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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Il nome di Ignazio Antonacci (da Polignano a Mare, 1973) è apparso varie volte su questa testata, sia per la presenza dei suoi pacemakers RunningZen in corse pugliesi (http://podisti.net/index.php/cronache/item/3863-taranto-10-taranto-nel-cuore.html ), sia per sue brillanti prestazioni in maratone internazionali come Valencia e la prediletta New York, con qualche maratona under 3h (http://podisti.net/index.php/notizie/item/5157-i-migliori-italiani-in-gara-a-new-york-domenica.html ), sia infine per la sua “dottrina” di allenamento (cfr. http://podisti.net/index.php/tecnica-e-materiali/item/78-piu-forti-e-veloci-per-la-tua-maratona.html ).

È ora il momento di vedere il suo insegnamento raccolto in un corposo volume di 373 pagine (stampate dalla Kimerik di Patti, Messina: per 20 euro), il cui titolo Corri verso il benessere è arricchito in copertina dall’ottimistico hashtag #puoisevuoi – Raggiungere quaLsiasi obiettivo di salute e di performance, e scandito nel suo corso da un gran numero di citazioni più o meno famose, exergo, presentazioni: tra i più citati, ci imbattiamo nel nome di Sergio Bambarén (che nel nostro piccolo mondo non avevamo mai sentito nominare, e ricorrendo ai motori di ricerca scopriamo essere un sessantenne scrittore ed ecologista peruviano, gran produttore di frasi celebri e luoghi comuni finiti su internet: https://www.frasicelebri.it/frasi-di/sergio-bambaren/). Per scoprire che “la sfida della vita consiste nel superare i nostri limiti” (come apprendiamo a p. 273) non c’è però bisogno di andare fino in Perù: basta guardare nostro figlio o nipote che prima va faticosamente a gattoni, poi si tira su, poi corre, poi impara a pedalare e a nuotare e infine (o purtroppo) prende la patente. E l’abbiamo già letto a p. 1, con parole poco diverse e la firma di Valentina Vezzali; e lo rileggeremo a p. 290 sotto la forma anglo-latina di NoHumanisLimited, che scritto “no Human is limited” beneficia di tre milioni e mezzo di googlate e fa pure il titolo della recente autobiografia di Eliud Kipchoge.

Analogamente, è vero che il “qui e ora” e “la verità è nella via di mezzo” sono legate alla filosofia Zen (pp. 27-28), ma l’hic et nunc o il  modus in rebus erano già il prodotto della vecchia filosofia greco-romana. E avrà ragione pure il Qohelet (per non dimenticare una terza civiltà da cui la nostra dipende): “C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questa è una novità»? Proprio questa è già stata nei secoli che ci hanno preceduto”. Allora, se tutto è già stato detto, ben vengano autori come Antonacci che ce lo ripetono ponendo l’accento sulle cose più sagge e intonando il raca per le peggiori.

Questo di Antonacci sembra il suo primo libro a stampa, che mette insieme le sue certificate competenze di preparatore atletico (“coach”, come si precisa fin dalla copertina) e insegnante di scienze motorie, e le sue profonde convinzioni “Zen” che portano lui e i suoi allievi ad un approccio globale, mentale prima che fisico (a p. 21 si usa anche ‘olistico’) non soltanto alla corsa, soprattutto alla maratona, e prima di ogni altra alla maratona “major”; ma a tutto quello che le sta attorno, la precede e segue: in una parola, una filosofia di vita (immancabile fin da pag. 6 la frase che “la maratona è metafora delle vita”, su cui Google offre 494mila risultati). Da profano, forse accosterei questa metodologia all’allenamento mentale professato da una parallela scuola di mental coach e di “Programmazione Neuro Linguistica”, cui appartengono per esempio il Robert Dilts e il Ted Garratt citati un po’ imprecisamente a pp. 274-5, poi 372.

Insomma: questo libro offre molto più che le rituali tabelle (presenti con moderazione alle pp. 125-131, 146-7, e più sistematicamente nell’Appendice a 359-368) per correre da zero a 10/21/42 km: queste sono piuttosto evocate che dettagliate nei capp. da 5 a 8, e subordinate al principio esposto già nella prefazione, “la forza della mente riesce a portare il corpo ovunque desideri”. Naturalmente, l’affermazione va presa cum grano salis, per non indurci alla tentazione di saltare dalla finestra credendoci Peter Pan: la meravigliosa macchina del corpo umano, le cui risorse sono certamente più estese di quelle che la civiltà artificiosa di oggi ci induce a sfruttare, ha tuttavia dei limiti fisici, che nessuna mente per quanto ‘caricata’ potrà superare (a p. 75 viene qualche richiamo alla cautela, al non “spingersi troppo in là rispetto ai propri limiti”).

È sicuro che manuali come questo di Antonacci aiutano a riscoprire cose che forse già sapevamo eppure non mettiamo in pratica, e allora è bene che qualcuno ce le ribadisca, anche col supporto dei suoi allievi che qui sono chiamati a testimoniare, con entusiasmo e devozione, i loro successi sotto “quella losca figura” di un “noto spacciatore di sane abitudini e benessere psicofisico” (p. 265); allo stesso modo che Antonacci racconta del suo apprendistato in Kenia, sugli altopiani rossi dove i futuri campioni si preparano a piedi nudi ma con una forza e un entusiasmo che nel flaccido Occidente del welfare garantito stiamo smarrendo (infatti la pratica del barefoot è sconsigliata a pp. 61-3, rispetto all’uso di scarpe più o meno “secche”).

Piaccia o no, a tutti noi corridori capita di procurarci “lesioni e traumi”, descritti a pp. 76-70, coi rimedi più immediati (compresi stretching e ghiaccio, che secondo altre ‘filosofie’ sarebbero invece negativi: a “teorie discordanti” si accenna a p. 101); basilare la raccomandazione di un “approccio Zen”, che viene declinato più in esteso nel cap. 5, “Le attività complementari alla corsa”, dove si fa una rassegna – credo completa – di tutti i “metodi” disponibili, e gli eventuali attrezzi per praticarli. La cautela maggiore sembra investire la “pliometria”, alias caduta dall’alto, che può essere “dannosa” e richiedere fasi di recupero (86-9); e allora, l’amatore che non voglia andare alle olimpiadi può accontentarsi di allenarsi a sensazione, secondo la “scala di Borg” di p. 131.

Preparazione fisica e psicologica sono affiancate nei capitoli chiave 7 e 8, che intendono portare i principianti fino alla maratona, con qualche parola difficile e qualche sigla di troppo (a p. 157 compare l’ATP, evidentemente ritenuto tanto noto da non necessitare di spiegazione, come la “deplezione” di 181-2). Novità (almeno per noi) introdotte nei metodi di Antonacci sono il SuperOp (200-202), versione tecnologica del “buon giorno si vede dal mattino”, e il CoachPeaking (“completamente in italiano” malgrado il titolo, e la spiegazione “we make training simple”, che magari un anglofono nativo direbbe “we keep” eccetera: 209-10; come direbbe “negative split” piuttosto che “Splite Negative” di p. 135 o “Negative Splite” di 183). Ci sfugge poi che bisogno ci sia di dire tante cose in inglese, e sottolineare con un insistente corsivo parole come runner, pullman, performance ecc., che sono su tutti i vocabolari italiani; e tanto che ci siamo, sottolineare anche post come se fosse una roba da Facebook e invece è una parola latina, poi italiana (postindustriale, postcomunista ecc.).

Ma forse, l’anglismo è indotto dalla finalità che appare dal cap. 9, “Strategie per la maratona”: consigli senza dubbio utili in generale, ma che da p. 225 si rivolgono in maniera specifica a chi frequenta le majors e in particolare New York (i pullman per la zona di partenza, la lunga attesa prima del via a onde, il telo termico, il ritorno veloce in albergo per la doccia). Con tutto il rispetto per New York (peraltro, la meno ‘naturale’ e la meno-Zen di tutte le maratone al mondo), crediamo che sarebbe meglio avviare chi corre la sua prima 42 a qualcosa di più tranquillo e casalingo, in patria, così da non aggiungere, all’ansia della “prima volta”, anche i problemi di un lungo viaggio, del fuso, della lingua, della cucina ecc. Invece Antonacci insiste con le major, soprattutto New York (da lui corsa cinque volte, più la volta che non si disputò causa meteo), cui dedica venti pagine dell’ultimo capitolo, che al termine si trasforma in un aperto invito a raggiungere la Grande Mela.

Torniamo alla parte più meritoriamente formativa del libro: la “valutazione funzionale” (i test, non tutti semplici da attuare in autonomia) del cap. 10; il triathlon del cap. 11 (il “Progetto Neofiti IronMan 70.3” è stata un’altra iniziativa di Antonacci); l’ “allenamento mentale” del cap. 12, allo scopo di “sviluppare il flow, o esperienza ottimale (citato come trance agonistica nel linguaggio sportivo)”, dove tornano i capisaldi della visione dell’autore. Più lungo, oltre 40 pagine, e a nostro avviso meritevole, è il cap. 13 sull’ “Alimentazione naturale per la corsa”: sebbene l’esergo di Gandhi “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, e il motto finale di Terzani c’entrino – è il caso di dirlo – come i cavoli a merenda.

Si insiste (p. 291, e di nuovo 306, e con parole cambiate a 315) che il cibo è “il farmaco più potente”, capace di preservare il nostro benessere (ma anche di farci ammalare se scelto e consumato a sproposito) in virtù dell’ “azione dinamica specifica” di ogni alimento; Antonacci propende per il controllo dell’indice glicemico e la dieta a zona di Barry Sears (detto biologo a p. 294, ripresentato come biochimico a 306), arrivando poi, dalla p. 315 in poi, sulla base della sua personale esperienza (dichiarata a p. 318), all’elogio della mensa vegetariana se non addirittura vegana, ed al “crudismo” ovvero l’alimentazione “viva senza cottura”.

Siamo sicuramente d’accordo che il non cibarsi di carne sia una scelta etica, che se avessimo buon cuore tutti dovremmo praticare; qualche dubbio ci viene però se pensiamo che è la natura ad obbligare la stirpe umana a cibarsi di proteine, e quelle vegetali non bastano, tanto da rendere necessario il ricorso a integratori (è una crudeltà, ma purtroppo imposta dalla citata madre natura, che gli animali carnivori siano obbligati a uccidere le loro prede e cibarsene, e che i miei gatti, per compensarmi del cibo che do loro, ogni tanto mi portino in casa dei topi appena uccisi).

Ma non angosciamoci troppo, tornando piuttosto (da p. 319) a un argomento caro ad Antonacci, quello di “alimentazione ed emozioni”, secondo cui tutti i cinque sensi – non solo il gusto – devono essere coinvolti attorno a una “tavola festosa” alias “pasto emozionale”, dove gli stessi colori dei cibi infondono buonumore. E quanto agli integratori, vanno elogiati i suggerimenti di 330-1 a farsi da sé in casa gli “estratti” di frutta e verdura; prima di arrivare alla Finishline all’insegna del “buona corsa e buona felicità”, come al solito supportata da citazioni delle auctoritates più gettonate.

Peccato che molte citazioni siano riportate inesattamente (“un giorno potresti guardanti indietro”, p. 212; “non dovrebbe disturbare chi che la sta facendo”, 251), in linea con una resa (diciamo così) tipografica ben poco soddisfacente: scelte aberranti tra indicativo e congiuntivo (“l’importante è che non avviene un’attivazione”, 102; “sembra che il fattore decisivo è l’economia”, 108; “nonostante la produzione di acido lattico continua a salire”, 122; “gli yogi credono che la pratica attiva e bilanci”, 98; e viceversa “considerate che i percorsi ove i keniani si allenino sono strade sterrate”, 141); concordanze azzardate (“un ospedale pediatrico ove abbiamo visitato a Natale 2019”, 44, “un periodo di tempo che può oscilla” 101, “corri per divertiti” 355), le virgole disseminate nello stile del seminatore evangelico (un po’ sulla terra, un po’ tra i rovi, un po’ sui sassi), accenti e apostrofi aberranti (“ha fatto si di vivere”, 42; “come sì suol dire”, 96, “un ottima soglia” 136, “un ottima gestione” 238, “c’è l’ho fatta” 266). È un peccato, ripeto, perché queste continue sciatterie formali guastano un libro nato da intenti “sani”, da competenze pratiche, da successi sportivi che non ci sogniamo proprio di sminuire, e che nell’oralità non meno che nella pratica trovano il mezzo comunicativo migliore. Siamo sicuri che alla prossima edizione andrà meglio.

Rodolfo Malberti (Rudy)

 

La sera di Capodanno è giunto, nella casella postale di tanti, l’annuncio del dottor Rodolfo Malberti, brianzolo, specialista di Ortopedia, traumatologia e Medicina riabilitativa presso il suo studio di Desio: dopo trent’anni lascia la carica di Medico sociale presso l'ASD Atletica Desio, ricoperta appunto dal 1990. A questa, dal 2011 si erano aggiunti analoghi incarichi presso la Ginnastica San Giorgio '79 Desio (di ginnastica ritmica nazionale), e il Gruppo Marciatori Desio; senza contare la lunga militanza, dal 1984 anno della laurea, presso società calcistiche quali Lecco, Seregno e un pochino anche di Inter.
Per non dire del suo apporto come responsabile sanitario a molte gare internazionali, come la presenza fissa alla 100 km di Seregno anche quando fu campionato mondiale, dal 2013 in poi.
Nel suo messaggio, “Rudy” ringrazia per il “sostegno non solo finanziario, soprattutto sostegno  umano, mostrato in diversi momenti di questi 5 anni, che hanno visto centinaia di volte i nostri atleti salire sui podi di tutto il mondo. Avrò sempre il mio mega staff, Brianza Sport & Salute, compagno di viaggio. Staff che dico ‘mio’ per affetto, per amicizia, per collaborazione e professionalità, non per gerarchia professionale”. 
A fianco (e nel sito http://www.rodolfomalberti.com/rmj2/) scorrono centinaia di risultati d’eccellenza nell’ultimo quadriennio olimpico: cominciando coi successi in Italia e all’estero di Nasef (primo alla maratona di  Pisa, alle mezze di Ravenna e Boario nel 2016) e Mokraji (secondo alle maratone del Mugello e di Tangeri, terzo alla mezza di Trecate), poi ancora di Nasef nel 2017 (1° alla maratona di Plovdiv, alla mezza di Seregno e Scorzè, alla Monza-Resegone), con varie doppiette (insieme a  Tyar alla maratona di Varna); alla vittoria a pari merito nella mezza di Chiavari per Bamaarouf e Mokraji, tripletta alla Meratenight 10 km (Nasef, Tyar e Bamaarouf);  Bamaarouf 1° alla Brixen Dolomiten Marathon; Mokraji  1° alla  Marcialonga running…
E saltiamo al disgraziato 2020 che doveva essere olimpico, con l’emergere nel cross di ragazzi come Molteni, Polizzi, Secchiero: Molteni che fa sue varie corse in montagna e Secchiero che lo emula nel triathlon (dove già fu riserva all’Olimpiade di Rio), mentre la cadetta Polzonetti primeggia in diverse gare nazionali sugli ostacoli e nel salto in lungo.

E chi l’ha detto che Malberti smonta di sella? Lui, non solo continua a seguire atleti “suoi” personali (Yassine Rachik,  Andreatta-Abbiati nel beach-volley, Maxim Prodan pugile ucraino, Laura Pellicoro,  Mattia Moretti, Fatna Maraoui nazionali di atletica leggera) e pensa in grande, a quel “profumo di Sol Levante” che può significare Olimpiade. La quale a sua volta non è vista solo come una kermesse, ma “un mezzo importante per esaltare l'impegno di tutti nella promozione della dignità di chi soffre”; una “promozione d'amore”, che si aggiunge alla lotta al razzismo e al bullismo, che Malberti aveva eretto a simbolo nelle canotte dei suoi atleti partecipanti ai Campionati Italiani di Maratona di Ravenna del 2018.
E, non da ultimo, alla continuazione del sostegno a varie Onlus ed organizzazioni: Bindun, Associazione Senegalesi Legnano e dintorni (presieduta dall’atleta ed amico Mamadou Cissé), Ass. Sportiva Forze Armate del Senegal (Dakar), Zenzero Onlus, AVIS Desio, CRI Desio.

Il pensiero finale (che solo in questo caso diventa un addio) Malberti lo rivolge ad Attilio Pozzi, il fotografo non solo sportivo di tutta la regione, caduto sul lavoro a 65 anni, nel dicembre 2019; ma se l’Uomo, purtroppo, non tornerà più, un altro collega, Roberto Mandelli, per lungo tempo resterà ancora al fianco di tutti gli sportivi lombardi.

Premesso che alle prossime elezioni delle supreme cariche in Fidal, fissate per il 31 gennaio, noi podisti (ovvero, le nostre società) conteremo come il due di coppe, mentre servirebbe almeno un due di denari o un due di bastoni: perché, fuori di metafora (come da anni scrive Sebastiano Scuderi) vota solo chi fa attività su pista e conta in base ai risultati della pista… ecco, appunto dopo questo preambolo, diciamo che a noi stradisti o trailer l’esito delle elezioni lascia piuttosto indifferenti, perché il nostro “Partito” (bè, diciamo, “movimento”) non sarà rappresentato nel nuovo Parlamento o Governo.
La sola speranza è che fra gli eletti (e soprattutto, l’Eletto), ammesso che non gli resti solo da “spazzare i locali” (marchio di Walter Brambilla su Trekkenfild n. 89) siccome tutto il resto è già deciso, qualcuno dal di fuori, un po’ per sentito dire, si prenda carico anche degli stradisti: che, come ha calcolato Scuderi, rappresentano il 58,5% del totale dei tesserati Fidal, sostengono con le tessere e le tasse federali tutto l’apparato, ma – appunto - hanno percentuali risibili al voto.

http://podisti.net/index.php/commenti/item/6814-dopo-il-disastro-affidiamoci-a-l-anno-che-verra.html

Allora, che speranze ci danno gli eleggibili? Ho dato un’occhiata comparativa ai programmi ufficiali dei tre  candidati, e alle loro ultime comunicazioni; e qui espongo le personali impressioni, che in nessun modo coinvolgono il resto della redazione e la linea editoriale di Podisti.net. Sono solo le idee di chi sul petto si appunta due medaglie: 1) quella di campione Fidal 2020 over 65 per le 6 ore di corsa 2) la squalifica di due mesi per aver vivacemente criticato nel 2019 una sentenza di tribunale federale; il che, da giornalista con 41 anni di tessera, mi fa entrare nella schiera cui appartengono Giovannino Guareschi (reo di aver criticato De Gasperi ed  Einaudi), e Can Dundar, caporedattore del principale giornale  turco di opposizione appena condannato a 27 anni, ma anche Giulio Regeni e Patrick Zaky (naturalmente, la mia ‘pena’ fa il solletico rispetto a quelle subite dai citati; ma siamo sempre nel giro dell’articolo 21 della Costituzione).
Dunque (ancora per citare Guareschi nella sua premessa al Don Camillo del 1948) siete “padronissimi di rompermi un candelotto in testa”, alla testa mia, non alla testata che mi sopporta da 6+5 anni, perché si tratta della “voce della mia coscienza. Roba mia personale, affari interni miei”.

Credo ci si possa sbrigare in breve col programma di Roberto Fabbricini, nelle cui 20 pagine le parole podismo, running, strada non compaiono MAI. C’è la parola master, col riconoscimento che questi rappresentano “circa metà dei tesserati. Un ambito fatto di adulti che svolge la propria attività in larga parte in autonomia, spesso senza una guida tecnica”. Per loro si promette “valorizzazione tecnica”, “creazione della figura dell’Istruttore Master”, un “dipartimento dedicato all’attività Master” e un calendario che eviti “il mero ricalco dell’attività assoluta”. Il tutto ispirandosi “alla cultura dell’etica, con vincoli di collegialità, sostenibilità e compatibilità di bilancio”: in mancanza di altre considerazioni, desumiamo che gli stradisti continueranno a sovvenzionare la maggior parte del bilancio federale, e dovranno dividersi i nuovi istruttori federali coi master che fanno il salto con l’asta o i 400 ostacoli.

(Ma vedi sotto per l'aggiornamento alla mezzanotte del 25 gennaio)

Qualcosa di più, incredibilmente, appare dal programma del candidato ‘continuista’, e tuttora il favorito (seppure non favoritissimo), il generale Vincenzo Parrinello, che dedica un paragrafo del suo programma al “Mondo strada”: attualizzata la problematica alla luce della pandemia, che sulla base del “distanziamento sociale” (termine erroneo, che comunque vuol dire i due metri di distanza obbligatori), impone “una rivisitazione dell’attuale sistema-strada”. Occorrono “regole semplici che accrescano la loro partecipazione e orgoglio di appartenenza alla Fidal. Guardare al sistema di chi corre o cammina, anche con finalità diverse: per la salute, per il benessere, per sfuggire allo stress quotidiano, per stare insieme, per migliorare la loro qualità di vita, come un sistema inclusivo”.
Belle parole, e nel concreto? Anche qui “creare un dipartimento specifico che si occupi di questo mondo e che sappia rispondere alle loro esigenze in modo chiaro e semplificato”: sulla base (e qui cominciano un po’ a fischiare le orecchie) della “Run Card, che ha dato alcune risposte alle esigenze del mondo della strada”: risposte – aggiungo - soprattutto alle casse federali, molto meno alle società storiche degli stradisti. E attenzione alla parte finale, su trail e ultramaratone: vogliamo “riportare alla Federazione e alle sue realtà territoriali tutto ciò che è organizzazione dell’attività atletica in forma agonistica, in presenza di classifiche individuali, facendo finalmente chiarezza sul ruolo fondante e primario della Federazione nella pratica delle discipline dell’atletica leggera agonistica. E di quelle “no stadia” in particolare, comprese le varie forme particolari di pratica come le “Ultra-Distanze”, il “Nordic e Fit Walking”, e altre”.
Questo vuol dire che tutte le corse con classifica (alias competitive) potrebbero essere svolte solo dentro la Fidal. Dunque, via gli EPS, via le convenzioni? Generale, “vogliamo i colonnelli” anche nella cronoscalata delle Tre Croci e alla Tre Monti di Imola?

A questo punto, rimane il terzo candidato, Stefano Mei ovvero l’Associazione “Orgoglio Del Riscatto”. Se ci dobbiamo fondare solo sulle parole scritte (scusate: webinar e forum non ne ascolto), è indubbio che Mei, sia pur non avendo nella sua carriera risultati al di fuori della pista e del cross, ha dedicato a noi podisti uno spazio oltremodo significativo. Cominciando addirittura dal 24 luglio, quando ci si illudeva che il podismo potesse davvero cominciare (ma chi scrive, per praticarlo sul serio, andò in Svizzera), e Mei tributò un doveroso omaggio alle gare svoltesi, tra difficoltà crescenti, nei primi due mesi dell’anno, “da Terni a Napoli, da Santa Margherita Ligure a San Felice al Circeo, da Verona a Carrara e tantissimi altri, capaci di animare le strade e le città italiane con buona parte dei circa 100.000 atleti tesserati FIDAL che partecipano abitualmente o saltuariamente a questo tipo di competizioni”, lamentando lo stop successivo. Seguivano queste parole sante:
“Quello del running si è dimostrato un sistema oliato, capillare e dall’enorme potenziale, spesso più sfruttato che valorizzato, ma che ha saputo ugualmente trovare le proprie idee ed i propri accorgimenti per riuscire ad essere efficace ed attrattivo, come dimostrano i numeri e le continue innovazioni messe in campo, persino durante il lockdown”.
Più ambivalente il discorso sulla Runcard, “tra condivisione e controllo”, con la promessa di “lavoro di ascolto della base e di analisi di questo strumento”, anche all’interno di “un organo consultivo permanente, rappresentativo dei vari format chilometrici, delle competenze e dei riconoscimenti organizzativi, nonché della compagine dei runners e delle loro società, finalizzato all’interlocuzione costante e continua”.
Dico che l’”interlocuzione” è un po’ poco, ma è meglio dei colonnelli inviati alle corse su strada per irreggimentarle. Si ammette che “il running vive grazie al lavoro di migliaia di realtà organizzative, solide ed autonome”, da aiutare con “possibili azioni di co-marketing e comunicazione condivisa con gli organizzatori”, col “bisogno di tarare meglio le tasse federali” (qui ti voglio: carta canta!).
Notevole anche il desiderio (la promessa?) di “evolvere alcuni regolamenti, lavorando anche sul piano dell’interazione con il legislatore, proseguendo l’iter relativo alla partecipazione degli stranieri e la partecipazione alle competizioni anche in chiave ludico-sportiva-turistica”: tradotto, non vessare gli stranieri che vogliono correre da noi sotto maree di carte più o meno bollate. Infine si parla di ripensare alle attuali classificazioni mediante “label” e di “strumenti di promozione integrata delle manifestazioni sul territorio nazionale ed extra-nazionale”.

Ma chi si ricorda più, come scrivevano Vecchioni e Lo Vecchio mezzo secolo fa, del “bene di luglio”?  (Non lo posso portare - Tutto il bene che ho dato - Te lo devo lasciare - Questa sera che ho pianto). È tempo di votare, e degli ultimi appelli; non faccio dietrologie e dunque non mi chiedo se le dernier cri di Mei, datato venerdì scorso 15 gennaio, sia concepito per colmare lo svantaggio che gli viene attribuito nei confronti del generalissimo. Strumentali o no, queste parole mi hanno colpito e le riprendo qua, non con intenti pubblicitari ma per inchiodare ad esse (non con chiodi ma con le spille per appuntarsi il pettorale!) chi le ha messe per iscritto. Faccio una scelta dei passi più significativi:

Il settore del “non stadia”, ovvero l’insieme di tutte quelle discipline di corsa e di camminata sportiva che si svolgono al di fuori di una pista, è cresciuto in questi anni con numeri esponenziali, ma la Federatletica sembra considerarlo esclusivamente un bancomat cui attingere a piene mani (ricordiamo che ben oltre il 50% dei tesserati e degli eventi a carattere nazionale fa capo proprio a questo settore). Il movimento si sente più un ostaggio che una risorsa attiva della FIDAL, cui invece dovrebbe fare riferimento con orgoglio e senso di appartenenza”.
Occorre dunque lavorare a
“- calendario con sovrapposizioni o accavallamenti di eventi di pari livello, se non eccessive vicinanze di luoghi e date;
- regolamenti da revisionare, a partire dai meccanismi di catalogazione degli eventi che talvolta non inquadrano il valore della manifestazione e spesso non incentivano gli organizzatori ad ambire ad un livello superiore, soprattutto a fronte di servizi carenti o addirittura mancanti, non quindi tali da giustificare l'aumento dell'impegno organizzativo e di spesa a loro richiesti;
- assenza di una sezione semplice, specifica e facilmente accessibile del “running” sulle piattaforme federali, con aree più complete ed immediate sia per gli appassionati che per i neofiti.
Non secondario il tema RunCard, strumento nato con l'intento di avvicinare molti appassionati della corsa al mondo federale, ma che si è tramutata in un altro strumento poco apprezzato dalla base per la sua concorrenzialità e che quindi andrà modificata o sostituita da altri strumenti che possano tutelare meglio atleti, società e organizzatori”.

Mi pare ci sia stata un’evoluzione negli ultimi sei mesi, meno benevola per la Runcard. Sulla linea di quanto già detto è il resto del messaggio, che prospetta “la creazione di un organo di commissione apposito per il running e lo sviluppo di una comunicazione innovativa ed efficace. La neo-commissione dovrebbe fungere da filtro tra la base ed il Consiglio, con il compito di svolgere un attento lavoro di ascolto e sintesi delle varie criticità o delle nuove proposte per portarle alla discussione dell'organo di governo”.
Non siamo ancora alla rappresentanza con diritto di voto, ma almeno potremmo farci “ascoltare”, e avere una “cassa di risonanza di questo movimento e delle tante storie che racchiude, in collaborazione con una parte della famiglia dell'Atletica Italiana che ha investito quasi da sola su se stessa, cercando autonomamente risorse sui territori e nel mondo dell'imprenditoria, innovandosi, evolvendosi tecnologicamente e creando reti, comunità e circuiti che stanno spingendo ulteriormente la crescita esponenziale in atto”.

Il tutto dunque dovrebbe portare ad “una Federatletica al passo con i tempi e davvero attenta a tutti i propri tesserati”.

Così sta scritto: noi non voteremo, e se possibile, dato che il 31 gennaio è domenica, andremo a correre. Poi aspetteremo la rituale “lunga maratona” dei ballottaggi, degli apparentamenti, uhm, delle desistenze, delle astensioni e dei “responsabili-costruttori” in cambio di un sottosegretariato: per sapere alla fine se comanderanno i colonnelli, e i loro tribunali federali, o i centomila che calpestano o calpesterebbero strade e sentieri.

Aggiornamento (ore 23,59 del 25-1-21)

 Il vecchio programma di R. Fabbricini di 20 pagine, cui abbiamo fatto riferimento, è ancora leggibile (ore 23,30 del 25 gennaio) sulla pagina ufficiale del candidato fabbricini_programma.pdf (robertofabbricini.it) ; non sappiamo per quanto ancora, anche perché all’apertura Microsoft lancia il seguente avviso:

Questo sito è stato segnalato come non sicuro / Ospitato da www.robertofabbricini.it / Microsoft consiglia di non continuare con questo sito. È stato segnalato a Microsoft perché contiene minacce di phishing che potrebbero tentare di rubare informazioni personali o finanziarie.

Speriamo bene. Ma alle 18,52 di questo stesso giorno è stata inviata una nuova versione di 22 pagine, nella quale miracolosamente, a p. 14, si materializza la parola “strada”, come oggetto di una delle quattro commissioni da istituire in quanto “più urgenti”. Perché? Perché quello delle corse su strada “è un mondo estremamente eterogeneo che va dal master anziano fino al top runner”, e (aggiunge), investe non solo la Fidal ma “gli enti di promozione fino a Run Card”. Da qui nasce il sovraffollamento dei calendari con “sovrapposizioni di gare”, e l’ “idea” “ di una federazione che raccoglie le istanze per poter essere un supporto tecnico e normativo per i runners”. Meglio che niente, ma siamo molto sul generico, e quel “normativo” fa pensare a regole, obblighi, pretese (come quelle intuibili dal programma di Parrinello); manca ogni accenno ad una distribuzione di risorse nei confronti di un movimento che contribuisce in misura preponderante alle casse federali. A meno che ciò non salti fuori dal successivo paragrafo, aggiunto pure esso, sulla Runcard, “nata per gestire l’annoso problema di quella fetta di runners non tesserati per la federazione”, ma ora divenuta “per certi versi incomprensibile”, anche perché è gestita “dalla società Infront” in base a “un contratto che non è conosciuto all’esterno né per quanto attiene ai contenuti né per le condizioni”. E se non lo conosce un pluridirigente federale come lui… Che si ripromette di “intervenire su tutto quello che confligge con le Società di base tesserate per Fidal” (si intenda, depauperate dei loro iscritti).
Che questa aggiunta a 6 giorni dalle elezioni sia stata “elaborata grazie al contributo e al confronto continuo con le società” (come scrive la nota di accompagnamento), oppure piluccata dai programmi della concorrenza nella speranza di sottrarle qualche “costruttore” (come li chiamano adesso) o - non sia mai! - suggerita dal nostro contributo,:noi ve la riportiamo, con tempestività pari alla nostra equidistanza. Tanto, come già detto, gli “stradisti” praticamente non possono votare.

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Domenica, 17 Gennaio 2021 22:53

Correre per il benessere secondo Blaise Dubois

Cinquecento pagine per un volume sulla corsa sono una quantità sicuramente superiore alla media dei libri in commercio sull’argomento: tutti utili, sebbene il 95% delle pagine di ciascuno sia pressoché uguale agli altri (almeno per quanto riguarda i metodi di allenamento, il lungolento e il cortoveloce, le ripetute e gli allunghi, ilminutodicorsa e ilminutodipasso – l’unica cosa della serie che non mi ha mai convinto, sebbene qui a p. 37 la si proponga per la prima settimana del principiante), e a sua volta uguale alle tabelle su riviste patinate e su siti specialistici. Ragion per cui, il suggerimento è comprarne uno ogni dieci anni, perché ogni decade può darsi che cambi nettamente l’ideologia dell’allenamento, anche in dipendenza dalle prestazioni mirabolanti ottenute da questo o quell’atleta d’élite.

Chi scrive, che non è certamente un modello di prestazioni ma quanto a longevità podistica e quantità di traguardi ha pochi rivali, per i primi vent’anni ha corso a istinto, poi si è confrontato con “Correre è bello” e adesso nel cassetto del comodino, dove stanno il cronometro, i tesserini, i certificati e qualche stralcio da giornali di esercizi ginnici (da fare, come sconsigliato, appena alzato) tiene “la bibbia di Lorenzini”. Altro non serve, se non la voglia di correre, in mesi nei quali i malpensanti dicono o impongono di stare in casa a chattare ed aspettare che gli altri guariscano.

Però questo libro è diverso: La salute nella corsa, di Blaise Dubois e Frédéric Berg (in versione italiana, Mulatero Editore, settembre 2020, € 35),  con gli altri non si mette in concorrenza, ma semmai in opposizione: non l’opposizione che una volta si richiamava al Bartali sopravvissuto a se stesso, e adesso ai noVaxnoTavnoOGMno5G (sì soltanto alla conservazione della poltrona parlamentare fino al 2023); ma una ridiscussione ragionata, elaborata, non ex cathedra perché semmai le “cattedre”, gli esperti chiamati in causa, sono una cinquantina: il che porta talora a ripetere le stesse cose in pagine diverse (ad esempio le pagine 105 e 120 sono quasi uguali), e talaltra ad alcuni dissensi interni, o per essere più esatti, ad alcuni accomodamenti dei principii esposti su singole situazioni, per esempio di infortunio. Cito solo il rifiuto, in linea di massima, delle calzature ipertecnologiche, che allontanano il piede dal terreno, temperato dalla raccomandazione di scarpe ‘rialzate’ o plantari per il recupero da determinati malanni.

La filosofia, non nuovissima - sentita anche in Italia da un ventennio circa - e che Blaise Dubois (uno svizzero trapiantato in Quebec, autore principale del libro) mette in pratica nei suoi centri fisioterapici raccolti sotto l’insegna LaCliniqueDuCoureur , dal 2015 anche in Italia (fisiorun.it, con sedi a Lecco e Mandello del Lario), si riassume nel titolo stesso del libro, o in quello del cap. 13, “Ritorno alla natura”. Quello che cominciarono a predicare Daniel Lieberman e Dennis Bramble in base a studi antropologici sulle popolazioni meno ‘civilizzate’ e più vicine all’utilizzo, istintivo sì ma razionale, delle risorse fisiche che rendono l’uomo - a differenza degli altri animali - “born to run”, soprattutto capace di correre a lungo in competizione con le possibili prede o predatori. Studi che sono stati rafforzati e in parte confermati dalle nuove deduzioni sull’uomo preistorico, la cui struttura fisica (cervello a parte) non è molto cambiata fino ad oggi: uno dei segreti è la conformazione dei nostri piedi, con le dita parallele e articolabili in un certo modo; oppure la grande disponibilità di ghiandole sudoripare, che ci garantiscono sempre il mantenimento della temperatura corporea ideale (da profano, resto perplesso alla notizia che l’uomo corre meglio degli altri mammiferi anche perché ha un collo più robusto e può tenere la testa eretta: penso ai miei cani e gatti che, pur correndo ovviamente a quattro zampe, riescono a tenere collo e testa dritta in una posizione che per noi a quattro zampe riuscirebbe molto faticosa; e che lavorando di testa e collo riescono ad aprire le porte: ma forse avrò frainteso).

Dettagli a parte, la materia del libro è ricca e ben ordinata; forse è anche l’essere stata concepita nella lingua francese, dalla struttura affine all’italiana, aiuta nella terminologia, dove la schiavitù degli anglismi è spesso vinta a favore di espressioni più nostre (ad esempio “Allenamento per intervalli” alias API anziché interval training, “trasferimento incrociato” anziché cross training); rimane però il vezzo delle sigle ammiccanti, come KISS “Keep It Simple Stupid” ovvero “non complicare le cose”, e PEACE & LOVE, cioè “Protezione Elevazione Antinfiammatori-da-evitare Compressione Educazione” ecc.

Si premette che correre regolarmente riduce del 63% il rischio di malattie mortali, del 70% l’osteoporosi, del 70% il morbo di Alzheimer, e si aggiunge più avanti che le morti improvvise del podista sono infinitesimalmente superiori a quelle del non-sportivo (roba da 0,0003 insomma).

Non mancano le canoniche tabelle di allenamento, che alle pp. 34-41 differenziano le distanze dai 5 km alla ultramaratona, con la raccomandazione che il terreno ideale su cui correre è il fondo naturale irregolare, che rinforza tutto il sistema muscolo-scheletrico; ancor meglio se si corre a piedi nudi (ma in questo caso l’asfalto è raccomandabile perché non ti nasconde quanto può capitare sotto i piedi). Cercare di tenere un buon ritmo, fare un certo sforzo in allenamento è vantaggioso anche per perdere peso, ma gli atleti non professionisti faranno bene a non sovraccaricarsi oltre la soglia della fatica, e nell’imminenza della gara a fare tapering (uno dei pochi anglismi rimasti), ovvero “scarico”. Bene è anche sostituire una delle sedute settimanali con una sessione non podistica (ciclismo, nuoto, ma pure salto della corda, lavoro coi pesi ecc.); è invece negativo cambiare di punto in bianco i metodi di allenamento o la loro intensità: si calcola che l’80% degli infortuni abbia questa causa.

Ma copio da p. 91 una massima, che in forma diversa è esposta anche altrove: “un dolore recente e acuto è un chiaro messaggio di protezione che il corpo invia per avvisare di non caricare troppo la struttura sofferente”: a p. 92-3 due profili di corpo umano elencano le 23 patologie più frequenti, distinte non solo per il luogo di manifestazione (anca, gluteo, piede ecc.) ma per il tipo di corridore che ne soffre di più (fondisti, trailer, pistard). Ad esempio i podisti non dovranno preoccuparsi degli stiramenti dei muscoli ischiocrurali (dietro della coscia) o di stress metatarsale, perché toccano solo ai pistaioli; mentre solo i maratoneti e i trailer mettono nel conto le tendiniti dei quadricipiti e rotulee, e solo ai trailer capitano le distorsioni della caviglia (naturalmente ci sono le eccezioni). La cura di questi infortuni sarà illustrata più avanti, nel cap. 9 che indico fin d’ora come uno dei più interessanti e utili (non uso l’aggettivo “imperdibile” perché lo lascio ai marchettari).

Piuttosto rivoluzionari i suggerimenti su come trattare un infortunio, alle pp. 99 e ss.: di fronte alle prassi consolidate della modalità “protezione” (riposo, immobilizzazione, trattamenti passivi, efficaci nell’immediato ma dannosi a lungo termine) Dubois raccomanda l’“adattamento”, cioè movimentare il punto dolente, rinforzare le parti ‘concorrenti’, non portare calzature “massimaliste”.

Il punto dolente (in tutti i sensi) è l’impatto al suolo del corridore; l’ideale è “correre senza far rumore”, piegando il ginocchio e con appoggio non di tallone (che viene invece stimolato dalle scarpe troppo rialzate oggi di moda) e ritmo intorno ai 170 passi al minuto (che a occhio mi sembrano molti per l’amatore medio-basso; ma forse basta ridurre la falcata per ottenerli): anche scarpe più leggere, fino alla… nudità, possono aiutare a raggiungere il passo ideale, che consiste pure nel “sollevare i piedi invece di spingerli” (135). Il cosiddetto “allineamento perfetto” è un mito, sfatato da tanti campioni olimpici e mondiali (Radcliffe, Bekele, Jeptoo, Gebre ecc.): non si deve essere terrorizzati da una testa che oscilla o una pronazione (che in sé non è nemmeno un male).

A proposito: alle scarpe protettive, antipronazione e anti-tutto è dedicato il capitolo forse più velenoso del libro, quasi cinquanta pagine dal titolo “Le scarpe da corsa. Un inganno!”: secondo Dubois, i decantati fondamenti scientifici non hanno basi provate, è tutto marketing che cambia il nostro modo naturale di correre predisponendoci maggiormente agli infortuni. Da vittima di una tendinite della bandelletta che compromise la mia prima New York, e dopo tante bacinelle e ionoforesi ecc. fu risolta solo da scarpe con aria o gel, e soprattutto da due plantari su misura, mi permetto di riferire senza prendere posizione. Certo, le prime volte che passai dalle scarp de tenis (grosso modo appartenenti alla categoria “minimalista” prediletta dal volume) a quelle un po’ più professionali, mi sembrava di camminare su quei tacchi che vedevo portare dai reduci da poliomielite: però, bene o male mi sono preservato fino alla tarda età, puntando peraltro sui plantari più che sulle scarpe (per le quali credo di non aver mai speso più di 60 euro, contro i 200 e passa dei plantari). In ogni caso, per onestà di reporter trascrivo i principii di p. 178:
- l’ammortizzazione e il controllo della pronazione non prevengono gli infortuni
- chi usa scarpe ‘minimaliste’ o va a piedi nudi si infortuna di meno (per farsene un’idea basta vedere il profilo e le foto di Carlos Montero, classe 1991, a pp. 486-7)
- attenzione però ai primi tempi per chi passa alle ‘minimaliste’, perché è più a rischio di infortuni.
Viva la sincerità di Craig Edward Richards, della scuola di Scienze biomediche di Newcastle (AUSL) a p. 181: “quando si scelgono le scarpe, non preoccuparti troppo della filosofia o dei dogmi… Siamo ancora lontani dal capire se le scarpe da corsa ci proteggono o meno dagli infortuni”.
L’antidogmatismo e l’appello al buon senso mi sembrano i punti forti di tutta la trattazione.

Che è ancora lunghissima, e per illustrarla tutta ci vorrebbe un altro libro, non certo un articolo su web, dove tutti abbiamo fretta di arrivare in fondo. Tutta la seconda parte è dedicata agli infortuni, e tratta in maniera sistematica quanto sopra anticipato: no alla “ipermedicalizzazione”, al buttare giù qualunque cosa pur di abolire il dolore e tornare a correre; no anche (sorpresa!) al ghiaccio, no allo stretching prima della corsa (che favorirebbe infortuni muscolari), no agli analgesici, che rallentano o impediscono il lavoro di “rigenerazione” fatto da Madre Natura. E segnalo come vera sezione aurea di tutto il libro, per credenti e per scettici, la serie di schede a pp. 275-331, sugli infortuni principali e la loro cura: ecco la citata sindrome della bandelletta che mi fregò a New York trent’anni fa, appunto “la seconda condizione patologica più comune nei maratoneti”, che si può prevenire con esercizi di rinforzo; e la tendinopatia dei quadricipiti, prerogativa del popolo delle lunghissime: curarla con bende più che ghiaccio, nuotate piuttosto che discese-salite, e rinforzando il muscolo. Infine, l’accidente che colpisce tutti i runner: i guai al tendine d’Achille, per i quali (una tantum a p. 314) è consigliato un aumento dell’ammortizzazione e del drop (cioè il tacco rialzato).

Già ho accennato al “rinforzo”, come ingrediente essenziale per la prevenzione e la cura degli infortuni: ecco alle pp. 389-398 una serie di esercizi, questi sì abbastanza noti e dunque di universale raccomandazione (ma non è detto che un libro debba essere tutto originale e ‘diverso’!). Però fa impressione il promemoria a p. 484 di Eric Breton, classe 77, cui fu diagnosticata una “spondilite anchilosante”, che lo costringeva ad andare a quattro zampe: le cure opportune lo hanno portato, negli anni Dieci, a correre prima le maratone sotto le tre ore, poi gli ultratrail fino al micidiale Tor des Géants, e a sentirsi (questo è importante) “grato per quello che ho dalla vita”.

Infine, non meno essenziali i capitoli su alimentazione e idratazione: per la prima, il “ritorno alla natura” si sintetizza nella ricerca di alimenti il più possibile naturali e non artefatti, e nel seguire l’istinto (mangia quando hai fame: anche la ricca colazione e la cena leggera non sono dogmi, p. 405), equilibrando la dieta tra cereali, proteine (poca carne rossa!), frutta e soprattutto verdura, e sapendo come o quando “caricarsi” di carboidrati. Interessante la proposta di p. 417, di un allenamento a stomaco pieno la sera dopo cena, e un altro la mattina dopo appena alzati.
Per l’idratazione, alle scontate accuse verso le bibite cosiddette isotoniche si aggiunge la critica del cosiddetto “mito della disidratazione” (p. 426), che porta all’eccesso opposto del bere troppo, anche quando non si ha sete, causando a volte danni anche gravissimi come l’insufficienza di sodio. Non più di 800 grammi d’acqua all’ora bastano e avanzano; ma c’è anche chi beve e “sala” molto meno, tuttavia mantiene ottime prestazioni, perché non è dimostrato che il sodio assunto in gara vada in circolo in tempo utile, in modo da prevenire i crampi (p. 438-9). Insomma, ognuno è fatto a modo suo, e l’organismo di ciascuno manda il segnale di bere quando è necessario (431), e se Gebre alla fine delle sue maratone perdeva il 10% del suo peso (quasi tutto in sudore), poi lo ripristinava ed era pronto per vincerne un’altra.

Non mancano raccomandazioni per i bambini e per gli anziani, riassumibili nei facili slogan “non è mai troppo presto né troppo tardi”, e per le donne, con attenzione particolare a chi è incinta o allatta (a proposito, anche i reggiseni pare siano inutili se non dannosi). Insomma, per chiudere con una delle affermazioni finali: “la corsa è per tutti, basta scuse!”.

 
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10 gennaio - Entrai in Trieste la prima volta un pomeriggio degli anni Settanta. Il treno era l’erede dell’Orient Express, con carrozze da Parigi per Thessaloniki - Istanbul dopo soste a Belgrado, Sofia e chissà cosa altro. Nelle ultime centinaia di metri rallentava a passo d’uomo, e dentro ai finestrini cominciavano a piovere borsoni, poi a salire persone che allora si chiamavano iugoslavi, venuti a Trieste a comprare quello che nei paradisi dei lavoratori non si trovava, e volevano garantirsi i posti migliori. Le colline sopra la città erano dominate da una gigantesca scritta che inneggiava al Maresciallo. Un paio di km a sud, a Muggia, l’Italia finiva; ma anche Trieste non eravamo sicuri che fosse proprio italiana, nel senso che era la “Zona A”, provvisoriamente nostra ma chissà. Solo nel ’77 entrò in vigore il trattato di Osimo, e Trieste fu italiana del tutto; ci lasciarono anche la Foiba di Basovizza, dove gli italiani erano stati buttati vivi, legati col filo spinato ai morti ammazzati. Ma Capodistria, Isola, Pirano (da dove era scappata la mia maestra, con suo fratello che coprì la ritirata di famiglia sparando), tutta l’Istria insomma, andarono di là per sempre, come era già accaduto a nord per Caporetto o le grotte di Postumia.

Da queste tristezze cercavo di liberarmi, in quelle prime incursioni, salendo a San Giusto: memore della campana cantata dal 1915, da Caruso, Claudio Villa e Pavarotti, e delle ragazze di Trieste che chiedevano all’Italia di liberarle. E sull’altura di San Giusto una quantità perfino eccessiva di lapidi e monumenti ricorda quel 4 novembre 1918 quando il tricolore fu issato sul castello dall’invitta armata di Emanuele Filiberto duca d’Aosta, e su pietra venne incisa una lapide con la scritta “Mare Nostro”, a bagnare le terre redente (poi, la “vittoria mutilata” fu risarcita dai Legionari del Poeta Soldato, e la Carta del Carnaro fu la prima costituzione moderna ed eversiva della nuova Europa). Ma ricorda anche gli anni duri del “TLT”, il lavoro degli sminatori, i profughi istriani: nella mente tornano i nomi di Nino Benvenuti e Abdon Pamich, di Laura Antonelli e Alida Valli (trovate due donne più belle in tutta Italia), di Mario Andretti e Sergio Endrigo, di Ottavio Missoni e Lidia Bastianich. E per entrare in campo podistico, anche il marchio Diadora (che andrebbe pronunciato Diàdora), seppur fondato in provincia di Treviso, ricorda il nome latino di Zara (alias Zadar), da dove uno dei primi suoi artefici era dovuto fuggire.

2. Queste cose mi hanno guidato, più di quarant’anni dopo (o forse, più di sessanta, da quando cioè la maestra Maria, che mi chiamava fiaccòòne per le scarse doti ginniche, ci parlava di San Giusto lontana e contesa), a cercare di iscrivermi alla Corsa della Bora, dopo aver partecipato più volte alla Bavisela e alla maratona di maggio. Il sito del Sentiero S1 (appunto, il sentiero sul Carso stretto tra il confine e i meravigliosi strapiombi sul mare non più tutto nostro) è tanto ricco da rischiare di smarrircisi, ma anche da invitarti a leggerlo e rileggerlo e indurti a fare di tutto per prendere parte all’evento. Quest’anno, poi, c’è la complicazione enorme del Covid-19, con le limitazioni pazzesche poste all’agire umano, e un accanimento particolare contro il podismo. Sicuramente le leggi (o meglio, i decreti, sebbene di dubbia costituzionalità) sono fatte a fin di bene, la pressione sugli ospedali e le rianimazioni è intollerabile, il numero di morti per Covid (sebbene si dovrebbe dire “con Covid”) è doloroso, e sicuramente da qualcuno delle centinaia di superesperti e superfrequentatori dei talkshow (sebbene la loro qualità accademica ovvero il cosiddetto h-index risulti spesso carente) vengono avvisi di saggezza, che poi i politici tirano da una parte o dall’altra a seconda del proprio indice di gradimento.

Per farla breve, ho aspettato l’ultimissimo giorno (lunedì 4 gennaio) per iscrivermi, ma tenendo il fiato sospeso di fronte alle arlecchinesche carte d’Italia tricolori (non biancorossoverde come a San Giusto, ma giallo arancione rosso, con le varianti del “giallo rafforzato” o del “rosso attenuato”), che già avevano costretto Trieste al rinvio della data prevista del 3 gennaio, causa l’inopinato rosso festivo su tutta Italia. Solo venerdì 8 sera, leggendo che il Friuli-Venezia Giulia aveva uno degli Rt più bassi d’Italia e per giunta in calo (da 0,94 a 0,91), mentre quello della mia regione stava crescendo e portandoci “in arancione”, ho prenotato un albergo; a confortarmi sono giunti ben tre email (uno al giorno) di “invito” mandati dagli organizzatori agli iscritti, e corredati di tutte le pezze d’appoggio legali e le firme importanti, ad uso di quale poliziotto zelante. Perfetto anche il briefing di venerdì sera (cui ne sarebbe seguito un altro sabato sera).

3.Eccezionali, ed inaudite, le misure di sicurezza, anche se un mio compagno di squadra (non a caso mezzo triestino) dice che “all’aperto e distanziati, prendersi il Covid richiede un impegno notevole”: il ritiro pettorali andava prenotato per un’ora precisa; al “Bora Village” situato nel luogo di arrivo, sulle alture di un paesino che non è nemmeno nell’atlante stradale del Touring al 200mila (ma per fortuna è noto a Google maps, oltre che perfettamente indicato nel sito della S1), potevano accedere solo gli atleti. Anche l’orario di partenza andava prenotato, in una finestra di 15 minuti, senza mai superare le venti persone presenti; obbligo di mascherina nelle prime centinaia di metri, e (novità per me, che pure da settembre a oggi sono andato a tutte le gare esistenti in un raggio di 350 km) obbligo di mettersi la mascherina anche nell’accostarsi ai ristori, dove potevamo prendere un sacchetto e farci versare nella nostra tazza personale le bevande, poi allontanarci per consumarle. Obbligo di lasciare la borsa del cambio, sigillata e disinfettata dagli organizzatori, la sera prima già nel luogo di arrivo; ingresso contingentato nella tenda-spogliatoio dopo l’arrivo, con preghiera di far presto (quando arriverà il mio turno, noterò che appena la panca a me destinata è liberata dal precedente occupante, una addetta correrà a disinfettarla).

Tutto ciò perché (come ha detto in conferenza il commander in chief Tommaso de Mottoni) questa è una circostanza unica e un’occasione storica, e c’è gente ‘di fuori’ che non aspetta se non un passo falso per sparare le sue solite bordate disinformate, faziose e invidiose (questo lo aggiungo io) contro una pratica dello sport disciplinata e responsabile. Ovvio l’invito al rispetto e al buon senso per tutti noi; e io stesso, entrando in un ristoro, ho preso una piccola amichevole e sacrosanta sgridata perché la mia mascherina mi era cascata da un orecchio (era il copriorecchi di Podisti.net che non accettava… l’intrusione dell’elasticino). Ed entrando nello spogliatoio finale ho dovuto togliermi i guanti (che avevo portato per tutta la gara) per farmi disinfettare le mani!

Insomma, non mi vergogno di aver elogiato, da Casal Borsetti a Trino, passando per San Marino, Andora e altri posti, gli allestimenti di sicurezza posti in atto, e rivelatisi efficaci al 100% (mai un podista ammalatosi dopo queste gare: e oggi che la scienza ha scoperto il paziente 1 italiano con data 10 novembre 2019, chissà se gli sciocchi e disinformati detrattori del podismo la smetteranno di proclamare che Mattia Maestri si è infettato in gara); ma qui a Trieste ho visto cose straordinarie, impensabili: insomma, la perfezione, a prova del più pignolo dei questurini e del proibizionista più fanatico. All’obiezione, invece, che non dobbiamo correre per rispetto dei morti, non saprei cosa replicare: meglio mettersi a letto ad aspettare l’eterno riposo, beninteso spegnendo il frigorifero per rispetto ai morti delle dighe idroelettriche, e non partecipando nemmeno alla DAD e ai webinar, uno solo dei quali (sono statistiche della Gabanelli di oggi) produce tanto gas serra quanto 1500 ricariche di telefonino.

4. Allora, mettiamoci in viaggio: in autostrada, quasi solo camion con targhe turche o polacche o dintorni; in un bar verso Dolo ti aprono se suoni, il caffè devi fartelo da solo alle macchinette e consumarlo all’esterno. All’ultimo ristorante prima di Trieste, verso Palmanova, la cucina non funziona, ti scaldano solo panini o simile, e gli avventori seduti ai tavoli sono pressoché tutti podisti che vanno alla Bora. Come sarà anche negli alberghi di Trieste o Sistiana, offerti in gran numero a prezzi convenzionati con l’organizzazione. Ne prendo uno a due passi dalla partenza della maratona (una novità, messa su in collaborazione con Trieste Atletica), cui forse il nome di “Urban Eco Marathon” va un po’ stretto, perché di urbani ci sono solo i primi 2-3 km, poi l’attraversamento di qualche paesino alle falde del Carso, e l’asfalto grosso modo durerà una decina di km, più o meno tanti quanti i sassosi sentieri carsici, mentre il resto è costituito dalle stupende carraie a fondo naturale, o ghiaiate, dei Sentieri 1 e 2, e dell’Alpe Adria Trail.

Possono comunque bastare anche delle robuste scarpe da asfalto, come suggerisce de Mottoni, e io quelle scelgo (con un plantare abbastanza spesso) quando vedo che le previsioni danno precipitazioni all’1% (saranno i fiocchi di neve verso l’una), e fondo sostanzialmente secco. Tassativo, e ripetuto anche in un email di domenica mattina, vestirsi pesante e portarsi qualcosa di protettivo nello zaino: perché la bora è garantita (se non ci fosse, chiederemmo indietro il prezzo del biglietto: raffiche fino  a 100 km/h), la temperatura massima sarà di 3 gradi, quella percepita molto sotto: sull’altipiano, fra i 300 e i 410 metri, le pozzanghere sono ghiacciate e tra l’erba affiora la neve dei giorni scorsi. Godimento puro.

5. La prima parte della maratona (quasi 9 km) si svolge sulla bellissima pista ciclabile Giordano Cottur, ricavata da una vecchia ferrovia, compresa una galleria di 3-400 metri: avete presente la Cortina-Dobbiaco? Il nome di Cottur, triestino purosangue coetaneo di Bartali, riporta a quel drammatico Giro d’Italia del ’46, quando gli organizzatori ottennero dagli alleati occupanti di finire una tappa a Trieste; ma i titini di là e i loro compagni di qua (che consideravano Trieste non-italiana e dunque quella del Giro una invasione), a Pieris, ingresso della Zona A, sbarrarono la strada con pietre, blocchi di cemento, chiodi, filo spinato sulla carreggiata, e si misero pure a sparare. Ha scritto Daniele Marchesini: “Ortelli in maglia rosa si butta sotto una macchina, i carabinieri rispondono al fuoco, gli spettatori scappano nei campi, gli attentatori in fuga inseguiti. Panico. Le squadre più importanti subito decidono di non proseguire… Diciassette corridori decidono di continuare lo stesso. Passano due ore e gli organizzatori decidono che la tappa riparte dal bivio di Miramare. Tra i più infervorati, il triestino Giordano Cottur della Wilier Triestina, squadra che riunisce solo corridori delle Tre Venezie. Supera un passaggio a livello e si rimette a pedalare. Si procede lenti, la strada è piena di chiodi che gli spettatori di poco avanzano i corridori nel togliere. C’è pure Luigi Malabrocca con la sua maglia nera, e ovviamente arriva ultimo...”. Arrivano in 17, e simbolicamente vince Cottur, maglia rossa con l’alabarda, simbolo della città, sul petto, in un tripudio di folla.

Il giorno dopo, 1° luglio 1946, il grande Bruno Roghi, nel suo editoriale sulla Gazzetta dello Sport del 1° luglio 1946, scrive parole che danno un groppo in gola anche oggi: “È scappato Cottur… La sua andatura è impetuosa, il viso affilato e pallido dell’atleta compone con la sua bicicletta la prua di un ordigno aerodinamico. Un atleta triestino, della Trieste di noi tutti vola verso il traguardo della prima tappa. La sua maglia sapete com’è: rossa di fiamma. È la maglia della Wilier Triestina attraversata da un’alabarda. Rossa di fuoco, il sangue del nostro cuore è andato a tingere il tessuto che fascia gli omeri e il torso di un atleta triestino. Oggi non abbiamo che un nome sulle labbra e nel cuore: Giordano Cottur, che a un “no” per Trieste elaborato ai tavoli delle caute diplomazie, risponde con un “sì” a tutti gli sportivi italiani... I giardini di Trieste non hanno più fiori. Le campane di Trieste non hanno più suoni. Le bandiere di Trieste non hanno più palpiti. Le labbra di Trieste non hanno più baci. I fiori, i palpiti, i suoni, i baci sono stati tutti donati al Giro d’Italia”.
E se volete stemperare in un sorriso queste vicende di fronte a cui (scrive sempre il mio compagno di squadra) per i triestini “il Covid è un solletico”, cercatevi su youtube la scena finale di Totò al Giro d’Italia, cui partecipano Coppi, Bartali e appunto il mitico Cottur:

https://www.facebook.com/47861367820/videos/10154310276317821/

6. Andiamo dunque alla partenza, e partiamo pure, salutati da un gigantesco ciuco che ci dà il cinque (guantato). Tappeto di rilevamento, s’intende, e altri 3-4 controlli per via; trasmissione in tempo reale dei dati, per chi volesse seguire. Dopo 8,600 di moderata salita che ci porta comunque sui 300 metri, dai 64 metri della partenza, direi quasi al confine con quelli di là (S. Antonio in Bosco), c’è una brusca svolta a sinistra con strappo su sentiero che immette sull’altopiano, dove la bora ulula come nei film (devo dire, contro noi nel primo tratto, poi a favore, e infine diagonale nell’ultima parte). Frecce e bandelle a prova di cecità, ristori solo liquidi fino al km 14 (quando ormai il tè, originariamente caldo, per i tardoni come me è ex-tiepido). Ci si congiunge coi mastini della 80 km (partiti la notte di sabato), poi, sotto l’obelisco di Opicina da dove stanno partendo i velocissimi della 21, il ristoro con sacchetti dove mi sgridano (e ripeto che hanno ragione; mi fermano pure quando sto per attingere alla boccia del tè, perché me lo danno loro!). I sacchetti a sorpresa sono divisi in vegetariani, con formaggi, con cose dolci e con carne: punto sulle ultime due tipologie, e mi troverò fuori, su un muretto, a ingozzarmi di cubetti di squisita mortadella mischiandoli a pastiglie di cioccolato e a biscotti sbrisoloni che mi faranno tossire.

Da Opicina si torna su vista-mare, in una balconata giustamente frequentata da camminatori di ogni genere, mentre le pareti rocciose a destra sono popolate da climbers. Abbiamo un pubblico?? Orrore per i fanatici proibizionisti: una bella mamma con le sue due bimbe è al bordo della pista e ci applaude. Roba da far vietare la gara per infrazione al comma taldeitali che vieta il pubblico alle manifestazioni sportive? (e questa, se applicata al podismo, è forse la più demenziale delle disposizioni). Sono io ad applaudire e fare complimenti, senza mettermi la mascherina, alle bimbe: prossimi orfani della ministra Lamorgese, datemi la multa.

Dall’alto, sulla verticale di Miramare, lo sguardo spazia tra i due limiti del golfo, Grado e la Punta Salvore (oggi, ahinoi, Savudrija). Nessuno meglio di Carducci l’ha descritta, e sembra parli proprio di oggi: “Meste ne l’ombra de le nubi ai golfi – stanno guardando le città turrite, - Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo – gemme del mare; - e tutte il mare spinge le mugghianti – collere a questo bastion di scogli – onde t’affacci a le due viste d’Adria, - rocca d’Absburgo: - e tona il cielo a Nabresina lungo – la ferrugigna costa, e di baleni - Trieste in fondo coronata il capo – leva tra’ nembi”.

Ma conviene correre, perché le gazzelle della 21 ti sopravanzano (sempre complimentandosi, visto il colore del nostro pettorale), come noi ci diciamo ammirati degli eroi della 80 con cui ormai faremo strada comune, e ci dispiace sorpassarli, perché sono molto, molto più bravi di noi. Dalle parti di Prosecco (ah perché non offrirci un calice?) c’è la separazione coi 21 e 57 che scendono verso il mare; noi saremmo pure autorizzati a stare con loro (“non vi squalifichiamo”, spiega de Mottoni: “la fate solo più lunga e meno panoramica”). Dunque stiamo in alto, sopra Nabresina/Aurisina: e io penso a papà Gigliotti, che qui nel 1943 protesse la stazione da dove partiva l’ultimo treno per l’Italia: difendeva la patria e la famiglia, col figlio Luciano di 9 anni, diretto a Modena dove ha fatto quello che tutti sanno. Ma il papà rimase e finì in una foiba.

Passiamo la ferrovia e comincia l’ultima salita di un certo rilievo, verso i 300 metri attorno alla Grotta Azzurra, intorno al km 34. Persino sul pettorale sta scritto che la discesa è scivolosa: niente di che. Dopo il 39 arriviamo, quasi stabilmente, sull’asfalto, e tutti i percorsi si ricongiungono. Un addetto ci dice: bravi, ultimo km! Da scettico razionalista, con sguardo al Gps, lo smentisco: ne mancano più di due! È vero, la stazione e il campo sportivo di Visogliano (il paese sconosciuto al TCI) sono lì, ma per raggiungere la lunghezza canonica ci fanno fare una specie di circonvallazione fino al tappeto finale del chip.

7. Da qui, bentornati nell’Italia dei Dpcm: pregasi indossare la mascherina subito, ritirare self service la medaglia incellofanata (un bel rettangolo rosso-alabardato con la scritta “Essere qui è meraviglioso”) e il cestino-ristoro, non poter far altro che sentire le felicitazioni di due belle ragazze con la maschera che lascia scoperti solo gli occhi, passare nel campo dove il nostro cambio sanificato ci aspetta in bell’ordine, mentre il megafono ci indirizza al tendone-spogliatoio con preghiera di sbrigarci per rispetto a chi arriva. Due belle signore alla mia sinistra mi invitano al trail degli Eroi sul Grappa, ma qualcuno le sgrida perché la fanno lunga. Doverosi i complimenti alla giovane mamma Susanna de Mottoni (“si impartiscono lezioni” al resto d’Italia), e poi ci si attacca a Internet per vedere chi ha vinto. Mi arriva un whatsapp di un corregionale:

Posso solo dire GRAZIE agli organizzatori, che hanno dimostrato che oggi in Italia si può organizzare una gara grossa in totale sicurezza, tutto nei minimi dettagli, e zero rischi di assembramento. Bravissimi davvero (regione Friuli-Venezia G. e comuni coinvolti, non come ***) [segue nome di sede di gara soppressa all’ultimo], delle forze dell’ordine e anche dell’esercito. Mi levo il cappello e ribadisco il mio GRAZIE, sperando che in tanti abbiano il coraggio e le forze di seguirli. La gara era bellissima, durissima, freddissima, c’erano tanti punti panoramici che mi sono pure fermato a fare qualche foto”.

8. Ecco allora le graduatorie (complete qui a parte https://www.podisti.net/index.php/classifiche/14788-corsa-della-bora-urban-eco-marathon.html?date=2021-01-10-00-00 )

 

80 km (148 classificati più dieci coppie di staffetta, 7 ritirati tra cui la campionessa Francesca Canepa che ha scontato una crisi di freddo e fame), con arrivo quasi in volata:

1°  GUBERT MARCO 7:59:19

2° DE ROSSI ALESSIO 8:00:45

1^ donna e quarta assoluta: KESSLER JULIA 8:22:30 .

57 km: classifiche diffuse due giorni dopo per problemi tecnici, 147 arrivati e 5 ritirati:

1° POZZER ANDREA ITA 5:20:38
2° CARRARA LUCA ITA 5:28:52 
3° GHEDUZZI ROBERTO ITA 5:32:14 

Donne:

1^ (7° ass.) GUIDOLIN NICOL ITA 6:17:47 
2^ (9° ass.) VINCO GIULIA ITA 6:30:07

42 km  (112 classificati e 33 ritirati), con un dominatore assoluto, oltre 18 minuti sul secondo:

1° MILANI ALESSIO 2:51:17

2° 861 VENEZIAN FEDERICO 3:09:38.

Più combattuta la contesa femminile:

1^ GIUDICI FABIOLA 3:43:58

2^ 787 LASTRI MARIA ELISABETTA 3:47:15

21 km (372 classificati)

1° MERIDIO MICHELE 1:24:01

2° CORÀ GIOVANNI 1:25:35

Senza rivali vicine la vincitrice:

1^ STENTA CATERINA 1:42:43 .

16 km (202 classificati), anche qui con un vincitore netto:

1° BORGESA DANIEL  1:08:24

2°COMAND DANIELE ITA 1:12:16.

Tra le donne, lotta (presumo) in famiglia:

1^ BRUNO ILARIA 1:22:19

2^ BRUNO GRETA ITA 1:24:15

 
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18 dicembre - Questo 2020 non vuole andarsene senza aver completato la sua strage, anche in campo sportivo: e il Covid non c’entra. Ieri a tarda sera, all’ospedale di Rivoli presso Torino, si è portato via Gaetano Amadio, che fra un mese avrebbe compiuto 73 anni.
Torinese di Grugliasco (compatriota e amico di Giampiero Gasperini, oggi allenatore dell’Atalanta), già operaio della Fiat, è morto in seguito a una rovinosa caduta in casa, dovuta a un improvviso malore. Sembrava quasi il suo destino: i suoi tanti amici podisti ricordano quando, nel 2005, cadde da un albero nel frutteto dell’amatissima mamma (scomparsa in età avanzata nel 2012) procurandosi varie fratture, che avevano inizialmente interrotto e, dopo la ripresa, fortemente limitato le sue prestazioni agonistiche. Eppure, sul finire di quel 2005 aveva ceduto alle insistenze dell’amico Paolo Manelli e preso il via nella maratona di Reggio, conclusa al piccolo trotto in compagnia di altri ‘lungodegenti’, però finita.

Era stato fra i primissimi aderenti del Club Supermarathon, e in questo gruppo di allegroni che si ritrovavano quasi a cadenza settimanale, o si sottoponevano a lunghi viaggi in pullman per raggiungere località tedesche, croate, francesi (ma Gaetano non è mai stato un fanatico), l’avevo conosciuto anch’io, già nei primi anni Novanta. Era diverso da noi tutti: socievole ma non chiassoso, competitivo ma non geloso dei successi degli altri, premuroso e attento al prossimo; ad ogni mio compleanno non mancava mai una sua telefonata, e sono certo che lo faceva con tanti altri amici. Fausto Dellapiana l’ha ricordato pochi giorni fa, per una maratona di Vigarano corsa insieme. In poche parole, era il più buono: con lui, nemmeno Govi riusciva a litigare.

Negli anni migliori correva sempre sotto le 3.30, sia pur dedicando tutto il tempo che ci voleva ai ristori: nel marzo del 1999 corremmo insieme la maratona di Bovolone (VR), il suo passo era migliore del mio ma ad ogni ristoro lo riprendevo e da lì ricominciavano due km di chiacchiere, fino al successivo distacco e all’ulteriore ricongiungimento, che durò fino al traguardo, tagliato insieme (e come d’obbligo, davanti a Govi, che pure era più giovane di noi).

Alla fine di quello stesso 1999 ci ritrovammo alla maratona di Assisi, dove era convenuto tutto il “circo” del PDL (Popolo Delle Lunghe, marchio brevettato da Paolo Gilardi che di Gaetano è stato tra gli amici più cari e infatti lo vediamo in una foto con la mano sulla sua spalla): l’abbiamo raccontato su queste colonne, rievocando vent’anni dopo:

http://podisti.net/index.php/commenti/item/5516-vent-anni-fa-un-millennium-tra-assisi-e-roma.html

Ma fu tra le 4.34 e le 4.50 che arrivarono i mostri sacri di quell’ambiente: Giuseppe Togni da Lumezzane, classe 1926, che prima dell’addio da questo mondo supererà ampiamente le 750 maratone corse (e, a differenza di oggi, si trattava di maratone vere, ufficiali, non di quelle autogestite ecc.), e allora finì in 4.34, un minuto meglio dell’ing. Antonino Morisi da Persiceto (alpino, pubblico amministratore, e colui che scoprì per gli italiani le bellezze di Davos e Interlaken), che se ne andrà ancor prima, letteralmente morendo sul campo.Tra loro due si inserì un altro torinese che abbiamo fortunatamente il piacere di rivedere ancora, ma non più di sfidare in gara, Gaetano Amadio; come vediamo e leggiamo ancora di Mario Ferri, pratese classe 1946, che allora arrivò a braccetto col “Vescovo”, Pietro Alberto Fusari da Treia, inconfondibile per il basco nero e i bragoni bianchi. A chiudere il plotone dei 780 maschi, un altro oggi consegnato all’eternità: Mario Ferracuti, classe 1926 come Togni, “il leone di Fermo”, che ci ha lasciato nel 2018 a 92 anni.

Alcuni di loro, subito dopo le premiazioni, partirono per Roma dove l’indomani mattina scattò la maratona del Giubileo. Cose che in questo maledetto 2020 rischiano di parere leggendarie.
Nel 2005, dopo una maratona di Brescia in cui la brigata si ricompose:

http://podisti.net/index.php/commenti/item/3537-brescia-marathon-2004-2005-come-eravamo.html

Ed e’ stata anche una possibilita’ di rivedere amici antichi, come Paolo Gilardi (inventore della locuzione, oggi abusata, di "popolo delle lunghe"), Gaetano Amadio (pensionato Fiat che adesso va molto piu’ forte di Schumi),

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/6776-gaetano-piu-che-amico-fratello.html

Capitò, come detto, l’incidente, poi la lenta ripresa che lo portò a correre ancora sotto le 4 ore nel 2007 (l’immancabile Reggio, e Vittorio Veneto; ci trovammo anche a Budapest, al seguito di uno di quei viaggi di gruppo a buon mercato che si svolgevano di notte per risparmiare l’albergo). Alla fine del 2010 le classifiche mondiali dei supermaratoneti lo accreditavano di 327 maratone concluse; da allora, Gaetano decise di non registrare ufficialmente altre sue gare, sia pure continuando a correrle: la documentazione fotografica a nostra disposizione lo mostra a Padova (in costume), alla Barchi-Fano che fu tra le sue ‘ripetute’ preferite, e a Treviso, Lucca, sul Garda e altrove).

Per ragioni nobilmente sentimentali, nell’ultimo quindicennio Gaetano gravitava spesso dalle nostre parti. Eravamo stati insieme, nel 2016, ad una non competitiva nei pressi di Sorbara: che l’amico avrebbe voluto camminare, ma che lo costrinsi a correre, col pettorale da un euro e 50 spillato alla boia d’un giuda, nel sole lieto di quel sabato pomeriggio, in una festa senza classifica e senza calcoli (tranne, inevitabile, quello del tempo al km).

L’ultimo incontro era accaduto, per caso, alla stazione di Modena poche settimane prima dell’inizio dei guai che stiamo vivendo tuttora: chi arrivava e chi partiva; restano due foto scattate in fretta nel sottopassaggio semibuio. Poi, le immancabili telefonate per i reciproci compleanni, e la promessa di rivederci appena la buriana fosse terminata.
Invece, in fondo a quel tunnel della stazione di Modena c’era, per Gaetano, un altro tunnel: dove tutti lo raggiungeremo, sebbene non a nostro piacimento.

Lascia tre fratelli e tanti nipoti. Sabato 19 alle 19 rosario nella chiesa di San Giacomo a Grugliasco. Lunedì 21 alle 14 la salma si muoverà dall’obitorio di Rivoli per raggiungere la stessa chiesa, dove alle 14,30 si terrà la cerimonia funebre, prima dell’approdo definitivo vicino alla mamma, nel cimitero di Grugliasco.

 

Rodolfo Malberti (Rudy)

 

Ultima ora (22 dicembre): In seguito all’ultimo Dpcm governativo del 18 dicembre, l'evento è spostato di una settimana e si terrà il 9-10 gennaio. La prenotazione dei pettorali, per chi l’avesse già fatta, e il programma, non subiscono variazione ma vengono unicamente spostati di un weekend. La chiusura iscrizioni invece è prolungata fino al 4 gennaio. Per maggiori informazioni visitare il sito www.s1trail.com.

 

Il 12 dicembre è arrivata anche la conferma ufficiale da parte delle autorità predisposte a rilasciare i permessi esecutivi all’Asd SentieroUno: dunque è ufficiale, la Corsa della Bora si farà: si sta dunque avvicinando l’appuntamento con il festival internazionale del trailrunning che sabato 2 e domenica 3 gennaio vivrà la sua settima edizione.
Dalla scorsa primavera il lavoro dell’Asd SentieroUno è stato inteso, senza soste, e dedicato principalmente alla stesura di protocolli di sicurezza e prevenzione che permettessero a tutti gli appassionati di vivere un weekend all’insegna dello sport e della scoperta delle bellezze di Trieste e dintorni dopo un anno a dir poco anomalo. L’organizzazione ha sempre affermato che l’evento si sarebbe fatto in ogni caso a meno che un provvedimento governativo non vietasse nei primi giorni del 2021 lo svolgimento di manifestazioni come la Corsa della Bora. Ma sabato è arrivato anche l’ufficialità burocratica, ovvero è stato confermato il rilascio dei permessi esecutivi per svolgere la due giorni di gare.
“Di solito questi permessi arrivano solo sette giorni prima della competizione ma quest’anno i tempi, a causa della situazione pandemica, sono stati anticipati”, spiega il presidente della società organizzatrice Tommaso de Mottoni che aggiunge come  “L’iter per ottenere questi permessi è stato ancora più lungo del solito, con la richiesta di ulteriori documentazioni e autorizzazioni rispetto alle scorse stagioni, interessando gli innumerevoli Comuni, Enti e Autorità (territoriali, sanitarie, sportive) coinvolte nella manifestazione. E’ stato inoltre fondamentale il supporto del Coni e dell’Aics Fvg. Arrivata l’ufficialità, ora possiamo concentrarci per lanciare ancora più forte il messaggio che si può correre e competere in sicurezza”.

Ben 8 le gare, per ogni livello di preparazione ed impegno: dai 16 km sulle bellissime Falesie di Duino affacciate sul Golfo di Trieste, a distanze sempre più lunghe: 21, 42, 57, 164 km su tracciati mozzafiato, sempre vari e mai ripetitivi. Inoltre c’è l’Adventure Race Ipertrail con 173 km a navigazione GPS.

Gli atleti che viaggiano verso o dall’Italia potranno partecipare con una delega speciale. Ma attenzione: atleti non significa turisti, atleta è colui che oltre ad essere iscritto riceve una nostra lettera di invito e completa tutta la procedura di autorizzazione!

Dal 17 al 20 Dicembre gli atleti non italiani per partecipare dovranno completare una richiesta di ingresso con numero di passaporto, numero di iscrizione, descrizione dell’itinerario di viaggio. Questo ci consentirà di emettere un documento ufficiale di invito che verrà allegato alla trasmissione della richiesta di ingresso in Italia all’Ufficio 3 della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria (Coordinamento USMAF-SASN). Gli atleti stranieri iscritti riceveranno una news il 16/12 ed il 17/12 il link verrà pubblicato in Race Guide. In seguito al completamento della pratica, verrà emesso un documento di viaggio.
La Corsa della Bora incarna con DNA Triestino, lo spirito ci accoglienza e multiculturalità che hanno fatto di questa città un melting pot unico dove nei secoli popoli e culture si sono incontrati. Con questo spirito, anche quest’anno, abbiamo messo voi, la vostra presenza e la vostra sicurezza al primo posto. Possiamo quindi dire non solo che “siete autorizzati” a venire, ma che siete i Benvenuti.
Sebbene l’Articolo 31 del nostro regolamento non preveda il trasferimento dell’iscrizione all’anno successivo, abbiamo deciso di andare in deroga e consentire a tutti gli atleti provenienti da suolo non Italiano di trasferire l’iscrizione all’anno prossimo o ad altre gare S1.

Quest’anno l’iter autorizzavo è stato molto complesso ed il controllo di tutte le autorità coinvolte è stato estremamente scrupoloso, con varie richieste di integrazioni ed approfondimenti. Non la viviamo come frustrazione da burocrazia, ma come serietà e tutela della salute da parte di chi controlla: ci hanno “messo sotto i raggi x” ed esaminato i protocolli e le autorizzazioni in ogni dettaglio.
Su suggerimento delle Autorità ci sarà una piccola modifica al percorso… dovremo togliere una cosa ma ne aggiungeremo un’altra molto bella! I dettagli dopo Natale.
Noi ci impegniamo molto, ma anche tu che parteciperai dovrai dare un segnale forte ed inequivocabile: ci si può divertire e competere in sicurezza. Il runner non è un criminale da inseguire con l’elicottero ed i droni, ma un cittadino responsabile che dà il buon esempio.
Partecipare quest’anno alla Corsa della Bora significa, in queste condizioni, dare un messaggio di speranza e responsabilità per il futuro. Un messaggio che esiste solo se ci sono due condizioni: il nostro lavoro nel massimo scrupolo ed un tuo comportamento corretto.

Stiamo lavorando per un’edizione all’insegna della sicurezza ma anche della leggerezza e della semplicità, cercando di fare necessità virtù e sperando che questa non sia un’edizione “così e così”,  ma sia la migliore di sempre.
Con un format nuovo di gara volto a ridurre a zero le attese e a garantire la massima flessibilità.
Quest’anno niente distribuzione pettorali nei negozi e negli hotel. Non possiamo distribuire titoli di gara a concorrenti che non abbiano completato lo screening pre-gara.
Dispiace a voi, e significa più lavoro per noi.
Chiediamo solo una cosa, forse la più difficile: leggete le istruzioni. Poche ma da seguire.

RIASSUNTO:

Iscriviti alla gara entro il 23/12

Completa il profilo inviando il certificato medico laddove necessario e accertati di poter accedere.
Dal 10 dicembre prenota il ritiro pettorale: prenota responsabilmente, pensa a chi viene da lontano. Se sei di Trieste scegli gli orari più scomodi.
Dal 23 dicembre prenota la navetta e l’orario di partenza.
A 72 ore dalla gara compila e scarica l’autodichiarazione.
Sii puntuale allo screening e ritiro pettorale, non si fanno eccezioni, la legge non ce lo consente!
Divertiti in sicurezza.
Le iscrizioni chiederanno il 23/12.

Il 29/12 si terrà una riunione con esame del Meteo, in caso di tempo favorevole la gara è confermata in data 2-3 gennaio. In caso di meteo gravemente avverso è spostata in uno dei due weekend successivi. Il nostro dispositivo di soccorso funziona ed è rodato anche in condizioni avverse, ma vogliamo minimizzare il rischio di dover intervenire. Inoltre, il numero ridotto di servizi post gara e zone al chiuso, suggerisce di prediligere condizioni meteo non proibitive.

In caso di spostamento data:

Tutte le prenotazioni, anche degli hotel convenzionati e delle navette saranno spostate in automatico. Non dovrai fare NULLA. Cambia solo la settimana.

 

APPENDICE NORMATIVA E RIFERIMENTI LEGALI

DPCM in vigore alla data della gara: DPCM 4 dicembre 2020

Articolo 1, comma 10 lettera e

Sono consentiti soltanto gli eventi e  le  competizioni  -  di livello agonistico e riconosciuti di preminente  interesse  nazionale con provvedimento del Comitato olimpico nazionale italiano  (CONI)  e del Comitato italiano  paralimpico  (CIP)  -  riguardanti  gli  sport individuali e di squadra  organizzati  dalle  rispettive  federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva ovvero da organismi sportivi internazionali, all'interno  di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse ovvero  all'aperto  senza la presenza di pubblico. Le sessioni  di  allenamento  degli  atleti, professionisti e non professionisti, degli  sport  individuali  e  di squadra, partecipanti alle competizioni di cui alla presente  lettera e muniti di tessera agonistica, sono consentite a porte  chiuse,  nel rispetto dei protocolli emanati dalle rispettive Federazioni sportive nazionali,  discipline  sportive  associate  e  enti  di   promozione sportiva.  Il  Comitato  olimpico  nazionale  italiano  (CONI)  e  il Comitato italiano  paralimpico  (CIP)  vigilano  sul  rispetto  delle disposizioni di cui alla presente lettera;

NORMA CHE CONSENTE AD ATLETI E AL TEAM DI SUPPORTO DI VIAGGIARE IN ITALIA E VERSO O  DALL’ITALIA

Articolo 1, comma 10 lettera H

Al  fine  di  consentire  il   regolare   svolgimento   delle competizioni sportive di  cui  alla  lettera  e),  che  prevedono  la partecipazione di atleti, tecnici, giudici e commissari  di  gara,  e accompagnatori provenienti da Paesi per i quali l'ingresso in  Italia e' vietato o per i quali e' prevista la  quarantena,  questi  ultimi, prima dell'ingresso  in  Italia,  devono  avere  effettuato  un  test molecolare o antigenico per verificare lo stato  di  salute,  il  cui esito deve essere indicato nella dichiarazione  di  cui  all'art.  7, comma 1, e verificato dal vettore ai sensi dell'art. 9. Tale test non deve essere antecedente a settantadue ore dall'arrivo in Italia  e  i soggetti interessati, per essere autorizzati all'ingresso in  Italia, devono essere in possesso dell'esito che ne certifichi la negativita' e riporti i dati anagrafici della persona sottoposta al test per  gli eventuali controlli. In caso di esito negativo del tampone i soggetti interessati sono  autorizzati  a  prendere  parte  alla  competizione sportiva internazionale sul territorio italiano, in  conformita'  con lo specifico protocollo  adottato  dall'ente  sportivo  organizzatore dell'evento.

 
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12 dicembre – Chi avesse già letto il pezzo, vada in fondo perché c'è una nuova dichiarazione in presa diretta delle ore 20 di questa sera, stavolta in prima persona!

 

(Pezzo iniziale del 10-12)

Vista la passione politica del personaggio (l’unico punto in comune col sottoscritto è l’amore per alcune onorevoli molto piacenti), abbiamo optato per un titolo-revival di anni duri e puri, preferendolo a quello che lui stesso ci aveva suggerito nel finale della sua ultima intervista: Sono tornato: sòccmel, ech du m**, e solo aggiungendo tra parentesi ciò di cui diremo alla fine.

http://podisti.net/index.php/notizie/item/6666-michele-marescalchi-ricoverato-per-covid-ma-non- molla.html

Ma titolo a parte, preme dare la buona notizia, quella che dovevamo a quanti erano stati in apprensione per l’annuncio di un mese fa, del ricovero ospedaliero: Michele non ha mollato, malgrado una febbre durata vari giorni anche dopo il ricovero; se questa non terminava, era molto probabile uno spostamento in Terapia semi-intensiva; ma dopo sei giorni la febbre è passata e la situazione ha iniziato a migliorare. Come gli ha detto il suo vecchio medico, non può mollare un tipo come lui che ha fatto karate, pallavolo (riserva in serie B ai tempi delle scuole superiori), pallacanestro (ma come erano noiosi quegli schemi tattici con un prof come Mario De Sisti, che poi divenne il coach della Nazionale di basket svizzera!) e podismo: questo, iniziato agli albori delle prime podistiche domenicali, consigliato per la riabilitazione di un piede infortunatosi nei vari allenamenti e combattimenti del karate. Adesso a quasi 72 anni dopo aver chiuso con il correre, a parte qualche allenamento solitario (ma per lo più camminate attorno al laghetto della Cà Bura a pochi centinaia di metri da casa sua), si è dedicato al ballo dove è pure diventato maestro per Liscio e Boogie, e non ha avuto nessuna intenzione di arrendersi davanti a un virus che, brutto e pericoloso quanto si vuole, ma alla fine uccide un paziente ogni 400 che infetta.
Dunque, usufruendo di una integrazione respiratoria ma senza mai bisogno di essere intubato, Michele Marescalchi è passato prima nel reparto ammalati gravi del S. Orsola poi, dopo 13 giorni, a un reparto più ‘leggero’ per ammalati meno gravi a Villa Nigrisoli, per essere infine rimandato a casa dopo una decina di giorni, non più infetto (anche se il tampone alcuni giorni prima aveva dato esito positivo); ma vivendo da solo, i medici hanno ritenuto che poteva anche essere dimesso in quanto guarito dalla polmonite bilaterale. Non dovrà più fare tamponi e attende di giorno in giorno il permesso di uscita con lettera da parte dell’AUSL, per aiutare il ripristino completo dei polmoni con un po’ di aria buona (non quella dei centri commerciali, che sono il veicolo principale del virus, altroché le corse nei parchi!).

E non ha mai smesso di documentarsi, col suo stile pignolo e critico, e a maggior ragione adesso a casa, col telefono che gli squilla in continuazione, tiene nota di tutto quello che accade in tutti gli sport che lo appassionano; mai si accontenta di quello che appare nei comunicati ufficiali, ma ravanando (come dicono a Bologna) viene a sapere i retroscena di tutto.

Per cui, da ferrarese d’origine e tifoso ancor oggi della Spal, potrebbe dirci che forse il sogno di ritornare in serie A non è tanto certo, visto l’attuale buco di milioni di euro e la mancata erogazione dei contributi federali non arrivati per il rinnovo dello stadio “Paolo Mazza”, invece indirizzati ai problemi della salute pubblica.
Poi, da tifoso della Virtus basket sa parecchio sul licenziamento e la riassunzione dell’allenatore, tipica commedia all’italiana, e non entra nel merito dello stipendio del supercampione Marco Belinelli, che però non gioca; da discreto esperto di ciclismo ha da ridire sull’ingaggio di un campione sul viale del tramonto...

Oltre tutto, come gli disse il famoso parapsicologo Massimo Inardi, lui è un sensitivo: certi eventi li sente prima che accadano, per esempio dalla sua stanza in ospedale ha sognato i genitori, chiedendo alla figlia di giocare al lotto: e ha azzeccato due ambi. Insomma, in quasi due ore di chiacchierata ce ne dice da riempire un numero intero dell’ “Espresso”, delle Iene e di “Report” messi insieme; ma noi non vogliamo fare i tuttologi, ci limitiamo a riferire delle sue “acquisizioni” per il mondo delle corse: ma solo di poche, perché di altre “incongruenze” grosse che sta scoprendo, ci ha promesso che parlerà solo a fine stagione e dopo la conclusione dei campionati italiani.

Intanto, da statistico ci parla del record italiano femminile dei 5 km su strada, che la Fidal avrebbe assegnato alla Dossena: “ma scherzate? Ve ne tiro fuori almeno 7 che ci hanno messo meno di 16’, a cominciare dalla Viceconte e Munerotto!”. Obiezione: ma a quell’epoca non c’era il controllo antidoping... - Allora, se eliminiamo tutti i record fatti senza antidoping, in Italia ce ne sarebbero da grattare via...".
A completare l’affermazione, per amore delle statistiche e anche come membro dell’ATFS, associazione degli statistici mondiali, ci ha inviato la sua lista delle prime dieci donne italiane nei 5 km su strada:

Viceconte 15’44”40 a Berna, 4^ il 10/06/91, Munerotto 15’48”00, Curatolo 15’53”60, Dandolo 15’54”00, Ejjafini 15’54”00, Scaunich 16’02”00, Marchisio 16’02”00, Dossena 16’03”00 (ottava in questa classifica!), Silvia Weissteiner 16’03”00, Romagnolo 16’04”00. Poi ognuno faccia le sue considerazioni, ma per lui e per noi la primatista italiana è Maura Viceconte. Commento testuale: “il resto sono solo interessi di parte e di chi bazzica l’atletica in modo superficiale!”.

Purtroppo la chiacchierata ha affrontato anche altri argomenti, tra l’aneddotico e il regolamentare, in tanti decenni di attività quale “speaker n. 1 in Italia” (così fu definito, davanti a Maria Teresa Ruta che lo affiancò in un paio di occasioni): ma ci ha pregato di soprassedere; e riserva le sue ultime considerazioni sulla giornata odierna:

“molto triste, iniziata di buon mattino con l’inaspettata e dolorosa notizia della scomparsa del nostro amatissimo Pablito Rossi, l’eroe del mondiale vinto in Spagna nel 1982. Poi a seguire, un paio d’ore dopo, questa più inerente al nostro mondo dell’atletica e della corsa su strada, inviatami dall’amico ex maratoneta Fausto Molinari, ora responsabile dell’Ufficio Sport del Comune di Ferrara, per la scomparsa a 83 anni del mitico Nicola Stella.
Chi ha partecipato alle prime maratone degli anni 80-90 non può non ricordare la Vigaranomaratona: era la creatura di Nicola, personaggio alle volte aspro ma di indole buona, originario dell’Abruzzo, ex carabiniere, che non solo organizzava la maratona ma anche la mezza, nella limitrofa Diamantina.
Stella ebbe anche la brillante idea e grande coraggio di trasferire dal piccolo abitato di Vigarano Mainarda la  sua maratona a Ferrara. Un trasferimento che ebbe effetti positivi per partecipanti e media, con l’arrivo sotto lo sguardo della statua del Savonarola con a fianco la bellezza architettonica del Castello Estense. Maratona di Ferrara che poi, dopo alcuni anni di assenza, fu ripresa da Giancarlo Corà, un altro mitico personaggio del podismo ferrarese, che già organizzava la Maratonina Città di Ferrara. Ma anche lui, nell’agosto di alcuni anni orsono, ci ha prematuramente lasciati. Una Ferrara Marathon che poi ha proseguito la sua storia con il gruppo superbamente ricostituito della Corriferrara da parte del figlio Massimo Corà e di tutto il suo gruppo famigliare.
E proprio nell’edizione della Ferrara Marathon del 2018, essendo in veste di speaker, vidi aldilà delle transenne il buon Nicola Stella mio compagno anche nell’avventura dell’Associazione Maratone Italiane. Andai a salutarlo e lo feci con il microfono per ricordare al pubblico chi avevamo di fronte a noi, la sua storia e come era nata la maratona prima in provincia poi in città; lui commosso e piangente mi abbracciò con grande affetto, facendo uscire lacrime anche al sottoscritto. Fu purtroppo l’ultima volta che lo vidi. Non nascondo che questa mattina le lacrime sono scese di nuovo, un altro pezzo della mia e nostra storia della corsa che ci ha lasciati.

Buon viaggio Nicola, da lassù in cielo tienici qualche pettorale per la maratona con gli Angeli: sono sicuro ci proporrai anche questa, ciao".

Precisazioni dell'interessato, 12 dicembre

Dopo aver concordato con il direttore  Marri l'intervista, e aggiuntevi le mie statistiche per i 5 Km su strada alltime, mi sono accorto di un errore: da quanto pubblicato va tolta Nadia Ejjafini: nel 2006 non era ancora italiana (come è diventata nel 2009), ma correva, lei nata in Marocco, per il Bahrein (Brn); quindi non ha validità quel tempo che ho segnalato. Mi scuso per l'errore, ma il problema degli stranieri che diventano italiani è notevole per noi statistici; se passiamo tutti i loro risultati in blocco sotto la nazionalità italiana si portano dietro anche i risultati fatti sotto un'altra bandiera. Cosa molto chiara con Fiona May e Ahmed Nasef: la prima quando divenne italiana non aveva ancora migliorato il suo Personal Best ottenuto da inglese, ma era comunque meglio del primato italiano di quel periodo; cosa che poi le stessa ci ha risolto dopo uno o due anni, migliorandolo da italiana.
Pensate invece che se avessimo passato Nasef all'inizio del 2015, quando divenne italiano, con tutti i suoi risultati della maratona sarebbe entrato nella lista ALLTIME avendo corso da marocchino in 2.10.59 nel 2012, mentre da italiano il suo miglior risultato è stato, dopo il 2015, il 2.16.39 a Roma nel 2017.
Questo credo basti per far capire come debba essere attento e capillare il lavoro degli statistici, cosi aggiungo pure che il miglior risultato della Vicenconte a Berna non è quello, come scritto dalla Fidal, cioè ottenuto nel 2000 che era di 15'44"60: la compianta purtroppo, grande Maura nel 2001 ha corso sempre a Berna in 15'44"40. Giusto che si arrotondi per regolamento al secondo superiore, ma non mettere l'anno sbagliato.
Poi ho chiarito anche il problema dei record, che dal 2018 devono essere abbinati ad un controllo antidoping per essere omologati, mentre quelli precedenti vengono catalogati come migliori prestazioni. NON HO PAROLE, ANZI E' MEGLIO CHE TACCIA E NON SCRIVA IL MIO PENSIERO...
CIAO A TUTTI E ANCORA UN GRANDE GRAZIE PER LA SOLIDARIETA' DIMOSTRATAMI DA TANTI, E' ANCORA MOLTO DURA MA NON MOLLO.

 
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Come tempestivamente annunciato da questa testata, anche la maratona di Bologna ha rinunciato alla collocazione in marzo per rifugiarsi nell’ottobre che si spera già ‘vaccinato’ e col ‘gregge immune’.

http://podisti.net/index.php/notizie/item/6732-nuova-data-bologna-marathon-si-correra-il-31-ottobre-2021.html

Agli iscritti, oltre all’annuncio qui sopra pubblicato, è stata inviata anche una lettera con le istruzioni, precedute da ”una piccola premessa”:

Bologna Sport Marathon si può definire una start up, un team formatosi ad hoc che, partendo da zero e senza alcun contributo pubblico, ha dato vita ad un progetto in grado di riportare la Maratona, dopo 24 anni, a Bologna.

[abbiamo già detto e dimostrato, anche con la foto qui riproposta in copertina e risalente all’edizione 2004, che gli anni sono molti meno; ma concediamo pure il diritto all’oblio e alla disinformazione ]

E' stato un lavoro di passione e determinazione che ci ha portati ad un passo dal far correre 3700 atleti per le strade di Bologna.
Ci ha guidati la volontà di realizzare un evento in grado di accogliere i partecipanti al meglio, offrendo un'esperienza unica e indimenticabile e, proprio per questo, abbiamo investito molte energie affinché tutto fosse perfetto.
Il costo medio di partecipazione è stato volutamente promozionale a fronte di servizi che da soli ne avrebbero superato il valore, ma che purtroppo non abbiamo potuto offrirvi.
Se ci fossimo trovati in una situazione di maggior preavviso, come è successo alle numerose competizioni annullate dopo la nostra, fermo restando che una prima edizione ha comunque dei costi fissi elevati, saremmo certamente riusciti a limitare l'impatto negativo della cancellazione improvvisa ed a mantenere un budget che ci avrebbe permesso soluzioni più ampie.
 D'ora in poi cercheremo di non farci trovare impreparati nemmeno di fronte all'imprevedibile, ma, allo stato attuale, pur sapendo che qualcuno non sarà contento e pur sapendo quanto sia inutile ricordare che da regolamento non era previsto alcun rimborso nel caso di annullamento per cause non prevedibili (come la nascita di una pandemia), ti chiediamo solo di credere che le opzioni proposte, qui di seguito, sono tutto ciò che è nelle nostre possibilità per ripartire nel 2021, oltre che un impegno per ripagare il vostro supporto, negli anni a venire.

Ma veniamo al dunque. Se eri iscritto alla Bologna Marathon o alla 30Km dei Portici, gare previste lo scorso 1 marzo 2020 e annullate a causa di un'ordinanza regionale legata all'emergenza Covid-19, potrai scegliere, nel sito www.bolognamarathon.run dal 15 Gennaio al 7 Aprile 2021, una delle seguenti opzioni:

 1) CONFERMARE L'ISCRIZIONE per il 31.10.2021 scegliendo a tuo piacere tra queste 2 opzioni:
- costo € 10,00* per la 42,195 Km;
- costo € 10,00* per la 30Km.

In caso di annullamento dell'evento 2021, per qualsiasi causa, l'iscrizione verrà riconosciuta senza costi aggiuntivi per l'edizione successiva.
NOTA BENE *A fronte della conferma di iscrizione ad una delle due distanze, ti restituiremo l'importo con un buono sconto di € 10,00, valido per l'iscrizione alla Bologna Marathon 2022 o 2023.

2) POSTICIPARE L'ISCRIZIONE al 2022 (Marzo) scegliendo a proprio piacere tra queste 2 opzioni:
- costo € 10,00* per la 42,195 Km;
- costo € 10,00* per la 30Km.
In caso di annullamento dell'evento 2021, per qualsiasi causa, l'iscrizione verrà riconosciuta senza costi aggiuntivi per l'edizione successiva.

3) RINUNCIARE E RITIRARE LA MAGLIA UFFICIALE by MACRON*

Chi prevedesse di non partecipare né nel 2021 né nel 2022 potrà ritirare, presso il Marathon Village a Bologna, il 29 e il 30 Ottobre 2021, la maglia ufficiale della Bologna Marathon.
La rinuncia e il ritiro della maglia sono gratuiti.

*La maglia tecnica ufficiale della Bologna Marathon realizzata da Macron in tessuto Dryarn ha un valore commerciale superiore al costo di iscrizione del 2020.

 Le scelte dovranno essere fatte da venerdì 15 Gennaio 2021 a mercoledì 7 Aprile 2021.

NB. Prendiamo atto che il supplemento, diciamo così, per spese di segreteria è stato ridotto, dai 15 euro precedentemente indicati, ai 10 di adesso, che oltretutto varranno come buono-sconto per le eventuali edizioni successive; non è invece previsto in nessun modo un rimborso delle quote pagate, come invece promette Parigi: maratona che ha avuto vicissitudini simili a Bologna, con la data ufficiale prima spostata all’autunno 2020 e ora all’autunno 2021, due settimane prima di Bologna.

Guardando appunto i calendari dell’anno prossimo, si prospetta un autunno caldo, e in particolare un ottobre rosso, che costringerà gli amatori a scelte in qualche caso problematiche.

Il 3 ottobre si comincia con la Maratona del Mugello a Borgo San Lorenzo, leggermente posticipata e spostata alla domenica in luogo del tradizionale sabato; le fa concorrenza, in campo internazionale, Londra (spostata da aprile); in Italia, le due mezze Fidal “silver” di Trento e Telese.

Il 10 ottobre avremo la 1^ Maratona Città di Forlì, al suo esordio ma già qualificata “Bronze” dalla Fidal; nello stesso giorno, le mezze di Torino, Pisa, Treviso; in Germania, la maratona di Monaco;  oltreoceano, la “major” di Chicago.

Il 17 ottobre, Parma dovrà vedersela con Parigi (anch’essa proveniente da aprile), con Lisbona, Amsterdam e la “major” di Tokio.

Il 24 ottobre la nuova Neapolis Marathon, che si sovrapporrà alla mezza già programmata ivi, e andrà a collidere con la storica “gold” di Venezia, con quelle di Dublino, Rotterdam, Lubiana e la mezza di Valencia dei record.

Il 31 ottobre, oltre a Bologna, risultano programmate la maratona di Paestum, più le mezze di Lodi, Arezzo e Riposto (CT); in Europa, la maratona di Francoforte.

Troppa grazia Sant’Antonio; e chissà quanti altri eventi, già storicamente collocati a ottobre, metteranno la testa fuori da qui ai prossimi mesi. “Se sarà vero”, diceva don Abbondio quando gli annunciarono la conversione dell’Innominato. Dopo quello che abbiamo visto quest’anno, sarà meglio aspettare a iscriversi…

 
 
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Dagli organizzatori della maratona di Pescara arriva ai social La notizia più attesa.

18 ottobre >  8 novembre: 21 giorni di garanzia che la legge prescrive per mettere in sicurezza l'evento. Nessun caso, nessun focolaio da Covid19 si è  originato dalla XX^ D'Annunziana.
Noi ci siamo impegnati al massimo per applicare le linee guida in maniera perfetta.
Grazie alla collaborazione di ogni singolo partecipante ci siamo riusciti.
Ora possiamo archiviare moduli, autorizzazioni e ansie per continuare a guardare con fiducia al futuro perché continuando a "correre" con la responsabilità del 18 ottobre, #celapossiamofare.
GRAZIE A TUTTI!

Ce ne compiacciamo anche noi (sia, chi scrive, come partecipante, che in effetti continua a godere buona salute e ieri, in altro evento podistico, ha fatto uso della mascherina ricevuta a Pescara; sia a nome degli altri sportivi che avevano dato fiducia a Pescara).

Naturalmente, non crediamo che i dati convinceranno Sinone da Troia,  il blogger-iettatore a suo danno (anzi, spesso apportatore di fortune ai soggetti che attacca), il quale proprio il giorno prima, 7 novembre, aveva pubblicato un falso collage da Podisti.net, riproducendo un brano della nostra cronaca di Pescara,

(per essere sicuri dell’originale cliccate qua http://podisti.net/index.php/cronache/item/6616-pescara-marathon-2020-isola-felice-contro-il-disfattismo.html  )

evidenziando la frase “ci contageremo? non credo per questo”, e incollandoci sotto, in maniera del tutto falsificante, un commento di Maurizio Lorenzini datato 20 ottobre: “I tempi dei vincitori, peraltro ottimi atleti, fanno dubitare sull’effettiva lunghezza” (cosa c’entri poi una gara meglio o peggio misurata col contagio, è un mistero sinoniaco).
E aggiungendo il suo illuminato giudizio:

“Il commento di Lorenzini, che scrive egli stesso [che italiano elegante!] per Podistinet e parla di percorso non omologato, è stato cancellato, ovviamente troppo tardi. Perché? E’ arrivata una telefonata del Mega Direttore Galattico? Vedi perché rido quando ti definisci giornalista?”.

Al di là di una concezione del giornalismo, di probabile ascendenza fantozzian-partenopea, secondo cui il direttore sta all’ultimo piano dello stadio di Fuorigrotta e da lì fa telefonate o manda pizzini, sta di fatto che il commento di Lorenzini riportato (e tuttora presente, mai cancellato) NON si riferisce a Pescara ma ad una mezza maratona disputata in Toscana.

L’insigne commentatore avrà preso uno dei suoi soliti abbagli, oppure ha falsificato volutamente? Tanto più che la storia del percorso omologato la tira fuori anche oggi 9 novembre per una vicenda di doping (cosa c’entri poi il doping con un percorso non omologato, fa parte della logica un tempo suina e oggi felina). Noi pubblichiamo i fatti:

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/6678-doping-sospeso-nino-di-francesco-vincitore-della-maratona-di-pescara.html

chi sape e puote ciò che si vuole, li commenta secondo scienza (?) e coscienza (!).

Per fortuna che il direttore del blog che da un mese e mezzo lo ospita (dopo che – chissà perché – si sono totalmente interrotti i rapporti col blog che ospitava prima i di lui video e turpiloqui) ha appena pubblicato (5 novembre) il memorabile predicozzo L'onestà intellettuale smarrita la cui morale finale è

ho imparato una cosa: delle cose che non conosco, non parlo. Così evito di scrivere cazzate. Così dovreste fare anche voi, cari colleghi, redimervi e smettere di scrivere cazzate, perché coloro che vi leggono purtroppo finiscono per credervi.

A quali “colleghi” si riferisce; e da che pulpito?

Preferiamo il pulpito dantesco, sempre dall’epopea di Sinone: “così si squarcia - la bocca tua per tuo mal come suole… e per leccar lo specchio di Narcisso - non vorresti a invitar molte parole”.

 
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