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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

2 settembre – Di questa “Badia in festa” ci siamo occupati almeno un paio di volte, ma forse di più a partire dagli anni Novanta (la prima volta che partecipai, avendo letto che era in comune di Anzola, ci andai in treno, ma alla stazione di Anzola mi accorsi che mancavano almeno 3 km); dunque è difficile essere originali, dicendo che la tradizione continua ma ogni anno con qualche presenza in meno: https://podisti.net/index.php/cronache/item/2328-s-maria-in-strada-bo-camminata-badia-in-festa.html.

Ad esempio non c’è più, e da un pezzo, Angelo Pareschi; e rispetto a due anni fa, https://podisti.net/index.php/cronache/item/9150-s-maria-in-strada-bo-a-badia-e-festa-per-pochi.html , della coppia Stefano Piazzi – Ezio Bortolotti abbiamo ritrovato solo il primo, immortalato (si fa per dire) in compagnia dello storico Broccoli, ultimo fabbricante a mano di molle (quando smise lui, la sua fabbrica chiuse), nonché compagno di trasferte svizzere del leggendario ingegner Morisi da Persiceto.

In compenso, confermata la presenza di Giangi (supponevo, a torto, per ragioni gastronomiche), di Lucio Casali, di Angelo Giaroli (disposto a disertare perfino i fuochi di Rovereto pur di essere qui), di Giuseppe Cuoghi non più da Cavazzona, qui in compagnia di Luigi Luca (e del relativo cane Kiki), piuttosto reticente su quella prof di liceo bolognese che avrebbe volentieri generato un Luchino, e invece rimase come la mela di Saffo, troppo alta per essere toccata da mano maschile.

Un po’ più numeroso e compatto lo schieramento al via, diciamo un centinaio scarso di persone, più forse altrettante partite in anticipo (risalendo dal fondo per motivi che eccitano la curiosità di Giangi, supero 95 camminatori e 5 cani); percorso invariato di 7,2 km, in parte sterrati, attorno al torrente Samoggia; ristori meno generosi del solito (però con qualche biscottino casalingo al traguardo), e difficoltà finale da parte degli organizzatori nel trovare un numero di società pari ai premi previsti: non c’era nemmeno il Cittanova…

Almeno, stavolta la chiesa era aperta (sia pur in assenza dell’abate, che da anni non benedice più la partenza), e nell’attigua canonica si vendevano liquori fatti in casa e vecchi articoli da regalo: vorrei prendere un’automobilina telecomandata per il nipotino americano, ma nemmeno con l’aiuto di Giaroli riesco a farla funzionare, e non è il caso di portar via bicchieri a calice o servizi da caffè o quelle che una volta si chiamavano bambole Lenci.

Discreto successo della cena finale all’aperto: più gli attavolati dei podisti, come diventa la prassi ogni anno di più. Ma neppure Giangi si è fermato a cenare, brutto segnale.

Domenica, 01 Settembre 2024 19:26

La diocesi di Reggio conforta i podisti residuali

31 agosto – 1° settembre. Nelle autostrade si va a passo d’uomo, e all’imbarco per lo stretto di Messina si aspettano ore (con grande gioia dei Verdi), mentre chi è rientrato nella calda Padania centrale cerca sui repertori dove possa muovere le gambe. Dal suo calendariopodismo, Giangi estrae un invito per il sottoscritto, di cui conosce la collocazione vacanziera: “potresti fermarti a Trento per la corsa il 1 settembre” (s’intende la salita al Bondone).

Eh no, sabato tiro dritto per la tangenziale di Trento (scorrevole, mentre in A 22 i tedeschi che scendono al Gardasee sono fermi), evito l’unico ingorgo endemico, tra Carpi e l’A1, cosicché alle 5 de la tarde, con una temperatura di 35 gradi, sono alle Casiglie di Sassuolo, dove la sagra della Madonna di Sotto (diocesi di Reggio, cardinal Ruini, Prodi ecc.) allestisce l’Andar per Casiglie, camminata tradizionalmente “di rientro” per gli ardimentosi, ora priva di tutta la sezione competitiva (nonché del commento di Brighenti) e con un ritrovo scomodissimo a 400 metri da iscrizioni e partenza/arrivo.

La folla non è certamente oceanica, anche perché i reggiani doc di là dal Secchia hanno la loro camminata, obbligando a una strana ripartizione anche i fotografi: il reggiano Nerino è a Sassuolo, il modenese Italo è nel reggiano. Qui comunque risultiamo in 345, con l’abituale primato del Cittanova con 64) sotto l’assistenza tecnica della Guglia di Sassuolo, su un percorso molto rinnovato (dicono, per lo stato precario di un ponticello), lungo l’asse del Secchia, in gran parte sterrato/sassoso, con saliscendi e quasi tutto al sole. Insomma, non l’ideale per invogliare a correre; e a parte i camminatori cronici, anche altri storici maratoneti (come i leggendari AlleSimo o Paolino/Maurito) si impostano sui 7:30/km, poi giunti al km 8, di fronte al traguardo, ma col tracciato che ti rimanda a nord per completare gli ultimi 3 km previsti (11 km alle cinque di un pomeriggio in agosto tra le ceramiche?), decidono di camminare e basta così.

Giangi si vendicherà mandandomi una mia foto in cui cammino appunto a 400 metri dal traguardo con una vecchia amica, assidua frequentatrice del maraturismo di Lolo, e aggiungendo l’irridente commento “Non ti sei fermato Trento TN fare Trail come mai troppo duro?”. Eh sì, per uno che 13 mesi fa ha corso la 100 km Asolo-Monte Grappa, e quattro giorni fa è salito a piedi dal passo Grosté ai rifugi Tuckett-Brentei-Alimonta in 3h45, forse salire al Bondone è troppo duro.

In compenso, AlleSimo e i Paolini mi informano sulle ultime novità tra i supermaratoneti, come il rientro di una supersqualificata che ne ha approfittato per tornare dal vecchio fidanzato, al che il penultimo compagno di-letto ha postato qualche revenge-porn (ma scusa, se ti metti con una monaca di Monza, poi ti lamenti se questa trova un Egidio meglio dotato di te?). Quanto allo sport praticato in verticale, il tema sono quei maratoneti che non stanno più nelle 7 ore e dopo l’arrivo polemizzano con l’organizzatore che li mette ftm togliendogli l’agognata “tacca”.

Si passa dal centro sportivo dove si allena il Sassuolo (neoretrocesso e che due ore dopo beccherà quattro gol in casa), e il discorso scivola su quel tal gestore dell’impianto, che dieci anni fa sparì improvvisamente lasciando in allarme “Chi l’ha visto” e nello sconforto la moglie: che non sappiamo poi quanto si sia consolata sapendo che il coniuge era “vivo, vegeto, libero” (cit. Gazzetta di Modena) ai Caraibi con una signora che sapeva come fargli passare le tristezze.

E finalmente, col sole ancora torrido, si arriva alla zona tende, ma bisogna fare altri 400 metri per il traguardo “vero”, dove le signore della Guglia servono da bere tè fresco e acqua calda; Paolino sperava di comprare gnocco fritto, ma gli dicono che ci sarà solo tra un’ora o più (scherzo da preti reggiani per farci stare a cena), e allora si torna a casa. Questo, comunque, è sport, non quello che vedremo in serata alla tv con un Napoli-Parma il cui arbitraggio fa impallidire quelli mitici di Racalbuto quando stava alle dipendenze di Moggi.

Cosicché, incontrando la mattina dopo a San Ruffino di Scandiano (sempre diocesi di Reggio), per la 27^ Camminata dei Colli, il grande scarparo juventino Pietro Boniburini, quasi quasi gli chiedo scusa per aver ricordato a volte la famosa frase attribuita all’Avvocato (“Con la quavta pavte dei dollavi che l’Intev ha speso pev pvendeve XY io ho compvato tutti gli avbitvi”). A riequilibrare la cosa provvede Angelo Giaroli (oggi è gara unica anche per i reggiani, per un totale di 500 partecipanti, ma soprattutto modenesi come mostrano i 72 del Cittanova e i 40 di Sportinsieme Formigine in testa alle classifiche), finché non si parte per una gara che l’anno scorso si doveva fare a maggio e fu fatta a giugno

https://podisti.net/index.php/cronache/item/10309-san-ruffino-quanta-gente-sui-colli-scandianesi.html :

su un tracciato piacevole tranne i primi cervellotici 3 km, un avant indrée su strada con un ridicolo giro di boa dipinto sull’asfalto al termine (e ignorato dai più); poi ripassaggio dalla zona partenza, indi su due percorsi quotati 11,5 e 8,5 (ma quello degli 8,5 è di 9,3 con 175 metri di dislivello), che sfiorano il tracciato della classica Tre croci di Scandiano e della più criticabile Scandiano-Castellarano dove quest’anno (dice ancora Paolino) a gh’era più machini che in dl’autostrèda, e quand a soun rivè me, Brighenti al m’ha fat spustèr parché a l’iva da fer i premiazioun.

Piacevoli i tratti campestri, niente traffico su quelli asfaltati e ben sorvegliati da un numero sufficiente di addetti. Doverosa la meditazione sulla lapide alla memoria di uno dei tanti preti reggiani uccisi dai partigiani dopo il 25 aprile, in quello che Guareschi definiva il Messico d’Italia per la quantità degli ammazzamenti spesso impuniti.

A reti unificate anche il nucleo dei fotografi, con Nerino Carri più sollecito a mandarci i suoi scatti (ecco la seconda cartella, pubblicata come la prima da Roberto Mandelli: https://podistinet.zenfolio.com/p1031668640 ).

Una maglietta di premio per tutti, come già ieri a Sassuolo (prezzo unificato, 3 euro a botta): ormai, prendo le misure più piccole per devolverle alla nipotina di 9 anni. Tè freddo e acqua in bottigliette a temperatura accettabile; e c’è già il gnocco fritto. Parecchi volantini in distribuzione per le non competitive reggio-modenesi delle prossime settimane, d’altronde già D’Annunzio diceva: Settembre, andiamo. È tempo di sgambare

 

18-21 agosto – La mattina di domenica 18 si è svolta l’ultima delle 9 gare inserite nel circuito podistico della Val di Sole, decisiva per la classifica finale. Purtroppo, i dati definitivi, sia della “Cinque Campanili”  di Commezzadura (simpatico paesino sulla verticale di Marilleva) sia della classifica cumulativa, sono stati diramati solo nella tarda mattinata di mercoledì 21, dopo un acceso dibattito social, con l’intervento decisivo di uno degli organizzatori, Alberto Callegari che ringraziamo.

I campioni 2024 risultano: tra i senior M, Damiano Zambotti, malgrado abbia corso una gara in meno del secondo, Sergio Zanella; tra le senior F, Nicole Mosconi, il cui merito è di aver partecipato a tutte le gare, mentre la seconda, Serena Marchi, ha gareggiato solo in 5 occasioni, però vincendo sempre.

Tra gli Amatori M, Matteo Radovan, che con le sue 6 presenze (con due vittorie e due secondi posti) ha accumulato 3 punti di vantaggio su Federico Bertagnolli, anche lui 6 presenze ma senza mai vincere. Tra le donne, netto margine per Veronica Cavallar, 8 presenze con 6 vittorie.

Più di misura le vittorie tra i Master: tre donne racchiuse in 4 punti, da Monica Zanga (7 presenze con 3 vittorie e 4 secondi posti), a Cinzia Anselmi (sempre presente, ma con un solo successo) a Flora Giovannini (pure sempre presente ma senza vittorie). Due soli punti separano tra gli uomini Diego Zanoni (8 presenze e 5  successi) da Paolo Maino, sempre presente ma con una sola vittoria e 4 secondi posti.

Il regolamento non consentiva “scarti” e dunque privilegiava chi riusciva a non mancare mai. Da elogiare comunque le gare riservate ai giovanissimi, che segnalano le vittorie di Francesco Ciarla ed Evelyn Moreschini tra i “Cuccioli”, di Davide Graziadei e Chantal Moreschini (lei, ben 6 successi) tra i “Ragazzi”.

E vengo alla gara ultima di Commezzadura, l’unica cui abbia potuto essere presente quest’anno, ritrovando per una fortunata coincidenza la quasi vicina di casa Isabella Morlini, lei pure impegnata per l’unica volta nel 2024. E non ha potuto che vincere, classificandosi 23° assoluto e appunto prima donna, lei classe 1971, davanti alla campionessa stagionale Veronica Cavallar e a Serena Marchi (le classifiche non indicano i tempi).

Tra gli uomini, il successo assoluto è arriso a Filippo Giovannini (classe 1978) su Roberto Daprà che ha quasi vent’anni meno di lui, e a Michele Dallavalle. Tra gli uomini di classifica, quinto Bertagnolli, settimo Radovan, su un totale di 153 adulti censiti al traguardo: non male, in una giornata annunciatasi come piovosa, e che solo alla partenza ha visto la pioggia quasi scomparire.

Gara breve la “Cinque campanili”, di circa 5,2 km, addirittura alla 51^ edizione dal 1973; così chiamata perché in un saliscendi di circa 130 metri, metà su asfalto e metà su sterrato, tocca cinque frazioni, con un passaggio particolarmente suggestivo a metà gara, da una galleria che sembra ricavata all’interno di un castello fino alla piazzetta della chiesa.

Iscrizioni a 8 euro con un vasetto di miele come premio per tutti; percorso ottimamente segnalato e presidiato da addetti negli incroci più delicati. Classifiche elaborate “a mano”, e programmaticamente diffuse solo via Instagram, il che non facilita certo il lavoro di un giornalista che voglia rendere conto dell’evento. Ma - ho scritto - si è acceso un costruttivo dibattito su Fb (negli anni precedenti, sempre coinvolto nelle gare, ma quasi escluso nel 2024) al che possiamo finalmente dare conto, come si era fatto nel 2023, di come è andata.

Benedello di Pavullo (MO), 14 agosto – C’è una montagna, diciamo “media”, che in genere i turisti saltano, preferendosi dirigere verso l’alto, verso quei mille metri o più che garantiscono il fresco, l’assenza di zanzare, lo scrosciare dei torrenti, la pesca delle trote. Ma per fortuna, esiste il podismo estivo che si incarica di supplire a questa nostra ignoranza, portando volta per volta noi mediopadani a Montorso, a Leguigno e via andare.

Era mezzo secolo (sic) che non tornavo ai 650 metri di Benedello, dopo quella prima volta che, essendo io ancora non patentato, il prete del posto mi venne a prendere con la sua Seicento alla stazione delle corriere di Pavullo: pioveva tanto forte che non mi godetti granché quell’escursione. Eppure a Benedello stava sorgendo una società sportiva, che ambiva a partecipare al Torneo della Montagna: la sua anima si chiamava Biagioni Romano (sempre prima il cognome!), si spostava con una Fiat 900 familiare blu (l’erede della leggendaria Multipla), e aveva un entusiasmo e una capacità organizzativa unica. In squadra non c’erano dei gran campioni, e persero anche dal Real Groppo di Scaruffi e Maurizio Fontana, finché (mi disse Biagioni) l’attività fu sospesa perché “is volen piudà al camp!”.

Adesso dove c’era il campo sorge un complesso produttivo, ma Benedello è rimasto famoso per il suo carnevale, per sfornare una delle più rinomate crescentine della zona (guai a chiamarle tigelle come fanno i cittadini!), e per questa sagra dell’Assunta cui è dedicata la chiesa (datata 1520, ai piedi di quello che fu il castello e conserva una massiccia torre in pietra viva: foto 5-6, 8-9, 14-15 secondo la sistemazione di Roberto Mandelli).

All’interno della sagra, i benedellesi hanno allestito una corsa podistica, su un tracciato insolito per la sua lunghezza in questa stagione (12 km e mezzo, in prevalenza sterrati e sul percorso dell’antichissima via Romea Nonantolana) con 350 metri di dislivello, che è davvero una scoperta ed ha attirato un numero di partecipanti abbastanza elevato (a occhio non meno di 200, ma forse di più considerando i tanti che volendo percorrere tutto il giro si sono messi per strada almeno mezz’ora prima e circolavano ancora dopo due ore e mezzo).

E chi c’era ad affiancare gli organizzatori? Il mitico Biagioni Romano, anni 86, ma sempre uguale a sé stesso (foto 3-4, 13 e nella copertina di questo servizio) e pieno di ricordi: “ti ricordi quella volta che andammo alla festa da ballo cui partecipava il sindaco di Pavullo, Minelli?  (quello a cui è intitolato oggi il grande impianto sportivo del capoluogo) – Sì che mi ricordo, e ti dirò che io a Minelli non ho mai dato il voto, eppure lui veniva a casa mia a chiedermi consiglio, parché di mee assessor an em fid mia”.

Con questo lieto incontro semisecolare, alle 17 si parte per il giro: primi due km un po’ antipatici, con la salita via asfalto alla frazione di Crocette (dove la sagra si terrà questo sabato e domenica); qui, primo dei tre ristori, in cui le signore quasi ti obbligano a prendere fette delle 4 o 5 torte casalinghe. Poi comincia lo sterrato, sentieri larghi e ben tenuti, con visioni panoramiche stupende, dal cocuzzolo di Iddiano (foto 2) ai sassi di Rocca Malatina.

Una lapide ricorda il martirio di don Luigi Lenzini, parroco di Crocette, che (cito da wikipedia) il 21 luglio 1945 fu “ucciso dai partigiani comunisti dopo la fine della seconda guerra mondiale nell'ambito del cosiddetto triangolo della morte”. Nessuno ha pagato per quel delitto: la perpetua aveva riconosciuto uno dei criminali, ma minacciata non testimoniò al processo, che si concluse nel 1949 con cinque assoluzioni per insufficienza di prove. Oggi don Lenzini, che aveva preannunciato dal pulpito la sua morte («Mi hanno imposto di tacere, mi vogliono uccidere, ma il mio dovere lo debbo fare anche a costo della vita!»), è stato riconosciuto da papa Francesco “martire della fede” e beatificato. Questa è storia, altrocché l’esecrato “revisionismo” di cui tanti mitografi e tanti assolti per insufficienza di prove hanno paura.

Ristoriamoci almeno la vista proseguendo nel giro, che in parte sarà fatto proprio dalla prossima “Quattro Torri” di Pavullo, e sbuchiamo in un angolo stupendo, la torre e quanto resta del castello di Vie Cave, del Cinquecento, lungo la Romea Nonantolana non distante da Crocette (foto da 17 alla fine). Strano che non ci sia nessuna segnalazione di questa che ritengo la torre più bella e meglio conservata di tutto il Frignano.

I km sono già più di 8, si ripassa dal ristoro delle torte di Crocette (con altro obbligo di degustazione, stavolta consacrato alla torta ed tajadèli), ed è tempo di voltare la prua verso Benedello; la mia guida restano sempre le sorelle Gandolfi, diverse in tutto tranne che nei polpacci: nelle salite Margherita cammina e Cecilia corre, eppure restano sempre affiancate e chiacchieranti per 12 km consecutivi.

Nel ritorno, l’asfalto antipatico ci è in gran parte risparmiato: siamo deviati, con l’usuale ottima segnalazione in frecce verdi, su carraie, arrivando all’ “ultimo” …speravo fosse “ultimo km”, no, è l’ “ultimo strappo”, poi le residue centinaia di metri di strada fino al traguardo nell’area della festa.

Riecco Biagioni, riecco i podisti delle Basse venuti fin qui, dai maestri cioccolatieri Bandieri (foto 11-12) a Eugenia Ricchetti, dagli psichiatri Vistoli ai vignolesi Garuti, da Lucio a Nube a tanti altri appassionati. Tutti d’accordo nell’elogiare il percorso, l’accoglienza, i servizi: pensare che alla cifra da “fuori tutto” di 2 euro per iscriversi corrisponde il premio di un vasetto di miele, più grandiose confezioni gastronomiche per le società meglio piazzate: vedere la foto 11 per il “pacco” toccato alla Sportinsieme di Formigine per i suoi 45 partecipanti.

Mi ripeto: ci vuole il podismo per godere di certe bellezze nascoste.

Lunedì, 12 Agosto 2024 12:33

Lèguigno, aria buona e giovani speranze

10 agosto - Doveva essere la sesta e ultima gara del circuito podistico CSI della montagna reggiana, ed è invece divenuta la penultima in attesa del recupero della gara di Cinquecerri:

https://www.csire.it/area-attivita-sportiva/atletica-leggera/corsa-su-strada-csi/circuito-podistico-montagna-csi-2024.html

Abbastanza tardiva (lunedì 12) la pubblicazione dei risultati, che danno come vincitore maschile Patrick Francia, ventiquattrenne dell’Atletica Reggio (che piazza quattro suoi uomini nei primi 6) in 37:33, oltre due minuti sul compagno di squadra Christian Domenichini.

Quarta assoluta, e prima donna con margine abissale, Francesca Cocchi della Corradini (41:45), oltre sei minuti su Elena Fontanesi (Self Montanari), e più di 9 su Laura Ricci (qui risultante tesserata Borzanese), che vince la categoria Donne B, popolata da vecchie conoscenze come Valeria Gualandri, le sorelle Gandolfi ed Emilia Neviani: insomma, la vecchia guardia che non muore mai. E provo a indovinare: chissà se il Matteo Guzzon classe 2010, secondo nella sua categoria, tesserato per la stessa squadra di Valeria, come pure le “cadette” Maddalena e Rebecca Guzzon del 2012, sono gli eredi della storica campionessa (dunque nipoti del mitico prof. Leandro, mio quarantennale concorrente).

Confortante il numero di 43 classificati nelle categorie giovanili, dove la categoria più folta, gli Esordienti maschili 10 (nati nel 2013-2014), ha presentato ben dieci partenti con la vittoria del “nuovo italiano” Mikel Chidiebube Ogbodo Smart.

Prezzo di iscrizione minimale per la competitiva adulti (4 euro, contro i 3 della non comp; una fascia copriorecchie/fronte in premio, non so se imparentata con quelle esibite da taluni maratoneti olimpici); partecipazione competitiva scarsina per gli adulti (43 uomini e 15 donne, più i già citati 43 ragazzi), data la stagione: ma era l’unica gara del weekend a una distanza accettabile dall’Emilia centrale, dove nel frattempo la temperatura stava, nel pomeriggio di sabato, sui 35 gradi, mentre a Lèguigno (nome italiano quasi impossibile da pronunciare, rispetto al dialettale Lègngna), 630 metri d’altitudine, si stava sui 29 e, almeno all’ombra, si respirava.

Anche il tracciato, per almeno metà campestre, era spesso all’ombra: siamo in una zona, quella di Vezzano/Casina/val Tassobbio, dove l’offerta podistica è ben sviluppata e contenuta in dimensioni chilometriche accessibili a tutti, presentando prima di tutto una serie di podistiche giovanili discretamente partecipate che lasciano ben sperare per il nostro sport in crisi.

Per me, Lèguigno resta per sempre collegato al padre Cirillo Fornili, frate cappuccino e bonario rettore del collegio studentesco dove mi trovai, recluso ma non troppo, fra i tredici e i quattordici anni; e c’è ancora chi lo ricorda con nostalgia, a molti anni dalla morte (insieme al padre Gaetano, che rividi tanto tempo dopo come rettore dei cappuccini di Salsomaggiore; o a padre Angelico, l’artista che per primo allevò uno che sarebbe diventato scultore famoso, Raffaele Biolchini da Pavullo; mentre nessuno amerebbe ricordare il braccio violento del fratismo, fra Riccardo da Carpi: “str* Riccardo, str* Riccardo – traditor della vita mia – dal collegio m’hai mandato via – ma per romperti la testa tornerò” – versi di tal Bianconi da Fanano, estate di sessant’anni fa).

La corsa è piacevole, e una certa scarsità di segnalazioni nell’area sud (ma anche negli ultimi km i cartelli erano davvero pochi: quando c’erano, magari ne trovavi tre affiancati, poi stavi 500 metri senza una traccia) me l’ha resa involontariamente ancor più piacevole, dirottandomi fuori strada (pare che non sia stato l’unico, nella storia della corsa) alla scoperta del bel castello di Lèguigno, 2-3 km dal ritrovo della gara. Dicono che nel castello ci sia un fantasma, a me sarebbe bastato che ne emergesse la Regina di questi luoghi, Daniela Slotova, a fare piazza pulita dei premi in palio  e degli sguardi ammirati del pubblico; ma - mi dice Ideo – Daniela in questo periodo scala solo alte montagne e concede ad altre i premi che vincerebbe in corsa.

Non disprezzabile nemmeno la chiesa di San Giovanni Battista, attorno alla quale sono personalmente transitato tre volte, rifiutandomi peraltro di prendere da lì la scorciatoia per l’arrivo: dunque non tutto il male (che si è concretizzato in 1,5 km in più rispetto alla distanza prevista di 9,6, e qualche rovo sulle caviglie) viene per nuocere. Ottimo il ristoro finale, sollecite le premiazioni guidate col consueto senso pratico da Roberto Brighenti, e sorrette quanto all’aspetto tecnico dagli “ufficiali di gara” (poi anche atleti) Iotti e Paolo Giaroli.

Si torna in casa, non senza essersi riforniti del locale gnocco fritto al prezzo onesto di 60 cent a pezzo, in tempo per vedere, se Dio vuole, una sconfitta olimpica della Francia, e la quasi-vittoria del Modena calcio a Napoli. Se poi vinceva, mi sarebbe scattato un altro flash di memoria, sempre dei tempi di padre Cirillo: 28 aprile 1963, campionato di serie A, il Modena stava vincendo 2-0 e gli sportivissimi napoletani fecero invasione di campo distruggendo le porte e tutto quello che ci stava intorno. Dubito che il vittimista Saviano ne abbia scritto mai.

4 agosto - Ci eravamo lasciati a metà del “Settebello”, l’intensa settimana che in questo paesone della collina catanzarese invita a svolgere sei maratone amatoriali, su percorsi quanto mai diversi, e concludere il tutto con una Sei Ore per le vie del centro, questa volta classificata Fidal Bronze e dunque con tutti i crismi: https://www.podisti.net/index.php/in-evidenza/item/12056-curinga-cz-il-settebello-curinghese-supera-meta-del-cammino.html .

L’ordine di precedenza impone di completare il discorso sulle sei maratone, confermando il dominio finale di Michele D’Errico e Carolina Agabiti (messi da Roberto Mandelli in copertina del servizio fotografico: senza discussioni nel campo femminile, dove la stakanovista ternana ha tuttavia ceduto il passo in una occasione, nella quale la concorrenza era di qualche spessore); mentre il siciliano ha ceduto tre volte di fronte ad atleti che avevano selezionato le proprie gare.

Così, la quarta maratona “Hostaria delle Memorie” del 31 luglio, una delle più agevoli come altimetria, è stata rivinta in 3.56:40 dal leccese Alberto Ble', che aveva già conquistato la seconda gara, e ha lasciato D’Errico appena dietro, a 16 secondi; mentre il terzo, Gennaro De Fazio, ha chiuso in 4.41. Tra le donne, Carolina Agabiti non ha avuto rivali finendo in 6.19.

D’Errico è tornato a primeggiare nella quinta maratona, la “Due Fontane”, in 3.49:40, rifilando quasi un’ora al secondo Luca Rainieri; assolo tra le donne della Agabiti in 6.29:40.

Stesso esito tra gli uomini ha segnato l’ultima maratona, quella del “Canyon”: D’Errico con 4.34:15 ha preceduto di 40 minuti Rainieri. Da notare l’apparizione (unica) del medico e scrittore barlettano Michele Rizzitelli, che in un certo senso ha fatto le veci dei colleghi supermaratoneti Ancora e Pandian (volati dopo 5 “sole” prove alla kermesse concomitante di Orta, mentre è stoicamente rimasto il “sindaco” mantovano Simonazzi), e ha chiuso in 6.47.

Rimescolato il podio femminile, dove si è imposta la pugliese Anna Maria Matone in 5.28:11, relegando l’Agabiti nella seconda posizione con 6.45:13. Bronzo virtuale, in 7.17, per l’altra pugliese Angela Gargano (qui in toccata e fuga col compagno di una vita Michele Rizzitelli).

Scontato il successo finale “a punti” per D’Errico (3 vittorie, 2 secondi posti e un terzo) e Carolina Agabiti (5 vittorie, virtualmente o effettivamente senza rivali, e un secondo posto): vedili in foto 33 e sul podio nella 40.

Per gli altri, un certo numero di “tacche”, e il ricordo di una ospitalità senza pari in questa terra ricca di memorie storiche, di spiagge dove si sta larghissimi e di cibi succulenti (chi non conosce la fileja coi suoi vari accompagnamenti si perde qualcosa di importante), senza dire che i prezzi sono la metà che nel norditalia, la gente anche sconosciuta ti saluta per strada, e se un contadino ara un po’ in profondo, o un proprietario di casa vuole scavarsi un garage seminterrato, ai primi colpi di aratro o piccone emergono reperti dal paleolitico all’età grecoromana al Medioevo. Reperti talora conservati in eccellenti musei (come a Vibo o a Nicastro), talora purtroppo lasciati nell’abbandono come la millenaria abbazia di S. Eufemia, non lontana da Lamezia (mentre all’Eremo di S. Elia, in periferia di Curinga, pare che stiano iniziando lavori di consolidamento).

E’ tempo di venire alla conclusione in pompa magna del Settebello, la 16^ edizione della Sei ore di sabato 3 sera (ore 18-24), circuito interamente urbano con un dislivello di circa 90 metri, dal punto più basso a quota 342 (appena sotto la Cattedrale di don Pino), al punto più alto (il campo sportivo e parco giochi sopra la chiesa di S. Giuseppe e il palazzo che ospitò Garibaldi), quota 433, da raggiungere due volte ad ogni giro. Nell’ultima mezz’ora, il giro “lungo” di 4,530 km è stato chiuso, lasciando ai podisti solo la sua parte più bassa, poco più di un km con una decina di metri di dislivello (vedi i ghirigori delle foto da 10 a 15).

Perfetta la chiusura al traffico veicolare (nella parte alta, i vialoni che fanno parte di strade provinciali erano transennati, metà per noi e metà per le rare auto), ottima la segnatura del tracciato, i controlli agli incroci, i rilevamenti dei passaggi (mediante chip Icron al traguardo, e con spunte manuali in quattro luoghi almeno, due dei quali affidati a giovani studentesse delle scuole locali: foto 31 e 47).

La Icron (che per eccesso di prudenza ci aveva dotati di due chip, uno per scarpa) aveva predisposto anche uno schermo (foto 22-23) nel quale potevamo apprezzare sia i nostri tempi giro per giro, sia la proiezione del risultato finale allo scadere della sesta ora (quando i due campanoni, del Duomo e dell’Immacolata, si sono messi a suonare a distesa, sebbene sfasati di un paio di minuti…). Potete capire un certo patema in chi, vedendo la sua proiezione iniziale di quasi 44 km (per giri compiuti attorno al 35-36 minuti), la vedeva, passaggio dopo passaggio (foto 16-21), accorciarsi a 42,900, poi 42,500, infine sotto la fatidica soglia dei 42,195; dopo di che, all’inizio dei giri ‘corti’, è convenuto darci dentro per recuperare il margine, venendo infine accreditato di 42,561, quanto basta anche considerando gli 800 metri complessivi di dislivello.

Grazie al presidente della società sportiva, Giambattista Malacari (anch'egli direttamente impegnato come atleta) abbiamo poi ricevuto la classifica coi tempi di passaggio ad ogni giro, molto interessante sia per i partecipanti sia per i curiosi e amanti di statistiche: https://podisti.net/index.php/classifiche/29872-6-ore-per-le-vie-di-curinga-curinga-cz-2.html?date=2024-08-03-00-00

La misurazione è avvenuta secondo le più cristalline regole federali: chi tagliava il traguardo negli ultimi minuti doveva portare con sé un bollo col suo numero di gara, da applicare sull’asfalto allo scoccare del tempo: dove poi passavano i giudici Fidal con la cordella metrica (il sottoscritto ha avuto il suo legittimo “bonus” di 771 metri, che gli è stato aggiunto ai 41,790 sanciti dal chip dopo 8 giri lunghi e 6 corti: foto da 26 a 30).

Sull’asfalto era segnato anche il traguardo della maratona, da raggiungere con 9 giri lunghi e un po’: ha vinto Giuseppe Piegari in 3.15:27, davanti ad Alberto Ble', già primo - come si è detto – in due delle sei maratone preliminari, e qui nella foto 45 dopo le premiazioni.

La gara assoluta, cui hanno preso parte 64 uomini e 14 donne, è stata vinta dal pugliese di Corato Giuseppe Zaza, un M 45 che con 64,339 km ha inflitto un chilometro esatto al materano M 55 Adriano Lamacchia, e 4 km e mezzo all’M35 di Crotone Alessio Calabro (i primi 5 sono nella foto 42). Noterei il decimo posto assoluto (9° maschile) di Luca Rainieri, che aveva partecipato ad alcune maratone della settimana, il 13° (e primo M 70) di Michele D’Errico, il semprepresente più volte nominato; e il 55° di don Pino Fazio, il “prete sempre di corsa” (foto 25, 34-38), che ha posato il suo numero finale ben… 26 metri davanti al sottoscritto (lo Spirito Santo aiuta chi se lo merita!). E non posso chiudere senza rinominare Marco Simonazzi, il mantovano con due lauree e mezzo, alla sua settima esibizione in sette giorni, che qui ha gareggiato per onor di firma compiendo 18,120 km (terzultimo, ma lui almeno ha osato).

Tra le donne, prestazione a dir poco prodigiosa della quarantenne udinese  Elsien Cargniel Bergamasco, che con 61,560 è giunta terza assoluta, infliggendo oltre 5 km a Rosa Cardola (Torre Annunziata) e 8 ad Alisia Calderone (podio nella foto 41, e la vincitrice, sempre sorridente, alla cena finale nella 51).

Dodicesima donna, con 42,737, si è piazzata Anna Maria Matone, vincitrice il giorno prima e mia compagna per buona parte del tracciato insieme alla beniamina locale, di origini ucraine, Sofiya Hirnyak, prima F 70 con 43,653. Tra le partecipanti alla settimana di maratone, solo la veronese Paola Riolfi si è iscritta alla gara maggiore, completando 31,710 km, mentre Carolina Agabiti (foto 5 all’atto dell’iscrizione) ha preso parte alla 22 km (5 giri lunghi) concludendola al 5° posto in 3.19. Tra i 14 classificati di questa gara, il più veloce è risultato Donato Nazzareno in 1.55:42; la prima donna Valentina Maiolino in 2.05:45.

Dei 17 partecipanti alla 10 km competitiva, risulta davanti Venerando Tina (M60) in 1.02:53. Sul sito Icron https://www.icron.it/newgo/#/classifica/20243460  mancano i risultati della staffetta delle 6 ore per squadre di tre; come ovviamente non sono registrati i non competitivi, soprattutto giovanissimi.

Con una temperatura iniziale, alle 18, di 35 gradi, i ristori e “raffrescamenti” hanno assunto un’importanza essenziale: e i due ufficiali, nel punto più alto e in prossimità del traguardo (la foto 6 mostra la preparazione del tavolo), sono sempre stati riforniti di acqua, cola, idrosalini, tè freschissimi, più frutta (pesche, banane, angurie) ugualmente fresca (oltre a cibi solidi, pane e dolciumi); gradite anche le spugne (almeno nei primi giri), e i ghiaccioli che verso il finale ci metteva in mano la signora Caterina Frija (foto 44-45, presente anche in veste di nonna dell’ultimo nipotino nato); più i bicchieroni di birra che uno sconosciuto benefattore mi ha porto in due occasioni. Ma non ho rinunciato neppure al “marendello” (spicchio di pesca acerba) che un bambinetto mi ha messo in mano nella parte alta. La tradizione curinghese ha poi offerto il pasta party nel mezzogiorno antecedente la gara, e una cena completa (dal primo al secondo, col contorno, a dolce e frutta, più vino e birra) durante la cerimonia delle premiazioni, dall’una fin quasi alle tre.

Curinga, nobilissima terra, e la sua équipe sportiva guidata da Giovambattista Malacari e da Elisabetta Prinzi (entrambi al traguardo delle 6 ore) hanno dato il meglio di sé, con generosità persino eccessiva nei riguardi di certe pretese dei devoti di Santa Tacca. Ma su questo, semmai, tornerò in altra occasione.

30 luglio – E’ la quinta edizione della serie di sette-maratone-in-sette-giorni organizzata dall’Atletica Curinga, vivace movimento di questo comune sparso tra le montagne (fino a 1000 metri), le colline (dove ha sede il vecchio capoluogo, a 380 metri di altezza, e le vastissime spiagge calabresi, in gran parte a libero accesso.

Il clou della settimana avverrà sabato 3 pomeriggio, con la 16^ edizione della Sei Ore, gara nazionale Fidal di cui riparleremo; ma intanto, per scaldare i muscoli, da domenica 28 a venerdì 2 il “Settebello” propone sei 42 km (col contorno di percorsi da 21 e da 10 circa), su percorsi diversi che generalmente contemplano un “lancio” di 10-12 km circa e un circuito di 5-6 km o giù di lì, fino a raggiungere la distanza canonica.

Partenza alle 7 di mattina, quando le temperature non sono ancora salite ai livelli di 34-35 gradi che si raggiungono verso mezzogiorno; ritrovo organizzativo verso sera per chi si voglia iscrivere volta per volta, con tariffe che vanno dai 30 euro per gara singola ai 150 per l’en plein; ospitalità a offerta libera nella canonica di don Pino Fazio (un altro “prete sempre di corsa”, sebbene ora, reduce da infortunio, dichiari che si presenterà solo alla Sei ore), oppure a prezzi modicissimi presso abitazioni private: sotto la supervisione della squisita signora e nonna Caterina Frija, circondata da un buon numero di volonterose giovani curinghesi, con qualche maschietto, che fa riferimento per l’aspetto tecnico a Giambattista Malacari.

Le prime sei gare, pur non essendo normate dalla Fidal, sono maratone a tutti gli effetti, con percorsi eccellentemente segnalati, incroci sorvegliati (anche se i tratti su strade aperte alle auto sono abbastanza ridotti), controlli intermedi e finale gestiti dagli organizzatori col sistema dei tempi eroici, ovvero la spunta manale, con una certa fiducia riposta anche negli atleti. Che, chiaramente, sono degli amatori a tutto tondo, e nemmeno in gran numero data la stagione, la concorrenza di altri eventi similari e l’oggettiva difficoltà di raggiungere il luogo (ma anche in questo caso, Caterina e Giambattista offrono supporti e passaggi in auto).

Le classifiche sono diramate, verso sera, da Icron, anche se la loro redazione dipende dalle “spunte” manuali di cui sopra e insomma non sono a prova di bomba.

Dai dati presenti online (https://www.icron.it/newgo/#/classifica/20243461)  troviamo una dominatrice assoluta nel settore femminile, la flessuosa supermaratoneta ternana Carolina Agapiti, che finora ogni giorno ha conquistato il successo (peraltro, su sole 3 rivali, nemmeno sempre in grado di concludere le gare): domenica 28 ha dominato la “Uliveti Marathon” in 7.07, con quasi 40 minuti sulla seconda, la veronese Paola Riolfi; lunedì 29 ha stravinto la Maratona delle “Terme Romane” (uno stupendo complesso dei primissimi secoli dell’Impero, vicino alla località balneare di Acconìa), con un favoloso 5.35, e stavolta la Riolfi seconda (su 3) è arrivata poco meno di due ore dopo; infine (per il momento), Carolina ha vinto anche martedì 30, nella maratona della “Pineta al Mare”, la più fresca e pianeggiante, con 6.42, precedendo stavolta di 1 ora e 10 la francese Magalì Arfel.

In campo maschile c’è un po’ più di varietà, tra la quindicina di sportivi che ogni giorno prendono il via, e ovviamente primeggia chi fa scelte tecniche o insomma più ‘oculate’: così, il primo giorno è stato il dominio, con un 3.20:30 di tutto rilievo, di Paolo Leone, che ha lasciato il secondo Alberto Ble a 56 minuti, e il terzo, il siciliano Michele D’Errico, a 1 ora e 13. Alle Terme il secondo giorno, assente Leone, ha prevalso Ble (3.52) con mezz’ora su D’Errico, mentre al terzo posto, appena dietro, si è affacciato lo studente di ingegneria modenese (ma di origini calabresi) Stefano Grillo.

Assenti i primi due vincitori, il terzo giorno la coppa del primo in Pineta è toccata al baffuto  D’Errico, che con 4.13:55 ha doppiato tutti gli altri: una sola volta Stefano Grillo, due o più tutti gli altri, che secondo la classifica risultano in tutto 12 (Ma di alcuni e alcune delle 4 donne, avendo partecipato personalmente e incrociato i colleghi /-e 12 volte, cioè per ognuno dei 6 giri finali, mi permetto di dubitare).

Classifiche a parte (scaglino la prima pietra gli arbitri e giudici delle Olimpiadi parigine!), la gara è risultata simpatica, messa su con grande abnegazione (e il compito più improbo e ingrato, ma con successo solo parziale, è stata la rimozione dei quintali e quintali di immondizie bellamente depositate da ignoti ai lati delle stradine e dentro il bosco: Caterina mi dice che anche pochi mesi fa i volontari avevano compiuto analoga operazione, ma i risultati sono durati… pochi giorni).

Devo dire che queste brutture sono la tara più grande dei luoghi, segnati anche dall’abbandono e graduale sfacelo di molte vecchie abitazioni nel centro storico di Curinga: e visto che in questi giorni ci sono state pure scosse di terremoto dai 3 ai 3.5 gradi, c’è da rabbrividire pensando a cosa potrebbe succedere.

Lo sport fa la sua parte, e Curinga alta riceve vivacità in questi giorni dai podisti (e i loro familiari): come il super-primatista per maratone concluse, Vito Piero Ancora, 71 anni appena compiuti; il “sindaco” mantovano Marco Simonazzi, il romano Marcello Arena, l’indiano giramondo Sivalaban Pandian.

Oltre, beninteso, ai vincitori citati sopra, e ai volontari “esteri” come Vito o Laurìa, vecchio e memore lettore di Podisti.net. Al termine della gara in Pineta, c’è stata la possibilità di un salutare tuffo nelle acque del Tirreno (sicuramente più pulite di quella della Senna), poi il pranzo offerto dagli organizzatori, e il consueto trasporto in auto verso le sedi di residenza.

Siccome chi scrive rimane qui fino alla conclusione delle “ostilità”, riferiremo anche di come andrà a finire. Intanto suggerisco di dare un’occhiata all’album fotografico messo insieme, dall’altro capo dello Stivale, da Roberto Mandelli, e che documenta non solo la gara della Pineta ma un po' di tutto.

27 luglio – A Modena, 34 gradi; solo 30 a Montorso, 650 metri slm, sulla costola dell’appennino pavullese che si apre alla valle del Panaro. Se alla cena all’aperto c’era il pienone, con una fila per l’accesso che stava sui 50 metri, alla gara nel solito tracciato di 8,500 km con 330 metri di dislivello, con un paio di km sterrati (il tratto dell’originaria “Grotta”, cioè il sentiero antico),  eravamo abbastanza contati: i numeri ufficiali dicono 130, qualche decina in meno rispetto al 2023, anche per la concorrenza di un’altra gara appenninica a Montefiorino (in compenso, questa domenica a Modena sede vacante: persino Valentini della Cittanova, che qui ha dominato la classifica per società con mezzo centinaio di attendati sotto di lui, si prende una domenica di riposo). Non voglio pensare che il calo dipenda dall’aumento della tariffa d’iscrizione a “ben” 3 euro contro i 2 del 2023…: ma è un fatto che oggi Giangi non si sia visto.

Collaudatissima l’organizzazione, nelle mani del mio personale “Podestà” Graziano Pattuzzi (foto 4 e 22 del servizio messo insieme da Roberto Mandelli), che mi rilascia confortanti annunci sul prossimo avvio della circonvallazione di Pavullo (oggi, il paesone dal traffico peggiore dell’intera regione), mentre quanto al completamento della nuova Estense - SS 12 dice che non basterà un secolo (e d’altronde, aggiungo io facendo il confronto tra lui e il suo attuale successore in provincia, con questo qua c’è poco da sperare). Parcheggi ampi e ottimamente gestiti, a compensare la pessima strada per arrivare fin qua, dove basta un automobilista imbranato (e qua ce ne sono parecchi) per causare un blocco.

Perfetta convivenza tra sport, magnazza (vedi foto 8-10) e cerimonie religiose, in una zona ricchissima di uomini di Dio, da padre Sebastiano e fratelli, a padre Pacifico Gianaroli, a padre Berardo Rossi: il cui ricordo, di creatore e signore dello Zecchino d’Oro, è ravvivato dall’intitolazione della fontanella davanti alla chiesa (foto 6, 14-15) a Mariele Ventre, altra santa donna che dello Zecchino è stata l’anima per quarant’anni.

Sempre più ricca la collezione di ex-voto nella chiesa co-dedicata a san Vincenzo Ferrer da Valencia (foto 27-28) e a santa Margherita, perché continuano ad accadere miracoli (come attesta ancora l’on. Podestà); quello della foto 18, sia pur risalendo al 1882, può essere adottato come emblema del salvataggio del podista caduto a terra.

Percorso tra i più duri del suo genere, ma molto bello e panoramico (leggermente meno godibile solo la strada asfaltata verso Gaiato), che oltre alle vedute paesaggistiche svela tesori architettonici, case in sasso antico come il castelluccio della foto 7 (se lo scoprono gli americani, è andato: per sua sfortuna è molto fuori mano, magari ignoto anche ai navigatori). Ben tre ristori in corsa, tra cui succulento l’ultimo de “La Valla” (foto 26), pieno di torte casalinghe e di altro ben di Dio offerto da due belle e simpatiche signore.

Al traguardo poi, oltre a un quarto ristoro e al consueto sacchetto di crescentine, ci attende la stupenda catena di montaggio della tigelleria (foto 5, 12, 17), per godere i cui frutti vale anche la pena di una lunga attesa, sia pure temperata dall’incessante eloquio del Podestà; mentre Peppino e Rambo, aspettati gli ultimi, possono finalmente disfare la tenda (foto 23) e andarsene con Dio.

Ricopio la conclusione del resoconto 2023: “C’è bisogno di ritrovi come questo per non disperdere il patrimonio del podismo popolare e insieme di una terra per tanto tempo avara, ma ricca di storia e di umanità”.

Tennessee, luglio 2024 – Finalmente, quindici anni dopo l’uscita in Italia, e dieci anni dopo che avevo trovato il libro sotto l’albero di Natale, ho fatto quello che tutti i podisti di media cultura (e molti altri) dichiarano di avere fatto da tempo: leggere L’arte di correre di Haruki (nome) Murakami (cognome), scritta in originale nel 2007 con un titolo giapponese molto diverso, e sicuramente migliore (dovrebbe essere qualcosa come “Di che parlo se parlo di corsa”), mentre il titolo europeo rischia di far confondere il libro con l’ennesimo manuale su come migliorare le proprie prestazioni, e magari un resoconto delle proprie gesta che interessano solo a chi le racconta (mi consolo vedendo che Murakami ha praticamente la mia età e i suoi crono sono stati all’incirca i miei, anzi un po’ peggiori malgrado gli allenamenti molto più qualificati, i personal trainer che ha, ecc.).

Comunque, la prima ottantina di pagine è filata via all’insegna del “tutto qui?”, con poche eccezioni: la descrizione del runner’s blues, il sentimento di ingiustizia che ti prende quando il risultato sportivo non ripaga delle fatiche della preparazione (p. 15, poi 99, e in tanti altri luoghi, così che poi diventerà quasi il filo conduttore, non solo sportivo); o il paragone di sé stesso e della nostra categoria con un cavallo da tiro più che da corsa (p. 26). 
Si incontra a tratti lo scrittore (cioè dieci gradini più su del “podista che scrive”); nella constatazione “che la vita è iniqua: ci sono persone che per raggiungere un risultato devono faticare, altre che ottengono quello che vogliono senza alzare un dito” (39), o nella riprovazione della corsa obbligatoria a scuola (mentre la verità più profonda che la scuola deve insegnarci è “che le cose veramente importanti non si imparano a scuola”, 42).

Il Murakami maratoneta (anche qui, obbligatoriamente distinto dal podista che scrive, magari esaltando la maratona chiusa in 6 ore col secondo posto di categoria su 3 partecipanti) salta fuori nel commentare a 48-49 la sua prima maratona, “una competizione in cui si corre, non si cammina”, anche se si è arrivati “a un’età in cui non si ricevono più regali”. Eppure è meglio vivere “intensamente, perseguendo uno scopo” gli anni che ci restano: e la corsa a piedi è (ahinoi, paragone che non  vorrei leggere più, al pari del terzo gradino del podio e del serpentone multicolore) una “metafora della vita” (71).

Tutto qui? Arrivato a p. 79, sia pur apprezzando un’altra bellissima riflessione sulle proprie qualità residue, tante o poche che siano (“come quando si apre il frigorifero, si prende quel poco che resta  e ci si mette a cucinare  qualcosa come si può -  e nemmeno tanto male – anche se ci sono soltanto mele, cipolle, formaggio e umeboshi” [specie di albicocche in salamoia]: p. 74), poi la constatazione sullo skateboard (“cosa ci sia di divertente in quel terrificante arnese, a essere sincero non l’ho mai capito”): di fronte al frusto aforisma sulla nostra condizione umana di “piccola tessera nel mosaico gigantesco della natura” mi chiedo ancora cosa ci sia di tanto speciale.
Per vincere la noia chiedo ad Alexa di suonarmi le canzoni che Murakami dice di ascoltare mentre corre, come quelle dei Rolling Stones o Eric Clapton: francamente, da quegli album preferisco Paint it black perché ci riconosco la cover della Caselli, ma tutti i gusti sono gusti.
Insomma, vabbè, finirò questo libro e non mi verrà certo voglia di rileggerlo: manca una sessantina di pagine… Però… finalmente alla fine del cap. 5 (ambientato a Cambridge, Massachusetts) lo Scrittore comincia a farsi valere con le sue considerazioni sull’imbastire un discorso in lingua materna o in lingua straniera, e aggiunge che fare jogging aiuta a risolvere le difficoltà della seconda cosa: “mentre porto avanti automaticamente le gambe, nella mia mente le parole vanno allineandosi una dopo l’altra. Misuro il ritmo delle frasi, ne valuto la risonanza… senza volere ci metto anche l’espressione, ci aggiungo i gesti, e chi viene dalla parte opposta mi guarda come se fossi pazzo”.

Adesso sì che comincia a piacermi, tanto più quando a principio del cap. 6, che racconta della sua prima e unica Cento km, esordisce con “la schiacciante maggioranza delle persone al mondo – o forse sarebbe meglio dire tutti coloro che hanno un po’ di sale in zucca”, non ci pensa proprio: “i normali cittadini sani di mente non fanno certe pazzie” (p. 88).

Ma la lunga descrizione di questa impresa pazza è la prima cosa dove lo Scrittore ti cattura sul serio: nel descrivere, dopo metà gara i propri muscoli “duri e tesi come pane avanzato da una settimana”, ma che rinunciano alla protesta, accettando “senza fiatare la spossatezza come una necessità storica, uno sviluppo rivoluzionario. Nessuno batteva più sui tavoli, nessuno lanciava più i bicchieri”. Da parte sua, Murakami tiene fede alla sua regola che non si cammina mai (anche sulla sua tomba vorrebbe che si scrivesse “se non altro, fino alla fine non ha mai camminato”): piuttosto ci si ferma a fare stretching, ma poi si ricomincia a “dondolare a ritmo le braccia, spostare in avanti le gambe. Senza pensare a nulla. Senza porsi domande”. Finché si rende conto che la fatica è scomparsa, o meglio “spostata in un angolo recondito, come un brutto mobile di cui per qualche ragione non ci si può disfare”. L’insegnamento di questa Cento (finita in 11h42, insomma, tempo da essere umano) è che “correre non è tutto nella vita, constatazione se vogliamo evidente” (bè, non ai podisti di cui sopra, che festeggiano ogni occasione selfandosi mentre corrono maratone fatte e strafatte); è solo “un amore che ha perso l’ardore irragionevole dei primi tempi” (100-101).

Ora davvero la lettura si trasforma in ascolto e colloquio, quasi come con un Seneca, un S. Agostino, un Pascal…: “forse la vita è così. Forse è una cosa che dobbiamo semplicemente accettare, a prescindere da ragioni e circostanze. Come le tasse, come i flussi delle maree, come la morte di John Lennon, come un errore dell’arbitro durante i campionati del mondo” (102: ecco, ditemi voi quale altro podista-scrivente sarebbe capace di pensieri del genere).

Inevitabile il capitolo su New York e la sua maratona, ma fortunatamente privo dei toni entusiastici da novellino o da tour operator che conosciamo, e semmai con riferimento a una poesia sull’autunno a Central Park: “i sognatori a mani vuote immaginano terre esotiche; ma è autunno a New York, è bello viverlo un’altra volta”. La maratona del 2005 non va “molto bene”, agonisticamente parlando. Ed ecco ancora lo Scrittore:
Avrei voluto chiudere questo libro con le vibranti parole ‘dopo un serio allenamento ho fatto un ottimo tempo. Tagliare il traguardo è stata un’emozione’, poi, accompagnato dalle note trionfali del Theme from Rocky, andarmene via con noncuranza, senza fretta, nella luce del tramonto… Ma a un certo punto della nostra vita, quando abbiamo veramente bisogno di risposte chiare, chi viene a bussare alla nostra porta di solito è qualcuno che ci porta cattive notizie… Il messaggero porta la mano al berretto con l’aria di scusarsi, ma questo non rende più lieto il contenuto della lettera che ci consegna. Non è colpa sua… E’ per questo che noi esseri umani abbiamo bisogno di un piano B.

Com’è come non è, dal 25° km un crampo alla caviglia lo costringe “a ridurre la velocità a quella di un podista” (sic nella traduzione: immagino intenda un jogger, non un runner, ma penso ancora ai podisti-scriventi che postano sui social le proprie 6 ore abbondanti…). Invece 
Ce l’avevo messa tutta, perché doveva venirmi quel maledetto crampo? … se in cielo c’è un Dio, non potrebbe darci ogni tanto un piccolo segno della sua esistenza?

Ma anche quest’esperienza ha insegnato: sei mesi dopo, Murakami corre Boston, per rivincita e contravvenendo alla sua regola di “una maratona all’anno” (vi ricorda qualcuno?? certamente pochi), scientemente riducendo gli allenamenti, e ottiene lo stesso tempo che a NYC. Sa fare tesoro del suo riconoscersi, anche dopo essersi cimentato nel triathlon, “un magro corso d’acqua che venga assorbito silenziosamente dalla sabbia del deserto”, eppure 
anche quando sarò decrepito, quando le persone intorno a me mi esorteranno a smettere dicendomi che sono troppo vecchio per correre, me ne infischierò e persisterò. Anche se farò tempi sempre peggiori… Sono fatto così, è nella mia natura, la gente può dirmi quello che vuole... 
Con la mia natura, come fosse una vecchia borsa tenuta a tracolla, ho percorso molta strada. Non me la porto appresso perché mi piaccia. E’ troppo pesante per me, e nemmeno tanto bella. Qua e là è strappata. Mi sono rassegnato a tenermela perché non ne ho un’altra di ricambio…Continuo a portarmi in spalla la mia vecchia borsa. Probabilmente diretto verso qualcosa di poco incisivo. Diretto verso una maturità taciturna e barocca – o per esprimermi in maniera più umile, verso il vicolo cieco dove si arresterà la mia evoluzione.

Non si vive per correre, ma si corre per fare meglio le cose importanti della vita: nel caso di Murakami, che chiude così il libro (145), “poter dare il meglio nella scrittura:… se per allenarmi alle gare non dovessi più trovare il tempo di scrivere, finirei col confondere causa ed effetto. Per me sarebbe un problema”. Ecco quello che distingue L’arte di correre dalla miriade di libretti dai titoli affini: è un libro scritto, magari senza nemmeno pensarci troppo (“solo” dieci anni!) da uno Scrittore, che occasionalmente fa il podista; non da un podista che decide di fare lo scrittore ma al di là delle maratone concluse e infiorettate da dettagli autocelebrativi non sa dirci altro.

L’opera è dedicata “a tutti i corridori…, a quelli che ho superato e a quelli che mi hanno superato in gara. Senza di loro, forse non sarei riuscito a correre per tanti anni”. E chi l’ha letta “con colpevole ritardo” (per usare una frase fatta) ma con crescente consenso, ne scrive ora, che il grande Lucio Gigliotti (il Murakami dell’Olimpiade) ha varcato un traguardo importante della sua vita, i novant’anni di gioie e successi fondati su pene e sacrifici indicibili della prima età.

Dal soggiorno in mezzo agli Usa viene da lanciare uno sguardo strabico, a destra verso l’Atlantico e l’Europa, a sinistra verso il Pacifico e il Giappone: grazie perché, ognuno a suo modo e coi suoi talenti, ci avete arricchiti.

30 giugno – Non si contano i titoli nazionali (nel senso di campionati) che assegnava questa 47^ edizione della Pistoia-Abetone: ci scuseranno gli altri, ma i più importanti sono quelli Fidal sui 50 km assoluti e master, con la miriade di categorie di 5 in 5 anni, senza gli sconti e gli accorpamenti cari a molti organizzatori risparmiosi.

Ma aldilà dei cacciatori di titoli, o perlomeno invogliati dalle nutrite sportine-premio assegnate al traguardo, credo che il grosso del pubblico partecipante sia rappresentato dai fedelissimi, dai maratoneti più o meno super che anno dopo anno (con la sola eccezione dei covidiani 2020-2021) popolano con entusiasmo il centro di Pistoia e affrontano con gioiosa rassegnazione i quasi duemila metri di dislivello, sotto il sole estivo e sfidando, specie negli ultimi 15 km, le auto e le moto in discesa dalla caotica spianata dell’Abetone (almeno, stessero un po’ più verso il centro della strada…).

Dai risultati completi, usciti online solo il lunedì pomeriggio (suppongo che sia stato laborioso il confronto tra l’ordine d’arrivo e le spunte dei vari controlli in itinere) i grandi numeri sembrano tuttavia in calo, con 682 classificati sui 50 km (erano stati 793 l'anno scorso) e 232 sui 30 km; senza contare i circa 500 partecipanti alle gare minori, tra cui la durissima “non competitiva” sui 20 km da S. Marcello alla cima.

La gara ha avuto un dominatore in Alessio Terrasi, trentaquattrenne del Parco Alpi Apuane, che con 3:35:38 ha confermato il titolo nazionale sui 50 km conquistato l’anno scorso a Castelbolognese (senza dire che nel 2018 si era laureato campione italiano di maratona a Ravenna). Ha confermato il secondo posto del 2023 Simone Pessina, 39enne dei Bergamostars, giunto a quasi 5 minuti, tre dei quali persi nella salita finale (3:40:05: il tempo dell’anno scorso oggi l’avrebbe fatto vincere). Dopo un minuto e mezzo è arrivato il terzo e più anziano, il palermitano Dario Pietro Ferrante (1979, Osteria dei Podisti 3:41:33). Non ha confermato il quarto posto del 2023 il titolato Marco Menegardi, oggi settimo; mentre si è ritirato dopo il 40° un altro dei favoriti, e già vincitore in anni passati, Matteo Lucchese.

Solo master tra le prime cinque classificate: ha vinto la più “giovane”, Sarah Giomi (1985, Pro Patria Milano) in 4:06’24”, sei minuti davanti alla vincitrice del 2023, la sempiterna cinquantaduenne romagnola Federica Moroni (DinamoSport, 4:12:26. “Solo” quarantreenne e molto staccata la terza, un’altra celebrità, Ilaria Bergaglio (Novese, 4:32:43), e un anno in più ha la quarta Ilaria Zaccagni (Casone Noceto 4:44:27): insomma, non pare una gara per giovanotte; oppure, in Italia non c’è ancora il ricambio a questa generazione di fenomene.

Nella 30 km (leggermente scarsi) ha prevalso Lorenzo Castro (Maiano) in 2:00:25, appena sopra la media dei 4 a km, e abbondanti 9 minuti davanti a Claudio Marco Mazzola (Runcard). Quasi allo sprint il finale donne, dove Mihaela Robu (della Silvano Fedi, la società organizzatrice) con 2:20:49 ha prevalso per 40 secondi su Linda Grazzini (Cai Pistoia).

E' stata diramata anche una classifica sulla distanza-maratona, non prevista dal regolamento ma utile per i cosiddetti cacciatori di tacche: confermati i primi due, Terrasi e Pessina (gli unici sotto le tre ore), mentre tra le donne la Giomi con 3.17:28 aveva un vantaggio sulla Moroni di oltre 8 minuti.

Esauditi i doveri della cronaca, torniamo al pre-partenza: alle quote di iscrizione abbordabili, cui viene dato riscontro con uno zaino di ottima qualità, una bottiglia di vino locale, uno scaldacollo (genere di cui i podisti non sentono la mancanza) e qualche gaggetto (come dicono i puristi toscani). Abbastanza comodo, a circa 400 metri dalla stazione, il centro-maratona (ma i ritardatari potranno svolgere tutte le pratiche anche in piazza Duomo nell’imminenza del via).

Il libretto di presentazione delle corse è forse il migliore che abbia mai visto in 35 anni di frequentazione maratonica: una settantina di pagine dove la pubblicità è contenuta in dimensioni accettabili, e invece spiccano le statistiche di tutte le edizioni, dal luglio 1976 al 2023, comprese le altimetrie dei tratti in salita, in particolare i due più duri, i 700 metri verticali verso le Piastre e i 930 degli ultimi 16; e compreso, purtroppo, anche il record imbattuto della corsa, che mi rifiuto di specificare perché firmato Roberto Barbi 2007, per cui passo direttamente al secondo, di Rono Kipngetich con 3.19:16 (dunque un abbondante quarto d’ora meglio del tempo del 2024).

Curiose le “Frasi celebri”, di giornalisti o partecipanti, pubblicate a pp. 51-55, con qualche eccesso romanzesco, come questo firmato da una ex titolare di un ex sito podistico che ha anche passato i suoi guai: “il fascino di questa gara sta tutto nel […] silenzio della montagna interrotto solo dai click delle macchine fotografiche nascoste fra cespugli ed alberi” (mentre i click reali, chiamiamoli così, della gara sono da sempre quelli emessi dalle moto già citate, con annessi gas di scarico). Sottoscrivo invece questa frase di Fabrizio Di Michele (al traguardo nel più che dignitoso 6:17:20): “ad ogni maratoneta non dovrebbero chiedere se ha corso New York. Dovrebbero chiedere se ha fatto la Pistoia-Abetone”.

Al libretto si aggiunge l’edizione speciale di  “Metrorun Pistoia”, ricca di notizie (ma il dislivello è di 1908 o di 1830 metri, come si dice e disdice a distanza di 18 righe a  p. 6?) e curiosità, sia pure inframmezzate da parole ormai ripetute a sazietà e prive di senso: “panorama mozzafiato” in copertina, “alternarsi mozzafiato di salite e discese” a p. 6, “passeggiate mozzafiato” a p. 14.

Vabbè. Respirando regolarmente ci presentiamo alle 7 di mattina nella stupenda piazza del Duomo, ritrovandoci tra amici vicini e lontani (da Massimo Morelli a Werther Torricelli), tra ricordi antichi (sì, il 5:57 di 25 anni fa… piuttosto, teniamo di vista il tmax di 9 ore), spiritosaggini, contemplazioni di bellezze femminili (vincitrice assoluta: Greta Massari), foto e mini-accenni di stretching sui gradini del Battistero. Primi 15 km, fino alle Piastre, perfettamente chiusi al traffico, e godibili per il clima ancora freschino: la salita se ne va via quasi senza fatica.

Anche ai ristori assegno la medaglia d’oro: ogni 3 km, con grande abbondanza di frutta fresca già a spicchi, e per chi lo desidera fette biscottate spalmate di delizie varie. Sempre freschissimi anche acqua, tè e integratori salini, cui nella salita dell’Abetone aggiungeremo volentieri l’acqua che sgorga dalle fontane (grandiosa quella del Duca intorno al km 40: “o pellegrin se del sentier sei lasso – fermati bevi e poi raddoppia il passo”).

Percorso ottimamente segnato con frecce sull’asfalto, e numerosi segnalatori umani specie nei centri di paesi, dove l’orientamento si fa più complicato (tra Maresca e Gavinana soprattutto). Aggiungo il sacrosanto piazzamento di due tappetini chip “a tradimento” (oltre a quello conclamato del km 30; uno serve comunque per la tacca della maratona), e l'ulteriore presenza di due coppie di rilevatrici con foglio e penna: così si fa per evitare la piaga dei “centisti” automuniti!

Il traffico di auto ha una prima impennata verso Pontepetri, e provvidenzialmente dal km 21 al 24 (appunto di Maresca) siamo dirottati su uno stradello ghiaiato e all’ombra. Ma dalla Lima (km 33,5) in poi non avremo più scampo: cercare l’ombra comporta pericolosi zigzag lungo i tornanti, e chi osa, deve stare con l’orecchio teso per valutare la distanza del rombo dei motori, e se viene dall’alto o dal basso (e ci sono anche le bici, che vengono giù sparate senza fare rumore). A un certo punto un cartello a sinistra avvisa che se vogliamo una fontanella dobbiamo traversare verso destra: è un tornante, non mi fido, d’altronde per merito dei ristori non soffrirò mai la sete.

Per chi non si accontenta, il ristoro del km 46 (Cecchetto) offre qualcosa di più: mi fanno una gran voglia le costaiole, ma non è ancora il momento, anche perché la strada sembra spianare ed è ora di tentare la corsa (a 8’ al km, o peggio!).

Sebbene con un po’ di frustrazione, perché il traguardo sembra allontanarsi: se fino al km 35 i segnali dell’organizzazione erano sovrapponibili ai cartelli dell’Anas per la SS12 (cioè prima vedevamo il nostro segnale chilometrico, confermato dai Gps; cento metri dopo un altro segnale, più sbiadito, sull’asfalto, a volte corredato dal “chiodo” regolamentare; e dopo altri 2-300 metri il segnale Anas da cui si capiva che il traguardo sarebbe stato al km 88 e spiccioli); ma poi, e inesorabilmente, i nostri segnali si avvicinavano sempre più a quelli Anas, e al km 38 avviene il “sorpasso”, con un distacco che crescerà sempre più fino a raggiungere il mezzo km almeno. Cioè: prima il segnale Anas della distanza dallo scollinamento, e poi, sempre più tardi, il nostro chilometro. Se l’omologazione Fidal è un dogma di fede (lasciando però il dubbio su come abbiano avvicinato l’Abetone di 3 km rispetto ai primi tempi: d’altronde, anche il Passatore ha tutte le omologazioni possibili, ma è più lungo dei 100 km dichiarati), bisogna dedurre che o i cartelli intermedi sono buttati giù a un tanto il braccio, o che le misurazioni dell’Anas siano sballate.

Cercando di scacciare questi funesti pensieri, che si congiungono al sorpasso patito dal “trombettiere” Lorenzo Gemma (peraltro assistito dalla famiglia in auto chilometro dopo chilometro, e che arriverà un soffio sotto le 8 ore),  al meno 2,5 un ultimo ristoro offre perfino del vino (“bono, dalla mì damisgiana” assicura l’erogatore), e questa volta due dita me le faccio versare, per tre salutari sorsi verso il traguardo dove attende il solito collaudatissimo team Fiaschi-Menarini e una medaglia davvero bella e artistica, una volta tanto, tonda come dovrebbe essere.

In un’organizzazione con vari aspetti di perfezione assoluta, devo dire che il peggio è dopo il traguardo: non tanto per il ristoro immediatamente a destra, della stessa tipologia dei precedenti (bè, però il vino e la birra potevate metterli…), e il recupero nelle immediate vicinanze delle nostre borse; quanto per il cosiddetto pasta party, una cinquantina di metri avanti, cui si poteva accedere solo con un voucher, per ricevere un piatto di maccheroni freddi e sconditi (possiamo aggiungere l’olio) e dell’acqua prelevata da una tanica: tant’è vero che torno indietro al ristoro ufficiale per avere almeno un po’ di frutta e del tè.

Poi c’è da fare un altro centinaio di metri in salita per ritirare la maglia di finisher: disponibile solo in taglie S o XXL (stavolta prendo la S, la darò a un nipotino). Infine, altro centinaio di metri per raggiungere le docce: piccole (sono per i tennisti, dunque 4 erogatori in tutto) e fredde. Forse meriteremmo un po’ di più, e se non altro la massiccia disponibilità di bus navetta consente di tornare a casa o all’albergo per una lavatura come si deve.
Tra un percorso e l'altro ci rivediamo noi protagonisti di sorpassi e controsorpassi "kalipè" a ritmo lento nell'ultima ascesa: non più Werther Torricelli, che dopo il suo 6:21 deve aver già preso la strada per Carpi; né Mauro Gambaiani, il Pico Runner di Fanano (7:07). Franco Scarpa, psichiatra, vicepresidente e contabile dei supermaratoneti, dopo il suo 7:22 sta già sorseggiando qualcosa all'ombra del bar Leoncino, mentre ho perso le tracce del Road Runner Maurizio Colombo (7:44) con cui ci eravamo fatti fotografare una ventina di chilometri sotto. Il suo compagno Paolo Valenti è appena arrivato (8:04), mentre poco dietro ci sono il romagnolo Yuri Fabbri e il fiorentino (ripolino) Massimo Morelli, che hanno rimontato addirittura la luminosa Greta Massari.
Con 9 ore e 7 secondi, cioè appena oltre il tempo massimo, è classificata Fiorenza Simion da Primiero, classe 1943, che penso sia la più anziana del lotto, un anno in più di Giuliano Sidoli (8:00:45): sono vittorie anche queste, non meno belle di chi sta molto più in su.

 

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