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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

I podisti sono gli ‘untori’? (parola che adesso tutti usano, perfino Bonaccini che di libri ne ha letti pochini e difficilmente tiene sul comodino una copia dei “Promessi sposi”). Quand’anche fosse vero, e così non è: perché mi piacerebbe vedere la statistica su quanti partecipanti alla maratona e gare collaterali di Salso-Busseto del 23 febbraio si sono ammalati di Covid…
Ma pensiamo pure al peggio, sia pure quello che sostengono gli antisportivi; e allora il podista, e da anni paziente 1 del podismo (nel senso che settimanalmente pazienta ore e ore sui percorsi lombardi a fotografare proprio tutti) ha deciso, in queste settimane di forzata reclusione, di aiutare gli altri: nella minore delle ipotesi, aiutare familiari, vicini e amici a respingere quegli attacchi virali che secondo alcuni sarebbero diffusi dai corridori ‘illegali’ dei nostri giorni.
Dunque, in un primo momento l’ex tornitore Mandelli, stante la scomparsa dal mercato delle agognate ‘mascherine’ (ovvero la constatazione che quelle offerte dalla Protezione Civile, bontà loro, fanno abbastanza compassione), è andato a ripescare in cantina le mascherine operaie che usava per schivare le polveri grosse e sottili delle officine (o più spesso non usava: eppure è arrivato agli ics-anta in ottima salute).
Ne aveva ancora parecchie, ma è chiaro che quelle finiscono presto. Allora, sfruttando la disponibilità di manodopera a basso prezzo, come è sempre stata quella della signora Giancarla (che indossa la mascherina anche quando scende le scale per andare al cassonetto), e la sua inventiva da lavoratore manuale, o manovale che dir si voglia, ha brevettato senza chiedere diritti d’autore una sua speciale mascherina, anzi due tipi.
Uno composto di quattro strati di Scottex, due per lato, a racchiudere una striscia di pellicola o di carta da forno. Un altro dove il rivestimento esterno è fatto di cotone (lavabile), ricavato dai bei tovaglioli della dote risalente ai primi anni 70: cucito a taschina, nel cui interno si mette la carta da forno, sostituibile quando si lava l’involucro esterno.

Mascherine artigianali

Volete dire che proteggano meno delle FFP3? Sarà, ma intanto fermano gli eventuali schizzi alla Gad Lerner o alla Massimo Gramellini o Massimo Cacciari, che potrebbero uscirti mentre parli o tossisci o ti incavoli davanti al fondotinta di Lilli Gruber.
Cut&paste, come dicono gli informatici, metti in azione la Singer di casa, e così si avvia una produzione in serie che servirà prima a saturare le necessità di figli e nipoti (vedete nella galleria qui sopra, prima una nipotina di Roberto che si è assoggettata alla prova, e poi, visto l'esito positivo, tutta la famiglia che si è 'mascherata'), indi fatalmente si espanderà al condominio: magari anche per far capire a quei certi inquilini che, giunti ormai a una certa età, hanno deciso di essere superiori a leggi e norme di buona convivenza, e  ogni giorno ricevono figli nipoti e nipotesse allegre, invasive e senza mascherina. Chissà che l’esempio de Los Mandellos non insegni al prossimo che si può pensare un po’ più in là del proprio comodo.
E poi, siccome quel proverbio dice che “il bene è qualcosa come il fuoco, che più lo appicchi più si diffonde”, non è detto che la produzione non esorbiti dal quartiere di Concorezzo e prenda le strade, un tempo popolate di corridori e oggi solo di gente che va a fare la spesa (magari, un  po’ troppo spesso). Dai giornali di oggi sappiamo che il comune di Sommariva Bosco ha commissionato a un laboratorio artigiano locale la confezione dei presidii per tutta la popolazione.
E i beneficiati ascolteranno di buon grado la ‘predica’ che il benefattore Roberto gli impartirà, da podista, amico dei podisti ma soprattutto della salute pubblica: per favore, saltate qualche allenamento, che per arrivare allenati al supertrail della Valmalenco c’è tempo!

 
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In dieci giorni, una delle società più giovani del podismo modenese, Modena Runners Club Asd, tra un comunicato e l’altro relativo all’attività sportiva (via via ridotta, dopo l’ultima occasione agonistica dei regionali di cross a Imola il 22 febbraio, poi gli allenamenti ‘di gruppetto a distanza di sicurezza’, poi le corsette individuali, poi quasi più niente) ha lanciato una raccolta di fondi a favore del Policlinico di Modena (nel quale lavora uno dei soci fondatori), con riferimento particolare alla lotta contro il Covid 19.
E così il 19 marzo, accanto alla notifica del decreto regionale ‘antipodisti’  (salvo la ‘prossimità’, interpretabile forse in 500 metri), e alla esortazione “Ragazzi, stiamo a casa senza troppi giri di parole… nessuno deve correre le olimpiadi e qualche esercizio in casa lo possiamo fare”, arrivava la notizia che la cifra raccolta stava già sui 2000 euro, che la sera del 20 erano già 2500, e il 25 marzo erano 2900, e con un ultimo arrotondamento presidenziale diventavano tremila (i tesserati sono in totale 185).
La cifra è stata versata tramite bonifico bancario al Policlinico di Modena lo stesso mercoledi 25 marzo, giorno in cui la provincia modenese registrava altri 14 morti per il contagio (o “con” il contagio: i conti esatti si faranno forse a mente più riposata), e il sindaco di Carpi proclamava tre giorni di lutto cittadino (sia pure condendo l’annuncio con quattro urlacci in video che dimostrano quanto l’emergenza abbia ‘agitato’ anche lui).
Il presidente di MRC Alberto Cattini commenta: “3000 euro raccolti in sole 2 settimane, che dimostrano l’amore verso le eccellenze della propria città – come il Policlinico - dove tutti adesso dobbiamo restare uniti. Senza cadere in banali polemiche tra runners o non runners, MRC vuole rendere onore a chi combatte in trincea questa guerra invisibile, mettendo a repentaglio la propria vita per salvarne molte altre”.

 
 
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Milano, 23 marzo, ore 21 - Quattro giorni fa avevamo pubblicato le drammatiche notizie che venivano dal campioncino lombardo, figlio della conduttrice Rai Tiziana Ferrario, Edoardo Melloni.

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5923-drammatico-messaggio-di-edoardo-melloni-dall-ospedale-sacco.html#!Melloni_Edoardo_Canegrate_2020_b_foto_Roberto_Mandelli

Ma oggi è una bella giornata: segna la guarigione di Mattia Maestri (il presunto “paziente 1”) e anche di Edoardo, che appena tornato a casa ha mandato agli amici e simpatizzanti, dunque anche ai nostri lettori, questo messaggio:

Finalmente dimesso! Aprire la porta di casa è stato bellissimo, ma lasciare l'ospedale Luigi Sacco è stata la vera emozione: salutare i medici, gli infermieri, gli operatori sanitari ed il cappellano che dopo di me avranno altri pazienti a cui rivolgere le proprie cure. A tutti i lavoratori dell'ospedale che ho incontrato, ed anche a coloro che non ho incontrato ma che sono in questo momento impegnati in ogni ospedale d'Italia, dico GRAZIE. Grazie perché so che il prossimo paziente riceverà le cure come lo ho ricevute io, vedrà gli stessi sorrisi che ho visto io e sentirà lo stesso calore che ho sentito io.
Grazie per essere lì dentro a combattere col sorriso. Non perdetelo mai, nemmeno nei momenti più cupi, perché finché ci sarà il vostro sorriso lì dentro, noi avremo speranza.

Mascherine artigianali

È chiaro che tanto Edoardo quanto Mattia avranno bisogno di un buon periodo di convalescenza e recupero, e tornare a correre non è il loro primo pensiero, né tantomeno l’ossessione loro e nostra. Ma ci piace citare, in conclusione, la raccomandazione pubblicata oggi dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS):

Durante questi difficili momenti, è essenziale non perdere di vista la vostra salute fisica e mentale: ciò vi aiuterà non solo a lungo termine, ma darà una mano a combattere il Covid-19 se per caso l’avete contratto. Si raccomanda un’attività fisica per gli adulti di mezz’ora, per i bambini di un’ora al giorno.

 
 
 
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Solo due mesi fa (19 gennaio) intitolavamo una nostra cronaca con Cross per Tutti a Canegrate: Edoardo Melloni vince. Parlavamo del "Roccolo Cross Country", 2° tappa del circuito: La giornata si infiamma con la bella prova di Edoardo Melloni (CUS Pro Patria Milano) tra gli "Elite", che ha messo a frutto gli allenamenti appena conclusi in Kenia Gara Elite (6 km) - Un nutrito gruppo di atleti del CUS Pro Patria Milano si presenta agguerrito alla partenza. A metà gara si formano però due coppie: Edoardo Melloni e Aymen Ayachi lottano per la vittoria, Thomas Previtali (US Atl. Vedano) e Andrea Nervi (Fanfulla Lodigiana) per il terzo posto. Nell'ultimo giro Melloni cambia marcia e risolve la gara. Per lui 8 secondi di vantaggio su un combattivo Ayachi.

Mascherine artigianali

http://podisti.net/index.php/cronache/item/5607-cross-per-tutti-a-canegrate-edoardo-melloni-vince-najla-aqdeir-incanta.html
La stagione era continuata felicemente per il campione 29enne, col secondo posto ai campionati lombardi indoor sui 3000 metri (Padova 25 gennaio, 8.17:35), e la settimana successiva con un 33:57 nei 10mila su strada a Magenta.
Il 9 febbraio, ritorno al Cross per tutti, nella tappa di Seveso, dove era attesa una sfida a due tra Edoardo Melloni (CUS Pro Patria Milano), vincitore a Canegrate, e il bresciano Enrico Vecchi (Atl. Rodengo Saiano), azzurrino specialista delle siepi. I due guidano da subito il gruppo insieme agli altri cussini Aymen Ayachi e Matteo Geninazza, poi il gruppo di testa si sfalda nell’ultimo chilometro. Melloni prova a forzare, Vecchi risponde e rilancia con un’azione irresistibile per tutti. Al traguardo sono 3 i secondi di vantaggio per Enrico Vecchi, Melloni mette in fila i compagni di squadra Ayachi e Geninazza.

http://podisti.net/index.php/cronache/item/5725-al-cross-per-tutti-di-seveso-vincono-enrico-vecchi-e-sara-gandolfi.html

Poi la vita ha preso un’altra piega, come testimonia il messaggio di Edoardo (figlio della celebre giornalista Rai Tiziana Ferrario), inviato oggi dall’ospedale milanese Sacco, tristemente famoso per essere uno dei luoghi dove sono curati gli affetti da Covid 19.

Se pensate che essere giovani, forti ed in salute vi salvi ecco una news (e questa non è fake): vi sbagliate.
I virus sono democratici, non guardano mica in faccia. Puoi essere il pensionato che va a comprare la frutta al mercato o puoi essere il presidente di una nazione. Lui non lo sa e a lui non importa.
Potete essere fortunati e non contrarlo. Potete essere comunque fortunati e contrarlo senza essere sintomatici. Oppure vi può andare peggio. Il problema è che non potete sapere a quale categoria appartenete. Avete voglia di rischiare?
Ah, visti gli innumerevoli messaggi-catene di whatsapp che ricevo in cui mi si comunica che basta acqua calda, limone e zenzero per sconfiggere il virus. Fatemi e fatevi un favore: chiedete (o verificate) sempre la fonte delle informazioni.
Qui purtroppo non mi danno tisane allo zenzero ma idrossiclorochina e lopinavir e ritonavir, usati rispettivamente per artrite ed HIV.
Se non avete la necessità di dovervi obbligatoriamente recare al lavoro, #stateacasa e tutto finirà presto. Io da qua ne esco quanto prima.

 
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15 marzo: il calendario podistico dell’Emilia avrebbe previsto tre maratonine molto apprezzate: la 46^ Corri con l’Avis di Imola, la maratonina di primavera di Rimini, la più giovane Mezza di Reggio. Ovviamente non se ne fa nulla, e certo è meglio così; allo stesso modo che per le gare più lunghe del centro-sud Italia, a partire dalla 9^ Strasimeno che proponeva l’intero giro del lago (58 km) o vari ‘ritagli’ tra cui la canonica distanza di maratona, per farsi una ‘tacca’ (come la definisce l’affascinante segretaria del Club Supermarathon Italia).
Ma gli atleti professionisti hanno il permesso di allenarsi: europei, Olimpiadi, grandi maratone di autunno restano per ora in piedi. E gli altri, come si arrangiano?
Aleggiano per l’etere gli ammonimenti e le gride dei pubblici amministratori, e i proclami un po’ da Minculpop “restate a casa”. Nel centro dell’Emilia (la regione che insieme a Veneto e Lombardia sta pagando il tributo più alto, sia per le maratone saltate sia per la ben più grave situazione sanitaria e ospedaliera, il cui picco è previsto per questa fine settimana) si fa sentire forte la voce dell’assessore alla sanità Sergio Venturi, un medico e un eccellente amministratore, accantonato dopo le ultime elezioni ma che la “provvida sventura” manzoniana, sotto forma dell’infezione da Covid capitata al suo improvvisato successore, ha richiamato in servizio: diciamo pure, una specie di Bertolaso (medico pure lui), nel ruolo (l’uno e l’altro) del romano Cincinnato.
Dunque Venturi, oltre a dirigere da par suo la sanità emiliana, ogni giorno fa una diretta su Fb per informare sulla situazione: in maniera pacata, non urlata, ragionata. Ebbene, per la prima volta, nella sua apparizione di lunedì 16, Venturi è sembrato uscire leggermente dai gangheri, specialmente verso la fine della sua mezz’ora (dal minuto 24 al 29)

https://www.facebook.com/RegioneEmiliaRomagna/videos/231131638278730/

che i giornali hanno riassunto con “no alle passeggiate o alle corsette di cazzeggio”. I contenuti, se non proprio le parole testuali, suonano così:

Smettete di pensare che questa sia un'allegra scampagnata (cita anche il caso di un raduno festaiolo di otto amiconi ai confini tra le provincie di Reggio e Mantova: smentiamo che fosse un incontro al vertice tra le famiglie Morselli e Rossi!!). Non è più il tempo. ci stiamo giocando il futuro di questo paese: rischiamo che il nostro servizio sanitario non riesca a far fronte alle esigenze delle prossime settimane, se non rimanete a casa vostra. Se non lo fate, qualcuno prenderà provvedimenti di carattere più coercitivo. lo abbiamo già fatto, ma vedo che ancora qualcuno fa finta di nulla. Troppe persone stanno per le strade anche quando non è strettamente necessario, non sanno fare a meno della corsetta mattutina.  Pensate a quanti, 24 ore al giorno, lavorano in situazioni a volte non sicure e si prodigano per salvare la vita dei malati. Qualcuno fa finta di nulla, gira per le strade senza mascherina, ma tenete presente che chi abbiamo di fronte non ha scritto in faccia ‘sono un portatore sano di coronavirus’. Nei prossimi 10 giorni ci giochiamo il futuro della sanità del nostro Paese.  Se non si inverte la tendenza, alla fine staremo in casa tutti. Abbiamo chiuso le palestre e le piscine e (da qui, testuali parole) Attenzione, potremmo anche chiudere la possibilità di andar fuori a fare la corsetta della mattina.

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Dunque, sono gli ultimi giorni prima del coprifuoco totale? Lo stesso lunedì, i sindaci di Formigine (Maria Costi, centrosinistra) e Sassuolo (Gian Francesco Menani, centrodestra) emanano direttive quasi identiche:

Formigine: Considerato che, nonostante le prescrizioni in essere, sono stati registrati comportamenti non rispettosi del divieto di assembramento presso parchi e giardini pubblici e il mancato rispetto della distanza interpersonale (almeno 1 metro)… Valutato necessario ed indifferibile: procedere ad una totale chiusura al pubblico di parchi , giardini ed aree verdi pubbliche; vietare l'utilizzo delle panchine, ovunque collocate sul territorio comunale; disciplinare puntualmente le “comprovate esigenze primarie” previste dall' art. 1, comma 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020, relativamente alla gestione quotidiana degli animali domestici

ORDINA  Le seguenti ulteriori e specifiche prescrizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019 nel territorio del Comune di Formigine, valide dalle ore 20 del 16.03.2020 a tutto il 25.03.2020, fermo restano il Divieto di assembramento e l’obbligo di distanza interpersonale ( almeno 1 metro): a) chiusura al pubblico di parchi e giardini pubblici b) divieto di utilizzo delle panchine, ovunque collocate sul territorio comunale (…) d) puntuale disciplina delle “comprovate esigenze primarie” previste dall' art. 1, comma 1, lett. a) del DPCM 8 marzo 2020, come segue: gestione quotidiana degli animali domestici, ovvero passeggiata ed espletamento dei bisogni fisiologici dell’animale potranno avvenire nel raggio di 500 metri dall’abitazione del proprietario dell’animale ed avendo cura di avere al seguito il materiale per la raccolta delle deiezioni.

Sulla stessa linea Sassuolo, che però prolunga la scadenza al 3 aprile: chiusi parchi e giardini pubblici, divieto di utilizzo delle panchine, divieto d’accesso alla ciclabile sul Secchia. Nel dettaglio:
è fatto divieto di accedere transitare e stazionare all’interno dei parchi e dei giardini pubblici dalle ore 18 alle successive ore 06 e dalle ore 08 alle ore 16 (dunque la famigerata “corsetta” si può fare dalle 6 alle 8, dalle 16 alle 18).
La gestione quotidiana degli animali domestici passeggiata ed espletamento dei bisogni fisiologici potranno avvenire dalle ore 00,00 alle ore 24.00 di ogni giorno, a condizione che dette attività si svolgano nelle immediate vicinanze dall’abitazione del proprietario dell’animale ovvero nel raggio di 500 metri, avendo cura di avere al seguito il materiale per la raccolta delle deiezioni.
Divieto di utilizzo delle panchine, ovunque collocate sul territorio comunale, nell’arco dell’intera giornata.
Divieto di utilizzo delle piste ciclabili ubicate all’interno del Parco fluviale Secchia o ad esso adducenti, nell’arco dell’intera giornata
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Mascherine artigianali

È forse il colpo più duro per i jogger e camminatori, che nei giorni precedenti, fino a domenica, avevano affollato le bellissime piste attrezzate lungo il Secchia, ripetutamente teatro di gare podistiche.
Cose del genere sono attivate pure nel nord della provincia modenese, Carpi e Mirandola per esempio; mentre Medicina, a nord est di Bologna lungo la direttrice per Ravenna, è isolata totalmente causa una diffusione più elevata del contagio.
E nei capoluoghi? Bologna è stata fra le prime a chiudere i parchi. Dopo le scuole, che avevano chiuso già nell’ultima settimana di febbraio (con la tragicissima conseguenza della morte il 28 febbraio di Matteo Prodi, pronipote di Romano in quanto nipote di Vittorio – fratello dell’ex premier -, il quale non potendo andare al suo liceo era uscito in bicicletta sui colli sopra casa sua, finendo investito e ucciso da un’auto), l’università, che era rimasta semiaperta nei primi giorni del mese, ha chiuso del tutto i portoni per gli studenti, cui restano solo lezioni ed esami online. Piazza Verdi, tra università e teatro, uno dei centri più vivi dell’aggregazione giovanile (e purtroppo non solo di quella) è quasi deserta, a parte i soliti 8-10 tossici o sfaccendati (il commercio delle bici rubate è in crisi, chissà se il decreto aiuterà anche quello), e le forze dell’ordine che li controllano a debita distanza; al tramonto, una ragazza in scarpette risale di corsa via Zamboni, un altro svolta per via Mascarella, dove tutti i ristorantini coi loro déhors sono chiusi, e si dirige forse verso la Montagnola, chiusa.
A Modena sembrava ci fosse l’intenzione di chiudere i parchi, anche se nella pratica i pochi realmente chiudibili (il “Modena Park” di Vasco, i Giardini ducali, Villa Ombrosa) hanno i cancelli spalancati pure di sera; sempre aperti l’Amendola Nord-Sud e il 22 aprile. Qualche irriducibile osa ancora correrci, in rigorosa solitudine, prima che lo vietino del tutto. Commuove la mamma podista che dopo le 19 sta correndo lungo il “Parco” per eccellenza, il giro dei viali percorso da tante gare o camminate, e dalla defunta maratona di Carpi che qui giungeva al km 20: la seguono disciplinati, attenti e felici, i due figli in biciclettina.
Poi restano gli argini dei due fiumi: il Secchia, evidentemente non ancora vietato, caro ai podisti per le gare del quartiere Madonnina e della confinante Campogalliano (attenzione, meglio non varcare i confini comunali!); e il Panaro, il cui argine sinistro, in territorio comunale modenese per una quindicina di km, è pure calpestato da gare. Un po’ a rischio il ‘percorso vita’, perché il ponticello che attraversa la confluenza del Tiepido nel Panaro instrada verso San Donnino (modenese), ma attraversando i comuni di Castelfranco e forse anche di Nonantola e San Cesario, dunque il divieto di uscire dal comune potrebbe sussistere. Senza rischio invece la direzione nord, almeno fino al ponte della Tav e a quello di Navicello verso Ferrara, dopo di che si entrerebbe in comune di Bomporto. Si parte dalla Fossalta, teatro nel 1249 di una sanguinosa battaglia tra Bolognesi e Modenesi in cui fu fatto prigioniero Re Enzo figlio di Federico II, e che ispirò Tassoni per la “Secchia rapita”, e si risale verso nord: mentre sotto, nella campagna, qualcuno comincia a sistemare le viti, e un apicultore (dotato di mascherina meno lugubre di quelle antiCovid, e spruzzando il fumo come insegnato dagli avi) toglie il miele dalle arnie, si può passeggiare o corricchiare nella coscienza di non fare del male a nessuno. E si fornisce materia a Roberto Mandelli per la sua ennesima creazione d’arte.
Carpe diem, quam minimum credula postero.

Ieri una corsa in salita, mi sono trovata al punto che solitamente rappresenta il momento in cui inizia la discesa e ho deciso di procedere. Mi si è offerta la possibilità di andare oltre. In quella parte del paesino le persone hanno gli abiti e i comportamenti gentili della gente di montagna, portano carriole di legna, gerle in spalla, battono i ricci nel bosco per estrarre le ultime castagne rimaste, sorridono incrociandomi, ci salutiamo. Mi è piaciuto salire, entrare nel bosco e sentire i piedi leggeri sul sentiero.

È uno squarcio di bella prosa che mi sento di proporre come trailer, come invito a leggere il libro per chi non lo conosce: mi riferisco a  Qualcosa per cui correre di Ariel Shimona Edith Besozzi (Gilgamesh Edizioni, Asola MN, 228 pp. per 15 euro; la versione Kindle è presentata coi sottotitoli  Correre naturale - Correre cambia la vita).
Peccato però che questo brano, e anche le 3-4 pagine che lo seguono (quasi tutte alla sua altezza letteraria), si trovi a p. 144; e chi è arrivato qui abbia dovuto sorbirsi fino a questo momento un prolisso diario quasi quotidiano, dove noticine preziose sono soffocate da una marea di considerazioni ripetitive, non scremate, messe giù con una proprietà stilistica che tuttavia non si risparmia una decina di refusi o errori di altro genere. Per un maratoneta volgare e illetterato, ad esempio, colpisce che in un libro dedicato alla conquista della prima maratona la distanza sia quantificata a p. 120 in km 42,156; che alle pp. 181, 190 e 205 diventano 42,159 (mentre la maratonina a p. 166 risulta di 21,056).
Piccolezze, sicuramente, ma discese da quella mancanza di limae labor, da quella compulsione alla scrittura (più volte autodenunciata: mi sto scordando di scrivere un sacco di cose, ho paura di dimenticare dei pezzivorrei poter registrare tutto… vorrei scrivere ogni giorno; mai combattuta) secondo cui tutto quanto importa all’autrice debba per forza importare anche al lettore, il quale a sua volta ben difficilmente resisterà a leggere tutto il libro (e farvi annotazioni, segno di raccoglimento e partecipazione). Ne sono prova le recensioni (per modo di dire) apparse finora, di cui l’autrice dà conto puntuale in uno dei suoi blog (Diario di Ariel Shimona Edith), ma che sembrano ridursi a ricopiare o tenuemente rielaborare le autopresentazioni sparse in varie sedi, talora scopertamente firmate dal marito della scrittrice stessa.
Il libro è stato stampato nel gennaio 2020, ed a marzo i due mensili più noti nell’ambiente podistico l’hanno, per dir così, recensito: la nota di “Correre” (marzo, p. 91) trascrive integralmente (senza dirlo) la quarta di copertina del libro, con la sola aggiunta che l’autrice è “già una delle protagoniste, 2 anni fa, delle pagine al femminile della nostra rivista”. Un po’ più di riguardo, se non altro di degnazione, per una co-équipier si poteva avere: ma almeno, la lunghezza della recensione è circa doppia di quella di “Runners World” dello stesso marzo (p. 13), con la differenza che RW ricopia solo le prime 8 delle 16 righe della copertina, mentre “Correre” arriva a lambire la riga 15 e addirittura, in un sussulto di indipendenza, osa trasformare in “si dice / si ha” i “diciamo /abbiamo” dell’originale.
Insomma, l’autrice scrive il libro, il marito prepara la recensione, un qualche Vincenzo Mollica ci aggiunge le sue trombe. Purtroppo, gli ispiratori del sottoscritto in quanto recensore restano Giovanni Boine (quello dei Plausi e botte) e Karl Kraus (cui si devono frasi come Quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma; e soprattutto Bisogna leggere due volte tutti gli scrittori: i buoni e i cattivi. Si riconosceranno i primi, si smaschereranno i secondi).
Il titolo dell’opera rimanda, senza dirlo (ma è chiaro che i lettori elettivi cui si rivolge quest’opera lo capiscano), al romanzo di David Grossmann Qualcuno con cui correre: lì, il qualcuno era una cagnetta, animale intelligente e docile che stabilisce un legame di affinità col compagno di scorribande:

Il ragazzo e la cagna galoppavano per le vie di Gerusalemme, sconosciuti l’uno all’altro ma legati da una corda, come se non volessero ammettere di essere davvero insieme eppure cominciassero a imparare, come per caso, piccole cose l’uno dell’altro: il modo di drizzare le orecchie nei momenti di eccitazione, il tonfo delle scarpe sul selciato, l’afrore e tutte le sensazioni che una coda può esprimere.

In questo libro invece, il qualcuno è senz’altro il marito della scrittrice, che la accompagna, aspetta, conforta, rialza: al punto che possiamo vedere nel libro un inno all’amore coniugale, benedetto e benvenuto in un mondo popolato da “compagni” o “fidanzate” senza vincoli. Amore coniugale che però sembra alquanto possessivo (quasi, ci scusino gli interessati, come tra cagnolino e padrona), dato che il lui non è mai chiamato altro che “mio marito”, quasi non esistesse come persona, ma solo in quanto appendice della signora Edith. Lo stesso sembra apparire dalle altre notazioni sugli affetti familiari: pregevoli (specie quelle sui nonni), ma sempre con perno nell’autrice, verso cui deve pendere anche “la mia adorata sorellina” (così chiamata a pp. 173 e 175); e anche “l’amica con cui ogni tanto vado a correre” (fuggevolmente incontrata in bus a p. 193) è una comparsa, della cui compagnia apprendiamo solo qui senza che mai la incontriamo in uno dei tanti allenamenti ‘veri’.
Il qualcuno cancellato dal titolo (ma non dalle pagine) diviene allora un qualcosa: concetto molto largo in cui può starci di tutto, compresi l’amore coniugale e una volontà fortissima di autoaffermazione, ma che sembra di individuare nell’amore per la propria patria ideale, Israele, e nei valori da essa rappresentati. Più volte la scrittrice ricorda le presentazioni, a partire dal maggio 2016 (il diario comincia dall’ottobre 2015 e finisce nel febbraio 2017), quasi sempre impreziosite da “donne bellissime” (pp. 103, 104, 117), del suo precedente libro Sono sionista, a quanto pare un’altra autobiografia che (dice un soffietto editoriale) narra “la trasformazione dell’autrice, l’abbandono delle sue precedenti convinzioni e degli ‘antichi idoli’, gli anni di impegno politico a sinistra, trascorsi coltivando assetti mentali e idee poi trasformate dall’incontro con quella ‘terra antica e giovane, proiettata verso il futuro e con antichissime radici nel suo passato millenario’, superando la vecchia politica per abbracciare un’etica di comportamento condivisa e condivisibile”: “oggi un’altra donna, dopo Oriana Fallaci e Fiamma Nirenstein, anch’essa con un passato di sinistra, afferma con orgoglio e determinazione il proprio essere sionista”.
Ecco dunque precisarsi il qualcosa, che diviene Run against terrorism (titolo della sezione di luglio 2016, pp. 77-98; poi 162 ss.): forse la più impegnata politicamente contro “questa degenerazione dell’essere umano chiamata Islam radicale”, nel lassismo dei politici occidentali per cui colpa si concede “che la morte propugnata da questi nazi-islamisti continui a colpire, torturare e sgozzare chiunque non abbracci l’Islam radicale” (79). Il qualcosa diviene la corsa, “affinché la vita prevalga”, e trionfi “una profonda fiducia nel genere umano, per … trasformare la tristezza in rabbia, poi in scelta, poi in battaglia e quindi in vita”.
Non sono altrettanto convinto di questa funzione politica della corsa in sé: che diviene invece più chiara nella scelta dell’autrice  (e/o del marito) di esordire in maratona scegliendo quella di Tel Aviv del febbraio 2017, e di ‘crearsi’ scarpe da running con la scritta Israel/Love. Ecco dunque che il lettore-appassionato di corsa potrà fare la tara dalla ripetitiva e ossessiva autoanalisi dell’autrice, autodefinita pure “runner cerebrale”, e contrassegnata dal pleonastico ricorrere di possessivi e pronomi personali:

Sento che mi devo affidare a qualcosa che è in me, ma che non ho esercitato per anni. Correndo ho incominciato a lasciare lo slancio e il passo al piede, ma questo infortunio mi ha bloccata, mi ha riportata a pensare, a guardare dove metto i piedi, a consegnare agli occhi [sic]. Gli esercizi servono per ritornare a confidare nel mio istinto. Per correre davvero devo fidarmi dei miei piedi, delle mie caviglie, delle mie gambe e delle mie ginocchia (p. 111).

Mi ha restituito il respiro, ho pensato al mio cuore, ho ascoltato la frequenza dei miei passi alla ricerca della leggerezza, quella della terra, dell’acqua e della pietra. Le gambe mi si sono bloccate soltanto quando hanno raggiunto l’asfalto, pesanti, lente, legnose. La mente ha saputo dominare la situazione e riportarmi a casa. Tengo lo sguardo alzato, mi affido e mi fido dei miei piedi. Vado, non mi fermo, non esito, corro. Recupero il filo dorato che mi tiene legata al cielo e quello che mi tira dal bacino e fa rullare le anche (pp. 130-131).

Mi sento reattiva e dinamica. Anche se sono stanca difficilmente mi fermo, è come se la vita si fosse aperta a me e io desiderassi compierla fino in fondo. Mi rendo conto di quanto io sia stata la peggiore nemica di me stessa negli anni, soprattutto da giovane, di quanto lasciando prevalere la pigrizia e il pensiero fine a se stesso abbia indebolito non soltanto i miei muscoli ma anche la mia capacità di vivere con intensità (p. 146).

Fatta dunque la tara (anche dalle ripetute riflessioni sul ciclo femminile dell’autrice, sui mal di testa e di pancia, l’insonnia, “l’espletamento delle funzioni mattutine” ecc.), il lettore di cui sopra potrà seguire in compartecipazione l’ascesa di Edith, da una vita grigia d’ufficio e “dall’assenza di persone gioiose” (p. 201: ma sarà poi vero che solo in Israele, e non anche nella opaca Milano o la più vivibile Bassano, le gente ti lasci le libertà e le soddisfazioni di cui alle pp. 207, 213 e altrove? E sarà vero che l’uccidere gli animali per dissanguamento sia più umanitario che sparargli un colpo in testa come fanno i crudeli cristiani carnivori, pp. 158, 220??), da una certa pigrizia inculcatale in famiglia o assunta per autoprotezione, alla volontà di andare sempre oltre i propri limiti, al fissare il ritorno dall’allenamento ogni volta mezzo km più in là, al soffrire per le cadute nei trail ma superare gli inevitabili dolori per posture errate o rigidità di movimento.
Ecco allora che le ultime cento pagine emergono dal tran-tran diaristico, senza autocensura né riordinamento (quello che invece seppero fare i grandi diaristi come S. Agostino, Montaigne, Pascal, Proust, fino a Primo Levi e Carlo Levi e il Guareschi dei lager), e portano il lettore a vivere col personaggio-autore l’avversione per le palestre e il tapis roulant in contrapposizione alla corsa in natura, gli allenamenti sempre più gioiosi, anche sotto la pioggia e pensando alla favola bella di Rocky contro l’ipertecnologico Drago, i saluti dei bimbi per strada, le coccole al gatto in comproprietà, e infine la partenza, lo sbarco a Tel Aviv, i preliminari della gara, e infine (ma siamo già a p. 206,  meno 8 dalla conclusione del racconto) la maratona! (il punto esclamativo è nell’originale, e dice più di tanti verbosi arzigogoli).
Maratona che non andrà tecnicamente come sperato (ma l’autrice saprà poi fare di meglio a Ravenna 2018, quando si permetterà addirittura, incredibilmente, di distanziare il marito di dieci minuti), ma che, anche nel superamento del dolore, porterà la happy family a superare il traguardo con le mani unite in alto, e non senza lacrime: già versate al via (p. 207), e di nuovo alla partenza per l’Italia, che “mi sta strappando dalla mia Terra, da mia madre. Fa male, molto male”. Eppure

resta l’esperienza vissuta e la possibilità di costruire su questa esperienza una nuova storia, la mia, la nostra. Quella di chi, una volta che ha cominciato a correre, non riesce più a farne a meno. Infatti questa non è la fine, piuttosto è l’inizio della storia.

Aspettiamoci dunque un’altra puntata.

Secondo fine settimana senza corse, e con le misure ancor più restrittive dell’ultimo decreto, circa le quali abbiamo già largamente informato: da ultimo http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5901-vita-sempre-piu-difficile-nulla-cambia-per-le-gare-aggiornamento-al-13-marzo.html

E restano sempre valide le considerazioni di Maurizio Lorenzini, non a caso visualizzate più di diecimila volte:

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/5887-coronavirus-non-pensiamo-solo-al-running-per-favore.html

Tuttavia, specialmente in questi giorni che si resta per lo più nelle proprie abitazioni, c’è più tempo per sbizzarrirsi, e su internet circola di tutto: la procace fanciulla che si allena in un cortile che sembra la via Gluck, mentre il fidanzato che la riprende finge di volerla denunciare; il savonarola di turno che urla “statevenneaccasa”, condendo con insulti a chi osa pensare che sia possibile prendersi una boccata d’aria; l’hashtag di regime “andrà tutto bene”, che ricorda assai il “tutto va ben madama la marchesa”… , e gli arcobaleni infantili dipinti ed esposti sui balconi (l’Opera Nazionale Balilla non faceva di meno).
“Andrà tutto bene?”. E la gente che continua a morire fa parte del “tutto bene”? E gli imprenditori che chiudono per mancanza di avventori/compratori, i camerieri, i pizzaioli, i lavoratori delle terme che ora sono a spasso, rientrano nel “tutto bene”?

No, non sta andando tutto bene; e quando sarà finita (nella ottimissima delle ipotesi, ci aspettano i dieci giorni peggiori dell’epidemia, e una decrescita si spera solo alla fine di marzo) ci saranno lunghi e dolorosi strascichi con cui fare i conti.

Ma intanto noi podisti (che prima di essere podisti siamo persone normali, lavoratori, medici, bottegai, assistenti di anziani ecc. ecc.), e i nostri cugini ciclisti, pur consci che il momento non sia dei migliori, ci permettiamo di prenderci quell’oretta di pausa quotidiana o bisettimanale in pantaloncini e scarpette. Sappiamo che le nostre uscite possono ricadere nelle ire contrapposte di personaggi come quelli tratteggiati da Massimo Gramellini nel “Caffè” del Corriere di ieri venerdì:

“C’è il ligio inquisitore che ha il Dna di un informatore della Ddr e gode nel segnalare ogni starnuto sospetto, con l’alibi di farlo per il bene dell’umanità… Il terrorizzato democratico a cui la delazione ricorda momenti scoraggianti della Storia. Si accontenterebbe di suggerire ai potenziali untori di sciogliere l’assembramento, ma teme che quelli gli diano uno spintone”.

Al punto che: “Sembra la caccia agli ebrei, smettetela, restiamo umani”, invoca il regista teatrale Alberto Oliva.

Ciò premesso (e se ne potrebbero dire da riempire tante pagine quanto le classifiche delle maratone di Londra e New York messe insieme), e senza voler disquisire da profani su tante cose ‘tecniche’ che i medici stessi hanno detto e contraddetto nelle ultime settimane (il virus decade in 30 secondi? No, resta attaccato alle cose per ore? A 35 gradi muore? Serve la mascherina alle persone sane? Basta un metro o è 1,50, o sono due se corri, o cinque se urli allo stadio? Se bevi tanta acqua spingi il virus dalla bocca allo stomaco, dove i succhi gastrici lo uccideranno? Se riesci a stare 10” senza respirare significa che non hai il Covid?), ci limitiamo ai dati ufficiali, nella presunzione, anzi nell’obbligo di credere che essi nascano dalla profonda riflessione dei più competenti in materia.

Dunque, è d’obbligo il rimando (già fatto su queste colonne, ma repetita iuvant) al decreto più recente, e alle circolari esplicative (l’ultima di ieri 13 marzo)

http://www.governo.it/it/articolo/decreto-iorestoacasa-domande-frequenti-sulle-misure-adottate-dal-governo/14278

Veniamo allora alle domande e risposte che ci riguardano.

È consentito fare attività motoria?

Sì, l’attività motoria all’aperto è consentita purché non in gruppo. Sono sempre vietati gli assembramenti.

L’accesso a parchi e giardini pubblici è consentito?

Sì, parchi e giardini pubblici possono restare aperti per garantire lo svolgimento di sport ed attività motorie all’aperto, come previsto dall’art.1 comma 3 del dpcm, a patto che non in gruppo e che si rispetti la distanza interpersonale di un metro.

Posso utilizzare la bicicletta?

La bicicletta è consentita per raggiungere la sede di lavoro, il luogo di residenza, nonché per raggiungere i negozi di prima necessità e per svolgere attività motoria. È consentito svolgere attività sportiva o motoria all’aperto anche in bicicletta, purché sia osservata una distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

Naturalmente rimane il “divieto assoluto” di uscire da casa per chi è sottoposto a quarantena o risulti positivo al virus; e la  “forte raccomandazione” per chi ha sintomi da infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5, di rimanere a casa, contattare il proprio medico e limitare al massimo il contatto con altre persone.

E per quanto riguarda la zona degli spostamenti:

Posso muovermi in città?

I divieti e le raccomandazioni valgono anche per gli spostamenti all’interno del proprio comune, ivi comprese le regole dettate per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze di lavoro o di salute ovvero di necessità, nonché per il rientro alla propria abitazione.

Ci sarebbe anche l’obbligo, francamente strano e non sappiamo quanto applicabile, dell’autocertificazione da portare con sé. Ovvio che serva per gli spostamenti meno contenuti, a documentare le esigenze di lavoro ecc.: ma il modulo stesso non prevede una autocertificazione per “attività motoria” o per portare a spasso il cane. Un eccellente audio postato in rete  dall'avvocata Simona Venieri di Brescia si sofferma giustamente sugli spostamenti in auto, certamente più sospettabili e punibili in quanto reato penale (articolo 650 Codice penale), esortando a non pagare l'ammenda perché equivarrebbe all'ammissione del reato e alla conseguente iscrizione nel casellario penale: aspettare la notifica, rivolgersi a un avvocato (se già non vi hanno affibbiato un avvocato d'ufficio), eventualmente fare ricorso, e in extremis fare la "oblazione" che estingue il reato.

Ma quanto a noi sportivi, siamo certi che le forze dell’ordine abbiano quel grano di sale che permetta di capire quale è la necessità di uno che sta sgambettando su una pista ciclabile; e d’altronde, la ministra-prefetta Lamorgese, dopo aver ammonito che “le uscite in compagnia e la permanenza prolungata all’aperto costituiscono situazioni di rischio”, garantisce “è sempre prevista un’autodichiarazione che potrà essere resa anche seduta stante sui moduli in dotazione alle forze di polizia”.

Anzi (Fiorenza Sarzanini, “Corriere” citato, l’intera p. 5): “Se al momento del controllo non si è in possesso del modulo si può giustificare verbalmente lo spostamento”. Cita anche la sottosegretaria alla salute Sandra Zampa (la più diretta discepola di Romano Prodi, e dunque necessariamente grande intenditrice di attività motoria): “Lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro”. La Zampa aggiungeva che i parchi e giardini pubblici possono restare aperti, ma nel giro di poche ore il “suo” sindaco di Bologna, poi quello di Milano e tanti altri (quasi tutti, direi), hanno chiuso i parchi che potevano chiudere, affidandosi al buon senso degli utenti per gli altri.

Quel buon senso che, con un po’ di ‘orgoglio aziendale’ da cui certamente si schermirà il diretto interessato, vorrei chiamare “dottrina Lorenzini”: l’epidemia è grave, non è la peste e nemmeno l’Aids, ma al momento (prima dei vaccini) impegna le strutture sanitarie e i macchinari disponibili (i famosi ventilatori, oltre ai posti letto) al limite delle loro disponibilità (è di oggi la notizia che il tanto decantato ospedale ‘alla cinese’ della ex Fiera di Milano non si fa). Non solo ogni ammalato in più di Covid (seppure quasi sempre curabile) mette in crisi il sistema di accoglienza ospedaliero; ma anche, putacaso, ogni podista (e sciatore, e alpinista ecc. ecc.) che si fa male, si rompe un ginocchio, si becca un infarto, si perde nella neve andando in ipotermia, ecc., o non potrà essere curato perché non c’è posto, o intasando il prontosoccorso toglierà spazi e risorse per i malati da Covid.

Corriamo dunque, da soli o in piccolissimi gruppi (sta a vedere che non posso correre a 99 cm dalla mia partner con cui condivido la tavola, il divano e il letto!); ma stiamo un po’ più accorti. E se ci rompiamo, proviamo ad aggiustarci da soli in casa, o almeno non lamentiamoci se l’ambulanza non ci verrà a prendere entro il tempo che Baldini impiegò a vincere la maratona di Atene. Siamo, come si suol dire, maggiorenni (mica tanto vaccinati): siamo (modo indicativo e congiuntivo-esortativo insieme) responsabili, sappiamo (idem) far fronte alle nostre scelte.

Sabato, 07 Marzo 2020 11:08

I capitani coraggiosi, gli speranzosi…

Qualcuno aggiungerebbe… “gli incoscienti”, quelli che si ostinano a programmare gare senza sapere se potranno poi svolgerle…
Ma noi siamo un organo di informazione, e se un organizzatore ci segnala un suo allestimento, a beneficio degli sportivi lo segnaliamo, senza con questo volerlo sponsorizzare. Diciamo che la speranza è l’ultima a morire; ma il suggerimento resta quello di informarsi presso gli indirizzi/ siti/ telefoni allegati!

A farsi avanti è il Veneto, in particolare il Bellunese.

05/04/2020 - Sospirolo (BL) loc. S.Gottardo - case Barp

Pedonata (marcia) non competitiva "Incontro con la Natura" valevole per il XXVI trofeo Antonella e Michele

Corsa podistica Km. 4-9 - Partenza 9.30 - Promotore  Pro Loco Monti del Sole

Info: 320 3342082  - Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Note: accesso dalla provinciale in loc. Ponte Mas; posti di ristoro, omaggi, premi a sorteggio e altri resi noti alla partenza

 

Addirittura la Camignada altobellunese gioca in forte anticipo e propone una strana formula, che forse andrebbe bene anche di questi tempi (salvo il fatidico metro di distanza…). Dal loro comunicato:

Auronzo di Cadore,  5 marzo  – Al via le iscrizioni alla Camignada poi siè refuge, storica corsa in montagna con partenza dalle sponde del Lago di Misurina e arrivo ad Auronzo (Belluno) proposta dalla Sezione Cadorina di Auronzo del Club Alpino Italiano.
Le iscrizioni all'evento, che quest'anno celebrerà la 48a edizione e si svolgerà domenica 2 agosto, partiranno in anticipo rispetto al passato, nel segno delle donne. L'apertura è prevista, esclusivamente per il gentil sesso, per domenica 8 marzo. Proprio nella giornata dedicata alle donne il comitato organizzatore ha infatti voluto far loro un regalo riservando una giornata di iscrizione esclusiva e la quota di adesione speciale di 25 euro.
Dal giorno successivo, lunedì 9 marzo, le iscrizioni (possibili andando sul sito www.caiauronzo.it) apriranno invece per tutti. Novità importante per l'edizione 2020 è la doppia possibilità di partecipazione all'evento auronzano: versione non competitiva oppure versione ludico motoria. La prova non competitiva, per la quale sarà redatta una classifica ufficiale, prevede che i concorrenti al momento dell’iscrizione presentino un certificato medico sportivo dedicato all’attività agonistica. I concorrenti potranno in alternativa iscriversi alla manifestazione “ludico motoria”: in questo caso si avrà diritto a tutti i servizi dell’evento, ad esclusione della presenza nella classifica. Verrà comunque stilato un documento relativo alla “ludico motoria”, in ordine di pettorale, con i tempi rilevati all’arrivo.
La quota di iscrizione dal 9 marzo al 31 maggio sarà di 30 euro per la prova non competitiva e di 28 per la prova ludico motoria mentre dall'1 giugno al 15 luglio di 35 euro per la non competitiva e di 30 per la ludico motoria. Dal 16 al 29 luglio le quote saranno rispettivamente di 40 e di 32 euro. Per i ragazzi fino a 14 anni la quota è fissata a 20 euro per tutto il periodo di apertura delle iscrizioni.

La Camignada 2020 presenterà una novità che sarà di sicuro gradimento per gli affezionati dell'evento. Dopo la sistemazione e la conseguente riapertura della Val Giralba durante la scorsa estate, la Camignada tornerà ad essere ... "poi siè Refuge": verranno cioè toccati tutti i rifugi che hanno dato il nome alla manifestazione, nell'ordine, Auronzo, Lavaredo, Locatelli, Pian di Cengia, Comici e Carducci. È stata confermata anche la variante, apprezzata dai partecipanti, introdotta nel 2019, vale a dire il sentiero 105, affrontato subito dopo la partenza da Misurina, toccando la Val di Rinbianco, la Val de l’Arghena e Forcella Col di Mezzo prima dell’arrivo al rifugio Auronzo.
Il tracciato misurerà circa 33 chilometri, con 1.600 metri di dislivello positivo.

Degna dei legulei più raffinati la distinzione tra “non competitiva” (ma con classifica!) e “ludico-motoria” ma con rilevamento dei tempi e loro pubblicazione in una graduatoria, seppure non in ordine d’arrivo! Chissà se l’avv. Premier Conte la ammetterebbe anche in questo mese di quarantena quaresimale, in base alla parte finale dell’articolo 1, comma C del suo decreto…

Nell’immediato, il massimo della fiducia ci risulta esternato dagli organizzatori della Abbotts Way, che doveva partire da Bobbio (provincia di Piacenza, sic!) nel pomeriggio del 3 aprile, cioè l’ultimo giorno di stop secondo l’attuale decreto Conte. Ebbene, un comunicato del 5 marzo annuncia uno spostamento solo di poche ore, appunto per far ‘decadere’ il decreto.

05/03/2020.
Alla luce di quanto esposto nel comunicato governativo del 4/3/2020 l’organizzazione emette quanto segue:
Stante il fermo delle manifestazioni e raduni sportivi fino al 3 aprile 2020, rendiamo noto che The Abbots Way 2020 viene confermata con partenza in data 4/4/2020 con lo spostamento degli orari e dei programmi di qualche ora rispetto alle disposizioni ufficiali pregresse. Con successivo comunicato emetteremo il nuovo programma che prevede la partenza nella mattinata di sabato 4 aprile.
Abbiamo mantenuto aperte le iscrizioni fino al 22 marzo per dare modo ai partecipanti di valutare la possibilità di iscriversi anche sotto scadenza. Attualmente abbiamo ancora disponibilità di un numero limitato a 80 pettorali.
Consapevoli di quanto stia accadendo stiamo cercando le migliori misure per permettere lo svolgimento, rispettando alcune pratiche cautelative, come da disposizioni della Camera del Consiglio.
[sic]
Inoltre nell’eventualità di uno spostamento di date ne daremo comunicazione immediata con la possibilità di partecipare ad una edizione successiva senza perdere la quota versata.
[24/02]
Inoltre nell’eventualità di uno spostamento di date ne daremo comunicazione immediata. Inoltre se tale eventualità, di non poter svolgere l’evento sportivo si dovesse verificare, stiamo valutando di corrispondere una percentuale di rimborso delle quote (dedotte di spese sostenute fino ad ora) o di spostamento alla successiva edizione. Il tutto a discrezione del concorrente.

Riusciranno i nostri eroi…? A volte, la fortuna aiuta gli audaci: che San Colombano li protegga…

 

L’ingegnere reggiano Antonio Tallarita, dopo sette mesi dall’operazione ad entrambi i piedi per alluce valgo e ricostruzione della volta plantare, è tornato a correre l’Ultramaratona di Helsinki, precisamente la “XIII Endurance 24 h Ultrarun Espoo” del 22/23 febbraio, dove ha conseguito la migliore prestazione Italiana (MPI) della categoria M 60: 199,051 km, 11° su 125 partecipanti.
La precedente MPI era appannaggio del torinese  Domenico Galfione, che alla 24 h di Torino del 2016 aveva percorso 189,934 km. Quasi 10 km in più, ora, per l’atleta di nascita siciliana ma che vive a Reggio Emilia e vanta un personale di 226,335 km.

Chiediamo al protagonista di raccontare questa esperienza.

“Quella di Helsinki-Espoo per me resta una gara di riferimento: da anni rappresenta la mia prima uscita dell’anno. E’ una gara indoor, e come tutte le gare di questo tipo ha un fascino speciale, sia per la particolarità stessa del percorso, ricavato dentro un centro sportivo multifunzionale, sia per gli atleti partecipanti che sono di elevata capacità tecnica. Basta pensare che ad Helsinki ogni anno più di 12 atleti superano i 200 km, mentre in Italia, in una gara di 24 ore, lo fanno meno della metà. Quindi  questa è una gara estremamente competitiva, dura. In questi ultimi anni diversi atleti italiani ci si erano iscritti, e tutti ne sono usciti sconfitti. Non è una gara facile. Per entrarci con la testa occorre tanta determinazione e serenità”.

Appunto, qual è l’approccio giusto per un ambiente chiuso?

Le gare indoor richiedono un approccio mentale diverso rispetto alle normali gare su strada o su pista. Nelle Indoor oltre a non avere riferimenti temporali, giorno e notte - buio e luce, non hai riferimenti tecnici in quanto la temperatura è quasi costante per tutto il tempo. L’aria è secca e quindi per evitare la disidratazione  occorre bagnarsi  continuamente capelli e viso, e lavarsi le mani e le braccia con molta frequenza. Il rischio di disidratarsi senza accorgersene è alto. Pure l’alimentazione è molto importante. Occorre sia bere continuamente (in quanto l’aria secca, dovuta al riscaldamento, asciuga la gola e le labbra), sia mangiare il più possibile cibi semisolidi.

 

Hai avuto un momento in cui hai creduto di non farcela?

L’Ultramaratona è una specialità piena di insidie e di variabili spesso incontrollabili.  Se c’è una cosa che questa tipologia di gare mi ha insegnato è quella di … credere alla resurrezione.  A un tratto sei forte e veloce, e subito dopo sfinito e dolorante da non riuscire a correre. Sei quasi morto e senza energia, ma improvvisamente riprendi a correre come se avessi fatto il riscaldamento. Si! Ho avuto un momento in cui sono entrato in panico. Mancavano 28 km al record ed erano rimaste 5 ore 45 minuti alla chiusura delle 24 ore. Sembrano pochi, 28 km in quasi 6 ore, ma dopo 162 fatti possono essere veramente tanti. Ho promesso a me stesso che quei 28 km li avrei fatto strisciando con le ginocchia. Quella MPI era mia e solo io potevo mancarla. Avevo dato il meglio nei passaggi della 100 km (10 ore 17 minuti), nella 12 ore (114,7 Km) e nella 100 miglia (161 Km in 18 ore), non potevo certo sbagliareil record italiano, per cui mi ero iscritto. Anche questi 3 passaggi intermedi  credo siano le MPI Master 60 (lo lascerò verificare alla IUTA). E’ bastato crederci e sono risorto, al punto da farne 38 di km.

Alla soglia dei 60 anni hai sfiorato i 200 km: un obiettivo  o una opportunità?

Il 3 giugno scorso ero stato operato ad entrambi i piedi contemporaneamente per alluce valgo e per ricostruzione della volta plantare. Molti hanno creduto che difficilmente sarei tornato a correre, e soprattutto a correre le lunghe distanze. Ma io, il Dottor Roberto Bevoni che mi ha operato presso la “Casa di Cura Toniolo”  di Bologna, e mia moglie Gabriella eravamo molto fiduciosi.   Il Dottor Bevoni era stato molto chiaro fin dall’inizio: “Con dei piedi come i suoi, con gli alluci molto sporgenti e una volta plantare ormai inesistente, devo necessariamente fare un intervento fortemente invasivo. Per non modificare la rullata e la fase di spinta è necessario lasciare una traccia di alluce valgo residuo“.  Ci abbiamo creduto, e fiduciosi sono entrato in sala operatoria.

E quando ne sei uscito?

Dopo 45 giorni dall’operazione ho corso il primo allenamento di 3 km, ma i piedi erano troppo gonfi.  Ci ho riprovato al 60° giorno. Altro allenamento, altri piedi gonfi.  Al 90 ° giorno il terzo tentativo. Ero molto ‘legato’, senza tecnica, correvo come se lo facessi sulle uova. Da allora, inizialmente a giorni alterni poi in modo più continuo ho ripreso a correre.  A 6 mesi dall’operazione ho corso la maratona di Reggio Emilia con un discreto 3:42. Risultato non brillante ma soddisfacente.

Ringrazio molto il Dottor Bevoni per essermi stato vicino, stimolo a riprendere la corsa nel più breve tempo possibile. Grande medico lui, grande opportunità per me. Così mi sono iscritto alla 24 h di Helsinki ed ho cominciato a sognare la possibilità di portarmi a casa questo risultato. Un risultato voluto e cercato: anche grazie al Dottor Rocco Fusco della “Tenuta Ippocrate” di Avellino, che con i suoi consigli sull’alimentazione è riuscito a togliermi le problematiche di acidosi, il vomito per stress fisico e per errata alimentazione prima e durante la gara.

Helsinki così è diventata una doppia opportunità. La prima quella della MPI Master 60, l’altra un test per vedere la capacità di resistenza dei miei piedi in previsione del Sicily Ultra Tour.

Già, la prossima sfida. Cosa ce ne dici?

Volentieri. Il Sicily Ultra Tour è una gara di 14 tappe lungo il perimetro della Sicilia. La distanza media da percorrere è di 70 km al giorno. I luoghi di partenza e di arrivo sono tra i più belli e conosciuti turisticamente della Sicilia. Il Sicily Ultra Tour è una gara, ma nello stesso tempo è un viaggio nella storia, nella cultura e nella tradizione della Sicilia. Una gara unica ed affascinante che tocca tutti i sensi umani: vista, udito, olfatto, tatto e gusto. Siamo in Sicilia … ho detto tutto. Sono convinto che verranno degli appassionati: si può partecipare al giro  completo oppure alla singola tappa.
Per maggiori informazioni c’è sito www.sicilyultratour.it

Classifica delle prime posizioni di Helsinki

1          253.958 km      Soikkeli, Jari  Ultrajuoksuseura Sisu            FIN     1970    M        1          M50    1            10.582 283.404 km

2          249.761 km      McGroarty, Edward  Lifford / Strabane AC            IRL     1977    M         2          M40             1          10.407 262.740 km

3          232.378 km      Webb, Ry      Waverley Harriers      GBR    1985    M        3          M23     1          9.682            233.007 km

4          222.558 km      Fredriksson, Therese SOK Knallen              SWE   1986    F          1          W23    1            9.273   223.138 km

5          214.718 km      Hurtig, Petra  Hälle IF          SWE    1979    F          2          W40    1          8.947            221.382 km

6          211.612 km      Jonkka, Matti KU-58             FIN      1996    M        4          M23    2          8.817            211.612 km

7          209.988 km      Glans, Peter   Bålsta IK        SWE    1966    M        5          M50    2          8.750            240.591 km

8          209.967 km      Vierimaa, Milla         West Coast Ultra Runners     FIN     1975    F          3          W40             2          8.749   223.227 km

9          204.505 km      Ahokas, Kati Vegaanijuoksijat        FIN     1978    F          4          W40    3          8.521            212.252 km

10        204.472 km      Eronen, Antti Ultrajuoksuseura Sisu            FIN     1973    M        6          M45    1            8.520   220.503 km

11        199.051 km      Tallarita, Antonio      Green & Sport Gela  ITA     1960    M        7          M55    1            8.294   240.953 km

12        194.452 km      Pilli, Moonika           *Rakvere         EST     1982    F          5          W35    1          8.102            198.259 km

13        192.290 km      Andersen, Stian         BFG Bergen Løpeklubb         NOR   1991    M         8          M23             3          8.012   192.290 km

14        188.530 km      Kämpe, Diana                      DEN    1974    F          6          W45    1          7.855            202.329 km

15        188.297 km      Kesamaa, Liina         Triathlon Estonia        EST     1980    F          7          W40    4            7.846   194.141 km

16        187.350 km      Ovchinnikov, Sergei *Saint-Petersburg       RUS    1978    M        9          M40    2            7.806   193.984 km

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1° marzo – Podismo ufficialmente vietato nelle regioni ‘gialle’ e in altre zone variamente colorate (dalle Marche alla Sicilia). Particolarmente dolorosa la soppressione di Bologna, che in un certo senso sconta il fatto che la Costituzione l’ha creata capoluogo di una regione comprendente Piacenza. E dire che il primo progetto di Costituzione invece separava le due province, come fanno ancora oggi le Poste (il Cap di Piacenza è lombardo, non emiliano); e in effetti, oggi alcune zone della provincia di Piacenza si sono ‘ammalate’ in quanto gravitanti sulla Lombardia. Pensate come sarebbe stato diverso se passava l’altro progetto: invece è andata nel modo che sappiamo, cosicché nel marzo 2020 da Piacenza a Rimini non si corre (magari si va in palestra, perché i vàirus sopra i 25 gradi muoiono e di solito in palestra fa un caldo boia…).
Questo preambolo per dire che qualche maratoneta emiliano-romagnolo, domenica 1° marzo, vista la soppressione delle 42 km di Bologna, appunto, e di S. Benedetto del Tronto, ha ripiegato sconfinando di 30 km dalla sua regione, giusto appena più a sud di Castiglion de’ Pepoli dove si erano perfino svolte, non moltissimo fa,  due ecomaratone: ed è arrivato alla Briglia di Vaiano, in provincia di Prato (altro paradosso, la provincia più ‘cinese’ d’Italia, che però non soffre della imperversante ‘sindrome cinese’).
Ovviamente, questa Ecomaratona è nata come trail, per allungamento di quello che era il Trail del Monte Maggiore di 22 km (oggi rimasto come nobilissima gara di contorno), e dunque i suoi clienti primari sono i trailer, categoria peraltro che ingrossa attirando vari stradisti: ma non è un vero e proprio trail, nel senso che non propone difficoltà para-alpinistiche come spesso si incontrano nei trail che si adeguano alle cosiddette “regole di Morfasso”. Insomma, è in buona parte corribile grazie a una decina o poco meno di km d’asfalto, una prevalenza di stradine carrabili, e infine qualche sentiero ma con pendenze abbastanza moderate (non ci sono corde né bisogno di abbrancarsi agli alberi per salire o scendere; c’è un paio di guadi, più quello che è successo verso la fine ma ha riguardato solo noi delle retrovie).
La misurazione del percorso lungo è data in 43 km, con 1600 metri di dislivello: dati sostanzialmente confermati dai Gps. Il clou è ovviamente costituito dalla salita al Monte Maggiore, cima di 916 metri, la più alta dei Monti della Calvana che separano le province di Prato e di Firenze, ovvero il tracciato della ferrovia “Direttissima” da quello dell’autostrada. Entrambi i percorsi raggiungono la vetta, i maratoneti dopo 32,5 km, gli altri dopo 12; ma i maratoneti prima avevano dovuto salire due altre cime, partendo dai 100 metri del via fino ai 470 metri dove si arriva ai km 7,5 e 10,7. Segue un discesone che porta addirittura più in basso della partenza, ai 70 metri di Travalle, da dove cominciano 16 km di salita quasi continua (con una breve discesa dopo il ‘cancello’ dei 25 km) fino al Monte Maggiore. Da lì si va quasi soltanto in giù, teoricamente in modo facile (“in discesa tutti i santi aiutano”, dicevano i vecchi), ma soprattutto per gli stambecchi-trailer capaci di correre in qualsiasi condizione.
A questa categoria appartengono i due emiliani arrivati primi della 43 km, il fananese Giulio Piana e il bolognese di Val Samoggia Roberto Gheduzzi, tesserati entrambi Mud&Snow, che hanno dominato la gara. Piana, classe 1981 e quarto qui l’anno scorso con 3.54, quest’anno ha portato il suo tempo a 3.38:06; Gheduzzi (venticinquenne, che nel 2018 aveva vinto il Tuscany Crossing di 50 km e quest’anno si è piazzato nei 57 km della Bora e nei 45 del Brunello Crossing), l’ha seguito a poco meno di 5 minuti. Il terzo, Angelo Simone (lucchese di Stiava) è arrivato a 37 minuti da Piana.
Tesserata in Emilia anche la prima donna, Giulia Magnesa del Casone Noceto, del ’72, giunta 15^ assoluta in 4h50'35'', tre quarti d’ora prima della seconda, Chiara Barassi. Insomma, questi emiliani un vàirus ce l’hanno di sicuro, quello della vittoria. I toscani si sono consolati con l’intero podio maschile dei 22 km: primo Filippo Bianchi (Il Ponte Scandicci) in 1h46'33'', davanti a Mileno Frediani (Montecatini Marathon) a 6 minuti e ad Alessandro Melani (Il Ponte Scandicci) a 10.
Quasi incollate le prime due donne, Camelia Barboi (del ’66, Isolotto di Firenze), in 2h14'30'', 47” davanti a Stella Pacini (del 1981).
Poi ci sono gli altri, e nessuno mi sgridi se ne cito solo pochi del percorso lungo: la coppia reggiana Federica Zini & Giuseppe Pellacani (5h10); il supermaratoneta Timothy Chaplin (5h16); l’altro supermaratoneta pratese Leandro Giorgio Pelagalli, vincitore della categoria “Oro” (over 70) con un egregio 5h51, appena davanti all’altro socio del Club, il fananese Mauro Gambaiani; e l’avvocato di Latina Paolo Reali, che dopo avermi ripreso nel mio incerto guado del km 10, si è involato dandomi quasi un’ora.
I classificati sono in tutto 93, 17 in meno dell’anno scorso (e 96 nei 22 km, anche qui con un certo calo; poi un numero non precisato nella non competitiva di 12 chilometri, la Monte Maggiore Free Run).
Ma vanno messe in conto le proibitive condizioni atmosferiche (ampiamente previste, tanto da dissuadere molti dal venire in loco), che dopo le prime ore di pioggerella lieve, che deliziosamente bagnava e rinfrescava i simpatici maiali, le paciose mucche e i cavalli dei pascoli più alti cui si ispira la medaglia, sono nettamente peggiorate alla quinta ora, quando un nubifragio con vento fortissimo si è abbattuto sui tanti che stavano salendo sul Maggiore (o, i meno lenti, ne stavano scendendo): qualcuno non ce l’ha fatta e si è ritirato, prontamente soccorso dalle ambulanze della Misericordia salite fin quasi in cima o comunque al ristoro posto a 850 metri. Altri si sono scaldati e cambiati d’abiti nel delizioso piccolo rifugio Gensini, un centinaio di metri prima della vetta, allietato da un focolare acceso.
Per i restanti, è rimasta la larga cima del monte, immersa nelle nubi e dal fondo pantanoso (provvidenziali le bandierine arancioni piantate a vista l’una dell’altra), poi la discesa prima sassosa e largamente cosparsa di enormi pozzanghere, indi sentieri divenuti veri e propri torrenti (a un certo punto, se non avessi visto le bandelle, avrei creduto di aver sbagliato strada); e solo l’ultimo km di asfalto fino al traguardo.
Gli organizzatori hanno fatto tutto il desiderabile, e anzi di più: per un prezzo d’iscrizione che partiva da 25/30  euro, un pacco gara davvero pesante (inclusa una birra dedicata espressamente all’evento); sette ristori, sempre forniti di tè caldo e frutta, oltre che dei tipici cibi toscani, dalla fettunta agli affettati di cinghiale alle crostate; segnalazioni precisissime (e collegate a un foglio illustrativo di una chiarezza e ricchezza estreme), sbandieratori frequenti e ‘tifosi’ (specie nell’ultimo tratto); docce calde, pasta party nella tradizione toscana, incluso il vino a volontà, e una amichevole tolleranza nei confronti di quanti stavano superando il tempo limite ma ormai erano in zona arrivo. D’altronde, da un supermaratoneta come Daniele Mulinacci, organizzatore con centinaia di lunghe all’attivo, non ci si poteva aspettare di meno.

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