprio racconto: a proposito delle mie asserzioni (nel bene e nel male) aspetto eventuali smentite.
E ancora sul dente che duole del tratto acquatico, il General Manager scrive che dovevamo “prendere spunto dal comunicato stampa e successivamente approfondire la tematica”. Ma il Comunicato stampa giunto in redazione domenica alle 14,22 (dunque un’abbondante ora prima che si concludessero gli arrivi della maratona) non fa il minimo cenno alla questioncella, poetizzando invece in questo modo “Dopo due giorni ingrigiti dalle nuvole e dalla pioggia, domenica il sole ha baciato l’intero territorio accendendo i colori su un grande evento capace di catalizzare non solo fatica e sudore, ma anche scorci meravigliosi, sorrisi e abbracci in una festa collettiva”, e dicendo del “via alla 42K alle 9.30 del mattino tra gli applausi dei tanti spettatori” (saremo ciechi e sordi, ma noi “tanti spettatori”, al di fuori dei nostri familiari, non li abbiamo notati in partenza; e semmai li abbiamo dovuti scansare negli ultimi 2 km di lungomare quando dovevamo scorrazzare sulla stessa pista pedonale).
Curiosa poi la definizione di “molto grave e di pessimo gusto” (also sprach Genuzio) per aver noi dato la parola a un organizzatore che critica un collega, il tutto onde “innescare la polemica che invece vi porta molte più visualizzazioni” (che in realtà sono venute solo DOPO che il signor Genuzio ha cominciato, lui sì, a polemizzare, e tutto sommato non sono poi quel granché arrivando, dopo tre giorni, a 800 accessi ripartiti su due articoli: ma d’altronde, una maratona partecipata da meno di 300 podisti non può pretendere 3000 lettori…).
A parte che gli organizzatori di gare si dividono in due categorie: i praticanti che organizzano per passione e festeggiano se chiudono il bilancio in pari (Colavitti), e i Marketing & Communication Consultant che lo fanno per guadagnare, noi siamo stati ben lieti di ospitare l’intervento di un atleta con un passato dignitoso e una grande esperienza in questo genere di manifestazioni: lasciamo al signor Genuzio le sue ironie sul curriculum di Colavitti, esibito solo in un secondo momento (inizialmente, dal sottoscritto) unicamente per dimostrare che non si trattava di un turista per caso ma di uno che sa come sono fatte le maratone, e che ha ampiamente dimostrato quel “rispetto del lavoro altrui” che il Marketing & Communication Consultant nega, salvo poi non impiegarlo nei confronti di noi podisti e “giornalisti” rei di raccontare anche i fatti sgraditi a madama la marchesa.
Quando nacque Podisti.net, un quarto di secolo fa (quando i social praticamente non esistevano, e l’informazione sulle gare era data solo dagli organizzatori o dai giornalisti prezzolati che il signor Genuzio auspica), l’intenzione dei fondatori era dare voce a chi partecipava alle gare rilevandone pregi e difetti, il che avrebbe aiutato sia gli organizzatori onesti e autocritici, sia i podisti in cerca di nuove esperienze. Malgrado la conclamata negatività della attuale recensione di Colavitti, ci risulta che almeno una società podistica di fuori regione abbia chiesto a lui informazioni su come iscriversi alla prossima edizione del Mytho. Ma non per questo chiederemo né la tangente né un calice di Prosecco al Marketing & Communication Consultant.
La luminosa giornata di Grado
6 ottobre – Con la Mytho Marathon, dichiaratamente “unica maratona del Friuli”, siamo all’inizio del secondo trittico, che nei prossimi due anni vedrà le partenze a Gorizia e Nova Gorica, mentre il triennio precedente si era svolto a Cividale, Sacile, Aquileia (si veda già quanto ha tempestivamente scritto Marco Colavitti: https://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/12325-il-mytho-fa-scalo-a-grado-tra-mare-laguna-e-monti-innevati.html ).
Chi ha la memoria lunga ricorda l’antefatto di questa serie, le Unesco City Marathon, inaugurate il lunedì di Pasqua del 2013 con partenza da Aquileia e arrivo a Cividale, invertendo i poli l’anno successivo (quello di cambiare continuamente le località è una simpatica caratteristica friulana, che si manifestò anche con le maratone delle “città del vino” nei pressi di Udine).
Il vino, per la precisione il Prosecco, c’entrava anche stavolta: una bottiglietta entrava nel pacco gara, e una bottiglia più grande era nei cestini dei numerosi premi di categoria (finalmente un’organizzazione che non accorpa le categorie costringendo i settantenni a competere coi cinquantenni!). Restava invece a bocca asciutta chi, all’ingresso del tendone-expo, trovava l’elegante signore della foto 2 che stappava e versava nei calici (di plastica): riservati a vip e organizzatori, nemmeno a chi aveva concluso la maratona (a Berlino con la birra sono più generosi).
A parte questo, e un altro dettaglio finale su cui torno sotto, la gara è stata organizzata a livelli d’eccellenza, cominciando dai pacchetti combinati tra l’iscrizione e il pernottamento del sabato nel grandioso complesso di Punta Spin (a circa 6 km dall’arrivo di Grado centro, e luogo di partenza della 21 km), dove il late-check-out era prolungato ad libitum, addirittura fino alle 19 di domenica, e i costi d’iscrizione alle gare venivano quasi dimezzati. Si continua con un pacco gara notevole, se non altro perché contenuto in un pratico borsone comodo per le prossime gare; con una gestione dei pullman-navetta accuratissima (spola continua tra Punta Spin e Grado, più il trasporto degli iscritti ai 30 km o degli staffettisti nei vari luoghi di partenza); con la chiusura assoluta al traffico (permesso il parcheggio gratuito dei podisti a 400 metri dal ritrovo), con la presenza di ristori con frequenza superiore ai canonici 5 km, e quasi sempre attrezzati con idrosalini e gel, oltre a frutta e acqua (ho apprezzato in particolare il ristoro verso il km 30, gestito da scout, e provvidenziale perché il successivo del km 33 al mio passaggio era ormai vuoto). Del tutto assente invece l’animazione con musica indicata dai programmi. Singolare il gemellaggio con la maratona di Ravenna, che aveva marchiato col suo nome i cartelli indicatori del percorso (foto 9): cartelli comunque scomparsi negli ultimi 3 km (dal viale Orione in poi), dove la prudenza suggeriva di chiedere info orali a chi tornava indietro con la medaglia al collo.
Il percorso, a parte i 10 km iniziali dall’isola (magnifico l’attraversamento del centro antico, foto 4-8) ad Aquileia, il tratto 27-31 in località Fossalon su argini e piste, l’ultimo in terraferma con sguardo su laguna o mare all’interno di una riserva naturale (foto 28-36), e i 3 km conclusivi sul magnifico lungomare di Grado (sebbene in comproprietà coi tantissimi turisti), non era il massimo: una prima delusione ce l’ha procurata il divieto del passaggio per Aquileia (dicono, voluto dalle autorità locali, che secondo una malignità di radiocorsa avevano chiesto una 'tassa di transito' alquanto insostenibile), sostituito da una circonvallazione in parte sterrata che ci ha dato un primo assaggio dello stile prevalente dei luoghi: campagne, fossati di scolo, lunghi rettilinei, pochissimi attraversamenti di centri abitati (foto 21-25). “Mi sembra Santhià o Vercelli”, dicevo a Daniela Lazzaro compagna di alcuni km prima di involarsi verso un insperato under-5 ore che le ha dato il primo posto nella classifica di categoria.
C’è poi stato il fuoriprogramma già descritto da Colavitti poco prima di metà gara: in sostituzione di un tratto di strada asfaltata sul quale pare non fosse stato concesso il transito, siamo stati dirottati su una pista erbosa rivelatasi un canale. Pittoresco e nello stile lagunare della corsa, se non fosse che il gruppetto cui appartenevo si è sfrangiato in fila indiana dovendo sottostare alle esitazioni e agli affondamenti di chi andava a un cauteloso passo, mentre i pacemaker delle 4:45 (visibili nella foto 27) si staccavano in avanti continuando a correre. Tornati sulla strada, con una certa fatica li ho raggiunti e abbiamo passato insieme la mezza e il ristoro successivo, finendo però col pagare lo sforzo e perdendoli del tutto nell’avant-indré sopra citato dopo il 26.
A questo proposito, viva la fiducia: nessun controllo chip al giro di boa, cosicché i furbetti avrebbero potuto guadagnare 2 km buoni. Sì, siamo tutti onesti; ma la succitata Daniela mi raccontava di un recente taglio perpetrato in una prestigiosa gara veneta non molti mesi fa, e comunque mi chiedo che senso avesse collocare un tappetino chip (uno dei due soli lungo il percorso) verso il km 30 quando ormai chi ha avuto ha avuto.
L’ordine d’arrivo, già sintetizzato da Colavitti, mostra la multinazionalità, specie mitteleuropea, della partecipazione: vicentino il vincitore, il 38enne Davide Fioraso; austriaco il secondo, polacco il terzo (pressoché coetanei), olandese il quarto che di anni ne fa 47, e di nuovo italiano (sardo) il quinto, che sfiora i 60. Udinese la prima donna, slovena la seconda (48enne), ferrarese la terza. Va però aggiunto, per l’ennesima volta, il rammarico per l’assurdo regolamento delle corse Fidal italiane, che ammettono stranieri non tesserati (che invece si possono iscrivere liberamente in tutto il mondo) solo come “turisti”: cosicché dei 293 partecipanti nella distanza più lunga ben 49 non hanno ricevuto una classifica, provocando un vistoso calo rispetto ai 300 tondi classificati l’anno scorso; e lo stesso è accaduto per 24 finisher della 21 km, e altri della 30 km. Atteggiamento tafazziano e imposto dalla dittatura congiunta di federazione e ordine dei medici.
Già che ci siamo, diciamo che nella 30 km hanno prevalso Mattia Malusa in 1.52:30 ed Elisabetta Longo in 2.12:48. Nella 21 (che stranamente i cartelli sul percorso dichiaravano 20) assolo dell’inglese tesserato Trieste Thomas Oliver Doney, che col “periodico” 1.11:11 ha dato 11 minuti al medico e jazzista modenese 51enne Giacomo Carpenito. Tra le donne, la slovena Sasha Torkar con 1.31:26 ha tenuto a distanza di 3 minuti la 57enne lignanese Alessandra Candotti. Sulle venti squadre della maratona a staffetta (di 4 componenti, talora anche di 2 o 3) hanno dominato “I competitivi”, che con 2.48 hanno dato mezz’ora all’ “Alta Val Torre”; tra le donne, le “Tre more e una bionda” sono arrivate intorno alle 3.34, appaiate alla staffetta mista “Running Instability” di soli due componenti, Esther e Alessandro.
Tra noi peones, detto che Marco Colavitti a 59 anni ci guarda dall’alto col suo under-3.52, ricorderò l’austriaca Michaela Renner, nei cui paraggi ho condiviso molti km (dire “abbiamo battagliato” sarebbe un’esagerazione) fino a che se ne è andata per chiudere intorno ai 5.06 (chissà cosa avrà pensato dei cartelli in tedesco maccheronico come da foto 7: verboten “zirkulieren durch die Straßen ohne Hemd”); e la domanda “sior caporal magior, gh’arivaremo a baita?” che un altro compagno di sofferenze finali (Mauro) mi ha rivolto, rammentando la ritirata di Russia di Rigoni Stern, al passaggio verso Punta Spin del km 36 (foto 37-39).
Ce lo siamo tornati a dire dopo l’arrivo, seduti al bordo di una fontana, medaglia multicolore dalla forma strana e “girevole” al collo, coi ristori a portata di mano, pregustando le imminenti docce. Che invece sono state una fregatura o una millanteria, conclamata nella cartografia dell’organizzazione ma che all’apparir del vero miseramente cadde: il cosiddetto stabile delle docce era in realtà quello dei wc, con 2-lavandini-2 di acqua solo fredda; mentre le docce erano quelle all’aperto usufruite dai bagnanti che escono dalla spiaggia e vogliono lavarsi via la sabbia o la salsedine. A saperlo prima, me ne tornavo a Punta Spin; ma ormai avevo liberato l’alloggio e così fu che, lavati i piedi dal fango della palude suddetta, e sciacquato sommariamente il resto ("signora, sa, se lei staziona nelle toilette maschili, io mi posso nascondere fino a un certo punto"), il tutto l’ho concluso a casa mia.
“Corri con Ail” chiude mestamente la stagione estiva modenese
Modena, 2 ottobre – Ci si ritrova, un po’ più tardi della cronologia solita (l’anno scorso fu il 13 settembre: https://podisti.net/index.php/cronache/item/10758-modena-7-corri-con-ail-una-buona-causa-e-l-acqua-calda-non-ditelo-a-giangi.html ) anche perché la prima data prevista era saltata per “allerta gialla” –sebbene in realtà su Modena non sia piovuto - : oggi invece piove forte fino a due ore dal via fissato per le 18,30, cosa più che prevedibile avendolo già messo in endecasillabi Peppino Gagliardi quando il podismo non esisteva ancora:
Fra qualche giorno finirà l'estate - E sulla spiaggia niente resterà - Le ore passate saranno un ricordo - Che noi porteremo lontano, io e te. - L'estate se ne andrà insieme al sole - L'amore se ne è andato già con lei - Le prime gocce baciano la sabbia - E stanno già bagnando gli occhi miei.
E’ forse il clima a giustificare la scarsità di convenuti per questa 8^ edizione: al via esatto, non più di 150, inclusi quelli che solitamente partono prima; l’unico assente all’appello sembra Giangi, che era stato visto mezz’ora prima polemizzare per la mancanza di tè al ristoro, il che a suo parere rende “non obbligatorio” (parole sue) pagare i tre euro di iscrizione, quantunque devoluti a sostegno dell’Associazione contro le Leucemie.
Tre euro (bè, uno in più del 2023) peraltro compensati dal premio finale di 10 tigelle che nei negozi si vendono a 4,70, oltre che da un ristoro dove all’acqua da Giangi detestata si aggiungono biscottini dolci e crackers. Senza dire che l’allestimento di una gara costa sia in termini monetari sia organizzativi sia in disponibilità umana, ad esempio per la chiusura al traffico (non però in corso Cavour dove non è chiaro il ruolo della sbandieratrice all’angolo con Ganaceto); e insomma piange il cuore pensando a quanto misero sia stato l’incasso a fronte della nobile causa e dell’impegno di tanti.
Stesso giro di sempre, che ormai ci esce dai capelli visto che appartiene a tutte le corsette urbane di Modena, anche per la pretesa di quantificarlo in 5 km (che pochi volonterosi vogliono bissare) mentre sono 4,3; la novità sono certe scritte rosse stampate sull’asfalto in zona viali, che dobbiamo spiegare ai pochi amici non indigeni ipotizzando che alludano a qualche percorso ciclopedonale col museo Ferrari come capolinea, o chissà, forse al percorso ancora incerto della futura Mezza Maratona ferrarista. La popolazione è la solita, quasi totalmente cittadina vista l’assenza delle società più distanti di 15 km dal capoluogo: forse i due che hanno viaggiato di più sono Giuseppe Cuoghi da Piumazzo e Angelo Giaroli da Reggio, che con l’aggiunta di Paolino Malavasi da Albareto formano con lo scrivente il quartetto usuale di questa serata, il cui tema-clou di conversazione è la maratona di Berlino appena corsa dalla famiglia Malavasi, appena dopo la maratona del Presidente “indu’a gh’era anch cla lè cl’ha finii la squalifica, e al soo ex ambros al gh’à girèe a la lèrga”.
Fa un po’ specie vedere la tribuna del vecchio ippodromo (ora ribattezzato Parco Novi Sad a perenne suggello delle simpatie politiche delle giunte comunali), sui cui gradoni noi podisti solevamo accomodarci per metterci in tenuta da corsa, poi rivestirci, vuota e lucchettata (fatta salva l’apertura di un cancelletto per lo speakeraggio di Roberto Brighenti), cosicché non resta che cambiarsi sui muretti bagnati. Suppongo che il Comune, vista la frequentazione, o meglio l’occupazione del luogo da parte di una certa ‘società’, abbia risolto il problema togliendolo anche ai modenesi; più o meno come quello che si tagliò gli ammennicoli per dare un dispiacere alla moglie. Prossima tappa, magari, sarà chiudere le stazioni dei treni e delle corriere in modo da evitare consimili usufrutti.
E via per il solito doppio giro, quando ormai cala la notte; al ritorno, noto che una coppietta si è issata sulla tribuna alle spalle di Brighenti, non precisamente per ragioni podistiche; nessun altro sale, per non disturbare. Mi sembra chiuso anche il bar del parco, teoricamente “un’isola contro il degrado”, e in mancanza della sua musica non resta che ricantare sottovoce il testo di Guccini:
Quando è tardi e per le strade scivolano sguardi - di gente che ha sol fretta di tornare - e i cinema si chiudono e i caffè si vuotano - Per le strade, assieme al freddo e ai tristi canti opachi - sono rimasti gli ultimi ubriachi - un ciondolare stanco verso il nuovo bianco giorno che verrà…
1° Serra Trail: la corsa perfetta
Serramazzoni (MO), 29 settembre – “Che voto dai?”, mi ha chiesto l’antica compagna di trasferte podistiche Rita, quando l’ho raggiunta a 3-4 km dalla fine. Non sono un oracolo e come prof non sono più abilitato a dare voti, ma ho risposto senza esitazione: nove. Voto destinato a salire, considerato il pasta party finale compreso nel prezzo, lussuoso e se vogliamo anche lussurioso (aggettivo suggeritomi da Enrico Z., come da foto 5), e considerato infine che le docce nel palasport (sebbene scomodo da raggiungere, causa l’urbanistica demenziale di quel quartiere) erano caldissime anche dopo tre ore dall’arrivo dei primi. Senza tacere poi che le classifiche by Vincenzo Mandile erano disponibili dopo poche ore, facilitando enormemente il lavoro di chi vuole (come diceva Gianni Brera) compicciare una cronaca.
Signori miei, 20 euro fino a tre giorni dalla gara (25 per l’iscrizione in loco), per avere un percorso di 18 km ufficiali (i Gps dicono piuttosto 18,5): dove le segnalazioni (il cosidetto balisaggio) si sprecavano da tante che erano, come credo mi sia capitato di vedere al massimo in altre due occasioni sui 120 trail e i 60 ultratrail che ho frequentato finora. La promessa di una segnalazione ogni 150 metri (almeno) è stata pienamente mantenuta, anche nei tratti rettilinei e senza incroci, dove noi trailer, che spesso corriamo in solitudine, abbiamo bisogno di rassicurazioni.
Percorso oltretutto molto scorrevole, cosa un po’ sorprendente visto che l’ha disegnato il celebre Francesco Montanari (le foto 6-8 lo mostrano durante il briefing), nei tempi antichi un oltranzista del trail e delle “regole di Morfasso” (esistono ancora?) per cui guai se c’era dell’asfalto e se i sentieri scoscesi non superavano per estensione le carraie (e se c’era qualche tratto EE o meglio PD, ancora meglio!): invece il tracciato di oggi era tutto corribile, fatti salvi pochi tratti tra i km 10 e 12,5, cioè nel punto più basso dove sono le cascate del Bucamante e la pioggia caduta in nottata aveva reso scivoloso il sentiero, e - almeno per noi scarsi – la risalita verso Monfestino, dove la stanchezza induceva a camminare persino una campionessa veterana come Ermanna Boilini, di casa sui sentieri valdostani e del Monte Bianco (foto 14).
Ma il discorso non vale per i primi: sui 165 classificati, di cui 39 donne, ha vinto Robert Ferrari (del Team 3.30, co-organizzatore della gara) in 1.30:58, tre minuti abbondanti sul titolatissimo Giulio Piana e 6 su Alessandro Marcolini. Le donne sono state regolate da Dinahlee Calzolari, abituata ai successi perlomeno in campo regionale (io la ricordo vincitrice sui 34 km al Trail della Riva di Rocca Malatina il 20 aprile, dove Robert Ferrari aveva vinto i 20 km), e che a Serra con 1.43:30 ha inflitto più di 5 minuti all’altra habituée dei podii emiliani Manuela Marcolini, e 11 minuti alla terza Laura Prampolini.
In 31 sono stati sotto le 2 ore, in 112 sotto le 2h30 (limite che forse distingue i podisti “in gamba” da quelli “normali”, almeno questa domenica). Io confesso la mia simpatia per i compagni di cordata, seppure con qualche invidia verso le 5-donne-5 (Sara, Silvia, Danila, Enrica e la già citata Ermanna) che mi hanno staccato negli ultimi 4 km: solo di Enrica (più giovane del mio figlio più giovane…) ho visto le spalle fino al traguardo, dove peraltro mi ha preceduto di un minuto buono.
E anche dietro me c’era “roba buona”, generalmente reduci dalla Capanna Tassone di una settimana fa: appena 3 minuti (cioè 400 metri sì e no) mi hanno separato da Lolo Tiozzo, il principe del maraturismo, da cui mi è venuta l’amara disillusione sul fatto che da Bologna possano mai partire aerei diretti per le maratone americane: ci hanno provato solo un anno, ma hanno constatato che in quest’aeroporto del cavolo è pericoloso atterrare per i grandi aerei (ecco servita la spocchia di Prodi e dei suoi favoriti, nonostante la lunga chiusura dell’aeroporto per risibili lavori di miglioria sfociati soprattutto nel penoso trenino di collegamento, mentre non si sono nemmeno fatti i finger per entrare direttamente in aereo dalla zona imbarco). Il che produce un altro scherzo da preti, frequente a chi si imbarca per esempio verso Londra onde fare il salto dell’Atlantico: per un minimissimo inghippo degli hub europei, i primi voli cancellati sono quelli su Bologna (non da Pisa o da Orio).
A Serra, Lolo (ripeto, classe 1945) non ha fatto compagnia alle sorelle Gandolfi, come era accaduto a Fanano, lasciando che questa volta Margherita (foto 20) precedesse di quel bel pezzo Cecilia (che però aveva ‘piazzato’ il figlio Gianluca un’abbondante ora davanti); tra le due si è inserita la carpigiana Stefania Camurri, mentre un minuto scarso dopo Cecilia gli arrivi sono stati chiusi da due pluridecennali protagoniste delle tapasciate modenesi, Ginetta Palandri e Giorgia Ruffilli.
Per tutti e tutte, il succulento pasta party compreso nel prezzo, e a 10 euro per gli accompagnatori: foto 15 per il contenuto, foto 3-4 per la clamorosa ostessa del Barone Rosso che ci ha ospitati, una signora di San Rocco (zona Zebio Cotal per intenderci) per la quale ogni elogio è superfluo.
A proposito di Zebio, si consenta al vecchio professore una postilla storica: se questo era definito primo Serra Trail (e non c’è dubbio che con questo nome fosse il primo, almeno nella memoria di chi scrive), in realtà nei mesi di settembre dal 2013 al 2016 furono organizzati quattro “Cascate del Bucamante Wild Trail”, su lunghezze variabili dai 16 ai 27 km, con dislivelli tra i 700 e i 1140 metri (erano previsti due distanze in ogni gara), su percorsi che oggi abbiamo in buona parte rifatto. Lo dico perché c’ero, come ero pure a uno “Zebio Run Moonlight” del 30.4.2016, a un “Rogaining alla ricerca di Zebio” del 10.9.2016, e a una edizione non ufficiale del Bucamante Trail che corremmo (19 km) in diciassette il 16 novembre del 2013; e scartabellando meglio all’indietro troverei altre gare simili (una mi è rimasta impressa perché prima nevicò poi piovve, e il mio telefonino prese tanta acqua che un mese dopo dovetti buttarlo…).
Oggi invece, la giornata perfetta è stata suggellata da un cielo quasi limpido e da una temperatura ideale sui 10-12 gradi: tra Nostro Signore, Zebio Cotal e Mogol-Battisti (Il sole ha cancellato tutto - di colpo volo giù dal letto - e corro lì al telefono - parlo, rido e tu, tu non sai perché…) sono stati tutti d’accordo nel benedire questo eccellente prodotto del nostro Appennino.
Manzolino (MO), la 9^ Podistica dei Somari suggella i pomeriggi d’estate 'bolognesi'
26 settembre – Rieccoci qui, come quasi ogni anno (il racconto del 2022: https://podisti.net/index.php/cronache/item/9225-manzolino-mo-la-7-podistica-dei-somari-chiude-l-estate.html ), per quella che tradizionalmente è la gara di chiusura dell’estate, ma non lo sarà quest’anno perché i modenesi hanno rinviato al 2 ottobre causa paventata alluvione (che non c’è stata, qui almeno) una stracittadina prevista il 19 settembre.
In ogni caso, Manzolino (modenese di confine, ma dalla religione e parlata bolognesi) accoglie forse 350 podisti e camminatori, secondo la falsariga già descritta anno per anno e l’abbinamento col palio dei rioni, su percorsi che ogni anno subiscono leggeri ritocchi (non nel volantino, che insiste a definirli “percosti”) e questa volta, nel giro “lungo” risultano di 6,8 km dei 7 dichiarati, in maggior parte sterrati e su gradevole fondo erboso tagliato a bella posta.
Iscrizione alla quota simbolica di 2 euro, con un ristoro intermedio (presso il solito suggestivo laghetto dei cigni) nel quale le banane erano presentate in caschi, manco fossimo a Madeira; e un ristoro finale di sola acqua fresca, ma con l’aggiunta di una appetitosa losanga di gnocco fritto, così scottante alla consegna che faccio in tempo a portarla a casa e servirla a tavola, ancora calda, al nipotino americano Mr. Alex.
Quanto ai presenti, non poteva mancare il Giuseppe Cuoghi ex hockeysta della Cavazzona e ora concittadino a Piumazzo di quel certo Valerio Massimo Manfredi archeologo che si fa credere docente universitario ma, nella realtà, è soprattutto romanziere multimilionario (che però sembra abbia una casa anche a Manzolino, nonché un pied-à-terre romano utilissimo per incontri al vertice); con lui, l’altro Giaroli (s’intende Paolo, che mi onora della sua compagnia nel primo km), Nerino Carri (finalmente pensionato con 42 anni di servizio, più altri 2 teorici per i quali una certa Coop “dimenticò” di versare i contributi), i due apaches (Mastrolia corre a torso nudo facendo strage di cuori settantenni, Rambo invece commemora le sue maratone sotto le tre ore), il principe degli scarpari Pietro Boniburini che ammira le mie Mizuno vendute da lui nel 2017 per 65 euro.
E vale la pena di ricordare il decano dei podisti, il Fregni-Bertoldino-Assantùn da Persiceto, che di anni ne assomma 99 e non va più piano di altri che il tacere è bello e sembra vengano alle corsette soprattutto per fare le scimmiette davanti all’obiettivo fotografico. Ovviamente il gruppo più numeroso è il Cittanova di Valentini con 62 iscritti, seguito dal Monte San Pietro di Bologna con 50.
“Chi ha vinto?”, mi chiede il nipotino americano (che a 4 anni gioca già i tornei di calcio nella squadra dei Green Trees, e insomma ha fissi i concetti di winner e loser, da mettere quotidianamente in palio anche per chi finisce prima il piatto di pasta asciutta): “non lo so”, è la risposta, “non mi sono informato”. In realtà hanno vinto gli “Amici del cuore” di Castelfranco Emilia, cui saranno devoluti i proventi delle iscrizioni.
Il vento stacca le prime foglie da platani o ippocastani, e sull’estate podistica bolognese, come dicono i telecronisti di calcio, anche per il 2024 cala il sipario.
40^ Fanano-Capanna Tassone, per pochi nostalgici
22 settembre – “Quarant’anni e non sentirli…”, “i miei primi quarant’anni”, sono le frasi fatte per nascondere l’inarrestabile avanzare dell’età e il conseguente decadimento. Se poi arriviamo, come in questi giorni, a celebrare mummie parlanti come la signora Senzafine, e i suoi coetanei, tutto è lecito; eppure, essendo tornato per nostalgia alla 40^ Fanano-Capanna Tassone (ma adesso il luogo è stato ribattezzato “Capanno Tassoni”, in ossequio a chissà quale filologia), dove avevo già corso nella 17^ edizione del 1996 e nella 22^ del 2002, devo purtroppo dire che i quarant’anni si sentono tutti, anche nel fatto che un giorno e mezzo dopo lo svolgimento (programmato per sabato 21, con un mese di ritardo sulla data solita di fine agosto) le classifiche sono ancora latitanti: il sito Irunning spaccia col nome di classifiche l’elenco alfabetico dei 28 preiscritti, e rimanda per il cronometraggio a “Mysdam – pettorali chippati” (non è vero: il chip era alla caviglia); Mysdam che infatti andando alle classifiche annuncia quelle… del 2017, ’22 e ’23 (che comunque non appaiono). (Postilla: graduatorie complete dei 69 classificati apparse la mattina di martedì 24, non però su Irunning né su Endu).
Gare organizzate in questo modo hanno un passato (nemmeno troppo glorioso), ma non un futuro; e quanto al presente, se dovessi basarmi sulla classifica parziale affissa al muro della Capanna o Capanno durante la lunga attesa delle premiazioni, dovrei direi che gli arrivati sono 63… salvo che il sottoscritto non c’è ancora, e dopo lui gli altri arrivati, fino alla gloriosa Lorella (detta Lella, o anche Micia) Cenci che ha chiuso grosso modo in 2h e 2 minuti: una camminatrice che però rifiuta categoricamente le partenze anticipate e arriva sempre nel suo tempo giusto (senza però ricevere oggi menzione dalla classifica ufficiale che arriva fino a 1h52). Il marito Micio, felicemente stabilitosi a Fanano dove accudisce a cani e gatti propri, ma pure alla selvaggina dei dintorni, senza dimenticare di postare idilliche immagini della natura, oggi fungeva da fotografo: in aggiunta al servizio “ufficiale” di Italo Spina che aveva da accudire qua moglie e cognata (le due gemelle diverse, specie quanto a haute coiffure), figlio e aspirante nuora coccolosa. Questa volta, a sorpresa, la moglie Cecilia ha preceduto la cognata Margherita; il risultato sarà poi ribaltato il giorno dopo (cioè oggi) nella Marun Trail corsa una trentina di km sotto Fanano, dove Margherita è arrivata 9 minuti prima della sorellina, che oltre tutto ha accusato quasi un’ora di ritardo dal figlio condiviso con Italo, Gianluca (che già le aveva dato 25 minuti a Fanano).
Andando nelle prime posizioni, diremo che a vincere sui 12 km con 784 metri di dislivello e arrivo a quota 1300 è stato Roberto Gheduzzi del Mud&Snow (non a caso, pettorale 1) in 58:27, un minuto davanti al figlio d’arte Zeno Vistoli (59:28), moro e barbuto rispetto alla zazzera bionda che lo contrassegnava da bambino: solo loro due sono stati sotto l’ora, dato che il terzo, Roberto Barbuti (M50) ha impiegato 1.02:51.
Senza storia il successo femminile di Isabella Morlini, ottava assoluta in 1.06:27, sei minuti davanti alla storica rivale Laura Ricci e tredici sulla terza, Daniela Rausse. (Per completare il weekend, aggiungeremo che la prof Morlini domenica mattina sui 15,5 del trail di Marano è arrivata seconda, allo sprint, dietro Camilla Rizzardi altra Mud & Snow, 1.22.22 contro 1.22.29).
Torniamo a Fanano (tra noi studenti del liceo Muratori anni sessanta, insieme al futuro sindaco di Fanano Pierluigi Passini, divenne proverbiale l’esclamazione del preside-giullare Martinez “cheffanano effanano! Guì non imborta se uno è deffanano o ddebbèèri!”), per dire che un cielo imbronciato e le strade ancora umide accolgono noi nostalgici, che per 15 euro riceviamo la garanzia del trasporto borse al traguardo, e del ritorno alla base con pullmini dedicati (sebbene la partenza alle 12 sarà posticipata a dopo le 12,30), e ci fidiamo dei ricordi antichi a proposito di un ristoro finale luculliano.
Come da copione, i primi 1300 metri lineari ci portano dai 700 metri slm della partenza ai 524 del ponte sul torrente Ospitale (che dopo varie confluenze diverrà Scoltenna e Panaro): ma è solo il 6% del percorso, che per il resto offrirà un 7% di piano e il restante 81% di salita, sull’antica via Romea Nonantolana che valica l’Appennino al passo Croce Arcana (pure lui, sede di varie apprezzate competizioni podistiche): ora tutta asfaltata, a differenza dei primi tempi della gara, e corribile anche per gli scarsi come lo scrivente che ce l’ha fatta in 1h44, poco davanti alla succitata signora Cecilia e il monumento del podismo modenese e internazionale, Lolo Tiozzo, che non si contenta di mandare i podisti in giro per il mondo (“e smettetela di correre dietro alle Major!”), ma corre di persona con onore, e premiato come più anziano in gara, ne approfitta per commemorare chi c’era e non c’è più.
Chi invece c’è ancora, e si fa tuttora valere, sono i cugini Carmen Pigoni (prima F 60) e Giorgio Pigoni (secondo M 60), il sempiterno reggiano Ettore Marmiroli, classe 1948 e primissimo M 70, l’altro reggiano Attilio Acito (coniuge dell’ “altra” Cavallo) che ha la meglio sul suo “gemello” Dino Ricci (li ho tallonati finché ho potuto e non riuscivo a distinguere l’uno dall’altro). Menzione speciale per mamma Linda Malavasi, che qui chiude in 1.26 e il giorno dopo vedrò, non a Marano ma alla non comp del Torrazzo, mentre corre i 9 km e nel frattempo insegna al figlioletto di 4 anni ad andare in bicicletta senza ruotine.
Tre abbeveraggi (acqua e coca) lungo il percorso fananese, mentre del mitico ristoro finale, per noi di ultimo rango rimangono soprattutto le foto che ritraggono salumi, formaggi, arance e banane: grazie tante se a mezzogiorno meno un quarto è avanzata una crostata e delle fette di pane toscano da spalmare con marmellata (niente di caldo, comunque, per nessuno, malgrado il cielo rabbuiato e il clima freschino). Chiaro che basta pagare e all’interno della Capanna/Capanno dei conti Forni, i neoarrivati gestori Christian, Luca e Silvia vi accolgono a braccia aperte con tutte le specialità della casa: magari, un vin brulé gratis ai podisti arrivati non sarebbe stato sgradito, durante l’attesa un po’ lunghetta per le premiazioni (bei cestoni alimentari per i primi, agli altri... borracce di plastica e manicotti).
Pazienza, poi si torna giù (qualcuno è sceso direttamente di corsa, appena giunto in cima). Dalle mie agende trovo che il 24 agosto 2002, arrivato alla Capanna alle 11,50 (1h20netti), invertii anch’io direzione per essere alle 18,45 a Brescello e correre la 4^ Camminata di Peppone e don Camillo, partendo poi la mattina dopo alla volta di Agropoli per il giro a tappe di Ristallo.
Altri tempi… Oggi (domenica 22) chiudo il racconto dopo 28 ore e mezzo dall’arrivo dell’ultima; per le classifiche complete dei 69 inseriti (senza la signora Cenci) ho dovuto aspettare quasi 72 ore.
Sono Tamassia e Nadiya Chubak a “rompere il Po” di Occhiobello
Santa Maria Maddalena (Occhiobello, RO), 15 settembre – Nei tempi antichi, la gara “In sla rota ad Po” era una maratonina che si svolgeva in massima parte sull’argine del Po, appena oltre il ponte della statale da Ferrara, fino a Stienta e ritorno: luoghi che furono teatro della tragica alluvione del Polesine e di buona parte dell’area attorno al grande fiume (chi ha visto l’epopea di Don Camillo ricorderà la lunga parte dedicata all’episodio, con scene riprese dal vero, nel secondo film); ma in precedenza erano stati la collocazione ideale per le prime pellicole di Luchino Visconti (la magistrale Ossessione) e del ferrarese Antonioni (il crudo documentario Gente del Po, poi Cronaca di un amore e Il grido).
Quanto al podismo, dal 2017 la maratonina si è spostata verso Occhiobello, trasformandosi in una 5 km competitiva, preceduta da gare giovanili e contornata da ludico-motorie Fiasp tra i 7 e i 18 km che ritrovano una parte del tracciato antico. Artefici di questa trasformazione erano stati due grandi atleti e dirigenti, Giuseppe Scanavini e Luca Poletto, entrambi scomparsi ed alla cui memoria è dedicata l’attuale manifestazione targata come sempre Salcus e giunta alla 46^ edizione.
Le iscrizioni hanno sfiorato quota 900, di cui 148 per i 5000 competitivi, che hanno corso in buona parte su sterrato ai piedi dell’argine. Dal resoconto di Daniele Trevisi apparso su Facebook apprendiamo che tra i vincitori delle mini podistiche su varie distanze (300-600 e 1500 metri) spicca Francesco Petrachi, primo nella gara più lunga che assegnava l’8° trofeo intitolato appunto a Giuseppe Scanavini. I risultati completi sono sul sito della Federazione Cronometristi https://podismo.ficr.it/#/POD/wiclax/In%20Sla%20Rota%20ad%20Po/2024/108/26/17
Quanto alla competitiva adulti, in campo femminile era quasi scontato il quinto successo in questa competizione di Nadiya Chubak (Lughesina, classe 1976), che con 18:53 ha staccato di 26 secondi Sara Bragante (1995) e di quasi un minuto e mezzo la terza, Ilaria Baraldi (20:14).
Tecnicamente più di spicco la gara maschile, che annoverava personaggi di caratura regional-nazionale come Marco Ercoli e Rudy Magagnoli (rispettivamente quarto e quinto al traguardo), ma è stata complessivamente dominata dai Modena Runners (venuti qui anche in segno d’affetto con la famiglia e la società di Luca Poletto), che hanno piazzato al primo posto il trentunenne Riccardo Tamassia (15:12, insomma 3:03 a km) e al terzo Giovanni Filippi (15:33); tra di loro solo Zohair Hadar (Avis Barletta, 15:22). Un altro Modena Runner, il 52enne Fabrizio Gentile, è giunto decimo (e primo della categoria over 50) in 16:59, applaudendo poco dopo al traguardo la neo-sposa (e ovviamente compagna di squadra) Elisa Ragazzi settima donna. E già che siamo tra modenesi, segnalo lo splendido quinto posto di Sonia Del Carlo, 50 anni che non dimostra, in un 20:45 che le avrebbe largamente assegnato la vittoria della categoria di spettanza federale.
A questo proposito, ben 90 i premi di categoria messi in palio, 30 per le donne (37 in tutto) in un mazzo unico, e gli altri 60 per gli uomini divisi in tre classi: qualcuno mormorava che piuttosto di dare 30 premi in una categoria che spaziava dai 16 ai 51 anni (con 48 partecipanti), o 10 premi bastanti dai sessantenni in su (erano in 28, i più anziani dei quali erano tre nati nel 1947) si poteva ripartire secondo le categorie solite, di 5 in 5 anni.
Nessuna pretesa, comunque, da parte del sottoscritto, che mancava da queste contrade da più di un trentennio (in maratonina, 290° su 460 il 16 settembre 1990, 312° su 470 il 15 settembre 1991), e ha sfruttato l’occasione per “completare” la corsa ripassando il Po e visitando, a Ferrara, il nuovissimo museo dedicato ad Antonioni (davvero imperdibile per i cinefili e i semplici nostalgici), salendo poi, col nipote del regista, in cima alla torre del Castello per ammirare in una giornata limpidissima il panorama della città e della Padània, dagli Appennini (Cimone, Cusna ecc.) alle Prealpi veronesi, senza dimenticare le mostre di pittura nelle meravigliose sale ducali (quell’Antonio Nardi è davvero notevole).
E ovviamente pasteggiando a tortelloni di zucca, pasticcio di maccheroni, salama da sugo, cotechino e purè da Chiucculino, l’osteria più antica del mondo (1435) che ha malauguratamente cambiato nome ma resta quella frequentata da Tasso e Copernico, e che Ariosto celebrò, in una satira e nella commedia Lena, come capace di far brillare gli occhi di chi assaggiasse il vino (vino del Bosco, ma per gli audaci perfino il Clinto) che la “Massara” mesceva nell’allora Vicolo di Gorgadello, di fianco al duomo.
Da Albareto a Marzaglia, residue cartucce dell’estate modenese
Modena, 13-14 settembre – Sta finendo la stagione delle corse serali centropadane, quest’anno meno popolata (e potrebbe essere una tendenza irreversibile). Anche la stagione sembra aver imboccato la via dell’autunno, con temperature finalmente gradevoli di giorno, e freschine la sera. Cosicché nel podismo si vedono sempre meno canottiere e sempre più magliette con le mezze maniche, spesso con lo strato della canottiera sotto.
Non ha fatto eccezione, venerdì 13 alle 19, la 21^ Camminata della Sagra di Albareto (frazione all’estremo nord del comune di Modena, un tempo nota perché vi operava Dino Grandi conte di Mordano e oggi celebrata residenza di Paolo Malavasi): località dove il podismo è di casa, se sono almeno 4 le occasioni annuali di ritrovarsi qui, lungo l’asse dell’ex ferrovia di Mirandola-Finale sciaguratamente smantellata e venuta buona appunto per pochissimi ciclisti e qualche scarpinatore.
La parrocchia di Albareto non ha perso l’abitudine di accompagnare la sua sagra ad una camminata non competitiva, su un percorso di 7 km esatti, un po’ diverso dai soliti organizzati dalla polisportiva locale: nel senso che si va verso nord ripiegando solo più tardi sulla solita ciclabile ex-ferrovia, ma in un tratto non toccato dalle gare precedenti; come pure una tantum ci viene risparmiato il passaggio dalla discarica con annessa linea dell’alta velocità.
Rimane costante invece la presenza di Ross, alias l’ex maratoneta Rossano Brevini, come sbandieratore in uno degli ultimi incroci; mentre scendono in campo i soliti inguaribili modenesi, con le punte geograficamente estreme di Angelo Giaroli reggiano e di Broccoli, l’ultimo fabbricante di molle, da Persiceto. Due euro l’iscrizione (scontabili se si resta a cena), pacco di pasta come premio per tutti (altri tempi quando ti davano degli attrezzi da bricolage, come una collezione completa di cacciaviti che ho ancora dentro la sua scatola originale). Gnocco fritto però venduto al prezzo esoso di un euro, le tigelle a 30 cent: stavolta, non cedo al ricatto.
Il giorno dopo, sabato 14, il Coordinamento o quello che ne rimane propone o avalla due appuntamenti: uno competitivo al confine sud del comune di Modena col comune di Formigine, e uno non competitivo alle 17 nell’altra frazione estrema, stavolta verso est al confine col reggiano, Marzaglia, il vecchio centro che un tempo stava sulla via Emilia originale, al valico del Secchia, dove ferveva l’attività estrattiva della ghiaia di fiume: infatti il ritrovo è al vecchio frantoio, per l’11^ Corri Marzaglia, su due percorsi non competitivi da 4 e 10 km ricavati in buona parte sotto l’argine destro del Secchia (quello modenese) in direzione sud, verso Marzaglia nuova (sede antica, nella stagione fredda, di due non competitive, ormai ridotte a una) e Magreta.
Siamo appena più di ieri, e ci contano in 270, merito dei reggiani (stavolta il Giaroli presente è Paolo), che hanno portato con sé anche i due fotografi Nerino e Domenico (però refrattari a cederci le loro produzioni), e perfino della presenza di qualche parmigiano-mantovano come l’attivissimo Dervis Montanari, e del mezzo bolognese Giuseppe Cuoghi che spinge la sua imminente Corsa dei Somari (tra due giovedì). Rivisti anche vecchi eroi della Madonnina come Alfio e Ballotta, memorie di un glorioso passato societario; e la famiglia Bellentani al completo, sebbene da qualche mese non sia più modenese ma solierese. Il valore aggiunto lo dà la presenza scarpara di Pietro Boniburini, cui mi presento con le Mizuno che mi vendette per 65 euro nel 2017, che mi hanno accompagnato persino in un Passatore; e forse per questo non ho il coraggio di staccarmene.
Il percorso è gradevole e lo faccio in compagnia di Lucio Casali che, dopo aver completato il cammino di Santiago e tanto altro (anche una maratona di Cesano in 2.58), mi anticipa le sue imprese dell’immediato futuro sulla Francigena senese. Anche a Marzaglia l’iscrizione costa 2 euro e dà diritto a due scatole di wafer, oltre a un eccellente servizio lungo il percorso (a cominciare dal perfetto disciplinamento dei parcheggi) e un buon ristoro finale.
Dopo la fine della corsetta, come defaticamento mi lascio incuriosire dall’argine e golena del Secchia in direzione nord (opposta cioè al senso di marcia della gara ufficiale), salita ai disonori della cronaca nelle ultime settimane perché, come si può constatare visivamente, la voglia di allargare l’alveo del Secchia per non far rischiare a Bonaccini, residente poco a valle, di essere alluvionato, ha portato all’abbattimento di centinaia di alberi, di cui restano tronchi accatastati e montagne di trucioli in attesa delle prossime piene che li porteranno in giro. I politici bonacciniani, di fronte alle proteste degli ecologisti, hanno detto che non è stata colpa loro, ma un abuso della ditta appaltatrice, che ripianterà gli alberi. Fare e disfare è sempre un lavorare, tanto paga Pantalone.
Il Pantalone podista invece, dopo la doppia offerta di sabato, domenica non avrà niente: si emigra. In compenso, sabato prossimo 21 avremo due gare, domenica 22 altre due, domenica 29 ulteriori due. Credevo che “co-ordinamento” volesse dire che si coordina, si distribuisce, si mette in caselle diverse; ma evidentemente non è così. Altrimenti chiamatelo Coartamento: “possiamo solo accettare, tanto, anche se diciamo no, se ne fregano”.
Presentata sulla pista di Fiorano la "Mezza Maratona d’Italia"
Maranello/Fiorano Modenese, 10 settembre – Presentata questa mattina, nell’area Hospitality, ovvero salone di rappresentanza della Ferrari a ridosso della pista di Fiorano (esattamente nel punto di confine tra i comuni di Fiorano e Maranello), la “prima edizione” della Mezza Maratona d’Italia – Memorial Enzo Ferrari, di cui è stata ufficializzata la data del 30 marzo 2025 che Podisti.net aveva già anticipato esattamente un mese fa: http://podisti.net/index.php/notizie/item/12077-maranello-il-30-marzo-2025-si-correra-la-mezza-maratona-d-italia.html
A grandi linee, il percorso ricalcherà quello di quasi tutte le edizioni della maratona dal 1999 al 2016 (come è noto, la maratona era nata dal 1988 come Maratona di Carpi, portando solo dal 1999 la partenza a Maranello con percorso in linea che attraversava Modena). Almeno dal 2012 (l’anno del terremoto emiliano) le si era affiancata una mezza maratona, che si concluse una prima volta davanti al Museo Ferrari di Modena, e successivamente al Parco Ferrari, ex autodromo di Modena, nei pressi della sede della Fratellanza 1874.
Le novità concernono l’affiancamento di due percorsi non competitivi di 5 e 10 km, che partendo insieme alla gara maggiore davanti al Museo Ferrari di Maranello, percorreranno poco meno di un km all’interno della pista di collaudo, per poi attraversare i luoghi della storia della fabbrica automobilistica e ritornare al luogo di partenza-arrivo (i 10 km transiteranno anche dalla zona pedecollinare dove si trova il nuovo “Parco dello Sport”, al cui sviluppo contribuiranno i proventi delle iscrizioni e sponsorizzazioni: peccato che in questo parco non sia previsto almeno un pistino per podisti, mentre c’è già un “pump track” che suppongo riservato a mezzi su ruote).
La mezza maratona invece si dirigerà verso Modena, attraversando Formigine come da tradizione, e arriverà in piazza Roma davanti al Palazzo Ducale: ma non è ancora deciso da che parte ci arriverà, cioè se direttamente da sud passando di fianco al Duomo e a Piazza Grande per imboccare via Farini (cioè alla rovescio del percorso antico verso i km 19-20), oppure se ricalcherà il percorso voluto da Ivano Barbolini, che fin dalle prime edizioni raggiungeva il Palazzo Ducale da nord per corso Vittorio Emanuele, attraversava l’atrio del palazzo coi cadetti schierati, indi per via Farini e via San Carlo raggiungeva Piazza Grande da dove immettersi infine in via Emilia con direzione via Romana-Soliera-Carpi. Sotto l’assistenza tecnica della Fratellanza 1874, dipenderà dalle condizioni della viabilità locale e soprattutto dalla concessione dell’Accademia Militare di attraversare la propria area (chi scrive ricorda una confidenza di Ivano Barbolini: quando quel percorso fu misurato, i due portoni dell’Accademia erano chiusi, e si dovette introdurgli sotto un metro a nastro metallico, fino all’uscita dove aspettava la bicicletta del misuratore ufficiale).
Sono previsti pacer per i tempi di 1.20/1.30/1.40, navette per il rientro dopo l’arrivo a Maranello, dove si svolgerà la festa finale. La tassa d’iscrizione prevista fino a questo 31 ottobre è di 26 euro più spese di gestione Endu per tesserati Fidal o Runcard (no ai tesserati dei soli Eps); stessa cifra anche per gli stranieri non tesserati. Per la 10 km non comp ma cronometrata saranno 13 euro più spese, per la 5 km “family run” 9 euro (decisamente troppi, ci permettiamo di dire; come aggiungiamo che il tetto massimo di 2500 iscrizioni alla 21 km sembra alquanto chimerico, se pensiamo che la “prima” del 2012 fu finita da 822 atleti).
Tra i presenti alla manifestazione, oltre al padrone di casa Piero Ferrari e ai dirigenti di Master Group Sport che organizzano l’evento (incluso Giovanni Carnevali, anche general manager del Calcio Sassuolo), ed alle autorità politico-amministrative, il campione europeo Yeman Crippa e l’olimpionica di maratona a Parigi Rita Cuccuru, Gianni Demadonna e soprattutto Stefano Mei, riconfermato presidente della Fidal: che anche a seguito di domande dei giornalisti si è augurato di avere un quadriennio presidenziale più ‘tranquillo’ dato il consiglio ‘amico’, e nel quale si potranno prendere decisioni importanti, anche riguardanti il podismo (branca della quale Mei ha avanzato l’ipotesi di assumere personalmente la gestione) e la Runcard che si ha in animo di rendere a costi progressivi (senza escludere una sorta di Runcard-tagliando valida per un numero limitato di gare).
Smentendo la voce corrente secondo cui i podisti e gli organizzatori di gare sono tartassati dalla Fidal per mantenere chi fa la pista, Mei ha comunque auspicato che le società amatoriali e dei master si dedichino pure all’attività giovanile, in modo da contare di più anche a livello elettorale, e che ci sia una netta separazione tra lo sport amatoriale, gestibile dagli Eps, e quello agonistico di alto livello per il quale solo la Fidal – a suo dire – ha i titoli giusti dal lato organizzativo e regolamentare.