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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Tennessee, luglio 2024 – Finalmente, quindici anni dopo l’uscita in Italia, e dieci anni dopo che avevo trovato il libro sotto l’albero di Natale, ho fatto quello che tutti i podisti di media cultura (e molti altri) dichiarano di avere fatto da tempo: leggere L’arte di correre di Haruki (nome) Murakami (cognome), scritta in originale nel 2007 con un titolo giapponese molto diverso, e sicuramente migliore (dovrebbe essere qualcosa come “Di che parlo se parlo di corsa”), mentre il titolo europeo rischia di far confondere il libro con l’ennesimo manuale su come migliorare le proprie prestazioni, e magari un resoconto delle proprie gesta che interessano solo a chi le racconta (mi consolo vedendo che Murakami ha praticamente la mia età e i suoi crono sono stati all’incirca i miei, anzi un po’ peggiori malgrado gli allenamenti molto più qualificati, i personal trainer che ha, ecc.).

Comunque, la prima ottantina di pagine è filata via all’insegna del “tutto qui?”, con poche eccezioni: la descrizione del runner’s blues, il sentimento di ingiustizia che ti prende quando il risultato sportivo non ripaga delle fatiche della preparazione (p. 15, poi 99, e in tanti altri luoghi, così che poi diventerà quasi il filo conduttore, non solo sportivo); o il paragone di sé stesso e della nostra categoria con un cavallo da tiro più che da corsa (p. 26). 
Si incontra a tratti lo scrittore (cioè dieci gradini più su del “podista che scrive”); nella constatazione “che la vita è iniqua: ci sono persone che per raggiungere un risultato devono faticare, altre che ottengono quello che vogliono senza alzare un dito” (39), o nella riprovazione della corsa obbligatoria a scuola (mentre la verità più profonda che la scuola deve insegnarci è “che le cose veramente importanti non si imparano a scuola”, 42).

Il Murakami maratoneta (anche qui, obbligatoriamente distinto dal podista che scrive, magari esaltando la maratona chiusa in 6 ore col secondo posto di categoria su 3 partecipanti) salta fuori nel commentare a 48-49 la sua prima maratona, “una competizione in cui si corre, non si cammina”, anche se si è arrivati “a un’età in cui non si ricevono più regali”. Eppure è meglio vivere “intensamente, perseguendo uno scopo” gli anni che ci restano: e la corsa a piedi è (ahinoi, paragone che non  vorrei leggere più, al pari del terzo gradino del podio e del serpentone multicolore) una “metafora della vita” (71).

Tutto qui? Arrivato a p. 79, sia pur apprezzando un’altra bellissima riflessione sulle proprie qualità residue, tante o poche che siano (“come quando si apre il frigorifero, si prende quel poco che resta  e ci si mette a cucinare  qualcosa come si può -  e nemmeno tanto male – anche se ci sono soltanto mele, cipolle, formaggio e umeboshi” [specie di albicocche in salamoia]: p. 74), poi la constatazione sullo skateboard (“cosa ci sia di divertente in quel terrificante arnese, a essere sincero non l’ho mai capito”): di fronte al frusto aforisma sulla nostra condizione umana di “piccola tessera nel mosaico gigantesco della natura” mi chiedo ancora cosa ci sia di tanto speciale.
Per vincere la noia chiedo ad Alexa di suonarmi le canzoni che Murakami dice di ascoltare mentre corre, come quelle dei Rolling Stones o Eric Clapton: francamente, da quegli album preferisco Paint it black perché ci riconosco la cover della Caselli, ma tutti i gusti sono gusti.
Insomma, vabbè, finirò questo libro e non mi verrà certo voglia di rileggerlo: manca una sessantina di pagine… Però… finalmente alla fine del cap. 5 (ambientato a Cambridge, Massachusetts) lo Scrittore comincia a farsi valere con le sue considerazioni sull’imbastire un discorso in lingua materna o in lingua straniera, e aggiunge che fare jogging aiuta a risolvere le difficoltà della seconda cosa: “mentre porto avanti automaticamente le gambe, nella mia mente le parole vanno allineandosi una dopo l’altra. Misuro il ritmo delle frasi, ne valuto la risonanza… senza volere ci metto anche l’espressione, ci aggiungo i gesti, e chi viene dalla parte opposta mi guarda come se fossi pazzo”.

Adesso sì che comincia a piacermi, tanto più quando a principio del cap. 6, che racconta della sua prima e unica Cento km, esordisce con “la schiacciante maggioranza delle persone al mondo – o forse sarebbe meglio dire tutti coloro che hanno un po’ di sale in zucca”, non ci pensa proprio: “i normali cittadini sani di mente non fanno certe pazzie” (p. 88).

Ma la lunga descrizione di questa impresa pazza è la prima cosa dove lo Scrittore ti cattura sul serio: nel descrivere, dopo metà gara i propri muscoli “duri e tesi come pane avanzato da una settimana”, ma che rinunciano alla protesta, accettando “senza fiatare la spossatezza come una necessità storica, uno sviluppo rivoluzionario. Nessuno batteva più sui tavoli, nessuno lanciava più i bicchieri”. Da parte sua, Murakami tiene fede alla sua regola che non si cammina mai (anche sulla sua tomba vorrebbe che si scrivesse “se non altro, fino alla fine non ha mai camminato”): piuttosto ci si ferma a fare stretching, ma poi si ricomincia a “dondolare a ritmo le braccia, spostare in avanti le gambe. Senza pensare a nulla. Senza porsi domande”. Finché si rende conto che la fatica è scomparsa, o meglio “spostata in un angolo recondito, come un brutto mobile di cui per qualche ragione non ci si può disfare”. L’insegnamento di questa Cento (finita in 11h42, insomma, tempo da essere umano) è che “correre non è tutto nella vita, constatazione se vogliamo evidente” (bè, non ai podisti di cui sopra, che festeggiano ogni occasione selfandosi mentre corrono maratone fatte e strafatte); è solo “un amore che ha perso l’ardore irragionevole dei primi tempi” (100-101).

Ora davvero la lettura si trasforma in ascolto e colloquio, quasi come con un Seneca, un S. Agostino, un Pascal…: “forse la vita è così. Forse è una cosa che dobbiamo semplicemente accettare, a prescindere da ragioni e circostanze. Come le tasse, come i flussi delle maree, come la morte di John Lennon, come un errore dell’arbitro durante i campionati del mondo” (102: ecco, ditemi voi quale altro podista-scrivente sarebbe capace di pensieri del genere).

Inevitabile il capitolo su New York e la sua maratona, ma fortunatamente privo dei toni entusiastici da novellino o da tour operator che conosciamo, e semmai con riferimento a una poesia sull’autunno a Central Park: “i sognatori a mani vuote immaginano terre esotiche; ma è autunno a New York, è bello viverlo un’altra volta”. La maratona del 2005 non va “molto bene”, agonisticamente parlando. Ed ecco ancora lo Scrittore:
Avrei voluto chiudere questo libro con le vibranti parole ‘dopo un serio allenamento ho fatto un ottimo tempo. Tagliare il traguardo è stata un’emozione’, poi, accompagnato dalle note trionfali del Theme from Rocky, andarmene via con noncuranza, senza fretta, nella luce del tramonto… Ma a un certo punto della nostra vita, quando abbiamo veramente bisogno di risposte chiare, chi viene a bussare alla nostra porta di solito è qualcuno che ci porta cattive notizie… Il messaggero porta la mano al berretto con l’aria di scusarsi, ma questo non rende più lieto il contenuto della lettera che ci consegna. Non è colpa sua… E’ per questo che noi esseri umani abbiamo bisogno di un piano B.

Com’è come non è, dal 25° km un crampo alla caviglia lo costringe “a ridurre la velocità a quella di un podista” (sic nella traduzione: immagino intenda un jogger, non un runner, ma penso ancora ai podisti-scriventi che postano sui social le proprie 6 ore abbondanti…). Invece 
Ce l’avevo messa tutta, perché doveva venirmi quel maledetto crampo? … se in cielo c’è un Dio, non potrebbe darci ogni tanto un piccolo segno della sua esistenza?

Ma anche quest’esperienza ha insegnato: sei mesi dopo, Murakami corre Boston, per rivincita e contravvenendo alla sua regola di “una maratona all’anno” (vi ricorda qualcuno?? certamente pochi), scientemente riducendo gli allenamenti, e ottiene lo stesso tempo che a NYC. Sa fare tesoro del suo riconoscersi, anche dopo essersi cimentato nel triathlon, “un magro corso d’acqua che venga assorbito silenziosamente dalla sabbia del deserto”, eppure 
anche quando sarò decrepito, quando le persone intorno a me mi esorteranno a smettere dicendomi che sono troppo vecchio per correre, me ne infischierò e persisterò. Anche se farò tempi sempre peggiori… Sono fatto così, è nella mia natura, la gente può dirmi quello che vuole... 
Con la mia natura, come fosse una vecchia borsa tenuta a tracolla, ho percorso molta strada. Non me la porto appresso perché mi piaccia. E’ troppo pesante per me, e nemmeno tanto bella. Qua e là è strappata. Mi sono rassegnato a tenermela perché non ne ho un’altra di ricambio…Continuo a portarmi in spalla la mia vecchia borsa. Probabilmente diretto verso qualcosa di poco incisivo. Diretto verso una maturità taciturna e barocca – o per esprimermi in maniera più umile, verso il vicolo cieco dove si arresterà la mia evoluzione.

Non si vive per correre, ma si corre per fare meglio le cose importanti della vita: nel caso di Murakami, che chiude così il libro (145), “poter dare il meglio nella scrittura:… se per allenarmi alle gare non dovessi più trovare il tempo di scrivere, finirei col confondere causa ed effetto. Per me sarebbe un problema”. Ecco quello che distingue L’arte di correre dalla miriade di libretti dai titoli affini: è un libro scritto, magari senza nemmeno pensarci troppo (“solo” dieci anni!) da uno Scrittore, che occasionalmente fa il podista; non da un podista che decide di fare lo scrittore ma al di là delle maratone concluse e infiorettate da dettagli autocelebrativi non sa dirci altro.

L’opera è dedicata “a tutti i corridori…, a quelli che ho superato e a quelli che mi hanno superato in gara. Senza di loro, forse non sarei riuscito a correre per tanti anni”. E chi l’ha letta “con colpevole ritardo” (per usare una frase fatta) ma con crescente consenso, ne scrive ora, che il grande Lucio Gigliotti (il Murakami dell’Olimpiade) ha varcato un traguardo importante della sua vita, i novant’anni di gioie e successi fondati su pene e sacrifici indicibili della prima età.

Dal soggiorno in mezzo agli Usa viene da lanciare uno sguardo strabico, a destra verso l’Atlantico e l’Europa, a sinistra verso il Pacifico e il Giappone: grazie perché, ognuno a suo modo e coi suoi talenti, ci avete arricchiti.

30 giugno – Non si contano i titoli nazionali (nel senso di campionati) che assegnava questa 47^ edizione della Pistoia-Abetone: ci scuseranno gli altri, ma i più importanti sono quelli Fidal sui 50 km assoluti e master, con la miriade di categorie di 5 in 5 anni, senza gli sconti e gli accorpamenti cari a molti organizzatori risparmiosi.

Ma aldilà dei cacciatori di titoli, o perlomeno invogliati dalle nutrite sportine-premio assegnate al traguardo, credo che il grosso del pubblico partecipante sia rappresentato dai fedelissimi, dai maratoneti più o meno super che anno dopo anno (con la sola eccezione dei covidiani 2020-2021) popolano con entusiasmo il centro di Pistoia e affrontano con gioiosa rassegnazione i quasi duemila metri di dislivello, sotto il sole estivo e sfidando, specie negli ultimi 15 km, le auto e le moto in discesa dalla caotica spianata dell’Abetone (almeno, stessero un po’ più verso il centro della strada…).

Dai risultati completi, usciti online solo il lunedì pomeriggio (suppongo che sia stato laborioso il confronto tra l’ordine d’arrivo e le spunte dei vari controlli in itinere) i grandi numeri sembrano tuttavia in calo, con 682 classificati sui 50 km (erano stati 793 l'anno scorso) e 232 sui 30 km; senza contare i circa 500 partecipanti alle gare minori, tra cui la durissima “non competitiva” sui 20 km da S. Marcello alla cima.

La gara ha avuto un dominatore in Alessio Terrasi, trentaquattrenne del Parco Alpi Apuane, che con 3:35:38 ha confermato il titolo nazionale sui 50 km conquistato l’anno scorso a Castelbolognese (senza dire che nel 2018 si era laureato campione italiano di maratona a Ravenna). Ha confermato il secondo posto del 2023 Simone Pessina, 39enne dei Bergamostars, giunto a quasi 5 minuti, tre dei quali persi nella salita finale (3:40:05: il tempo dell’anno scorso oggi l’avrebbe fatto vincere). Dopo un minuto e mezzo è arrivato il terzo e più anziano, il palermitano Dario Pietro Ferrante (1979, Osteria dei Podisti 3:41:33). Non ha confermato il quarto posto del 2023 il titolato Marco Menegardi, oggi settimo; mentre si è ritirato dopo il 40° un altro dei favoriti, e già vincitore in anni passati, Matteo Lucchese.

Solo master tra le prime cinque classificate: ha vinto la più “giovane”, Sarah Giomi (1985, Pro Patria Milano) in 4:06’24”, sei minuti davanti alla vincitrice del 2023, la sempiterna cinquantaduenne romagnola Federica Moroni (DinamoSport, 4:12:26. “Solo” quarantreenne e molto staccata la terza, un’altra celebrità, Ilaria Bergaglio (Novese, 4:32:43), e un anno in più ha la quarta Ilaria Zaccagni (Casone Noceto 4:44:27): insomma, non pare una gara per giovanotte; oppure, in Italia non c’è ancora il ricambio a questa generazione di fenomene.

Nella 30 km (leggermente scarsi) ha prevalso Lorenzo Castro (Maiano) in 2:00:25, appena sopra la media dei 4 a km, e abbondanti 9 minuti davanti a Claudio Marco Mazzola (Runcard). Quasi allo sprint il finale donne, dove Mihaela Robu (della Silvano Fedi, la società organizzatrice) con 2:20:49 ha prevalso per 40 secondi su Linda Grazzini (Cai Pistoia).

E' stata diramata anche una classifica sulla distanza-maratona, non prevista dal regolamento ma utile per i cosiddetti cacciatori di tacche: confermati i primi due, Terrasi e Pessina (gli unici sotto le tre ore), mentre tra le donne la Giomi con 3.17:28 aveva un vantaggio sulla Moroni di oltre 8 minuti.

Esauditi i doveri della cronaca, torniamo al pre-partenza: alle quote di iscrizione abbordabili, cui viene dato riscontro con uno zaino di ottima qualità, una bottiglia di vino locale, uno scaldacollo (genere di cui i podisti non sentono la mancanza) e qualche gaggetto (come dicono i puristi toscani). Abbastanza comodo, a circa 400 metri dalla stazione, il centro-maratona (ma i ritardatari potranno svolgere tutte le pratiche anche in piazza Duomo nell’imminenza del via).

Il libretto di presentazione delle corse è forse il migliore che abbia mai visto in 35 anni di frequentazione maratonica: una settantina di pagine dove la pubblicità è contenuta in dimensioni accettabili, e invece spiccano le statistiche di tutte le edizioni, dal luglio 1976 al 2023, comprese le altimetrie dei tratti in salita, in particolare i due più duri, i 700 metri verticali verso le Piastre e i 930 degli ultimi 16; e compreso, purtroppo, anche il record imbattuto della corsa, che mi rifiuto di specificare perché firmato Roberto Barbi 2007, per cui passo direttamente al secondo, di Rono Kipngetich con 3.19:16 (dunque un abbondante quarto d’ora meglio del tempo del 2024).

Curiose le “Frasi celebri”, di giornalisti o partecipanti, pubblicate a pp. 51-55, con qualche eccesso romanzesco, come questo firmato da una ex titolare di un ex sito podistico che ha anche passato i suoi guai: “il fascino di questa gara sta tutto nel […] silenzio della montagna interrotto solo dai click delle macchine fotografiche nascoste fra cespugli ed alberi” (mentre i click reali, chiamiamoli così, della gara sono da sempre quelli emessi dalle moto già citate, con annessi gas di scarico). Sottoscrivo invece questa frase di Fabrizio Di Michele (al traguardo nel più che dignitoso 6:17:20): “ad ogni maratoneta non dovrebbero chiedere se ha corso New York. Dovrebbero chiedere se ha fatto la Pistoia-Abetone”.

Al libretto si aggiunge l’edizione speciale di  “Metrorun Pistoia”, ricca di notizie (ma il dislivello è di 1908 o di 1830 metri, come si dice e disdice a distanza di 18 righe a  p. 6?) e curiosità, sia pure inframmezzate da parole ormai ripetute a sazietà e prive di senso: “panorama mozzafiato” in copertina, “alternarsi mozzafiato di salite e discese” a p. 6, “passeggiate mozzafiato” a p. 14.

Vabbè. Respirando regolarmente ci presentiamo alle 7 di mattina nella stupenda piazza del Duomo, ritrovandoci tra amici vicini e lontani (da Massimo Morelli a Werther Torricelli), tra ricordi antichi (sì, il 5:57 di 25 anni fa… piuttosto, teniamo di vista il tmax di 9 ore), spiritosaggini, contemplazioni di bellezze femminili (vincitrice assoluta: Greta Massari), foto e mini-accenni di stretching sui gradini del Battistero. Primi 15 km, fino alle Piastre, perfettamente chiusi al traffico, e godibili per il clima ancora freschino: la salita se ne va via quasi senza fatica.

Anche ai ristori assegno la medaglia d’oro: ogni 3 km, con grande abbondanza di frutta fresca già a spicchi, e per chi lo desidera fette biscottate spalmate di delizie varie. Sempre freschissimi anche acqua, tè e integratori salini, cui nella salita dell’Abetone aggiungeremo volentieri l’acqua che sgorga dalle fontane (grandiosa quella del Duca intorno al km 40: “o pellegrin se del sentier sei lasso – fermati bevi e poi raddoppia il passo”).

Percorso ottimamente segnato con frecce sull’asfalto, e numerosi segnalatori umani specie nei centri di paesi, dove l’orientamento si fa più complicato (tra Maresca e Gavinana soprattutto). Aggiungo il sacrosanto piazzamento di due tappetini chip “a tradimento” (oltre a quello conclamato del km 30; uno serve comunque per la tacca della maratona), e l'ulteriore presenza di due coppie di rilevatrici con foglio e penna: così si fa per evitare la piaga dei “centisti” automuniti!

Il traffico di auto ha una prima impennata verso Pontepetri, e provvidenzialmente dal km 21 al 24 (appunto di Maresca) siamo dirottati su uno stradello ghiaiato e all’ombra. Ma dalla Lima (km 33,5) in poi non avremo più scampo: cercare l’ombra comporta pericolosi zigzag lungo i tornanti, e chi osa, deve stare con l’orecchio teso per valutare la distanza del rombo dei motori, e se viene dall’alto o dal basso (e ci sono anche le bici, che vengono giù sparate senza fare rumore). A un certo punto un cartello a sinistra avvisa che se vogliamo una fontanella dobbiamo traversare verso destra: è un tornante, non mi fido, d’altronde per merito dei ristori non soffrirò mai la sete.

Per chi non si accontenta, il ristoro del km 46 (Cecchetto) offre qualcosa di più: mi fanno una gran voglia le costaiole, ma non è ancora il momento, anche perché la strada sembra spianare ed è ora di tentare la corsa (a 8’ al km, o peggio!).

Sebbene con un po’ di frustrazione, perché il traguardo sembra allontanarsi: se fino al km 35 i segnali dell’organizzazione erano sovrapponibili ai cartelli dell’Anas per la SS12 (cioè prima vedevamo il nostro segnale chilometrico, confermato dai Gps; cento metri dopo un altro segnale, più sbiadito, sull’asfalto, a volte corredato dal “chiodo” regolamentare; e dopo altri 2-300 metri il segnale Anas da cui si capiva che il traguardo sarebbe stato al km 88 e spiccioli); ma poi, e inesorabilmente, i nostri segnali si avvicinavano sempre più a quelli Anas, e al km 38 avviene il “sorpasso”, con un distacco che crescerà sempre più fino a raggiungere il mezzo km almeno. Cioè: prima il segnale Anas della distanza dallo scollinamento, e poi, sempre più tardi, il nostro chilometro. Se l’omologazione Fidal è un dogma di fede (lasciando però il dubbio su come abbiano avvicinato l’Abetone di 3 km rispetto ai primi tempi: d’altronde, anche il Passatore ha tutte le omologazioni possibili, ma è più lungo dei 100 km dichiarati), bisogna dedurre che o i cartelli intermedi sono buttati giù a un tanto il braccio, o che le misurazioni dell’Anas siano sballate.

Cercando di scacciare questi funesti pensieri, che si congiungono al sorpasso patito dal “trombettiere” Lorenzo Gemma (peraltro assistito dalla famiglia in auto chilometro dopo chilometro, e che arriverà un soffio sotto le 8 ore),  al meno 2,5 un ultimo ristoro offre perfino del vino (“bono, dalla mì damisgiana” assicura l’erogatore), e questa volta due dita me le faccio versare, per tre salutari sorsi verso il traguardo dove attende il solito collaudatissimo team Fiaschi-Menarini e una medaglia davvero bella e artistica, una volta tanto, tonda come dovrebbe essere.

In un’organizzazione con vari aspetti di perfezione assoluta, devo dire che il peggio è dopo il traguardo: non tanto per il ristoro immediatamente a destra, della stessa tipologia dei precedenti (bè, però il vino e la birra potevate metterli…), e il recupero nelle immediate vicinanze delle nostre borse; quanto per il cosiddetto pasta party, una cinquantina di metri avanti, cui si poteva accedere solo con un voucher, per ricevere un piatto di maccheroni freddi e sconditi (possiamo aggiungere l’olio) e dell’acqua prelevata da una tanica: tant’è vero che torno indietro al ristoro ufficiale per avere almeno un po’ di frutta e del tè.

Poi c’è da fare un altro centinaio di metri in salita per ritirare la maglia di finisher: disponibile solo in taglie S o XXL (stavolta prendo la S, la darò a un nipotino). Infine, altro centinaio di metri per raggiungere le docce: piccole (sono per i tennisti, dunque 4 erogatori in tutto) e fredde. Forse meriteremmo un po’ di più, e se non altro la massiccia disponibilità di bus navetta consente di tornare a casa o all’albergo per una lavatura come si deve.
Tra un percorso e l'altro ci rivediamo noi protagonisti di sorpassi e controsorpassi "kalipè" a ritmo lento nell'ultima ascesa: non più Werther Torricelli, che dopo il suo 6:21 deve aver già preso la strada per Carpi; né Mauro Gambaiani, il Pico Runner di Fanano (7:07). Franco Scarpa, psichiatra, vicepresidente e contabile dei supermaratoneti, dopo il suo 7:22 sta già sorseggiando qualcosa all'ombra del bar Leoncino, mentre ho perso le tracce del Road Runner Maurizio Colombo (7:44) con cui ci eravamo fatti fotografare una ventina di chilometri sotto. Il suo compagno Paolo Valenti è appena arrivato (8:04), mentre poco dietro ci sono il romagnolo Yuri Fabbri e il fiorentino (ripolino) Massimo Morelli, che hanno rimontato addirittura la luminosa Greta Massari.
Con 9 ore e 7 secondi, cioè appena oltre il tempo massimo, è classificata Fiorenza Simion da Primiero, classe 1943, che penso sia la più anziana del lotto, un anno in più di Giuliano Sidoli (8:00:45): sono vittorie anche queste, non meno belle di chi sta molto più in su.

 

23 giugno – Spostata rispetto all’usuale collocazione in settembre, e penalizzata dalla concomitanza con altre due gare modenesi trenta km a sud o trenta a nord, questa 14^ Verdelaghi (il numero d’ordine ce lo metto io, mancava nei comunicati ufficiali) ha raggranellato alla fine 371 podisti o camminatori, con l’ovvia prevalenza delle due società più vicine, Cittanova (44) e Madonnina (37 iscritti).

Molto gradevole il percorso, ricavato attorno ai laghetti nati per fungere da “casse d’espansione” del fiume Secchia tra Rubiera e Modena, e via via trasformati in un’oasi naturalistica, con vari punti d’interesse, luoghi di ristoro, possibilità di pescare e di girare in barca tra le ochette (interdetta invece la balneazione, ma nonostante ciò ogni tanto ci scappa il morto, pudicamente classificabile come “straniero”, che incautamente si tuffa senza conoscere l’adagio delle nostre nonne indigene, che il fiume  è traditore). Si aggiunga la giornata mite, dopo una settimana afosa, con poche gocce di pioggia cadute verso l’inizio e verso la fine (uso i termini in senso relativo, dato che le partenze sono avvenute alla spicciolata, con un gruppetto forse di una cinquantina che si è avviato insieme qualche minuto dopo le 9).

Percorso ottimamente drenato, su sentieri di base o sugli intricati argini dei vari laghetti come appare dalle foto 2 e 25, col percorso più lungo quantificato intorno ai 14 km, e gli altri a scalare, con scelte equamente distribuite e qualche curiosità, come Tatiana compagna di Fabrizio che insieme a figlio e nuora ha fatto un percorso lungo, mentre Fabrizio si è fatto sgridare per aver svoltato, da solo, verso gli 8 km.

Bravo Gabriele Gualdi, presidente della società organizzatrice (foto 3), a dirigere il folto manipolo degli sbandieratori e addetti vari, tra cui l’immancabile Omonimo che prima ha vigilato su un incrocio poi (foto 20-21) ha sovrainteso alla distribuzione dei premi; e la coppia reale Baruffi-Del Carlo (foto 18-19) che distribuiva il premio per tutti (spaghetti o fusilli, dietro obolo di 2,50).

Squisito il tè dei ristori intermedio e finale (dove si aggiungevano wafer e altre delizie a ripagare le 863 calorie spese secondo il Gps): certo, solo i vecchi ricordano quel ristoro progressivo, dagli antipasti al primo al secondo al dolce al vino, ammannito in una corsa di Campogalliano di trent’anni fa. Forse lo ricordano vecchie volpi come Dervis Montanari da Campegine, o i coniugi Pavesi da Carpi e Vecchiè dalla Ghirlandina, immortalati (come usa dire) nelle foto 22-24.

Chi voleva competere oggi è andato alla Pietra di Bismantova (Dervis desiderava sapere dove erano Giaroli il Veloce o Cuoghi il Veterano); chi vorrà farlo domenica, potrà tornare a Campogalliano per una 10 km da tirare a perdifiato. Mentre i modenesi non competitivi dovranno accontentarsi del giovedì serale, sempre qui vicino, a Correggio: uno dei percorsi più brutti nella storia del podismo padano (sa far peggio solo quello di Quartirolo, Carpi), ma tanto, a Correggio sperano che ci si vada esclusivamente per rimpinguare le finanze del ristorante: si può anche fare a meno di indossare le scarpette.

Monchio (Palagano, MO), 22 giugno – Che sia la quindicesima edizione, come risulta ai miei quadernoni, o soltanto la 14^ come recita l’ordine d’arrivo ufficiale su Irunning https://www.irunning.it/cla_pdf.php?id=42271&man_id=583 , sta di fatto che nella gara competitiva c’è stato un modesto aumento dei classificati (78 contro 73, di cui 22 donne, contro 15 dell’anno scorso), con la schiacciante vittoria, nella classifica a squadre, della “Società-che-non c’è”, vale a dire i ben 29 cosiddetti non tesserati, che hanno distanziato di 22 lunghezze i secondi classificati dell’Atletica Frignano di Pavullo. Alla luce del sole, invece, le classifiche delle società non competitive, largamente dominate dal Cittanova con 62 paganti biglietto (sommando le 8 società più numerose si arriva a 170 partecipanti, e più o meno siamo ai livelli del 2023).

Tra le 15 (insisto) edizioni, il ricordo torna a quella del 27 giugno 2020, quando il podismo era pressoché vietato, ma una giovane mamma in attesa, Giulia Grossi, insieme al suo staff fece svolgere la corsa. Adesso la signora Giulia ha aggiunto, da pochi mesi, una nuova “cucciola”, e per i cuccioli podisti dimostra un’attenzione particolare riservando loro una serie di gare in anteprima a quelle per noi vecchi: è la scoperta, o l’iniziazione (se preferite il difficilese), per bambini che indossano un pettorale quasi più grande del loro torace, come Damiano e Flaminia, pupilli di Costanza e Alberto, che ne vanno giustamente orgogliosi e hanno generosamente concesso le foto di famiglia per la nostra cartellina.

Quanto ai grandi, ha vinto un ventunenne, Nicola Cornali, guarda caso “non tesserato” (dev’essere solo un omonimo del tesserato per l’Atletica Reggio partecipante ai Campionati Mondiali Universitari di Cross in Oman), con 38:03, quasi quattro minuti sul secondo Andrea Costi (Guglia Sassuolo, 26 anni, alla piazza d’onore anche l’anno scorso), a sua volta una manciata di secondi davanti a Enrico Manfredini che di anni ne fa 47.

Undicesima assoluta, e beata tra le donne, la “non tesserata” Gloria Venturelli (classe 1979: 46:19; anche lei, casualmente omonima di una atleta dell’Atletica 85 Faenza che tre mesi fa ha corso in 39:52 alla 10 km di Reggio), pure lei 4 minuti davanti alla seconda, Caterina Filippi (1997, Avis Novellara) e alla terza Francesca Venturelli (Formiginese, coetanea della Venturelli vincitrice, e ancora una volta messa sugli scudi per il suo recente 9h 48 al Passatore e secondo posto al Trittico di Romagna).

Confermato invece l’ordine d’arrivo dal basso, con l’ultimo posto femminile di Cecilia Gandolfi (in Italo Spina) che si è peggiorata di 5 minuti sul 2022 (ma il mio Gps avverte che quest’anno era quasi un km in più). Per pochi metri l’ha superata una Giorgia Ruffilli, classe 1975, che ricordavamo ragazza-prodigio dell’Atletica Ghirlandina poi passata alla Madonnina, dove milita tutt’ora; mentre non c’è stata storia con la sorella di Cecilia, Margherita, che si è messa sulla scia di Angelo Giaroli chiudendo intorno all’ora e 17.

Percorso gradevole, come sempre, e ancor più avvicinato alla tipologia del “trail” (come scrivevano i cartelli indicatori), forse coi tre quarti su sterrato, prati, boschi, strade ghiaiate; tutto perfettamente segnato. Spettacolo nello spettacolo, la lotta nelle posizioni abbastanza di coda (competitivi, non competitivi, non tesserati, tutto fa brodo)  fra il sottoscritto, la sunnominata Cecilia, Nerino Carri e Paolo Giaroli, più un divertente intermezzo a Monte Santa Giulia con Giangi in cappello da cowboy: Paolo era disposto a sorbirsi le mie illustrazioni storiche specialmente nel passaggio dal bel villaggio di Lama (unica rinuncia che facciamo è quella alle amarene portate da un albero poco sotto il sentiero al km 8); mentre Nerino, oggi non gravato da macchina fotografica e telecamera, puntava al risultato, che riteneva raggiunto quando a 200 metri dal traguardo mi raggiunge: il tifo per lui della claque sul piazzale mi dà la spinta per riprenderlo e tagliare la linea fatale dandoci la mano a braccia alzate. Non stuzzicare il cane che sonnecchia. Giaroli arriva poco dietro, ma offrirà ugualmente un passaggio a Nerino per il ritorno.

Ottimi i due ristori intermedi e quello finale, dove attingo soprattutto alla simil-torta Barozzi (ma c’erano pure le crostate), mentre al nostro arrivo, delle angurie restavano solo le bucce.

Il profumo di gnocco informa che si può anche cenare, tentazione cui cede Giangi (che questa volta non ha chiesto la restituzione del costo d’iscrizione) informando poi che una cena di tigelle per due gli è costata solo 12 euro. Personalmente, mi accontento della visita al compagno di banco e barista Dante Venturelli, ginnasiale pentito che si volse alla licenza magistrale. È impossibile saltare Monchio.

21 giugno – Ci ha lasciati Francesco Canali, 56 anni di cui quasi venti trascorsi a lottare con la SLA. La notizia arriva da Parma, e in particolare da amici cari, nostri e di Francesco, che ci promettono (quasi tra le lacrime) un pezzo apposito. Noi nel frattempo rimandiamo alla “Gazzetta di Parma”, dando qui sotto i link per la lettura (c’è anche un pezzo del vescovo di Parma mons. Enrico Solmi), e anticipando solo che le esequie si terranno lunedì 24 a Parma, nella chiesa della Trasfigurazione alle 11.30.

Su Francesco si è confidato con noi anche Giancarlo Chittolini, premettendo “nulla potrei scrivere, meglio di cosa e come ha scritto Claudio Rinaldi”. Si riferisce al commosso ricordo che il direttore della “Gazzetta di Parma”, e compagno di Francesco nelle estreme avventure sportive, ha scritto sul suo giornale nelle edizioni online del 21 giugno e cartacea del 22, in massima parte dedicate alla vicenda umana di Francesco. Da leggere e da conservare:  https://www.gazzettadiparma.it/parma/2024/06/21/news/e-morto-francesco-canali-il-maratoneta-in-carrozzina-794551/

Emozionante anche il ricordo di 12TV Parma, con l’intervento dello stesso Rinaldi “Addio ad un eroe”: https://www.12tvparma.it/puntata/tg-parma-edizione-del-21-06-2024-ore-1245/si-e-spento-francesco-canali-simbolo-di-coraggio-e-speranza-contro-la-sla/https://www.12tvparma.it/puntata/tg-parma-edizione-del-21-06-2024-ore-1245/scomparsa-di-canali-rinaldi-direttore-gazzetta-di-parma-addio-ad-un-eroe/

Ma lo “Spino” ha aggiunto:

Ricordo di avere conosciuto nei soggiorni estivi Francesco Canali, perché era originario di La Latta del Cardinale Ferrari, una piccola località nel comune di Palanzano dove i miei suoceri avevano già dagli anni 80 affittato una casa. Lì con mia moglie ho svezzato e visto crescere nostro figlio Pietro, poi i miei adorati nipoti Amedeo ed Emma.

Francesco, sapendo dei miei trascorsi sportivi e conoscendomi nella veste di organizzatore della Maratona Verdiana (nella quale aveva concluso la mezza a Fontanellato, nel febbraio 2004), mi aveva chiesto qualche consiglio. Dopo aver approntato una scheda d'allenamento glie la proposi.

Ma purtroppo, proprio all'inizio dell'applicazione,  ci accorgemmo che qualcosa non tornava, le gambe sembravano non reggere la fatica... Lo sollecitai a fare gli esami del sangue e già lì si vide che aveva dei valori elevatissimi al CPK: poco dopo, la scoperta atroce della SLA, e fu tutta una rincorsa da parte sua ad aggrapparsi alla vita...

Con lui e per lui organizzammo la “Corri con Francesco”: fu la prima volta che salì su una carrozzina, per i 5000 metri da Roncole a Busseto. All’evento parteciparono personalità di spicco dell’atletica nazionale, come Matteo Villani e Sara Galimberti (futura finalista di Miss Italia e soprattutto vincitrice nel 2018 della Milano21 Half Marathon, con un PB sulla mezza di 1h13). Seguirono le maratone, a Palm Beach (con Andrea Fanfoni e Claudio Rinaldi, fra gli altri) e a Venezia (con Alex Zanardi), di cui tutti sanno.

Francesco ci ha insegnato molto: lo andai a trovare, aveva la capacità di donare affetto e serenità.

Un esempio ammirevole ed unico.

E noi siamo qui, a ripetere con Francesco Guccini: “Vorrei sapere a che cosa è servito - Vivere, amare, soffrire - Spendere tutti i tuoi giorni passati - Se così presto hai dovuto partire. - Voglio però ricordarti com'eri - Pensare che ancora vivi - Voglio pensare che ancora mi ascolti - E che come allora sorridi”.

Ecco dunque riemergere dai vecchi dischetti un sorridente resoconto scritto da Francesco per Podisti.net, giusto vent’anni fa (18 marzo 2004), commentando la 2^ Reggiolo Half Marathon.

"Diavolo di un Morselli", mi sono detto man mano che zampettavo sul percorso della seconda edizione della Half-Marathon di Reggiolo. Vuoi vedere che quel "gambero" testa quadra ha ragione? Ha sbandierato ai quattro venti che a Reggiolo si batte il personale e, man mano che diminuivano i chilometri, me ne rendevo sempre più conto. Intendiamoci, il mio personale non ha niente a che fare con il tempone  di Marco Baldini che con 1h 09' 03" ha concluso il bel percorso nella bassa reggiana, o con quello di Antonella Benatti che con 1h 23'00" è arrivata sul gradino più alto del podio nel femminile, ma avere abbassato di quattordici minuti il tempo di due settimane prima da Salsomaggiore a Fontanellato (in precarie condizioni fisiche) e, senza tener conto del real-time (che a Reggiolo non c'era), di 22" rispetto alla mezza di Parma, non può che avvalorare le previsioni di Stefano.

Ma che i reggiani, e in particolare Stefano Morselli, sapessero fare le cose a regola d'arte, se ne erano accorti in molti, persino dalla vicina Parma, sempre in competizione quando si parla dei cugini di Reggio Emilia. Ma il podismo affratella, non c'è distinzione di città o provincia, ma solo amici che corrono per vincere o per divertimento; e a Reggiolo erano in molti.

Ritiro il pettorale e dopo un saluto al patron della manifestazione faccio un giro prima di iniziare a scaldarmi (anche se la giornata era particolarmente mite rispetto alle temperature polari delle settimane prima), e chi vedo? Una faccia nota, quasi un divo per il popolo di Podisti.net.  Non lo conosco personalmente ma è come se fossimo da sempre amici: è "Arny", al secolo Arnaldo Fantuzzi. Con il simpatico podista-scrittore di Bolzano scambio alcune opinioni prima del via, venendo poi a conoscere anche "Guerna", il veloce Luigi Guarnati. Una stretta di mano e lo sparo ci sorprende. Guerna schizza via come il vento, non lo rivedrò più, Arny lo segue.

Io decido di prendermela con relativo comodo. Primo km a 4'50", troppo per me, rallento e mi affiancano due podisti, uno di Carpi e uno che abita sulle prime colline modenesi, che dice: "A casa mia ci sono ancora venti centimetri di neve". A Reggiolo invece c'è la nebbia e l'umidità si sente, ma se non ci fosse, che Bassa reggiana sarebbe? Il ritmo è di 5'10", ottimo per me in questo periodo dell'anno. Proseguiamo appaiati fino al 7° km poi una sosta forzata mi fa perdere terreno sui due. Continuo quindi da solo guardando ciò che mi circonda e quei pochi spettatori che, al nostro passaggio, sembrano impietriti, come se fossimo dei marziani.

Gli incroci sono presidiati, i ristori non mancano dei prodotti base per arrivare alla fine senza dover arrancare, anche se al ristoro del 20° km riprendo a vedere la nebbia, ma non quella meteo. Credo di essere già passato di lì: non ne avrò mica fatti 40 di km? Mi "dopo" allora con due zollette di zucchero, che mi danno un bel po' di energia e la carica giusta per passare felice sotto le bandierine del traguardo.

Un breve ristoro per rifocillarmi e mi dicono che devo riconsegnare il pettorale per ricevere il pacco gara. Cosa? Ho pagato 1 euro e mezzo e mi danno anche il pacco gara? Non ci credo, e invece è proprio così e, per quella cifra, che pacco gara!

Ma il sudore mi sta congelando, via quindi verso le vicine docce del campo di atletica, pensando che ci sarà la ressa e saranno fredde. Invece ci ritroviamo in cinque con docce calde, una manna. Ancora due parole con Arnaldo sull'eccellente manifestazione ci congedano da una giornata di sport e divertimento.

                             

San Rigo (RE), 16 giugno – Anche se il navigatore della mia auto, al nome di San Rigo, inonda di domande angosciate, e il massimo che si può ottenere da lui è portarti a Coviolo (dialettalmente Chiviol), i podisti sanno benissimo dov’è il Centro Biasola, rampa di lancio e centro di animazione della maratona di Reggio, con le tradizionali musiche dei Nomadi sparate a tutta (e non lontano, il ristoro “abusivo” e desideratissimo di Arsura).

Ammetto di avere (qualche volta, e col permesso di Paolo Manelli) accorciato il percorso della maratona, partendo appunto e arrivando qui, con in mezzo la parte più panoramica del giro, iniziato con le spugne calde di Paolo Giaroli e concluso con una doccia non meno calda negli spogliatoi deserti.

Ma prima della Maratona esisteva la Strachiviol, non a caso arrivata alla 40^ edizione, su un percorso di 10 km (misurati così esattamente che i podisti reggiani - mi diceva Angelo-Cugino Giaroli - vengono qui per cronometrarsi su una distanza sicura e inclusiva di 90 metri di dolce dislivello). L’unica stravaganza è che per fare 10 km esatti in questa gara occorre partire a 650 metri dal ritrovo, che sarà poi l’arrivo: sostiene Mastrolia, qui in corsa imbandierato dal tricolore ma che ieri ha tifato un po’ per l’Albania, che se anche facessero 10,6 non morirebbe nessuno.

Intanto, su una distanza tonda è facile calcolare le medie al km: il vincitore Fabio Ciati (Atletica Reggio, 30 anni esatti), impiegando 32:56, ha sfiorato i 3:15 al km, ed ha superato il secondo, Emilio Mori da Campogalliano&Correggio (che ha 15 anni in più), di un minuto e 20”; distacco che Mori ha dato con gli interessi al terzo, Carlo Carbone della Libertas Mantova, 31 anni per 35:41.

Tra le donne, la titolata trentunenne Francesca Cocchi (Corradini Rubiera) con 38:26 ha vinto abbastanza di misura su Serena Borsari (Victoria, 39:12), che ha avuto la meglio sulle vecchie volpi Rosa Alfieri (40:34) e Sua Maestà Isabella Morlini (41:47), che di primavere ne hanno venti e passa più delle vincitrici.

È ancora lunga la strada per la conclusione dei Grand Prix Reggio e Modena, cui la Strachviol apparteneva: ma voi sapete che a me piace scorrere le classifiche nelle ultime pagine, fino alla coppia femminile del Cavriago Partisotti-Colasuonno, teoricamente madre e figlia (anzi, a puro titolo indicativo, nonna e nipote: 71 anni contro 16, se prestiamo fede ai numeri dei giudici reggiani). Ho assistito alle investigazioni orali di Brighenti, solito impeccabile speaker (sebbene piazzato all’ombra, 50  metri prima del traguardo) che dopo l’arrivo di Brunetta ha aspettato 16 minuti per l’arrivo di Giulia, della quale per un certo tempo mancavano notizie, ma l’ha salutata con la stessa affabilità con cui aveva trattato i “campioni” già transitati: tra cui citerò il trittico femminile arrivato quasi insieme intorno ai 57 minuti, Maria Pia Verzellesi (un’altra prof collega e coetanea di Brunetta), Emilia Neviani e Soraya Pozzi, cui poco dopo si è aggiunta Maurizia Gambarelli, coetanea di Soraya.

Questo è il podismo di quelli che magari erano alla prima Strachiviol (quando la Pol. Biasola era targata Ghiga e ai lati delle strade comparivano i cartelloni dell’illuminotecnica Mainini); e non si può non inchinarsi ai piedi di due che magari l’avranno anche vinta, Anna Maria Venturelli (classe 1964, 52:41), e Antonella Benatti da Brugneto-Reggiolo, classe 1968, tra le più antiche collaboratrici di Podisti.net, oggi 49:57.

Tra gli uomini, va segnalato Medardo Corsinotti, classe 1960 che dopo tanti titoli sulle gazzette per i successi antichi, oggi sta ancora sotto i 5/km; l’altro prof Leandro Gualandri (classe 1950, 48:02) e il prodigioso Ettore Marmiroli, classe 1948, 45:39 cioè 4:35 scarsi a km.

Poi ci siamo noi, oggi non competitivi perché stiamo preparando altro: l’enologo Werter Torricelli che pensa alla Pistoia-Abetone, Paolino & Maurito in partenza per Livigno, Mastrolia che pensa a incantare giovani signore con la sua mise-après-course, Micio Cenci sceso dalle nevi del Cimone per dimostrare a sé stesso che il Covid è un ricordo lontano, Nunzio & Assunta che non mollano mai, Dervis Montanari che ha appena digerito il salame mediopadano diviso a metà ieri sera con Angelo Giaroli. E infine la cornice di quanti non corrono ma partecipano: Boniburini (un altro che qui ha mietuto successi) con la sua bottega viaggiante; Herr Martin Schupfer che sbandiera, al pari di Paolo Giaroli e Domenico Petti; Nerino che fotografa e concede i suoi scatti a questa testata, dove già figurano grazie al tempestivo lavoro di Roberto Mandelli cui si deve pure il solito eloquente collage di copertina.

Per tutti, una bottiglia di lambrusco di Albinea a 11 gradi (insomma, non quegli obbrobri delle Riunite a 8 gradi), ristori abbondanti e vari, compreso un(o) gnocco soffice che non ha bisogno di denti per andar giù. Insomma, un’altra bella giornata di sport e allegria.

Lunedì, 10 Giugno 2024 09:37

La sagra di Freto onora la tradizione

Freto (MO), 9 giugno – Piove sabbia sulla Padània, mentre più o meno in 170 ci avviamo, nei pressi di quella che fu la sede di un paio di festival nazionali dell’Unità e pure di un rave-party sgombrato fra gli strilli dell’intelligentsja (adesso rottamati gli uni e gli altri, mentre la terza  cerca disperatamente nuovi argomenti su cui baccagliare nei social), verso la minuscola ma storica parrocchia di Freto, ancora in comune di Modena sull’antica strada che portava alla “Barchetta”, cioè al passo sul Secchia per raggiungere Campogalliano. Chiesetta piccola e campestre, al cui interno stanno lapidi settecentesche, dell'edificio ricostruito dalla rovina nel 1688 (ma il parroco don Franco, carpigiano che non beve tutto quello che si racconta a Modena, invita a diffidare di molte "balle"), di madri morte prematuramente a 31 anni e dei loro nobili coniugi passati a miglior vita dopo aver messo al mondo 18 figli (con chissà quante coniugi, morte via via).

E’ morto anche Gianni Vaccari, presidentissimo della Madonnina Podistica che ideò questa corsa (insieme a un altro Vaccari di cui si sono perse le tracce, ma non è certamente l’onorevole, che dopo l’elezione ha chiuso col podismo, come Prodi), ma per fortuna la tradizione è stata mantenuta dal presidente successore Ragazzi e dal suo staff (si rivede volentieri la vecchia guardia, Alfio, Ballotta, Felice Romano, la sorella di Gianni ecc.): che sono dunque arrivati alla 33^ edizione, sebbene i fasti delle prime siano solo un ricordo (ah, quella volta che salendo sull’argine ti davano un elasticino, unica garanzia per ricevere al traguardo un prosciutto cotto, coi soliti morti di fame che scatenarono la gazzarra per non averlo ricevuto…!). La quota di iscrizione a 2,50 era oggi compensata (diciamo così) dal solito mezzo chilo di maccheroni, mentre premi individuali erano riservati ai giovanissimi, gli unici a competere in maniera agonistica. Veste attiva nelle premiazioni ha assunto anche l’ex assessore ed ex presidente provinciale CSI Stefano Prampolini, con cui si rievocano i tempi gloriosi di Boldrini e Benassi, del trofeo Botto e della ciclistica Vignola-Sestola, del trio arbitrale Marri-Silingardi-Morselli: mais où sont les neiges d’antan?

Bei premi in natura anche alle società, “le prime 15 con un minimo di 10 iscritti” secondo il volantino…: quota raggiunta solo da 4 gruppi (compreso quello della Madonnina, che gonfia la cifra aggiungendo gli sbandieratori e addetti ai ristori, così da raggiungere quota 50, scalzando una tantum i fratelli-coltelli del Cittanova fermi a 40). Notevole la presenza di ben 14 affiliati del Finale Emilia di Ottavio& Antonella, e 10 della Guglia capitanati dalla presidentessa Emilia: una di quelle che al mattino avevano corso a Castellarano, sempre sul Secchia ma 30 km più a sud, come del resto avevano fatto le sorelle Gandolfi-Spina, i coniugi Bacchi-Mascia che qui si portano l’ex bimba Aurora, la famiglia Paolino & Maurito Malavasi, Rambo Benassi (e chi ho dimenticato si aggiunga pure).

Bel giro, che una volta tanto non ci porta sulla squallida “diagonale” cara alla Madonnina dei tempi moderni ma, nel tracciato lungo di 8,4 km,  rispolvera cinque km di argine destro del Secchia, che nelle sue anse voluttuose qui sembra quasi andare all’indietro dalla Barchetta a Ponte Alto, tra l’erba alta (se ci fosse il mio nipotino tennesseano direbbe di essere hitchie) e lo stormire dei pioppi sul greto, fino al ritorno alla chiesa, dove chi vuole può anche approvvigionarsi di gnocco fritto (90 cent al pezzo, cari, ma 10 cent meno che dai compagni sorbaresi) o cenare all’aperto, e anche acquistare abiti dismessi a 1 euro l’uno.

Con allegria di naufraghi (bè, meno naufragi noi della Ferrari, dei Cinquestelle e di quel presidente francese che porta il cognome di una ditta di abbigliamento sportivo) ci lasciamo coi programmi di corsette nella settimana che viene: grazie Madonnina, grazie Gianni Vaccari.

9 giugno - 12^ prova del Grand Prix Uisp di Reggio, e 5^ dell’omologo Grand Prix di Modena, la classica di Castellarano (che quando cominciò si definiva di “Tressano”, dal nome dell’orrenda frazione industriale appena a nord) ha come sempre radunato un buon numero di podisti delle due province, con l’aggiunta di qualche “forestiero”.

Dei 152 classificati nella gara competitiva di 12 km (il mio Gps dà 11,5, con 170 metri di dislivello – ma avranno ragione loro), una prima versione della classifica aveva dato come vincitore Marco Ercole, soc. Sempredicorsa, classe 1971 ,da non confondere col “Giornalista sportivo, attualmente al Corriere dello Sport, è tra i massimi esperti di Wrestling in Italia. Vicedirettore de il Millimetro”, trattandosi invece di atleta marchigiano, secondo la Fidal classe 1972, tesserato Gnarro Jet Bologna.
Ma in serata è arrivata (sollecitata anche dallo stesso vincitore "reale") la rettifica: ha vinto in 40:52 Marco Ercoli, classe 1990, che dalla nuova classifica risulta "non tesserato", ma è notoriamente tesserato Fidal col G. S. Lucchese, col quale ha vinto per esempio due mesi fa la corsa di S. Rocco a Ravenna, e a febbraio era giunto terzo alla Fusoloppet. Il sito di Irunning, che stasera gli assegna anche il successo di Castellarano, aggiunge menzione del secondo posto a Crespellano-Oliveto (BO) due giorni fa, del successo alla 5 miglia (scarse) di Calderara domenica scorsa e alla camminata Sampolese il 21 aprile: https://www.irunning.it/atleta.php?id=90808#hook_atleta .
Stando al sito della Fidal, Ercoli vanta quest'anno  in maratonina un 1.10:46 a Carrara, un 1.11:26 alla mezza di Reggio, 1.11:38 alla mezza di Fossombrone (e non si finisce più, è una lista interminabile, che qui completo solo col successo di gennaio alla maratona di Ragusa in 2.35:47): https://www.fidal.it/atleta/Marco-Ercoli/e6iRk5iicWU=

Resta stupefacente l'errore nella prima stesura della classifica, che ovviamente dipende da un errore di iscrizione: e se penso all'iter cui noi miseri master dobbiamo sottostare per iscriverci a una gara (tessera, certificato medico - spesso in duplice copia, a Endu e alla società organizzatrice), tutto controllato e convalidato prima di accettare l'iscrizione, non riesco proprio a spiegare come si possa aver scambiato un Ercoli del 1990, atleta di levatura nazionale, con un Ercole del 1971 o 1972. Magari sarà un'altra colpa da aggiungere al già denunciato pasticcio dell'assenza di convenzioni Fidal-Eps, che induce al mascheramento dei dati.

Tanto per cambiare, il "non tesserato" Ercoli è arrivato 8 secondi davanti a Roberto Ferretti, dieci anni di meno (“non tesserato” pure lui), e poco meno di un minuto davanti a Giuseppe Castiello, classe 1981, lui sì tesserato, per quei Modena Runners sempre più all’avanguardia in campo regionale.

Tra le donne, tripletta reggiana, ed è superfluo dire che ha vinto Isabella Morlini (classe 1971, Atletica Reggio) in 48.02, soli sette secondi davanti alla quasi coetanea, e all’occasione compagna di squadra, Rosa Alfieri (48.09), che ha preceduto quasi in volata la terza donna, Caterina Filippi 27 anni, beata lei, Avis Novellara (48.15).

Salto al fondo della classifica per elogiare i 6 atleti del Cavriago negli ultimi 10 posti, da Roberto Marmiroli e l’ingegner Giulio Negri, alla coppia transcontinentale Huynh Thi Lang e Du Bien Sen (appena tornati da San Diego, California, e in vista della prossima family-reunion a Sidney), per chiudere con la prof Brunetta Partisotti e Francesca Paglia, giunte un po’ prima dell’ora e trenta.

Forse erano un po’ davanti a Giangi, protagonista del suo solito siparietto con questo commento inoltrato alla rete: “Come si fa a togliere cartelli già alle 10,3O alla corsa Castellarano 9 giugno visto mentre li toglievavi (sic)  ho litigato ...mi sono fatto dare i 3 euro indietro. Mi ha visto chi toglieva cartelli e ci siamo parlati non gli é fregato nulla e tolto lo stesso cartelli ... allora gli ho dato il tagliandino e mi ha reso i 3 euro.

Perché se non vogliono in giro nessuno danno partenze per camminatori e competitive separate. Camminatori 30 minuti prima o anche 1 ora prima?”.

Appunto, i non competitivi, in numero elevato anche se non strabordante come nel pre-Covid (società più folta, ovviamente, il Cittanova-Open Arms con 77, poi la Guglia Sassuolo con 65 e Sportinsieme Formigine 45: insomma, Modena batte Reggiana 3-0). Non sapevo dell’opzione di riavere 3 euro (il prezzo del pettorale non comp) per mancanza di “cartelli”: a parte che il percorso era segnato con frecce verdi sull’asfalto ogni 20 metri, e bisognava essere (come disse Hegel) nella notte delle vacche nere per non vedere dove si andava.

Comunque, il giro (nella sua nuova versione che non fa più capo allo stadio e aumenta i tratti campestri, con 3 km buoni di lungo Secchia – fiume che qui è ancora di genere maschile e diventerà stupidamente femminile nella Bassa modenese) è piacevole, ragionevolmente “tecnico” (addirittura con avvisi di discese pericolose, che non lo sono affatto ma hanno indotto alla prudenza il mio compagno Attilio Acito in Cavallo), e al rientro sull’asfalto allietato, come sempre, dal secondo ristoro gestito dalla splendida Soraya che mesce un lambrusco liscio e nerissimo come i suoi capelli.

Arrivando al traguardo, venendo trascurato giustamente dal clan Mandile-Iotti perché non comp, lo speaker Brighenti, annunciato anche nel volantino come valore aggiunto della corsa, aggiorna sui successi azzurro-tenebra (sto citando Arpino, cosa pensate?) agli Europei di atletica. Lunghissima fila al ritiro del premio non comp, e andandoci solo un quarto d’ora dopo capisco il perché: erano distribuite ad esaurimento delle crostate. Per noi ritardatari (suppongo anche Giangi) restava la scelta tra un pacchetto di fette biscottate e una canotta, più due pezzi di gnocco farcito (ai prezzi dell’Unità di Sorbara, superiori al costo del pettorale). Intanto le premiazioni erano gestite da un giovanissimo sindaco: che differenza con noi modenesi che ci apprestiamo a incoronare un vecchio romano con la barba bianca.

7 giugno – C’era una volta il Trofeo Berlinguer, benemerita risposta modenese al Challenge (pronuncia: sciallànsg) bolognese, cioè raggruppamento delle corse estive tardopomeridiane che si disputavano anche in paesini minuscoli o in parchi pubblici, a fianco dei festival dell’Unità. Istituzione, ripeto, benemerita, che consentiva di allenarsi in compagnia e in allegria, e per chi voleva, farsi poi una cena a prezzo apparentemente economico, sebbene di qualità discutibile, partecipando magari pure agli eventi “culturali” annessi a quel festival.

(Ricordo una sera, tra gli anni 80 e i primi 90, che a Bosco Albergati, luogo d’incontro di Berlinguer e Challenge, sentii i Nomadi in una delle ultime esibizioni di Augusto, che cantava “Un vecchio e un bambino” che il batterista accompagnava come se fosse “libiam nei lieti calici, zumpappa zum”).

C’era anche un’entente cordiale fra i due coordinamenti, che si spartivano i giorni della settimana in modo da evitare sovrapposizioni (martedì e giovedì da una parte, mercoledì e venerdì dall’altra), così Peppino Valentini poteva indirizzare la sua tenda, o meglio la sua Open arms del podismo, a Sorbara come a Crespellano, a Paganine come a Zola Predosa, a S. Anna di S. Cesario come a Calcara…

Ah, quel campo largo di una volta! Oggi invece, alle 18.10, quando cominciavo a fare i piani per arrivare a Sorbara appena in tempo per la gara (e prendermi l’usuale sgridata di Paolino: et riv seimper a l’ultem minòtt!), mi raggiunge un whatsapp di Giangi: “Oggi vai Crespellano BO. Io NO troppo caldo 29 gradi ombra ore 18,00 a Campogalliano Mo”. Bravi: di corse dell’Unità ce ne sono sempre meno in regione (oltre tutto, l’Unità non è più il giornale del Partitone), e le andate anche a sovrapporre? Continuiamo pure a farci del male, diceva Nanni Moretti, che aggiungeva: con questi non vinceremo mai!

(Google mi avverte che le stesse cose le avevo scritte un anno fa, quando a far le spese della concorrenza era stata San Damaso: ma evidentemente la storia non serve a niente) .:Podisti.Net:. - Corsette modenesi: il top di Magreta e il flop di San Damaso

Sebbene Crespellano sia una delle corse più belle di tutto il Sciallànsg, opto per la più comoda Sorbara (quantunque la tradizione corsaiola locale non sia delle migliori: un anno, perfino il povero Rispoli, che non risparmiava elogi a nessuno, sbottò in "ma sono corse queste?"). Sbarco a dieci minuti dalla partenza (19,45), e con grande sorpresa riesco a parcheggiare nel piazzaletto appena davanti al baraccone (baracchino: grande come casa mia), mentre in anni passati dovevo cercare posto a 200 metri o più. Il tempo di spogliarmi e lasciare la borsa da Valentini, che mi accompagna col solito “Vai tranquillo!”, e lo speaker dice “Cinque minuti alla partenza!”. Sì, ma dove sono i podisti? Sembra quasi un ritrovo tra vecchi compagni di classe, ci conosciamo tutti (Mac, Paolino & Maurito, Rambo e Mastrolia, Morena e l’attraente new entry Cristiana Pradelli, Pivetti, Marco Medici, “Mastrolindo”, Antonio Ragazzi, qualche maglia gialla del Finale e verdina dell’Albareto): ci contiamo, siamo 40, e uno chiede “Fate l’appello?” (Lucio, assente ingiustificato!).

Mi viene in mente una poesia luzzarese di Zavattini che dice all’incirca: A jò vist un funeral acsè puvrètt – ch’an gh’era gnanc al mort – la zent adré a sigava – in mes a la fumana. Nemmeno un gatto di fotografo: di questo passo, arriveremo a una gara podistica senza podisti? Sconsolata l’Ilva Guidetti, che tante corse festivaliere ha organizzato, e che oggi merita la foto di copertina: “almeno loro hanno avuto il coraggio di farla; io a Fossoli non l’ho avuto”.

Si parte, il giro “lungo” annunciato di 8,5 risulterà alla fine di 7,2 perché ci fanno saltare l’ultimo ricciolo attraverso le strade di Sorbara intitolate a vini concorrenti come Chianti, Vernaccia e Moscato. E’ un ricordo ormai lontano il ristoro ‘privato’ verso il km 6 dove davano bicchieri di lambrusco; come pure la bottiglia in premio finale: siamo ormai stabili sul mezzo kg di pasta (d’altronde, con 2 euro di iscrizione cosa pretendete? un Mimmo Lucano?), più un buono sconto per la cena nel baracchino adiacente: visti i prezzi (1 euro per un gnocco fritto senza condimento, 3.50 per le patate fritte, 16 per la frittura di mare), la fila per la cena è forse inferiore al  numero dei podisti (che, conteggiando i camminatori-anticipatori, saranno stati 70 o 80).

Le cose più belle sono i convenevoli del dopo-gara: se Morena Baldini rifiuta di farsi una foto con Maurito Malavasi perché questi è a torso nudo (e chissà se sotto l’accappatoio ha qualcosa), Mastrolia invece accetta il ritratto insieme alla simpatica Cristiana (entrambi vestitissimi, e con la mamma di lei che sorveglia da lontano), la quale dà appuntamento a Castellarano domenica mattina. Giorno in cui si potrà addirittura fare la doppia, con ritrovo a Freto nel pomeriggio, per una sagra nei pressi di dove sorgeva uno dei più potenti festival del mondo: podisti proletari di tutto il mondo, unitevi!

6 giugno – I forzati del podismo, in questa giornata modenese, si sono alzati verso le 5, hanno versato l’obolo di 15 euro ai furbi organizzatori della Run 5,30 (che li hanno compensati con una maglietta dal valore stimato tra i 2 euro e i 20 centesimi, con ciliegie offerte dagli sponsor e dichiarando di versare un euro in beneficenza), e hanno fatto finta di correre selfeggiandosi sui viali modenesi; poi alle 19,30, in rapporto di 1 a 10,  si sono presentati a Magreta (cittadina collocata in comune di Formigine sebbene sia più comoda a Sassuolo, e nota per aver dato le origini al partigiano “bianco” Ermanno Gorrieri) per una gara relativamente nuova, raccomandata perfino da Giangi (“Magreta giovedì 6 giugno meglio tutta campagna e poi bellissima festa dove si mangia benissimo”), e dove la devoluzione in beneficenza (ancora Giangi: “MIO parere non mi sembra giusto obbligare con la scusa solidale e aumentare i prezzi inscrizione”) non incideva sul prezzo d’iscrizione, il minimo sindacale di 2 euro (a fronte di una confezione di piadine, e di ricche premiazioni di società oltre che individuali).

Risultano 661 i partecipanti, con la scontata prevalenza della truppa di Peppino Valentini (72 iscritti) sulla Pod. Formiginese che contribuiva all’organizzazione. Notare che la mattina alle 5,30 risultano distribuite 6750 magliette… è questo il podismo della società liquida e del gender indefinito?

Il percorso lungo di Magreta (9,5 km, con uno intermedio da 6,5 e uno ancora più corto), perfettamente presidiato da vigili e volontari (compreso Giorgio Reginato, oggi esentato dalle funzioni di speaker, su cui vedi sotto) si snoda sulle campagne a nord del paesone, fin quasi alla modenese Baggiovara, ricalcando in piccola parte il giro della corsa lunga di Cittanova; ma in questa stagione si respira il profumo dell’erba tagliata di fresco e dei tigli a inizio fioritura, delizia sensoriale che si aggiunge a quella visiva di stupende partecipanti come Alessandra e Fatima (quest’ultima, anche velocissima, se verrà premiata come terza donna). Presenti pure i reggiani del clan Giaroli-Iotti-Petti-Nerino Carri con l’aggiunta del reggiano per diocesi Italo Spina; e autorità del podismo modenese come i due Giuliano, Macchitelli e Vecchiè, coi quali scambiare pareri sulle 5,30 e sui candidati podisti alle imminenti elezioni (si dice che il presidente nazionale dell’Aics sia molto bravo e abbia nel suo programma la valorizzazione delle piccole società sportive, in via d’estinzione anche grazie all’ex prefetto Gabrielli, che ora da parte sua si propone sulla sponda opposta come “consulente” politico al candidato sindaco di Reggio).

Giro in piena tranquillità, su strade tranquille esenti da traffico, con rilassanti tratti campestri. Alla fine (quando la campana suona le 20,30), lunghe e dettagliate “quelle che sono le premiazioni”, dove, stando all’intercalare dello speaker, sono premiate “quelle che sono le società più numerose”, e anche “quelli che sono i primi 5 arrivati”, con in più i meritati festeggiamenti a “quella che è la nostra concittadina, finisher del Passatore” in meno di 10 ore.

Non manca la passerella per “quella che è la nostra sindaca – o ex sindaca?”, benedetta dagli automobilisti che vanno a Sassuolo e debbono sottostare a un suo autovelox fissato ai 90 orari (prima erano 110) in un tratto dove la superstrada a due corsie separate corre sotto il livello del suolo, in assenza assoluta di abitazioni.

Invece qui, in un angolo di Magreta quasi all’ombra del campanile (chi si ricorda di don Walter Sirotti e della sua accoglienza a base di parmigiano e lambrusco?), la festa continua nella cena raccomandata da Giangi. Viva tutti, tranne una.

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