Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

27 agosto – In concomitanza con la sagra della Madonna dei Ponticelli (santuario mariano ai confini dei comuni di Carpi e Novi, ‘specialista’ nel ridare la parola ai muti tra cui – non scherzo – il mio prozio Remo), la vicina parrocchia di San Marino ha riproposto la camminata semicampestre che l’anno scorso era saltata per le note ragioni.

Anche quest’anno la prudenza non è stata mai troppa, si è dunque evitata la partenza di massa lasciando la finestra di un’ora (18-19) per mettersi in strada; all’iscrizione bisognava compilare l’ormai consueta e non ancora desueta autocertificazione, che in teoria servirà per il tracciamento; non esisteva il ristoro finale (un tempo celebre per le fette di anguria generosamente elargite), in cui vece è stato consegnato un sacchetto con cracker e acqua minerale (poi nei pressi si poteva acquistare il tradizionale gnocco fritto, senza però poter restare a cena come pareva dal volantino).

Abbastanza nuovo mi è parso il tracciato, che ancora una volta non passava dal santuario (che abbiamo avvicinato a non meno di 500 metri solo nella parte finale), ma si snodava addirittura in direzione opposta, a sud verso verso Carpi, seguendo l’argine del canale Lama di San Marino fino alla centrale e al ponte della Pratazzola, dove si passava il canale per ripercorrerlo nell’altro senso, verso nord, incluso un breve passaggio per un boschetto, riservato a quelli del percorso lungo (quantificato in 8 km, in realtà 7,200; gli altri percorsi erano dati di 4 e 6,8 km).

In questo timido segno di ripresa, quasi tre mesi dopo l’altro squillo lanciato, da queste parti, al Club Giardino, ci si è consolati rivedendo tanti amici che la lunga parentesi virale sembrava aver confinato ciascuno a casa propria: così alle iscrizioni Giorgio Diazzi (che ha riconfermato la promessa fattami vari anni fa, che “quando rifaremo la maratona di Carpi sarai il primo a saperlo” – se avrò ancora vita, aggiungo!) e Gamba ed legn Danilo Sala, grandissimo fondista ai tempi belli, e che rimane l’unico albergatore a San Marino in onore alla moglie Lina, che però la dasvin d'Alvree. Abbiamo rievocato quella cena a base di rane e pescegatto, sia in umido sia fritto, che sarebbe ora di ripetere, magari con la Marisella e con l’Ilva da Fossoli, che abbiamo ritrovato per strada, insieme a Sergio, a Salardi e agli altri carpigiani che sono accorsi in queste contrade, riportandovi una vita che mancava da tanto.

Presente anche il collega Giuliano Macchitelli, di Modenacorre, col “suo” fotografo Italo Spina, i cui scatti si sono aggiunti a quelli di Nerino Carri, che ha fatto tutto il giro in compagnia di Paolo Giaroli "il cugino". In tutti c’era la speranza che la fine estate porti un po’ più di regolarità in queste iniziative, come il calendario di settembre comincia a lasciar trasparire.

22 agosto –Anche quest’anno, come nel 2020, la “5 Passi in Val Carlina”, competitiva e non competitiva, era stata da tempo annullata, come capitato a quasi tutte le altre corse sotto l’egida del coordinamento bolognese. Ma come l’anno scorso, Federico Pasquali, organizzatore da anni della gara intitolata al papà Giorgio, ha tenuto duro ed ha invitato chi voleva a presentarsi in piazza a Lizzano per i soliti due percorsi, di 9 e 17 km circa (quello lungo era stato leggermente limato nella parte finale, evitando il centro di Vidiciatico con l’attraversamento di un parchetto pubblico).
Questa cocciutaggine a fin di bene mi è sembrata anche un estremo tributo ad Angelo Pareschi (già presidente del Coordinamento di Bologna, e di cui questo sabato si sono tenute le esequie), che, anche da ex, privato cittadino osteggiato dalla nuova dirigenza “per danno d’immagine” (ma come si fa a danneggiare l’immagine di un buco nero?), durante l’ultimo anno e mezzo si era adoperato per garantire un minimo di attività ludico-motoria ai compatrioti: e la presenza di Claudio Bernagozzi tra gli organizzatori di Lizzano è un tratto d’unione tra chi ci ha lasciato e chi continua. Da notare che, a parte una non competitiva agli estremi limiti della provincia di Piacenza, questa di Lizzano era l’unica corsa del week end in tutta la regione Emilia-Romagna.
La partecipazione non è stata ovviamente rilevante: l’iscrizione era ad offerta libera da devolvere in beneficenza, e dava addirittura diritto a un pacco gara oltre che al sorteggio di premi a sorpresa. Si partiva in una finestra tra le 8.30 e le 9, ma anche prima c’era chi aveva preso il via, confidando nell’egregia segnatura del percorso che non ha mai suscitato dubbi anche in mancanza di sbandieratori in qualche punto cruciale (personalmente ne ho incontrati due, ma anche dove non c’erano esseri umani, le frecce arancioni sull’asfalto e i vistosi cartelloni appesi agli alberi erano chiarissimi).
Il percorso lungo, dal dislivello di circa 450 metri in su e in giù (dai 630 di Lizzano al punto più alto di La Cà, 930 metri tra i km 11 e 13), era equamente diviso tra asfalto e sterrato, col decimo km su un’autentica mulattiera (questa, ben difficilmente corribile ma esteticamente molto gradevole) che risaliva dal laghetto del Dardagna a Poggiol Forato. Da lì si riprendeva la strada asfaltata (a parte un ulteriore km su sentiero) che in senso antiorario sfiorava appunto Vidiciatico raggiungendo infine Lizzano attraverso la frescura di un bosco compreso nel Parco Corno alle Scale e frequentato da tanti camminatori.
Non erano previsti ristori, ma eravamo stati allertati sulla presenza ai lati del tracciato di numerose fontanelle pubbliche (ne ho contate almeno 5, oltre a quella monumentale nella piazza di partenza/arrivo) da cui sgorga un’acqua freschissima e ricercata dai tanti ‘civili’ che vanno lì a rifornire bottiglie e taniche. La stessa acqua freschissima che nei ristoranti locali è messa in tavola gratuitamente, con giusta nonchalance verso le minerali in bottiglia.
Dice un proverbio bolognese (e largamente diffuso anche altrove) Bisaggna tor quall ch’ Dio manda: speriamo che l’anno prossimo, il buon Dio e degli amministratori più avveduti ci restituiscano la pratica sportiva “come Dio comanda”.

19 agosto – Se ne è andato Angelo Pareschi, una delle figure più fattive ed umane del podismo bolognese, che fino al 2015 aveva guidato come presidente del Coordinamento podistico provinciale. Non era vecchio (74 anni non ancora compiuti), ma il cuore, che già l’aveva fatto tribolare negli ultimi tempi, l’ha tradito in maniera definitiva.

In campo nazionale credo che fosse conosciuto soprattutto come organizzatore (insieme all’amico, quasi un fratello, Claudio Bernagozzi) della Bologna-Zocca, la classica 50 km della Sagra di Bologna, che dal 2010 aveva fatto rinascere come Bologna-Savigno, senza deporre del tutto le speranze di riportarla, un giorno, al percorso originale.
Nel frattempo, in questo travagliato biennio nel quale il Coordinamento ufficiale sembrava liquefatto, si era dato da fare per consentire agli appassionati delle non competitive di muovere le gambe, in allegria e in totale sicurezza. Eravamo stati con lui, nella sua patria di Castello d’Argile, l’11 ottobre scorso, per una camminata di cui restano le foto di Teida Seghedoni

http://podisti.net/index.php/component/k2/item/6580-11-10-2020-castello-d-argile-bo-camminata-so-e-zo-par-l-erzen.html

dove Angelo appare nelle foto 29 e 30, insieme a Bernagozzi nelle foto 1, 300-302.
Una di queste immagini appare anche nella foto-copertina della cronaca

http://podisti.net/index.php/cronache/item/6585-castello-d-argile-bo-camminata-so-e-zo-par-l-erzen-riparte-anche-bologna.html

che ovviamente si occupava anche di chi aveva così ben organizzato:

…si è tornati a correre ufficialmente, nel pieno rispetto (addirittura eccessivo) delle norme: preiscrizione obbligatoria fino a due giorni prima, autocertificazione da lasciare agli organizzatori, misurazione della febbre dopo di che non puoi più uscire dal recinto, niente spogliatoi, pettorale numerato da tenere addosso (lontano ricordo del podismo non competitivo di 40 anni fa), tariffa calmierata di 2 euro di fronte a un pacco gara comprendente bottiglietta d’acqua e sacchetto di biscotti che è consegnato solo all’arrivo, con preghiera poi di allontanarsi velocemente verso casa o le proprie auto. Il tutto sotto la regia di due amici di Alessio Guidi, anzi quasi due “anime nere” per usare il linguaggio di un plurisqualificato fautore del fine-pena-mai: Angelo Pareschi, a lungo presidente del Coordinamento bolognese, che per una volta si distoglie dalla nuova attività di dirigente delle “5,30” tornando nei suoi luoghi d’origine; e Claudio Bernagozzi, già accomunati nella leggendaria Bologna-Zocca il cui nome tornava sul volantino d’oggi (e vedeteli meglio nelle foto iniziali di Teida, poi nella 300).

Dopo questa gara e i nuovi lockdown, Pareschi e Bernagozzi avevano fatto ripartire di nuovo le camminate, quasi sempre con epicentro nella stessa zona: abbiamo notizia di tre raduni nella vicina Argelato del 16, 23 e 30 maggio, e di altri a Volta Reno, il 6 giugno, seguito il 13 da una “Passeggiata ecologica lungo il fiume” di nuovo a Castello d’Argile, con oltre 250 partecipanti; e ancora a Volta Reno domenica scorsa. Stava lavorando per nuovi raduni ad Anzola, Argelato e Lovoleto.

Dall’avviso di una di queste gare traggo le parole finali, firmate da Pareschi:

 “Non è richiesta quota di iscrizione ma si potrà volontariamente effettuare una donazione a favore dei bambini della Bielorussia.
Abbiamo tutti bisogno di ritornare a camminare in allegria ed in compagnia. Se ognuno farà la sua parte, faremo il bene di tutti”.

Perché aldilà dell’attività di organizzatore e coordinatore, Angelo si era speso fin dall’inizio per le vittime di Chernobyl: allestendo campi di lavoro là, e favorendo i soggiorni in terra bolognese dei bambini. Una volta mi raccontò, nel suo divertente eloquio con frequenti interiezioni bolognesi, di come era riuscito a farsi dare l’intera cucina (fornelli, pentolame ecc.) che un ospedale bolognese stava buttando, e a portarla di persona, su uno o più camion, all’ospedale (mi pare) di Pinsk.

Il funerale si svolgerà questo sabato 21, con l’estremo saluto nella camera ardente dell’ospedale di Bentivoglio (alle 9,30) e la messa funebre nella chiesa parrocchiale di Castello d’Argile: lì dove partiva una bellissima maratonina primaverile, con passaggio davanti alla monumentale chiesa di Mascarino dove la banda suonava, e al cui arrivo, in un fresco parco, trovavamo le torte preparate dalle signore argilesi.

La memoria di Angelo Pareschi si somma a quella di altri Grandi Vecchi, bolognesi ‘ariosi’, che ci hanno lasciato: l’ingegner Antonino Morisi, persicetano, già da tanto tempo ma senza che la sua figura sbiadisca; e il maestro Romano Montaguti, di origini collinari ma residente a Calderara, scomparso a 87 anni nello scorso febbraio.

In ricordo loro, e soprattutto di Angelo, domenica prossima a Lizzano in Belvedere si svolgerà, sotto forma di raduno spontaneo, un allenamento in montagna, con partenza dalle 8,30 alle 9, sullo stesso tracciato dei “Cinque passi in val Carlina”: gara ufficialmente annullata, ma che si terrà esattamente come l’abbiamo raccontata l’anno scorso

http://podisti.net/index.php/cronache/item/6418-lizzano-in-belvedere-bo-una-5-passi-in-val-carlina-dal-formato-libero.html

Con un motivo in più per esserci.

A tenere viva l’attenzione sulla 18^ edizione delle quattro serate cilentane, appena conclusa, arrivano ora le foto di Giuseppe Beneduce, compagno di squadra, nella CarMax Camaldolese, dei due primi arrivati (il primo assoluto, col numero 1, compare con l’autore nella foto 61), e lui stesso atleta di valore: 21° in generale, sesto degli M 40 (ma premiato come terzo di categoria dopo l'esclusione degli assoluti): lo vedete in varie immagini del suo album, dalla 29 e dalla 61 in poi, fino alla tenera posa della 184. https://podistinet.zenfolio.com/p246637757 

Le foto documentano esaurientemente, se vedo bene, tre delle 4 tappe: nelle prime settanta circa vediamo il ritrovo e le formalità iniziali nel paese di Piano di Vetrale, poi pochi scatti fuggitivi nella seconda tappa di Prignano; più oltre, dalla 77 in avanti, l’incanto panoramico di Trentinara seguito dall’arrivo a Capaccio (foto 121 e seguenti); e infine, dalla 143 in poi, le immagini dell’ultima tappa ad Aquara, con relative premiazioni e festa finale.

Molti dei protagonisti si potranno riconoscere: segnalo, nella foto 9 l’incontro con la coppia più celebre dell’insieme, i barlettani Gargano/Rizzitelli, e nella 36 il tenero atteggiamento dell’altra coppia Carolina Auricchio/ Gaetano Manzo; nelle foto 17-18, uno dei più giovani tra i compagni di squadra di Beneduce, Riccardo Forlenza 18° assoluto; nella 21 e 26, il saluto con gli amici-rivali dello Sporting Calore, Carmine Babbone ed Enzo Cavallo.

Dalla foto 29 comincia ad apparire una intrigante foto di Monica Alfano, terza assoluta, che ritroveremo nella 126 dopo l’arrivo della terza tappa a Capaccio. Intanto, gli scatti 38-43 documentano gli ultimi istanti prima del rompete le righe della prima tappa, e la foto 49 mostra l’arrivo allo stesso Piano di Vetrale di Rosario Pingaro.

Nella foto di gruppo 74, prima della partenza, spiccano Rosalia Pepe (pett. 61) e Rosmary Antico (pett. 55), che sarà seconda alla fine e reincontreremo nelle foto 123 dopo l’arrivo a Capaccio, e di nuovo alla 164 per la conclusione.

La terrazza di Trentinara, col meraviglioso panorama dai monti al mare, si accaparra un gran numero di foto di gruppo dalla 77 in avanti: nella 93 (come poi nella 154) spicca l’altra compagna di squadra Angela Abrunzo. La terrazza dei baci, nelle foto 101-105, è al momento popolata solo di uomini; le graziose signore sono altrove, come Anna Katia Di Sessa (foto 115) o Daniela Capo (foto 144) o Maria Bruno (154).

Ogni tanto si fa vedere l’indaffaratissimo presidente Funicello (foto 111, 150), altrimenti sempre impegnato a gestire ristori o trasportare coppe e magliette-premio. Dalla foto 143 ci siamo spostati ad Aquara, gara in diretta tv (l’operatore è nella 146). Alla fine è festa generale, coi gruppi uniti davanti allo scatto (173-174 ecc.), le premiazioni generose e le fette di anguria distribuite all’uscita, dove l’autore delle foto è piacevolmente atteso (184).
Le scarpe consumate possono appendersi all’albero che ha già dato i suoi frutti: per il Cilento 2022 ce ne saranno altre.

Vedi anche: http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7564-copione-rispettato-alla-transmarathon-e-festa-generale-per-178.html

 

CLASSIFICA FINALE - 14 agosto – Nemmeno l’ultima tappa di Aquara, altra località di mezza montagna tra le cime e il mare di Paestum (e proclamatasi “città del vino”, malgrado il nome), ha cambiato gli esiti delle prime tre piazze maschili e femminili, chiaramente indicati fin dalla prima giornata. Basta ricopiare gli ordini d’arrivo delle altre giornate, cambiando solo i tempi, e l’ordine dei fattori quasi non cambia, così come le foto 22 e 31 del servizio assemblato da Roberto Mandelli).

A conti fatti, qualche piccolo sconvolgimento per le posizioni di rincalzo era stato registrato nella penultima tappa, la vertiginosa discesa, in parte trail, da Trentinara a Capaccio: nel mio risibile cimento per l’86° posto complessivo (!), ho dovuto soccombere per due minuti e mezzo al più settentrionale del lotto, Enrico Pantano da Saronno, che ha costruito il suo successo rifilandomi 3’16” in quella terza tappa, perdendo solo spiccioli nelle altre puntate (1 minuto e 40” in questa ultima). Meno male che nella lotta per il secondo posto di categoria, il mio concorrente, che nelle stesso discesone mi aveva affibbiato due minuti e mezzo, oggi che c'erano salite toste ha scatenato un attacco che si è esaurito al km 2, dopo di che... 2 sono stati i minuti di differenza a mio favore sotto lo striscione: degno commiato delle vecchie Kalenji Kiprun del 2017, dopo 10 maratone (due su percorsi trail), due ultra e altra robetta del genere.

Gara diversa dalle altre, e addirittura seguita in diretta tv, con tanto di elicottero-ponte, da un pool di tv locali (Lira TV: dovrebbe essere possibile recuperare via web la trasmissione su cui vedi foto 49): un circuito su tre giri, il primo dei quali diverso e più duro contemplando una salita fino al vecchio centro storico a 534 metri d’altezza, e gli altri due più abbordabili, con discese brevi e violente, ma salite dolci, con gli ultimi 400 metri quasi in piano, buoni per lo sprint. Lunghezza appena superiore agli 8 km, dislivello di 285 metri, dunque il più elevato dei quattro turni.

Ma fin dal primo giro il capofila solito, Giorgio Mario Nigro, transitava sotto il traguardo con netto vantaggio su un pool di 5-6 inseguitori, che successivamente si frazioneranno, materializzando alla fine il solito ordine d’arrivo: 1. Nigro in 30:30; 2. Vitolo a 32”; 3. Kamel a 1:25”.

Identico è il risultato finale del Giro: 1. Nigro in 2.10:37 (stando al mio Gps, i km complessivi sono risultati 37, con quasi mille metri di dislivello); 2. Vitolo a 2:24; 3. Kamel a 5:03.

Mini-sorpresa nella gara femminile, non per il successo della romena-romagnola Ana Nanu, 19^ assoluta in 37:32, ma per la piazza d’onore arrisa questa volta alla terza di sempre, l’amalfitana Monica Alfano, che ha preso solo 58” dalla prima, rifilando a sua volta più di un minuto all’eterna seconda, ma oggi terza, la cilentana Rosmary Antico.
Vantaggio però insufficiente a colmare il distacco in classifica generale, che dunque ripropone il solito ordine, con tre F 45 ai primi tre posti (foto 124): 1^ Nanu 2.38:57; 2^ Antico a 9:07, 3^ Alfano a soli 24” dalla seconda. Anche qui, risultano decisivi i 26 secondi che la Antico aveva inflitto alla collega nel discesone-trail di Capaccio.

Piccoli scambi di posizione nella varie classifiche di categoria (s’intende, non in quelle a partecipante unico), premiate secondo prassi all’imbrunire, in una piazzetta finalmente gremita, dal sindaco del luogo (foto 39-42), col capataz Funicello a predisporre le maglie di campione (spettacolare la vestizione in scena di Miss Sara Cetrangolo, prima F 40, foto 46) e Brighenti a telecomandare tutti i movimenti; mentre a bordo ring stazionava pronto a ogni evenienza l’altro masterchef capaccese (guai a dirlo capaccino altrimenti si rischia nu capaccione) Valentino Ristallo, che ha sempre collaudato i percorsi dal di dentro, giungendo alla fine 80° e quarto della sua categoria, appena dietro a Mister Nanu, alias Solerte Righini (foto 43-44), che si è accaparrato il cosiddetto ultimo gradino del podio.

In totale, i classificati a giri pieni, cioè dopo aver partecipato a tutte le tappe, sono 96; ma dietro di loro la graduatoria colloca, con penalità prestabilite, anche quanti hanno saltato una o più tappe. Con loro, si arriva al rispettabile numero di 178, non male viste le difficoltà dell’epoca.

Nel dopo gara, tra una fetta e l’altra delle angurie (o melloni d’acqua) offerte come ristoro finale, ho percepito soprattutto allegria ed entusiasmo, e – giuro – nessunissimo mugugno su questo o quel dettaglio. Gli unici accidenti erano indirizzati a Google Maps, che per Aquara suggeriva uno strano itinerario per stradacce d’infima categoria, mentre sarebbe stato così semplice prendere la statale per Roccadaspide, e da lì, nel ritorno, a Paestum dove Massimo Ranieri, monumento tra i monumenti, stava per cominciare il suo rituale concerto (ad Agropoli invece ci accontentiamo di Michele Pecora).
Il giorno che Google Maps ci dirà di buttarci giù, come i lemming o le pecore di Dindenault, dalla rupe di Trentinara, scommetto che qualcuno lo farà: ma non se la prenda col professor Funicello (foto 11-12), che ben si merita la scritta apparsa nella foto 13.

 CLASSIFICA FINALE

CLASSIFI DOPO LA 3^ TAPPA - 13 agosto – Anche la terza tappa della Transmarathon cilentana, da Trentinara a Capaccio, ha ripetuto per le prime tre piazze gli stessi ordini d’arrivo delle prime due, consolidando dunque le classifiche cui l’ultima tappa, la più breve, difficilmente porterà modifiche. Ma nella terra di Zenone, il grande filosofo della vicina Elea/Velia secondo cui era logicamente impossibile che Achille raggiungesse una tartaruga o un atleta arrivasse in fondo allo stadio (paradossi cui nemmeno Aristotele seppe rispondere in maniera convincente), rimane sempre l’ipotesi teorica che  qualcosa di rivoluzionario possa accadere.

Intanto però, dopo il giorno di riposo, il terzo appuntamento è stato l’unico con gara in linea: gli atleti sono stati portati dai pulmini dell’organizzazione a Trentinara, 600 metri sul mare, con una spettacolosa vista sulla costiera attorno a Paestum. Se è molto dubbia la vulgata secondo cui il nome discenderebbe dai “tre denari” di paga dei soldati romani qui di stanza, è un fatto che Trentinara si presenta come il paese dell’amore, con una via ad esso intitolata, che attraverso una serie di epigrafi con poesie e disegni amorosi mena a una rupe da cui due innamorati illegali si sarebbero buttati nella notte dei tempi, e dove secondo un cartello stradale sarebbe obbligatorio baciarsi.

Operazione problematica per i podisti almeno nei primi rituali 500 metri con obbligo di mascherina, e anche successivamente sconsigliata causa la ‘delicatezza’ del tracciato, che per circa 2500 metri si svolgeva su un tratturo sassoso in leggera discesa, con l’obbligo di guardare bene dove si mettevano i piedi…

Il giro è probabilmente il più bello dei tre finora sperimentati, con spettacolari visioni sulle rupi che si gettano in mare verso sinistra, e una salutare immersione nel bosco che scende da destra durante il tratto-trail. Partenza come al solito ritardata di mezz’ora causa calura; due ristori di acqua, la prima decisamente calduccia, la seconda, personalmente gestita dal presidente Funicello, fin troppo deliziosamente fresca.

L’altimetria dice 60 metri di salita e 275 di discesa, più accentuata negli ultimi 3 km quando si va in picchiata su Capaccio-capoluogo, ma con un’ultima asperità a un km dalla fine quando si attraversa l’area di un convento francescano alla cui soglia il fraticello benedice noi che passiamo anfananti.

Mentre il sole si avvia al consueto spettacolare tuffo in mare, e si stanno per accendere le luci della costa, arrivano nell’ordine i soliti: la “maglia bianca” del capofila assoluto Nigro in 32:48, un minuto abbondante sul compagno di squadre ed eterno secondo Vitolo (ora distanziato di 1’52”) che precede di poco il terzo, Hallag Camel (un M 50, a 3’38” in generale)

Dopo qualche minuto arrivano le donne da podio, come al solito precedute da Ana Nanu che in 40’01”senza problemi regola le – per dir così - damigelle Antico (ora a 7 minuti complessivi) e Alfano.

Bella e gradita sorpresa, il ristoro gestito dalle donne di Capaccio: torte casalinghe (tipica quella di fichi), banane e uva, oltre ad abbondanza di bevande.

Confortati da quelle, seguiamo nell’aria che si annera le premiazioni generali e di categoria condotte con verve incessante da Roberto Brighenti, e qualche ammiccamento a Valentino Ristallo enfant du pays - maestro cerimoniere generale.

Questo sabato, con partenza dichiarata ufficialmente per le 18,40 causa ripresa diretta tv, si chiude con l’ultima tappa, 8 km in circuito ad Aquara, 500 metri di altezza alle pendici dei monti Alburni: nelle giornate limpide dicono che si veda l’isola di Capri. Se Zenone non  interviene con qualcuna delle sue frecce eleati, è certo che vedremo una doppia N (Nigro e Nanu) incisa a lettere cubitali nell’albo di questa 18^ Transmarathon.


CLASSIFI DOPO LA 3^ TAPPA

CLASSIFICA DOPO LA 2^ TAPPA
11 agosto – La seconda tappa del giro a tappe “Transmarathon” aveva un tracciato simile alla prima, ma - se si può dire così – a parti invertite. La partenza-arrivo erano a Prignano Cilento, località sulle colline a sudest di Agropoli, quota 420 con una bella vista sul mare: in mezzo ci stava la discesa a Ogliastro, quota 350, lungo la vecchia statale 18 “Tirrena inferiore” (che arriverebbe fino alla punta dello Stivale ma sembra ormai abbandonata salvo il traffico locale), per poi risalire fino a Prignano attraverso una provinciale con qualche tratto duretto specie ai km 7-9 (lunghezza complessiva dichiarata di 9,900, dislivello secondo i Gps circa 160 metri).

Gli ordini d’arrivo hanno ricopiato fedelmente quelli di ieri, almeno per le prime due posizioni: ha rivinto Giorgio Mario Nigro in 34:15, più nettamente di ieri su Giovanni Vitolo (34:45), dunque incrementando il vantaggio nella classifica generale.
Mentre fra le donne Ana Nanu (che come sua abitudine si sposta in camper tra le varie località di tappa) ha aggiunto altre foglie ‘pesantissime’ (come piace dire ai cronisti à la page) alla corona d’alloro che certamente la incoronerà sabato, rivincendo in 42:08: tempo non eccelso, direi di amministrazione del vantaggio, ma che le ha regalato quasi due minuti ulteriori sulla seconda di ieri e di oggi, Rosmary Antico (43:55).

Anche oggi la partenza è stata posticipata di mezz’ora con la giustificazione della calura, che in realtà questo mercoledì (giornata parzialmente nuvolosa) si faceva sentire un po’ meno di ieri, venendo mitigata da una discreta brezza. Perfino le bottiglie dei ristori (due, come ieri; il secondo gestito in prima persona dal general manager Roberto Funicello) erano più fresche del primo giorno.

Strade totalmente chiuse al traffico, con qualche partecipazione del pubblico “presente e non pagante”, come l’ha definito il puntuale speaker Brighenti: per quanto abbia percepito io, al km 7 (l’inizio dell’ascesa più dura, all’uscita da Ogliastro) due spettatori ci incoraggiavano con “dai, mancano solo 3 km!” salvo ridacchiare tra loro, a voce più bassa: “tutti di salita”.

Premiazioni abbastanza celeri, anche stavolta officiate dal sindaco del paese, per i primi tre assoluti e il primo di ogni categoria: tra le donne, piace segnalare i primati della bionda longilinea Maria Bruno tra le SF (cioè la categoria under 35) e di Angela Gargano tra le F 60 (in realtà, età ‘millesimata’ ma non ancora compiuta anagraficamente).

L’aria imbruniva in questa terrazza col mare da un lato e i monti più alti del Cilento (1300-1400 metri) dall’altro lato; noi si discendeva alla base, mentre sul litorale continuavano per ore e ore i fuochi artificiali in onore della Madonna delle Grazie.

Domani riposo, e occasione per visite turistiche (fatti salvi i ‘professionisti’, che non mancheranno di allenarsi) o bagni di mare, in queste acque la cui purezza è garantita dal proliferare dell’alga Posidonia (il nome greco di Paestum).

Si ricomincia venerdì, con l’unica tappa in linea della serie, 10 km che secondo il programma iniziale dovevano partire dal santuario della Madonna del Granato (il melograno che la Madonna teneva in mano in una apparizione ormai millenaria), fino a Capaccio (terra natale del summenzionato Valentino Ristallo, agropolitano o agropolese solo lato sensu); e invece saranno dalla pittoresca cittadina di Trentinara, "la terrazza del Cilento", per una distanza analoga fino a Capaccio, con prevalenza di discesa.
È probabile che venerdì sera avremo per i primi posti classifiche quasi definitive, che l’ultima tappa di 8 km potrà solo ritoccare.

CLASSIFICA DOPO LA 2^ TAPPA

Mercoledì, 11 Agosto 2021 10:38

Cominciato il giro a tappe del Cilento

10 Agosto - Dopo la pausa forzata del 2020, è ripartita la “Transmarathon”, ovvero il giro in 4 tappe del Cilento e Vallo del Diano, organizzato dalla Libertas Agropoli e in prima persona da Roberto Funicello, che si avvale di una collaudata schiera di collaboratori grazie a cui durante l’anno si svolgono altre qualificate competizioni: la mezza maratona Città di Agropoli, gara di rilievo nazionale; l’altra mezza Agropoli-Paestum, la Maratona dei Templi alias Paestum Marathon (7 novembre) e la 50 km dal profondo valore storico, Paestum-Velia.

È il momento del giro a tappe, della lunghezza di circa 10 km ciascuna, generalmente sulle colline: questo martedì si è cominciato da Piano Vetrale, graziosissimo paesino a 575 metri di quota, famoso per i murales che ne ingentiliscono centro e periferia raccontando le storie della sua gente: dalla coltivazione delle piante aromatiche e medicinali alla dolorosa emigrazione e, a volte, al rientro dopo qualche anno, magari della “francesina” che ricompare con una bimbetta “matta come lei”, per la nostalgia della “parmigiana” (suppongo, di melanzane).

Ebbene, a Piano Vetrale si è svolta la regolarizzazione delle ultime iscrizioni, la distribuzione di pettorali e pacchi gara, e infine la partenza, con mezz’ora di ritardo per mitigare il gran caldo. Il percorso, quantificato in 9,5 km, congiungeva la frazione col suo capoluogo-rivale, Orria, circa 80 metri più su, attraversato prima di scendere nuovamente al punto di partenza accumulando in tutto circa 200 metri di dislivello complessivo. Obbligo di mascherina in partenza e subito dopo l’arrivo, due ristori con bottigliette d’acqua ai km 4 e 7, percorso chiuso al traffico.

Sono stati classificati 128 competitivi, regolati da Giorgio Mario Nigro che ha chiuso in 33:03, appena 10” su Giovanni Vitolo. Non c’è stata storia tra le donne, una ventina, dove una consumata cacciatrice di scalpi come Ana Nanu (rumena naturalizzata romagnola e sposa del supermaratoneta Solerte Righini) ha vinto in 39:15, con tre minuti abbondanti sulla seconda Rosmary Antico.

Cronometraggio manuale con supporto informatico, che ha consentito poco dopo l’arrivo degli ultimi di procedere alle premiazioni, assolute e di categoria, con l’anteprima della consegna di una targa-ricordo a due partecipanti tra i più celebri in campo nazionale: la coppia barlettana Michele Rizzitelli e Angela Gargano, che meno di un anno fa (alla maratona di Pescara, cui eravamo presenti) hanno raggiunto il numero di 1000 maratone concluse ciascuno. I due sposi non hanno intenzione di smettere, e infatti sono reduci da una serie di maratone “consecutive” a Curinga (CZ).

Su questa e le successive premiazioni, svoltesi nella suggestiva piazzetta antistante la chiesa di Piano alla presenza del sindaco locale, ha presieduto il principe degli speaker podistici, il modenese Roberto Brighenti, qui giunto grazie all’amicizia col plenipotenziario agropolitano per il Nord Italia, Valentino Ristallo.

Mercoledì 11 la seconda tappa, 10 km con sede a Prignano (una quindicina di km a monte di Agropoli). Seguirà il riposo di giovedì, per concludere con le tappe di venerdì 13, dal santuario della Madonna del Granato a Capaccio, e l’ultima di sabato 14 ad Aquara, terra natale di San Lucido a 500 metri di quota.

Sono possibili anche iscrizioni per le singole tappe, telefonando a 368 977950, E-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

7 agosto – Nel settimo anniversario della scomparsa di Giancarlo Corà, fondatore e rifondatore (1993-2003) della società Corriferrara, già inventore della maratonina di Ferrara (la cui prossima edizione si svolgerà il 26 del mese prossimo) e della Diecimiglia, e resuscitatore nel marzo 2011 della maratona della sua città (qui sotto riporto uno stralcio dal mio commento di allora), il figlio Massimo e tutto il suo gruppo sportivo hanno riportato in vita, in questa fase di Covid sperabilmente calante, anche il trail del Castello di Mesola, ideato nel 2017 su una distanza inizialmente quantificata in 25 km. In un angolo della maglietta-omaggio sta scritto “Da allora tra le stelle corri con noi!”.
Questa volta le distanze ufficiali erano di 21 e 10 km per le due gare competitive (cui si aggiungeva una 10 km ludico-motoria): in realtà, i nostri Gps hanno indicato distanze tra i 22,7 e i 23,5, con un dislivello di circa 90 metri, che sembrerebbe difficile in un’area che sta in parte sotto il livello del mare, eppure è stato realizzato, soprattutto con le salite e discese lungo l’argine del Po nei primi 8 e negli ultimi 2 km. Il numero di iscritti era stato limitato, per prudenza, a 350 (150 ciascuno nelle due competitive, più 50 camminatori), e già una settimana prima dell’evento le liste erano state completate.
Ci si è poi messa di mezzo l’ “invenzione” del green-pass (nome barbaro, che nessun paese estero usa: ma noi se vò ffò l’americani der Kansas City), che sebbene ridimensionata dalla solita arte del compromesso (a pranzo su un lido ferrarese, poche ore prima, nessuno mi ha chiesto niente), era stata introdotta nel regolamento, causando la presumibile rinuncia di molti iscritti: sta di fatto che la classifica finale annovera 127 arrivati per il giro corto e solo 96 per il lungo; sebbene in quest’ultimo i partenti fossero una ventina in più, finiti poi nei ritirati anche per l’urgere del tmax fissato in 3 ore. Da aggiungere poi la schiera dei non competitivi.
Garantisco comunque che, all’ingresso nella bellissima piazza del Castello di Mesola, sotto l’argine del Po di Goro, i controlli sono stati scrupolosi (foto 22; il collega podista che mi precedeva nella fila ha avuto problemi, perché il suo cellulare aveva il vetro spaccato non permettendo allo scanner del controllo di leggerlo bene); dopo dei quali, e della misurazione della temperatura (questa, operazione davvero inutile, capace di far sfuggire gli asintomatici e invece di bloccare chi ha la febbre per un ascesso dentale), ci hanno avvolto attorno al polso un braccialetto cartaceo, che a nessuno è sembrato imitare la stella di Davide. Signori no-tutto, quando all’ingresso in certi musei, dopo che avete pagato, vi appiccicano alla giacca un adesivo di libera circolazione, vi sentite davvero degli ebrei perseguitati?
Dopo la benedizione del sindaco e del parroco, partenze in mascherina (chi ce l’ha, chi no, chi se la toglie subito: quando vedo che non l’ha quasi più nessuno, dopo 250 metri me la metto anch’io al braccio), differenziate di un quarto d’ora tra i due percorsi. In teoria ci sarebbe una minima dotazione obbligatoria per chi fa il lungo, ma non tutti abbiamo uno zainetto o marsupio per contenere gli attrezzi (il mezzo litro d’acqua sembra richiesta eccessiva, a fronte dei 4 ristori con acqua, talora anche tè e succhi, disposti lungo il percorso).
La gara breve è vinta da una vecchia conoscenza di queste parti, Rudy Magagnoli, in 37:07 con 40 secondi di vantaggio sull’altro ferrarese Mattia Bergossi (totale 96 uomini arrivati). Molto più lento il ritmo delle 31 donne, regolato da Francesca Moscardo in 47:09, due minuti sulla seconda Alice Munerato.
La vincitrice appartiene al GR Taglio di Po, località che nella storia si è rivelata fatale a Mesola: che quando fu fondata, a fine Cinquecento, era un’isola, avamposto sul golfo di Goro e Volano dove sorgevano i porti dello stato estense; se non che all’inizio del Seicento, quando il papa estorse Ferrara agli Estensi, i veneziani si vendicarono deviando il Po appunto nella località che fu chiamata “Taglio”, e mandando il fiume (foto 11, 15) con tutti i suoi detriti a ostruire i porti ferraresi, salvando però la laguna di Venezia (dove adesso, nel loro stile-piangina, piangono per l’acqua alta). Risultato, il Delta si espanse nella maniera che vediamo oggi dalle carte geografiche, creando un’infinità di paludi malsane da cui solo le grandi bonifiche tra Otto e Novecento (ben visibili durante il giro lungo) ci hanno salvato, favorendo il proliferare dei cervi e delle zecche loro ospiti abituali (una ha provato a mordere sul collo pure me, ma ha cambiato idea presto).
Più del doppio di tempo hanno impiegato i protagonisti dei 21 o meglio 23, che per almeno 7 km si svolgevano dentro il Boscone della Mesola, su sentieri e carrarecce, spesso con l’insidia delle radici emergenti (e con un clima che, all’interno del bosco di latifoglie, era ancora più pesante che nei tratti all’aria aperta). Ha vinto Giuseppe Del Priore dell’Edera Forlì in 1.23:55, con due minuti abbondanti sul “figlio d’arte” Fulvio Favaron tesserato Zola Predosa, e 8 minuti sul terzo, l’altro bolognese Christian Dall’Olio. Le 14 donne superstiti sono state regolate da una ferrarese ‘ariosa’, Elena Agnoletto da Formignana in 1.44:01, tre minuti su Giorgia Bonci da Russi, e addirittura nove sulla terza, Federica De Caria.
Sentiero ben segnato, e come detto da Corà in partenza, “nel dubbio tirate dritto”: sufficiente la presenza di addetti, con spade luminose nel finale, agli incroci più dubbi. Una sola perplessità ha attanagliato per pochi attimi il sottoscritto e la coppia di triatleti varesini che stavano con me, al km 17 dopo il suggestivo passaggio dalla torre di S. Giustina della foto 16: tirare dritto lungo il canale o tenere la sinistra seguendo certe lucine accese? La soluzione (suggerita dall’ultimo sbandieratore) era tirare dritto, poi tenere la destra a tutti gli incroci, rimanendo insomma sull’argine del canale, a battagliare con le zanzare fino alla risalita finale sull’argine del Po, quando i Gps avevano segnato da un pezzo il km 21 e invece mancava ancora qualcosa fino al traguardo che avevamo visto prima del tramonto (foto 6-7) e ora è illuminato come nella foto 17.

All’arrivo, ci aspettano acqua e birra ghiacciata, una medaglia di legno autentica (la mia ha venti cerchi), un sacchetto ristoro e la possibilità di una modesta risciacquatina negli adiacenti bagni pubblici, aperti ancora dopo le 21 (segno di civiltà, a differenza di quanto capita nelle città insigni dove se hai un certo bisogno devi cercare un cespuglio, e le poche fontanelle pubbliche sono in genere fuori uso).
E’ stata una faticaccia, ma anche l’occasione per conoscere delle aree cosiddette (ex) depresse, come Codigoro (foto 2-3) o la spiaggia di Volano, dove eravamo stati qualche settimana fa dopo la corsa di Pomposa. D’accordo, il mare non sarà quello di Sicilia o Sardegna, ma qua almeno i boschi non bruciano, e alle 9 di sera i 25 gradi possiamo anche considerarli una temperatura accettabile. E' stato anche l'addio alle mie scarpe, ormai scarpacce, Asics gel Pulse H, comprate nel 2015 da Decathlon che me le fece pagare 50 € contro gli 88 del listino; mi hanno accompagnato in 7 maratone, compresa l'ultima New York personale del 2016, e da ultimo nelle tre maratonine autogestite per prati e boschetti corse durante il lockdown di aprile-maggio 2020. Dalla foto 23 vedete che hanno già prestato il loro servizio: deo gratias, amen.

APPENDICE. 28 MARZO 2011. Giancarlo Corà e la rinascita della Maratona di Ferrara (cronaca d’epoca)

Molto nobile l’idea dell’attivissimo Corà, e del team che organizzava la grande maratonina di Ferrara, di subentrare alla vecchia e non meno gloriosa organizzazione della maratona di Vigarano (la cui decadenza cominciò proprio col trasferimento a Ferrara), che nel 2010 aveva gettato la spugna protestando, fra l’altro, contro la concorrenza sleale di Treviso (oltre che quella, meno prevedibile, di un turno elettorale). E se è destino che Treviso intralcerà sempre una maratona emiliana (nel suo gioco di squadra, più o meno voluto, con Roma: prima vittima, temporibus illis, fu Piacenza), era tuttavia giusto che una delle culle del maratonismo italiano e una delle regioni dalla pratica podistica più elevata e popolare ritrovassero la loro maratona, apprezzata non per i coloured strapagati ma per la partecipazione di noi ‘poveri’, dilettanti puri (al limite della risparmiosità e della taccagneria).
Dieci euro per l’iscrizione fatta fin dall’anno scorso (e ricordo Corà girare appassionato per tutte le manifestazioni in regione, a raccogliere moduli compilati), 30 euro come cifra massima pagabile alla vigilia, sono quasi da record ovvero da medaglia dei servizi sociali. Tanto più che la rinuncia a una data forte come quella di metà febbraio, che radunava migliaia di appassionati per la mezza e le gare minori non competitive, potrebbe aver privato gli organizzatori di un incasso certo, a fronte di spese per la maratona che sono indubbiamente elevate. Ad esempio il controllo del traffico, rigorosissimo quasi ovunque, ha visto impiegati centinaia di addetti e decine di vigili, polizia stradale e simili: e vada ad onore del team la frasaccia che ho sentito da un fighetto su auto di lusso, bloccata sui viali di Ferrara al nostro secondo rientro, verso mezzogiorno: “Dovreste correre alle 5 di mattina!”; e la risposta fiorita sulla bocca di un podista: “Alle 5 siamo a letto con tua moglie, corriamo dopo!”. A parte che alle 5 di stamattina (se non prima) ci eravamo davvero alzati, noi delle province limitrofe, complice l’inutile ora legale (i cui vantaggi sono paragonabili ai blocchi settimanali del traffico d’inverno, cioè lo zero virgola) e la situazione dei parcheggi ferraresi, non a ridosso della partenza.
Con tutto questo, alla fine la maratona registra 644 arrivati (su circa 800 iscritti; più i 1100 della maratonina), finalmente un italiano (modenese!) al secondo posto: molti meno dei 2200 di Treviso, ma un progresso rispetto ai 500 scarsi delle ultime edizioni 2008 e 2009 della Vigarano/Ferrara; e si consideri l’altra concomitanza della vicinissima Milano Marittima-Ravenna, che ha portato via altri 300 potenziali podisti, oltre alle maratone o “lunghe” minori organizzate in altre regioni. Evitata invece, una volta tanto, la concorrenza della frequentatissima maratonina e corsa regionale di Pieve di Cento, a 30 km.

Diciamo delle tante cose belle, che rendono comunque positiva questa esperienza: intanto, Ferrara è una città tra le più belle d’Italia, e il giro pressoché completo attorno alle mura, circondate da prati dove sgambavano jogger, giovani famiglie con bimbi e cagnetti; il costeggiamento dell’antico Po di Volano, su cui passeggiarono Ariosto e Copernico; l’arrivo dentro il Castello, sono cose che restano nel cuore.

Quanto ai ristori nostri, va elogiata la distribuzione su più tavoli lungo un centinaio di metri ogni volta; un po’ meno la qualità, perché se l’acqua abbondava sempre (e andava a spreco, in bottigliette troppo grandi), e non mancava una misteriosa bevanda idrosalina (abbastanza diluita!), la frutta (mele o arance) compariva solo dal 15, con biscotti dal color di cioccolato, l’uvetta verso il finale (salvo che non me l’avessero mangiata tutta i 460 che mi hanno preceduto!), banane mai. Regolamentari gli spugnaggi, salvo che al principio le spugne erano poche, più avanti venivano pescate da vaschette con acqua stagnante e sempre più marrone, dove non osavo nemmeno intingere la mia spugna personale. Molto abbondanti peraltro gli addetti, anche con passaggio al volo delle bottigliette. Buono il ristoro finale, dove finalmente compariva il tè mancato per tutta la corsa; da notare anche l’offerta del tipico pane ferrarese, purtroppo chiamato Italian Bread nella pubblicità del principale sponsor (il cui nome domina anche la medaglia). Più che adeguato, sempre rapportando al prezzo, il pacco gara, forte di una maglia tecnica a maniche lunghe (ma oggi, coi suoi 20 gradi, era il primo giorno dell’anno che ho corso in maniche corte!), alimentari (incluso aglio tipico!) e bagno schiuma che portavano molto su il peso.

Dopo il traguardo, molti colleghi cercavano le docce che ai tempi gloriosi erano sotto tendoni militari a cento metri dal traguardo (fatto che io ho sempre portato ad esempio, contro quelle maratone opulente che risparmiano sulla doccia); in mancanza di cartelli indicatori, li ho portati alle docce pubbliche della darsena, indicate sul sito, a 5-600 metri e sottodimensionate fin dai tempi della sola maratonina (mi ricordano, un po’ in meglio, le code che si fanno a Russi). Se non altro erano comode al parcheggio, che però si pagava (sia pure la miseria di un euro).

Baragazza (BO), 1° agosto. “Signore mio, cosa hai messo insieme questo 1° agosto!”, ha esclamato Herr Bragagna dopo le due medaglie d’oro italiane (rectius: una e mezza) di questo pomeriggio. Nel mondo piccolissimo delle corse amatoriali su strada, anche sull’Appennino bolognese si è verificato un evento fuori dell’ordinario di questi due anni: una gara non competitiva, senza classifiche, senza la gherminella delle “gare nazionali”, e persino (ma diciamolo sottovoce) con le docce e quasi senza mascherine…

Sarà un caso, ma l’evento è accaduto esattamente 17 mesi dopo quel 1° marzo 2020 in cui, a Vaiano (comune confinante con Castiglione dei Pepoli, sotto la cui giurisdizione si è corso oggi), si era svolta sotto il nubifragio l’Eco del Monte Maggiore, nel giorno che tutta l’Emilia Romagna era diventata “rossa” anche in campo sanitario, col divieto della maratona di Bologna (ma per fortuna Vaiano è in Toscana dove non valevano gli editti del nerovestito assessore alla Salute emiliano). Sono passati dunque 17 mesi, durante i quali il Comitato podistico bolognese è evaporato, e non più di 3-4 gare non competitive sono state organizzate per iniziativa di singole società. Oggi si è ripreso in questa località posta alla base della salita, con relativa Via Crucis, per l’antico santuario della Madonna di Bocca di Rio, originato da apparizioni quattrocentesche e ‘benedetto’ anche, ai tempi belli, dall’arrivo di corse con partenza da Prato.

Pure la gara di questo 1° agosto passava da Bocca di Rio: il percorso corto da 7 km direttamente nel piazzale del Santuario, dove sgorga un’acqua freschissima e ricercata dagli utenti; mentre il percorso lungo, dichiarato di 18 km sebbene il mio Gps ne certifichi 15,8 con 510 metri di dislivello, sfiorava il sito intorno ai km 5 e 12, tra i quali era collocato un piacevole itinerario trail nella “Foresta delle Cottede” (foto 2-10).

Tassa d’iscrizione, i canonici 2 euro, che davano diritto a un pacco gara (due grosse piade e una bottiglietta d’acqua) più 5 ristori d’acqua sul percorso lungo. La conclamata bufera da allerta arancione ha risparmiato i nostri luoghi (tra i 627 metri della partenza e i 1050 del punto più alto, verso il km 8), regalandoci una temperatura ancora un po’ altina, fino al 27 gradi. Partenza “suggerita” alle ore 9, quando però eravamo rimasti in pochi (come testimoniano le foto 23 e 26 di Italo Spina, appositamente giunto da Sassuolo come vedete nelle foto 3 e 12); sarà difficile, dopo un anno e mezzo di partenze ‘a cronometro’ causa Covid, sradicare la consuetudine già anteriore del “partéss prémma”. Ma intanto ce la teniamo, illudendoci che basti a disperdere per l’aria il Sars-Cov-2 (che poi la notte prima, ad Argelato BO si sia svolto un rave party, ovviamente no mask e free sex&drug, dovrebbe far capire agli assessori no pod chi sono gli ‘untori’).

Gara classica, giunta alla quarantesima edizione, ben segnalata (tranne forse il paio di km più trail, su per una carraia sassosa, dove una freccetta ogni tanto ci avrebbe confortato, mentre non mi restava altro che guardare le spalle della Signora Ceci), e popolata finalmente di tanti camminatori e amatori senza bisogno di certificato agonistico. Restava l’obbligo della mascherina prima della partenza e dopo l’arrivo, e del distanziamento tra 1 e 2 metri: sagge norme, ma un po’ superate dai tempi nei quali noi podisti ci ritroviamo ormai tutti ultramaggiorenni e vaccinati. Ancora utile il tracciamento, cioè il rilascio di una dichiarazione in base alla quale dovremmo essere raggiungibili se si verificasse un caso: ma si sa che il tracciamento è stata la grande lacuna nella gestione italica dell’epidemia, che malgrado misure anche draconiane (mi torna ad apparire l’allora assessore alla salute regionale, che perfettamente vestito di nero, camicia inclusa, ogni giorno in tv digrignava “non è il tempo delle corsette, vi chiudo tutti in casa!”) ha collocato il nostro paese nelle posizioni di coda, quanto a morti e infettati, del mondo civile. E certo, non per colpa dei podisti.

Comunque il peggio è passato, sebbene il rettore del santuario di Bocca di Rio alla fine della messa (foto 13-20) racconti che un certo cardinale non potrà presenziare alle solenni celebrazioni dell’Assunta perché attualmente in missione in Albania; e siccome l’Albania non è Unione Europea, al ritorno il cardinale, seppure vaccinato e negativo ai tamponi, dovrà fare dieci giorni di quarantena (io non credo alla “dittatura sanitaria”, ma alla stupidità dei politici influenzati dai virologi da salotto credo eccome).

Un cartello appeso al portico del Santuario dice “sono più le occasioni perse di quelle sfruttate, questo è il vero peccato”. Ma aggiunge una cosa che vale anche per noi modesti podisti della domenica: “vorresti essere migliore di quanto ci è concesso di essere? Non pretendere di essere più bravo, accetta di essere quello che sei”.

Mira il tuo popolo, o bella Signora – che pien di giubilo oggi ti onora: e alla fine della gara o delle celebrazioni, dopo usufruito anche (per chi voleva) della doccia calda messa a disposizione nel luogo di ritrovo (anche questa, la prima bolognese dopo 17 mesi) ha riempito ogni tavolo dei ristoranti, dalla cucina prevalentemente toscana tra ribollita e cinghiale, in tutto il comune.

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