Direttore: Fabio Marri

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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

2 agosto – Soppressa la corsa dell’ Unità di Casalgrande (ma anche a Reggio capoluogo non stanno benissimo...), e lasciata la staffetta “per non dimenticare” ai circa 14 partecipanti documentati dalle foto, ci dirigiamo (con la massima attenzione agli autovelox disseminati perfino su una strada rettilinea senza abitazioni, ma dotata del limite dei 50) verso San Rocco, tre case, una scuola probabilmente dismessa, una chiesa, quasi alla foce del Crostolo in Po: zona d’influenza di Morselli, che infatti prima di partire per l’Egitto viene a condurre le danze, col corredo dei fotografi Nerino e Domenico.

I meteo-astrologi annunciano, anche tre ore prima dell’evento, pioggia o temporali fino alle ore 20, e infatti... alle 19,30 – ora della partenza – uno splendido sole al tramonto si appresta a cedere il trono celeste alla sottilissima falce della luna nuova. Qualche goccia è sicuramente caduta, come appare dalla foto 8 di Petti (evidentemente arrivato molto presto), poi dal pantano entrando nel parcheggio; ma adesso si sta divinamente, una temperatura che non dispiacerebbe tutto l’anno. Le cifre ufficiali contano circa 300 iscritti, l’impressione tuttavia alla partenza è di qualche partecipante in meno rispetto al 2018, quando corremmo con 32 gradi: direi che manchino soprattutto i modenesi, e infatti la tenda di Peppino Valentini del Cittanova è meno affollata del solito (però alla fine vincerà la classifica dei gruppi, con 42 iscritti, dopo i padroni di casa del Novellara che ne hanno 56 ma sportivamente si fanno da parte).
È però vero che a venti minuti dal via ufficiale già diversi pedoni o similcorridori punteggiano le stradine designate per la gara e già fornite di sbandieratori/ristoratori (che invece a mio parere dovrebbero farsi vivi solo dopo la partenza legale). Vedremo cosa succederà il giorno che un 'anticipatore' sarà messo sotto da un'auto in orario extra-corsa.

Giro identico all’anno scorso, 11 km esatti (vedi foto Petti 13 e 38) con quasi 3 di argine del Crostolo, che sull’orizzonte si apre a Cimone, Cusna e Succiso, mentre in zona lascia vedere i campanili dei paeselli vicini, da Santa Vittoria (dove una volta si facevano i carrelli-appendice e una 21 competitiva) e San Bernardino, dove nemmeno Gelo Giaroli e la ragioniera-prof. M. Pia Verzellesi ricordano una gara pomeridiana (a meno che non partisse da Bagnolo). Non si fanno più nemmeno il retrorunning di Poviglio e la corsa annessa alla sagra del pesce di Meletole, il cui organizzatore è qui a correre e tre settimane fa era a punzonarci al lago Calamone prima della salita al Ventasso.

Confermati i ben quattro ristori  più quello finale, dove un addetto con tagli netti e sapienti da macellaio antico affetta cocomere allo stadio perfetto di maturazione (foto Petti 105), mentre a fianco si consegna un nutrito e nutriente sacchetto-gara (foto 106, 107, 111) di fronte ai consueti 2 euro di iscrizione (che danno diritto anche a uno sconto equivalente nella cena che segue). Veramente il pettorale ha le dimensioni di una mezza scheda telefonica, e anche indossandolo non appare granché visibile: un amico podista, ben sapendo delle mie idee rigoriste, viene quasi a giustificarsi di non averlo in mostra: lo assolvo, ammettendo che domenica scorsa il sottoscritto, insistendo a portare un pettorale di carta sotto la pioggia, se l’è trovato spappolato dopo 3 km e ha dovuto conservarne qualche frammento negli slip per dimostrare di non essere un mortodifame.

Corsa, ripeto, piacevole, tranne i km 8-10 su una stradaccia ghiaiata e poco panoramica. Tornati sull’asfalto, Gelo impartisce l’ordine di accelerare, cosicché dai 6:04 del penultimo km risaliamo in rapida progressione ai 5:40, poi 5:20, tagliando infine il traguardo ai 4:50 sotto gli scatti increduli e diagonali di Nerino, mentre Morselli sta già procedendo alle premiazioni (foto 251-270).
Siamo gli ultimi miracolati di San Rocco di Montpellier, compatrono di Venezia, un ultratrailer prodigioso che percorse a piedi la strada da Montpellier a Roma e ritorno, facendo parecchie soste per curare e guarire gli appestati, e ormai prossimo al traguardo fu scambiato per una spia (o un dopatore?) e messo in carcere, dove morì verso il 1379. Dio ci scampi dall’ultima parte della sua ultramaratona, e soprattutto scampi Morselli in viaggio intercontinentale! Per fortuna, Mandelli resta con noi tutta l'estate e a sistemare i servizi fotografici, compreso questo, provvede lui.

28 luglio – 38 gradi venerdì, da 28 in giù sabato con forti piogge, gare annullate una dietro l’altra (e talvolta il meteo è solo una scusa): un occhio a internet, uno ai gruppi di whatsapp, entro una cinquantina di km da casa restano una piatta gara mantovana, una collinare reggiana e un quasi-trail a Zocca, dieci km di cui oltre metà sterrata e su sentieri, compreso un piccolo guado, e dislivello complessivo di 340 metri con oscillazioni fra i 580 e i 790 metri del Monte della Riva (alias Monte Cisterna).

Zocca è oggi, per tutti, la patria di Vasco Rossi: qualche settimana fa il locale sindaco ha chiesto soccorso a provincia regione o quant’altri per risolvere i problemi di traffico e affollamento generati dal quotidiano arrivo di fans nella sua casa della frazione Verucchia (dove, per ora, i  cartelli marrone indicano solo il santuario, perché per l’altra meta basta il passaparola…: però mettere un cartello “Park per casa di Vasco” sarebbe utile a ridurre il viavai motorizzato).

La fama podistica di Zocca era stata oscurata, negli ultimi anni, dalla soppressione della leggendaria 50 km Bologna-Zocca (pensate che una volta la corsi con Irene Senfter e Martina Juda, un’altra volta coll’indimenticabile Antonio Mazzeo), e dall’insorgere prepotente della vicina Rocca Malatina, teatro non solo di una corsa domenicale ma anche di un trail fra i meglio organizzati del calendario regionale. È rimasta a Zocca questa camminata, come sempre sotto lo speak del Lupo sport, ora inserita in un circuito provinciale del Frignano (cioè dell’Appennino modenese), dotato di ricchi premi individuali, di tappa e finali.

Dopo un’ultima rassicurazione avuta via mail dall’ex vicesindaco zocchese (sarebbe sindaco lei, se solo avesse voluto!), l’affettuosa e brava maestra Flavia B., mi metto in viaggio con l’auto, sotto una pioggerellina quasi ristoratrice. Un DJ di una radio locale millanta che oggi 28 luglio 2019 sono quarant’anni dalla nascita della prima radio libera: è una balla grandiosa, perché fin dal 1975 ricordo che ascoltavo, premendo il tasto FM sulla mia radio Mivar da ventimila lire, Punto Radio Zocca, nata infatti il 21 settembre di quell’anno, e dove il giovane Vasco (si presentava solo per nome) coordinava la messa in onda di nastri mandati da ascoltatori- cantanti amatoriali (ricordo uno che schitarrava su fili tesi fra bicchieri di vetro); ma Vasco non cantava mai, nonostante le esortazioni di un suo collaboratore, Gaetano Curreri…

Eccoci adesso a Zocca, diciamo pure al penultimo momento perché la ricerca di un parcheggio non è semplice (quello dove avevo trovato l’anno scorso è tutto pieno, e mancano altre indicazioni, sebbene a 400 metri ci sia la piazza del mercato che è semivuota): mi sto spillando il pettorale da non competitivo (operazione cui non rinuncio mai, rara avis da queste parti) quando partono i competitivi, ben 125, cioè più dell’anno scorso, e il doppio della gara concorrente reggiana. Molto pochi, anzi quasi nessuno, sono i non competitivi: parecchi li incontro che percorrono a ritroso i primi due km del tracciato, di passo e magari con l’ombrello; altri, già partiti, staranno facendo il percorso corto da 5 km, presto saranno ad abbuffarsi al ristoro, ritirare il premio (un litro di latte, come nel 2018) e via. So di un paio che deviano dal giro e passano da casa di Vasco, dove sono nel frattempo arrivati una coppia di sposi (lui novantacinquenne), un tizio di Monza, e fauna simile. Il Comandante uscirà un attimo per salire su un’auto e partire: “ognuno col suo viaggio – ognuno diverso - e ognuno in fondo perso - dentro i fatti suoi”.

Piove, ma non fortissimo, anzi nell’ultima mezzora quasi smette (riprenderà poi, in maniera apocalittica, un’ora dopo). Saranno i cambiamenti climatici…, o sarà che noi contemporanei, protesi al massimo godimento quotidiano che riteniamo nostro diritto costituzionale, abbiamo dimenticato le bufere estive di una volta e siamo pronti a prendercela con l’altra metà del mondo se durante il weekend piove? Da parte mia, l’unica affermazione che ho imparata da quel vanesio di Beppe Severgnini è “una passeggiata sotto l’acqua non è una passeggiata rovinata, ma solo diversa”.

Il giro è quello già noto, agevole fino al bivio tra i due percorsi, poi un tantino difficile per la scivolosità dei sentieri nella salita al bellissimo borgo di Montalbano (fuori classifica come sono, entro nella chiesa, celebre anche per un’esposizione permanente di presepi, dove si respira il caldo buono degli anni antichi), poi nella discesa successiva prima dell’ultima salita al Monte della Riva. Qui, una provvidenziale fontanella serve a ripulirci un po’ tutti delle zacchere accumulate nelle inevitabili cadute.

E vorrei ricordare gli ultimi due classificati della competitiva, con cui faccio insieme (metro più metro meno) la seconda metà della gara: li raggiungo sulla salita più scivolosa, dove lei, “Monny”, davanti, sta aspettando e aiutando come può lui, Augusto, più vecchio di una ventina d’anni (non sono della stessa società). Sbadatamente li supero, limitandomi a segnalare il passaggio che a me pare più praticabile e invitando lui ad attaccarsi agli alberi come faccio io. Solo più tardi, quando mi raggiungeranno sulla cima, mi accorgo che ad Augusto manca una mano, e per lui è impossibile anche azionare il rubinetto a pulsante della vetta. Brava Monny, più di me: alla fine, meritatamente, mi precederete di una cinquantina di metri, ma per te ci vorrebbe un premio speciale: come scrive Luca Grion, ci insegni che la corsa per noi deve essere soprattutto altruismo.

La gara “top” presenta nelle prime posizioni grosso modo gli stessi nomi di queste gare: primi uomini, distanziati di un solo secondo, i due compagni di squadra MDS Marco Rocchi e Tommaso Manfredini; un minuto dopo arriva Arturo Ginosa. Una MDS, Gloria Venturelli, stravince anche la gara femminile, rifilando 4 minuti alla vincitrice 2018 Laura Ricci, e 5 alla bolognese Francesca Battacchi.

Premiazioni gestite come da tradizione da Lupo nella adiacente ed ampia sala consiliare: che abusivamente utilizzo come spogliatoio, dietro un paravento, per togliermi gli abiti zuppi, e dare l’addio estremo alle mie Mizuno (comprate tre anni fa per 80 euro dal compianto Vito Melito, e portate in giro per 12 maratone, tra Conegliano e Nashville, il Gran Sasso e il Mottarone). Avete combattuto le vostre buone battaglie, dall’aldilà fate che io non perda la fede.

28 luglio – Uno dei più duri ultratrail d’Italia, la Südtirol Ultra Skyrace con partenza e arrivo a Bolzano, 121 km con oltre 7500 metri di dislivello da superare, lungo l'alta via “Hufeisentour”, è stata funestata ieri poco dopo le 19 da un incidente mortale: la 45enne norvegese di Tromsö Silje Fismen, più volte piazzata in gare nelle sue regioni (Corriere.it ha scovato un suo successo nell’Ultratrail delle Lofoten, 175 km con 5600 metri D+ chiusi in poco meno di 33 ore), dopo quasi un giorno intero di marcia tra la val Sarentino e la val Passiria (la corsa era partita alle 20 del 27 luglio), è stata colpita da un fulmine in prossimità del lago di San Pancrazio, a 2100 metri di altitudine.
Fatalità ha voluto che la gara fosse stata interrotta, causa maltempo,  da mezz’ora, e già un centinaio di atleti fosse stato fermato nei rifugi Punta Cervina e Kesselberg, o raccolto lungo il percorso: ma nel luogo dove si trovava Silje (insieme a un altro atleta, pure lui colpito ma senza gravi conseguenze) i cellulari non prendessero: i soccorsi, allertati da due podisti nei paraggi, hanno potuto entrare in azione solo mezz’ora dopo l’evento, quando (nei casi di arresto cardiaco) in mancanza di defibrillatore  ogni soccorso è vano, come hanno potuto constatare i medici dell’ospedale di Bolzano dove Silje è giunta cadavere in elicottero.

Nella vita, la Fismen era medico nel reparto di patologia clinica della clinica universitaria di Tromsö, autrice di numerose pubblicazioni, impegnata anche in ricerche sui tumori.

Gli organizzatori, costernati, informano di essere stati in allerta fin dal mezzogiorno, costantemente aggiornati dal soccorso alpino in quota, ma che non era prevista una bufera di quella portata. Al momento della tragedia, i primi avevano già tagliato il traguardo, dopo 17h 43’: si tratta dell’altoatesino Josef Thaler e dell’austriaco Gerald  Fister, che trovandosi appaiati a 5 km dal traguardo avevano deciso di arrivare insieme.

In segno di lutto, le premiazioni in programma domenica alle 11 sono state disdette.

Un incidente del genere, informano le agenzie di stampa e il comunicato degli organizzatori stessi, è stato sfiorato anche questa mattina nel Bei K3 sul Rocciamelone, in Valle di Susa, gara ugualmente sospesa dopo che molti concorrenti l’avevano tuttavia conclusa: un atleta spagnolo, anch’egli già finisher, è stato sfiorato da un fulmine  nel rifugio Cà d’Asti, ma ha riportato solo stordimento: trasportato all’ospedale in elisoccorso, ha rifiutato le cure lasciando la clinica coi suoi mezzi e rientrando nel suo albergo.

14 luglio - Avevo partecipato alle prime tre edizioni della maratona del Ventasso (2003-4-5), poi a qualche altra, sempre con molta soddisfazione: un po’ meno, posso ammetterlo, nel 2015, quando per la prima volta dovetti arrivare in cima al “Gigante”, si accrebbe il dislivello e con esso il tempo di percorrenza, di un’oretta quasi.

Da allora a oggi, pare che il cosiddetto D+ sia cresciuto ancora, stabilizzandosi sui 2200 metri (nel 2003-4 era di 1500, nel 2005 di 1600, nel 2008 di 1900); e anche il tracciato, che la primissima volta era affrontabile tranquillamente con scarpe da asfalto (le uniche che possedevo allora e con le quali andavo anche a Davos e Interlaken), adesso è diventato, più che “eco”, un trail (a occhio, direi che i km di asfalto o lastricato non superino i 5 o 6). Ciò spiega la concessione di un punto per partecipare alla UTMB, ma a mio parere spiega anche il calo dei maratoneti “di città”, quelli che il primo Ventasso di Rosi Manari e Vincenzo Castellano convertì, e invece adesso disertano la corsa.

Riguardo con molta nostalgia la classifica 2003, dove nelle posizioni di coda figurano due leggende come Morisi e Togni, e più su altri collezionisti di maratone ma negati alla montagna, come Govi. C’erano perfino Lupo-sport, Bruno Furia, Marino Pellacani (curiosità: nel 2019 ha gareggiato il figlio Giuseppe), Paolo Manelli, Paolo Giaroli (adesso qui solo in veste di giudice, nelle terre di Giarola da cui trae origine il casato: lo vedete in maglia gialla sulla destra della foto-copertina nel pezzo di Morselli, n. 154 del servizio foto); tra le donne, c’erano la stessa Rosi Manari, Silvana Pellicciari, la Marisella…

Ubi sunt, où sont les neiges d’antan? E vinse la campionessa del mondo Monica Casiraghi, che sotto il Ventasso ha trionfato 5 volte (superata poi da Lara Mustat con 8 successi); anche tra i maschi, nel 2003 vertice d’eccellenza con Cristiano Campestrin e  l’altro campione del mondo sui 100 km Mario Fattore; l’anno dopo, Mario Ardemagni, poi Lorenzo Trincheri e così via, fino al Matteo Pigoni che cominciò nel 2007 e con questa edizione porta, da quarantacinquenne, a 8 le sue vittorie (bravo, bravissimo; ma come si diceva per il vincitore fisso del Passatore, dove sono le nuove leve?).

Nel 2003 eravamo in 161; la soddisfazione, il passaparola (vogliamo anche dire i commenti di Podisti.net??) ci portarono a 261 l’anno dopo, a 280 nel 2005. Nel 2015 fummo in 296. Insomma, qualità dei primi e quantità degli altri, degli amatori; ma con un dato preoccupante, ben 14 classificati fuori tempo massimo, 9 ancora nel 2018: questo, a parte la fiscalità di mettere ftm chi arriva magari due minuti dopo l’orario limite, dimostra che la difficoltà del percorso cominciava a escludere i podisti normali (o dite pure ‘subnormali’ se pensate a tipi come il sottoscritto). Risultato odierno: i pochi supermaratoneti arrivati fin quassù sono stati attenti soprattutto al tempo massimo (a parte i due Mauro, Gambaiani e Malavasi, che non hanno di questi problemi); gli altri, semmai, prediligono le 42 dell’appennino bolognese, dove c’è all’incirca lo stesso tempo massimo ma puoi partire anche due ore prima e ti mettono ugualmente in classifica, e alla fine dell’anno non avrai  punti Utmb ma piuttosto 50 o 100 punti del club e potrai proclamare qualche strano Guinness…

Peccato per questo calo degli ultimi anni: 243 arrivati nel 2016, 229 nel ’17, 209 nel ’18, uno in più quest’anno (grazie all’inserimento in graduatoria anche dei meritori ftm dai 3 agli 8 minuti). È vero che ci sono le gare collaterali, che hanno portato in dotazione 250 arrivati tra 15 e 22 km, più un centinaio di non competitivi nella 15 km e altrettanti ragazzi nei percorsi mini; ma la parola magica ‘maratona’, che da sola basta a spostare qualche centinaio di podisti, fosse anche per indecenze come Genova e dintorni, qui non ha sortito effetti.

Ripeto, peccato! perché metto in gioco la mia reputazione di critico e censore ventennale dicendo che il Ventasso è una delle gare meglio organizzate (Uisp, non Fidal!), più accoglienti, più economiche nella tassa d’iscrizione (in prevalenza, 30 euro), che garantisce un buon pacco gara e due pranzi (vedi foto di Morselli del sabato e di Canedoli della domenica) che – almeno nella versione domenicale – sono disponibili anche a tarda ora (ho finito di pranzare alle 18, trovando ancora tutte le portate, il servizio veloce e non fiscale, addirittura vino a volontà).

Non sono d’accordo invece, da tempo, e riferendomi a un andazzo generale, con la volontà di rendere ogni anno più feroci i percorsi, come nella storiella dell’evoluzionismo secondo cui la giraffa allunga il collo per mangiare le foglie più alte, allora gli alberi si alzano per selezionare le giraffe: quest’anno si è anche superata la soglia dei 42, di un km secondo gli organizzatori, che però non convincono quando i gps registrano tra il km 32,7 di Montemiscoso e il 35 del cartello ben 3,2 km (e non 2,3: qui la tolleranza dei Gps non c’entra!), o tra il 38,9 del penultimo ristoro e il cartello del km 40 (posto dopo il ristoro del meno 3,4 km) altri 2 se non 3 km.

La salita al Ventasso, che all’inizio si era affrontata dal lato est del rifugio Maddalena, in parziale coincidenza col “Vertical Barbarossa” da Nismozza, adesso invece (sembra, per una frana) avviene da ovest, cioè dal lago Calamone, che si raggiunge dopo aver salito 900 metri dal punto più basso del km 11 allo scollinamento del 21, discendendo dunque un centinaio di metri per fare poi una tirata di 320 metri verticali in poco più di 2 km. Percorso faticoso sebbene non estremo, e ripagato dai panorami: non però per noi tardoni, che abbiamo trovato la pioggia proprio salendo in vetta, e nella discesa, tra i km 25 e all’incirca 35, ci siamo dovuti arrangiare su sentieri scivolosi, talora ridotti a torrentelli, a circumnavigare innumerevoli laghetti, o a non lasciare le scarpe nelle sabbie mobili.

Devo dire che il personale di servizio, delle 40 o giù di lì postazioni, è sempre stato presente e ammirevole: in cima al Ventasso flagellato dalla pioggia (dove notiamo anche Armando Rigolli compatrono della Abbotts) distribuivano teli protettivi a chi non li aveva; i ristori erano sempre molto ricchi, e per fortuna l’iperecologismo del “non abbiamo bicchieri, usa il tuo” era attenuato da qualche decina di bicchieri a disposizione, ovviamente con molti cestini da raccolta in un raggio di 200 metri.

Nella seconda metà abbiamo fatto gruppo (un po’ vincoli, un po’ sparpagliati ma con frequenti ritrovi) in una decina di amici vecchi e nuovi: addirittura tre Fabio, uno dei quali romagnolo al suo primo trail, e guidato passo passo dal veterano Daniele Zoli dalla Rosetta di Fusignano (Ippociok, 6 ore della birra e insomma 198 maratone accumulate). Ci ha raggiunto il monzese Rinaldo Furlan, reduce dalla sua 17esima cento km di Biel-Bienne, e da parecchie altre centinaia di gare storiche o mitiche (“ma ti rendi conto che i supermaratoneti di oggi non sanno neppure cos’era la Trevisando?”), inclusa la fresca maratona della Val d’Aosta dove insieme abbiamo sbagliato passando tre volte da un controllo dove dovevamo passare solo 2 volte, e insieme siamo stati puniti (ma con una punizione selettiva che stride in paragone ad altre allegre omologazioni).

Siccome il gruppetto, dal ristoro del 29 in avanti, ha nel mirino l’altra storica maratoneta Marina Mocellin (recente finisher dell’Ultra Via degli Dei), comincia a tesserne gli elogi raccontando aneddoti vari, specie in comparazione a una collega che risulta assai meno simpatica… Quando raggiungiamo Marina, dopo il 35, mentre è intenta a rifornire del suo magnesio/potassio un collega bloccato dai crampi, le raccontiamo tutto e lei chiosa: “veramente con quella là ho litigato anch’io…”.

E così risaliamo e poi scendiamo gli ultimi km, sorpassandoci e riprendendoci in amicizia come don Camillo e Peppone sull’argine del Po nel finale del film: per la cronaca, ci batte Rinaldo che ne ha di più, ma arriviamo tutti, salutati e fotografati da Morselli col cappellino da navigator, nell’arco di tre minuti… e continueremo le chiacchiere e malignità nelle docce (caldissime come capita di rado!), dove ci raggiunge pure il Morellino (“averla finita è l’unica cosa che vale”; vedilo alla partenza nella foto 132 di Morselli).

Ci aspettano ancora a pranzo - quasi apericena o happy hour -, degna conclusione di una giornata comunque bella; e chi vivrà vedrà.

3/9 luglio – La prima data è quella dell’effettuazione della gara, la seconda quella della diramazione della classifica: tanto tempo c’è voluto all’Uisp Modena per fornire dati sballatissimi, che ti fanno passare la voglia di pagare 8 euro per una competitiva. Comunque, veniamo al lato sportivo.

Dopo un’edizione diurna allestita per la prima volta la mattina dell’Epifania 2017, e la conversione in serale d’inizio estate (nello stesso 2017, poi il 29 giugno dell’anno scorso), la competitiva in salita sul percorso utilizzato in allenamento dall’olimpionico Stefano Baldini (il cui tempo di 25:00 rimane quello da battere ed è segnato vicino alla linea di partenza, nell’estrema periferia sud di Castelvetro in corrispondenza di una discesa ‘direttissima’ da Levizzano) riprende sotto le cure di Andrea Baruffi (16° l’anno scorso nel giorno del 50° compleanno) e Sonia Del Carlo, simpatica mamma-atleta col sorriso da ragazzina, vincitrice femminile nel 2018, che qui si è impegnata prima con le iscrizioni tardive e la distribuzione pettorali, poi col ristoro di metà percorso, stoicamente sotto l’acqua (“i bicchieri si riempivano da soli”, mi ha detto poi), infine come ‘scopa’ al seguito dell’ultimo concorrente. Purtroppo del tutto insufficiente l’allestimento delle strutture d’arrivo; a questo punto, sarebbe meglio tornare alla vecchia ruspante Sassuolo-Montegibbio degli anni Novanta, dove era tanto se davano i primi tre arrivati, e gli altri… tutti a pari merito con mezzo chilo di pasta in omaggio.

Il tempo da battere, su questo percorso (più lungo di circa 150 metri rispetto al 2017, e che il mio Gps dichiara di 6,970 con 375 metri di ascensione) era il 31:16 di Miller Artioli nel 2018, e per il lato femminile il 36:45 della citata Del Carlo.

Per quanto ci si possa fidare dei dati diffusi ora (diciamo, da 0 a 01,%), il numero degli arrivati risulta stazionario rispetto all’ultima edizione (9 donne e 58 uomini, tra i quali uomini - secondo le classifiche – Gasparini Giorgia, Cavalieri Daniela, Fontana Elisa, Deriu Sara, Barile Maria, Prato Donatella, Gandolfi Cecilia; per ignoranza non mi pronuncio su Montecchi Nube); malgrado la serataccia che ha sconsigliato taluni dal venire, col rischio di trovarsi l’auto devastata dalla grandine (annunciata) come già dieci giorni prima. Quota di iscrizione, come si diceva, portata a 8 euro rispetto ai 5 dell’anno scorso, senza pacco-gara; atmosfera decisamente amichevole, quasi ruspante (sebbene mancasse, rispetto all’anno scorso, la sezione dei walkers non competitivi), e conclusa dal rituale ristoro a base di frutta estiva.

Il tracciato è piacevole, e dopo un inizio in moderata pendenza, dal secondo km in  poi si inerpica per una salita regolare ma non durissima fino a raggiungere il crinale che separa la valle di Castelvetro (del torrente Guerro) dalla valle del Panaro, sopra Marano: il “muro” più sensibile è al 4° e 5° km; chi ha buona memoria locale, pensi alle estinte Scandiano-Tre Croci o Vezzano-Canossa.

Tra i reduci gloriosi, abbiamo visto Giuseppe Cuoghi, coi suoi racconti che spaziano dai giri a tappe dell’Elba (lofi) e Fassa (togo), al fresco (nel senso di recente) Diecimila di Campogalliano (“sì, c’erano più premi che corridori; poveretti, avranno incassato sì e no da pagare lo speaker…; e c’era il solito personaggio che prima della gara faceva i suoi abituali discorsi, che la gara non gli interessa, poi ha corso a ufo con pettorale personalizzato”), fino alla prossima Casaglia-San Luca di cui è partecipante fisso. Lì, state sicuri che gli daranno un crono, mentre da questa classifica appare senza tempo nella graduatoria generale, e neppure nominato in quella maschile.

E ancora, Lolo Tiozzo, appena tornato giù da Gaiato con la sua Podissima autogestita (oh, attento, con l’aria che tira e le spie che ci sono in giro, hai controllato che non ci fosse nessuno squalificato, ex dopato ecc. ecc.?); e Massimo Bedini, che dove c’è una competitiva non manca mai pur sapendosi abbonato all’ultimo posto (“a un 5000 in pista non mi hanno accettato perché sarei rimasto da solo e doppiato per troppi giri…”). Sembra che sia arrivato ultimo anche stavolta, a 13 minuti dal penultimo, Lolo: Cuoghi doveva essere molto avanti, e invece?

Afa, aria pesante, nuvole nerissime e lampi accompagnano le fasi preliminari. Si parte, chi in canottiera, chi con l’impermeabile. Le prime gocce cadono dopo un quarto d’ora e per un po’ sono di refrigerio per noi che siamo tutti sudatissimi; poi esagerano un po’, ma senza arrivare a quei picchi che si potevano temere, e anzi dopo tre quarti d’ora smettono quasi del tutto. La fioca illuminazione delle nostre lampade è molto rinforzata dai lampi che accendono a giorno l’ambiente, con la chiesa di Ospitaletto illuminata ad aspettarci un po’ più in alto. E si arriva tutti (Cuoghi compreso, alla faccia della classifica), dai 28:07 del vincitore Luca De Francesco a 1.06:39 attribuito a Bedini (siccome ero sul traguardo vicino a chi annotava i tempi, mi permetto di ritenerlo un cronometraggio ottimistico).

Migliorano i tempi di percorrenza maschili (con beneficio d’inventario): il 31:16 di Artioli del 2018 è abbassato di 3 minuti abbondanti da De Francesco. Secondo Andrea Bergianti, ben distanziato a 2’20”; terzo Davide Benincasa a 3’18”.

Resiste invece il record femminile di Sonia Del Carlo, con 36:45: la vincitrice 2019, Francesca Venturelli, impiega quasi due minuti in più (38:33), surclassando peraltro la seconda, Valeria Montanari, di quasi 4 minuti (42:15), che a sua volta distacca di un minuto esatto la terza, Sabrina Cuoghi.

Rilevamento cronometrico ‘all’antica’, con lo speaker che detta il numero di pettorale alla cronometrista-giudice d’arrivo, e i tempi che vengono trascritti al riparo dal maltempo nell’esiguo ingresso delle scuole, dove è sistemato anche il tavolo del ristoro: ma non so se questo basti a spiegare il ritardo con cui è diramato l'ordine d'arrivo ufficiale, e specialmente i seri dubbi sulle classifiche delle retrovie. Il sottoscritto per esempio legge ora di essere arrivato 12 secondi dietro Cecilia Gandolfi (indicata come M), e appena un secondo dietro la coppia madonninara Claudio Rossetto-Simona Malavasi. Sarà stato il buio, ma Claudio non l’ho mai visto nelle vicinanze (penso fosse davanti), mentre Simona Malavasi mi ha passato dopo 3 km e si è progressivamente allontanata, diciamo di almeno 100 metri se non di più: altrocché un secondo, e tra me e lei c'erano 4-5 persone.

Lasciamo perdere, pensiamo alla gioia della corsa in sé e all’allegria generale subito dopo l’arrivo; poi si discende alla base: alcuni a piedi, magari scortati da un ciclista, gli altri con le auto disponibili in quota. A metà della discesa, una famigliola di caprioli (mamma e due cuccioli) sta per attraversare la strada, e sosta prudentemente a lato durante il nostro transito. Passata è la tempesta, la temperatura è piacevolmente scesa di una decina di gradi, nessun danno alle auto: se non guardiamo ai numeri, ci possiamo accontentare.

Domenica, 07 Luglio 2019 23:11

Lemizzone (RE), 17^ Camminata di Re Lamizzo

7 luglio – Chi non aveva voglia di andare in montagna, ai confini delle province di Modena o Bologna, dove stavano le gare della programmazione ufficiale dei coordinamenti, si è ritrovato a Lemizzone: località rinata da pochi decenni, ma cui i non-reggiani riescono ad arrivare solo a forza di navigatore (e benvenuti i navigatori di ultima generazione, che ti avvertono dei tanti autovelox infilati a tradimento nella bassa, in presenza di limiti dei 50 spesso assurdi). A dare una parvenza di storia provvede l’invenzione di un re Lamizzo, mai esistito se non nella fantasia del povero Giuseppe Pederiali, che le tentava tutte pur di acquisire benemerenze presso le proloco: col risultato che se oggi chiedete agli studenti di letteratura italiana di università chi era Pederiali, sarà una scena muta generale.

Le statistiche dicono alla fine di 555 iscritti, con le società dell’area (Correggese, Novellara della prof. M. Pia Verzellesi, Bagnolo) a primeggiare; ma i modenesi risultano all’incirca in 150, con ovvia prevalenza dei carpigiani (l’assessore D’Addese è nella foto 360 di Nerino con Giorgio Diazzi, che un anno fa mi promise l’annuncio della nuova maratona di Carpi: ci penserà il prossimo vescovo?), e dei campogallianesi che qui possono arrivarci anche in bicicletta; ma si nota la presenza pure della trailer modenese Francesca Braidi, che non aveva mai sentito nominare Lemizzone ma ci viene ugualmente, accompagnata dal marito e dai figli sempre più indipendenti e competitivi; oltre al madonninaro Loris Ciabrelli, che come abitudine dell’ultimo anno ha spinto la figlioletta sul baby jogger (foto 359 del servizio di Nerino). C’era anche Giangi, ma solo per respirare l’atmosfera della gara visto che non pare abbia né corso né camminato ma solo raccontato di essere stato investito da un daino; invece Morselli, in azzurro nazionale (foto 338) l’ha corsa un po’ in avanti e un po’ in retrorunning, e solo questo spiega perché, dopo la sua partenza a razzo, alla fine gli sia arrivato davanti io alla media dei 6:07 / km. Visto anche Olivier Samain (230), in netta ripresa dopo il brutto incidente sul Cusna dell’inverno scorso, e che dopo la Lavaredo Ultra Trail continua la preparazione in vista del Monte Bianco di fine agosto.

Nessuno di noi aveva il pettorale, ma stavolta non per negligenza o truffa: l’organizzazione ne rilasciava uno di carta delle dimensioni di un francobollo, facilissimo da perdersi e comunque invisibile anche se l’avessimo spillato; col risultato che parecchi hanno preferito andare a ‘riscuotere’ subito la sportina alimentare del pacco gara (foto 79-80) e togliersi il pensiero.

Il giro più lungo era dichiarato di 10 km che alla fine sono stati quasi  11, due o tre dei quali su stradine sterrate o campestri (le uniche dove abbiamo trovato una parvenza di ombra). La temperatura superava di poco i 30 gradi, e alcune signore, partite con divisa regolamentare, a un certo punto si sono alleggerite dando un certo spettacolo che non è sfuggito a Nerino (foto 168 e 198); molto meno spettacolari i topless maschili, a parte quello del mio omonimo Fabio Marri da Campogalliano (foto 240).

È stata l’occasione anche per portare a spasso il cane, come fanno Tatiana Ilias-Spaak e amica (foto 339); talvolta abbinando cane e pargolo in carrozzina (155), oppure anche prendendo in braccio il cane che non voleva più saperne (179). Ritroviamo con piacere alcune vecchie glorie, come Marino Pellacani (foto 139), il campione di Tromso Guido Menozzi, o Pietro Boniburini, che però si limita a gestire il suo stand di scarparo (foto 72-73), riconoscendo perfino ai miei piedi due Mizuno che mi vendette lui e che hanno fatto almeno una decina di maratone senza reclamare il pensionamento. Prendono il via persino i fratelli Iotti, oggi esentati dal giudicare i vivi e i morti, e Claudio Lavaggi (foto 58).

Un ristoro lungo il percorso (con tè caldo!) e uno alla fine, dove sono andati a ruba gli spicchi di cocomera, anzi lingòrria, la prima davvero buona di questa estate. Buona prospettiva per le tre sere di Correggio, che si correranno in questa zona a partire da mercoledì prossimo. E siccome certi organizzatori annunciano fin dai volantini la presenza di speaker prestigiosi, evidentemente capaci di attirare le iscrizioni (?), qui possiamo dire: a Correggio lo speaker sarà Morselli, cosa volete di più?

30 giugno - Un anno dopo Massimo Muratori (che ne scrisse su Podisti.net il 25 giugno 2018) ho pensato anch’io di andare a correre - ovvero a strascinarmi dopo due settimane in ciascuna delle quali avevo corso una maratona, e un mese dopo il Passatore - in una zona che non conoscevo per niente, malgrado l’ora e 45 di viaggio e la conseguente levataccia: ma saggiamente l’orario di partenza per la prima delle gare, il Trail Running nominalmente di 21 km e 1240 metri di dislivello, era prevista per le 9,30, e il termine ultimo per le iscrizioni sul campo, ufficialmente le 8,30, era ampiamente superato.
Prevista la penalità per chi non si era iscritto entro giovedì: gli euro passavano da 18 a 25 per la gara lunga, da 14 a 20 per lo “Short” di 12 km. Tariffe, come già rilevava Muratori, a un prezzo “tutt’altro che popolare, ben oltre il canonico €/ km ormai di prassi anche in gare ben più lunghe e impegnative dal punto di vista organizzativo)”: “di popolare il prezzo aveva ben poco ma era scritto chiaramente, e se decidi di venire sono fatti tuoi”.
Schia, a quanto appare e mi hanno riferito, è una località ‘inventata’ negli anni Cinquanta-Sessanta a beneficio del turismo sciatorio (chissà se il nome esisteva già prima o è stato creato a partire dalla designata vocazione turistica): una specie di Piane di Mocogno o di Marilleva, che era meta della Parma-bene ma oggi risente di una certa crisi (la società che gestiva gli impianti è fallita un paio d’anni fa, anche quest’inverno è andato così così): se non altro, ai suoi 1250 metri la temperatura in partenza della gara si aggirava sui 24 gradi, all’arrivo mio sui 27, insomma una decina di meno della pianura; dunque ci accontentiamo, sebbene l’unica zona viva del comprensorio sembri oggi il camping vicino al laghetto, in buona parte per merito di noi podisti, peraltro a ciò costretti dalla mancanza di alternative.
Ben vengano dunque queste iniziative che danno un senso anche all’estate, oltre che inserirsi in un calendario del trail parmense che risulta forse il più ricco, insieme a quello dell’appennino romagnolo, dell’intera regione. Le montagne parmensi sono più dolci di quelle del centro-Emilia: qui, il “canalone de la muerte”, così battezzato dagli organizzatori, cioè in pratica l’ultima salita sull’altura da cui poi si scenderà sul prato della pista da sci, più che difficile suona sadico per gente arrivata a 500 metri dal traguardo, che podisticamente diventano quasi 2 km in su e in giù; ma alternando il passo a poche decine di metri con entrambi i piedi sollevati da terra, sono affrontabili. Per il resto, la salita più impegnativa è quella alla cima del Monte Caio, di circa 1580 m, dove giungiamo dopo 8 km, ancora appaiati noi del percorso lungo e quelli dello short che scenderanno di lì a poco verso Schia: meno di 2 km il sentiero da fare, il resto sono carraie e prati, in gran parte gradevolmente all’ombra dei boschi.
Dopo il Caio, a noi ‘lunghisti’ vidimati dalla bella rilevatrice appostata sul cippo (che si presta anche a fare e ricevere foto) tocca un bel tratto di crinale, fino alla vetta della Croce che si raggiunge dopo un breve tratto di scivolosa ghiaietta, quasi verticale (qui un cordino da alpinista sarebbe utile: lo mettono persino per salire due metri sull’argine del Po!). Ecco altri rilevatori gentili e disposti a farti foto; bel panorama sul cui orizzonte troneggia la Pietra di Bismantova, e più avanti addirittura il Cimone. Sì, valeva la pena di arrivarci, fino a questo km 13. Segue una simpatica discesa nel bosco, un tratto di asfalto ai km 15-16 con passaggio dal paesino di Capriglio (qui, la scassatissima auto di un villico, che perde i pezzi, rischia di investirmi mentre punto sulla fontanella indicatami dagli addetti); poi, un altro paio di km in salita (su carraie sassose, non piacevolissime), fino alla discesa sul camping dove ci aspetta però la “muerte” sopra annunciata del tratto finale.
Può darsi che il mio Gps perda dei colpi, ma alla fine mi dà 20 km esatti (in concordanza con altre misurazioni semi-ufficiali) e solo 830 metri di dislivello in su e in giù, che sarebbero davvero pochi rispetto all’annunciato.
Percorso ben segnalato, con bandelle quasi sempre in vista l’una dell’altra, e segnalatori umani nei punti forse più delicati; la direzione giusta nei campi era indicata dallo sfalcio dell’erba; due ristori ufficiali molto ben forniti, più altri due con sola acqua, più un paio di fontane ‘stabili’ ci hanno protetto da crisi di fame e sete. Il pacco gara conteneva una maglietta, una busta di prosciutto e uno spicchio di parmigiano. Ma tutto il resto era a pagamento: il pasta party (cioè un primo, abbondante, e una bibita, da consumarsi nell’unico ristorante convenzionato, cioè quello del camping) costava come annunciato 10 euro; e persino le docce, disponibili nei sotterranei dello stesso ristorante del camping, funzionavano soltanto (e questo proprio non era detto) con l’immissione di uno o due euro, per avere un getto d’acqua che non durava moltissimo, e soprattutto era inesorabilmente freddo. Per fortuna, dato il clima, nessuno era infangato.

La classifica completa è qui allegata (oltre alle due competitive si è svolta anche una non competitiva da 6,5 km).
Per le prime tre posizioni:

Trail 21 km (classificati 96 uomini e 25 donne)

1 96 GAZZOTTI MASSIMO  1974 ASS-M 21 ATL CASTELNOVO MONTI 01:49:32

2 103 BOLDRINI DAVIDE   1989 ASS-M 21 GNARRO JET MATTEI 01:53:31

3 88 ROVERI GIORGIO 1980 ASS-M 21 JOY RUNNER 01:54:01

 

1 81 ADORNI ELISA 1981 ASS-F 21 SPIRITO TARSOGNO ASD 02:06:29

2 95 MAGNESA GIULIA 1972 ASS-F 21 CASONE NOCETO 02:27:01

3 70 MUSIARI RAFFAELLA 1970 ASS-F 21 + KUOTA 02:32:09

 

Trail 12 km (63 uomini e 29 donne)

1 212 PAU DAVIDE 1977 ASS-M 12 SINERGY 01:00:59

2 291 MARRANGONE EMANUEL 1972 ASS-M 12 MINERVA 01:01:47

3 273 BURATTI GIOVANNI PAOLO 1978 ASS-M 12 MODENA RUNNER 01:03:27

 

1 210 BERTOLINI FRANCESCA 1975 ASS-F 12 MINERVA 01:13:50

2 278 GHIRETTI GIULIA Donne 1982 ASS-F 12 CUS PARMA 01:17:18

3 292 POLETTI CHIARA Donne 1983 ASS-F 12 ECOMARATONA VENTASSO 01:26:48

 

Anche dietro sollecitazione nostra e dei nostri lettori, il Comitato Organizzatore della LGM ha diramato questo comunicato,  in cui annunciando la prossima edizione cerca di fare il punto sulle inadempienze tuttora ‘aperte’.

La 13esima edizione della Lake Garda Marathon, che Malcesine (VR) ospiterà il prossimo 20 ottobre, è figlia diretta delle vicissitudini dello scorso anno, che portarono prima allo spostamento della manifestazione dal 21 al 28 ottobre per la concomitanza con la giornata elettorale, poi alla cancellazione della gara a 10 minuti dalla partenza in quanto, per il maltempo, non c’erano sufficienti condizioni per garantire la sicurezza dei concorrenti, con alcune strade del percorso che erano state chiuse per l’esondazione del fiume Sarca. Gli eventi di quella triste giornata sono ancora fortemente presenti nell’animo degli organizzatori, tanto che l’allestimento della prova del prossimo 20 ottobre è dettato proprio dalla volontà di consentire il recupero della partecipazione a coloro che avevano versato la quota senza poi poter gareggiare. Gli organizzatori contavano su aiuti pubblici promessi all’atto dello spostamento e della cancellazione che finora non sono ancora arrivati: un centinaio degli oltre 400 iscritti hanno avuto indietro la tassa d’iscrizione (anche se nel regolamento era evidenziato che le quote non erano rimborsabili), altri hanno chiesto di dirottare la quota per il 2019 (e questa opzione è ancora attivabile, basta segnalare all’atto dell’iscrizione di averla già versata per il 2018), per il resto si attendono gli aiuti pubblici promessi per saldare ogni debito. L’allestimento dell’evento del 20 ottobre servirà anche a questo, ma non solo, servirà anche a girare pagina e chiudere un capitolo davvero triste e non voluto.

La maratona, dedicata alla memoria di Michela Ramponi, tragicamente scomparsa proprio il 28 ottobre scorso per la colata di fango avvenuta a Dimaro in Val di Sole, sarà abbinata alle prove su 28 e 15 km, per offrire agli appassionati una vasta gamma di scelte. Il percorso quest’anno cambia notevolmente, coinvolgendo le parti veneta e trentina del perimetro lacustre. La partenza sarà data a Malcesine, precisamente da Piazza Statuto alle ore 9:30, per poi dirigersi verso Torbole sul Garda (arrivo della 15 km e giro di boa per la 28 km) ed Arco prima di fare ritorno a Malcesine, con arrivo a Lido Paina.

La partecipazione alla maratona ha un costo di 45 euro fino al 5 luglio, poi sono previsti aumenti. Nel pacco gara i concorrenti troveranno anche un braccialetto che dà diritto all’utilizzo gratuito dei battelli e degli shuttle bus; all’arrivo a Malcesine presso Lido Paina saranno disponibili docce calde e massaggi.

La mattina di domenica 20 ottobre alle ore 07,00 da Torbole sul Garda partirà un traghetto per coloro che correndo i 15 km partiranno da Malcesine per arrivare a Torbole sul Garda, dove potranno lasciare dunque le loro auto. Per i concorrenti della Lake Garda Long Run e Lake Garda Marathon invece non c’è problema in quanto partiranno da e torneranno a Malcesine dove presto verranno comunicati i parcheggi a disposizione degli atleti.

Per informazioni: Garda Supersport, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., www.lakegardamarathon.com

Riportiamo fedelmente, tuttavia annotando che la formula “anche se nel regolamento era evidenziato che le quote non erano rimborsabili” confonde due cose diverse: è prassi generale quella di non rimborsare le quote se la gara è sospesa durante lo svolgimento, o annullata nell’imminenza per cause di forza maggiore (dunque, purtroppo, chi si è trovato l’anno scorso a correre una non-maratona in quanto accorciata per maltempo, non ha legalmente diritto a rimborso). Ben altro è il caso dello spostamento di una settimana, certamente determinato dall’imprevisto turno elettorale (cioè non dagli organizzatori, sebbene in altri casi sia capitato che le maratone si siano svolte ugualmente: personalmente ricordo Bologna aprile 1996), ma che doveva e deve portare al rimborso per quanti si erano iscritti all’evento del 21 e magari per il 28 avevano altri impegni. Leggiamo l’esperienza di Simona Bacchi e Alessandro Mascia, che al Garda ci sono stati:

“Da bravi collezionisti di maratone,  ci siamo iscritti alla Lake Garda Marathon e alla maratona di Venezia che erano calendariate in due domeniche di ottobre successive l'una all'altra. A poche settimane dalla partenza della maratona Limone /Malcesine, giunge la notizia dello spostamento per cause elettorali nella stessa domenica in cui era già fissata la Venice Marathon. Non avendo il dono dell'ubiquità dovevamo obbligatoriamente fare una scelta; considerando che non avevamo mai fatto quella del Garda, abbiamo deciso di posticipare Venezia al 2019 per essere in quella data alla partenza a Limone. Però quest'evento non era nato sotto una buona stella, perché nella settimana antecedente il maltempo ha iniziato a creare molti problemi. 
La sera prima, tramite social, l’organizzazione  aveva comunicato l'allerta maltempo e dato la possibilità a chi veniva da lontano di rimandarla all'anno successivo. Ormai iscritti (e nell’impossibilità ormai di ripiegare su Venezia) abbiamo deciso di andare ugualmente, consapevoli e preparati che ci potesse essere il rischio di un annullamento. Le nostre paure sono diventate realtà quando lo speaker ha comunicato ufficialmente la riduzione del percorso da 42 a 29 km per l'esondazione del fiume Sarca tra Arco e Riva del Garda.
Però a nostro avviso l'organizzazione qualche pecca l'ha avuta, a  partire dallo spostamento del punto di partenza del battello che da Malcesine avrebbe portato i podisti a Limone; per la comunicazione sempre e solo sui social, pochi minuti prima dell'orario di ritrovo. Le sacche con il cambio all'arrivo erano appoggiate su un campo da basket all'aperto; come unica protezione, un sacco per l'immondizia, dato insieme al pettorale. Come tutti ben sanno, quel giorno non smise mai di piovere (l'acqua alta alla maratona di Venezia è passata alla storia). 
Bisogna ammettere che pur  all’interno di una giornata climaticamente difficile, il percorso, totalmente chiuso al traffico, lascia senza fiato: mai noioso, sempre in riva al lago, splendida la ciclabile a sbalzo". 

Ma c'è chi non poteva andarci e si era avvalso della proposta di rimborso, senza vedersi finora soddisfatta, nemmeno a parole. L’organizzazione ammette di essere indietro con tale adempimento; la nostra lettrice Anna Maria Rizzi commenta:

“Non mi è mai successa una cosa del genere in 12 anni che corro. Ci tenevo tanto a fare questa gara, anche per i meravigliosi panorami, ma ora non la farò mai più. Non posso tollerare di avere scritto mail su mail senza avere mai ricevuto una risposta... ignorata sempre!”.

La speranza di pubbliche sovvenzioni retroattive è piuttosto aleatoria, dunque non resta che auspicare un afflusso di quote di iscrizioni 2019 per sanare i debiti del 2018: una sorta di mini-bot, che però apriranno voragini per l’anno in corso. E la data scelta, seppure già praticata nel passato, non sembra aprire buone prospettive: in quel 20 ottobre ci saranno altre tre maratone (Chianti, Parma, Pescara), più quella di Amsterdam che attira molti italiani; invece, nella domenica precedente (13 ottobre), non è annunciata nessuna maratona sul suolo italiano, orfano ormai irrimediabilmente della maratona di Carpi con cui la Lake Garda, in anni antichi, si poneva in concorrenza (mentre adesso l’unica cosa rimasta in comune sono i rimborsi non erogati). Pure il 6 ottobre, gli eventi annunciati non pare attireranno le folle. Ma ormai le scelte sono fatte.

Mercoledì, 26 Giugno 2019 22:25

Ganaceto (MO) – 19^ Spumpeda

25 giugno – Premetto che il numero 19 nasce da un mio calcolo personale, ma non è precisato dal volantino, e qualcuno ha memoria di una corsa podistica che si faceva in loco trenta e più anni fa, dove i chilometri erano segnati da spiritose vignette dialettali create da una signora appassionata.

La data sembra essersi stabilizzata ormai verso la fine di giugno, quando si va esaurendo il diluvio di non competitive pomeridiane che hanno caratterizzato le prime tre settimane del mese (infatti , weekend escluso, tra Modena e Reggio si correrà una sola altra volta, venerdì prossimo a Cibeno in una gara appena nata, mentre una “camminata popolare” indetta dal Partitone è stata annullata).

Eppure c’è ancora fame di podismo, tant’è vero che la strada Modena-Carpi (che a metà attraversa Ganaceto, come ricorderanno i reduci dalla infelice maratona d’Italia) in prossimità della partenza della corsa diventa un budello dove si gira a passo d’uomo (anche per uno di quegli stupidi semafori di cui si ammantano i paeselli per darsi importanza):  tanti sono i podisti che arrivano e che poi, in buon numero, si fermano nello stand gastronomico.

Da due anni, al tradizionale percorso semicampestre da 7 km (ora divenuto “percorso medio”) se ne è aggiunto uno in direzione opposta, verso nord-ovest, di 10,5 km,  che dopo 4 km arriva alla località dal divertente nome di Saliceto Buzzalino (dove nelle estati ormai antiche si correva una podistica, a iscrizione gratuita e premiata con un sacchetto di mele), sfiora Campogalliano poi sottopassa l’Alta velocità (che per l’occasione devia dalla linea retta Bologna-Modena-Reggio per salvare la sede del festival dell’Unità).

Qui noi podisti, già alquanto spumpèe dopo ben 6,4 km corsi con una temperatura di 34 gradi e il sole ancora sopra l’orizzonte, troviamo finalmente l’unico ristoro, tè fresco e acqua tiepida. Seguono 400 metri erbosi, un po’ d’asfalto lungo il quale si incontra quella che sembra una stalla e invece è un rimessaggio di motoscafi, poi un km di stradaccia non asfaltata, cosparsa di buche malamente stompate da pietrisco e ceramiche, per tornare sull’asfalto a un km dalla bella chiesa romanica, sotto cui si chiude la gara.

Tradizionale il chilo di farina offerto come premio per tutti, e il ristoro finale con pezzi di angurie e meloni. Per chi vuole restare a cena senza appestare il vicinato, ci sono perfino le docce, evento rarissimo in questo tipo di gare. Mi accontento di tornare a casa con 15 pezzi di gnocco fritto da consumare, ancora caldi, a cena. Sull’argine del Secchia sono ancora schierati i sacchetti di sabbia messi qui un mese o un’era geologica fa, nella previsione di alluvioni.

Come detto, modenesi e confinanti si ritroveranno a Cibeno, periferia di Carpi e luogo di partenza delle primissime maratone d’Italia, venerdì prossimo: proprio il giorno in cui la diocesi di Carpi sarà commissariata dopo le dimissioni del vescovo, sgradito a papa Francesco e coinvolto in intercettazioni di Vatileaks ampiamente diffuse dall’ “Espresso”, con ripercussioni anche sull’amministrazione comunale che ha appena riconquistato, col fiatone dopo ballottaggio, il potere detenuto da 70 anni e oggi mai così fragile. Il Carpi calcio è appena retrocesso e si sta disfacendo come società; maratona di Carpi non pervenuta (al pari dei rimborsi per gli iscritti), come il giro a tappe di Barbolini e l’altro giro a tappe notturno delle frazioni. Per trovare qualcosa di buono bisogna andare a Correggio, non solo per la Rosa Alfieri e per le “tre sere” di metà luglio, ma anche per Milena Bertolini cui tra poco qualcuno offrirà una panchina nel calcio professionistico maschile.

La Casta (casta, eppure capace di molti incesti) asserisce: Roma locuta, causa finita.

Roma padrona, tuttavia c’è un giudice anche a Berlino… E prima ancora, c’è lo sdegno della gente comune.

Cominciamo dai fatti. Ecco la sentenza, firmata dal dottor Antonio Matella, vicepresidente del Tribunale Nazionale Antidoping – prima sezione, e controfirmata da tre avvocati Melandri Sieni Tomaselli; qui da noi corredata dagli articoli del codice cui fa riferimento (ha collaborato alla raccolta dati Roberto Annoscia):

La Prima Sezione del Tribunale Nazionale Antidoping, nel procedimento disciplinare a carico del sig. Alessio Guidi (tesserato FIDAL/FITRI), visti gli artt. 2.9, 4.3.4 delle NSA, afferma la responsabilità dello stesso in ordine all’addebito ascrittogli e gli infligge la squalifica di 2 anni, a decorrere dal 24 giugno 2019 e con scadenza al 23 giugno 2021. Condanna il sig. Guidi al pagamento delle spese del procedimento quantificate forfettariamente in euro 378,00.

Ecco gli articoli serviti ai legulei di oggi: annoverabili nella categoria che pochi giorni fa abbiamo definito “le vestali dell’antidoping” (pensando ai “professionisti dell’antimafia” di cui parlava Sciascia).

2.9 Complicità. Fornire assistenza, incoraggiamento e aiuto, istigare, dissimulare o assicurare ogni altro tipo di complicità intenzionale in riferimento a una qualsiasi violazione o tentata violazione delle NSA o violazione dell’articolo 4.12.1 da parte di altra persona.

4.3.4 Per le violazioni dell’articolo 2.9 (Assistenza) il periodo di squalifica deve essere pari almeno a 2 (due) anni, fino ad un massimo di 4 (quattro) anni, a seconda della gravità della violazione.

4.12.1 Divieto di partecipare alle attività sportive durante il periodo di squalifica. Nessun Atleta o altra Persona squalificata può partecipare a qualsiasi titolo, per tutto il periodo di squalifica, ad una competizione o ad un'attività (con l’eccezione dei programmi di formazione antidoping e riabilitazione autorizzati da NADO Italia) che sia autorizzata o organizzata da un Firmatario del Codice WADA, da un'organizzazione ad esso affiliata, da una società o altra organizzazione affiliata ad un’organizzazione affiliata a un Firmatario, oppure a competizioni autorizzate o organizzate da una lega professionistica o da una qualsiasi organizzazione di eventi sportivi a livello nazionale o internazionale, o qualsiasi attività sportiva agonistica di alto livello o di livello nazionale finanziata da un ente governativo. Un Atleta o altra Persona che sconti un periodo di squalifica più lungo di quattro anni può partecipare da Atleta, alla fine del quarto anno di squalifica, ad eventi sportivi locali che non si svolgano sotto l’egida o comunque la giurisdizione di un Firmatario o un membro di un Firmatario, ma solo se l'evento sportivo locale è ad un livello che non può consentire di qualificarsi direttamente o indirettamente (né di accumulare punti) per competere nel campionato nazionale o in un evento internazionale.

Cosa ha fatto Alessio Guidi, presidente della società bolognese “Passo Capponi” da lui stesso fondata, e artefice di innumerevoli altre iniziative che hanno smosso il fatiscente podismo amatoriale emiliano (portandolo, fra l'altro, a dare soccorsi materiali ai terremotati, poi agli alluvionati della Bassa modenese)? Si è drogato? No. Anzi!

Il 1° novembre, data assegnata dalla Fidal per la nuova auspicata maratona di Bologna, dato che la maratona vera non si faceva ha organizzato lui una maratona libera, senza iscrizioni, senza vigili, senza transenne, senza pettorali, con un percorso definito solo approssimativamente (chi scrive aveva meditato di andarci, poi rinunciò per ragioni familiari, ma ugualmente seguì l’iniziativa).

Ebbene, tra i 40/ 50 partecipanti di quella mattina piovosa, oltre a Vito Melito plurivincitore del “Passatore”, e alla coppia Alessandro Mascia – Simona Bacchi che ben conosciamo,  apparve Roberto Barbi, maratoneta plurisqualificato per doping.

Ne abbiamo parlato, in un articolo del  4 novembre scorso, letto oltre  1800 volte e che forse vale la pena di rileggere anche adesso

https://www.podisti.net/index.php/commenti/item/2768-maratona-di-bologna-per-ora-autogestita.html

Era una corsa in famiglia, o meglio ancora, un libero raduno: chi cc’è cc’è, e chi nun c’è se vva a ffà ddà in tel Ku (così si scriveva a Bologna sui muri dell’università ai tempi della festa della matricola), non una gara federale succhiasoldi tra omologazione e runcard e certificati e balle varie, compresa la circolare Gabrielli.

Guidi, si sia accorto o no della presenza indebita, non ha segato le gambe a nessuno: ebbene, tutto ciò è stato visto dai giudici (di Roma, non di Berlino) come complicità, incoraggiamento al doping, per aver fatto partecipare persone che non possono gareggiare in quanto sospese.
(Vuol dire che Barbi non può nemmeno fare due passi di corsa in libertà per conservare il peso-forma? Il negozio che gli vende le scarpe è passibile di complicità?)

La prova della complicità sarebbe la foto collettiva in cui Guidi appare anche con Barbi.   (Confesso che, quando vidi la foto, dovette esserci qualcuno a dirmi che c’era anche Barbi perché io non l’avevo riconosciuto).

Ecco la dichiarazione di Alessio Guidi espressa su Facebook pochi minuti dopo la sentenza:

Ciao a tutti, ci rivediamo il 23/06/21. Sinceramente ho poco da aggiungere, adesso devo solo capire cosa posso e cosa non posso fare sia da atleta che da Presidente di società.

PS per chi non conosce i fatti dico solo che non mi sono dopato, ma sono stato accusato di aver organizzato una manifestazione sportiva invitando a partecipare un atleta squalificato per doping.

PS2 io sono molto tranquillo e sereno perchè sono completamente estraneo alle accuse che mi sono state fatte e già da domani inizierò una lunga battaglia per far saltare fuori la verità.

Buone corse a tutti.

Dicevamo: c’è un giudice a Berlino (frase usata da un mugnaio del tardo Settecento, ingiustamente danneggiato da giudici corrotti, ma che alla fine ebbe ragione ricorrendo al sovrano Federico il Grande). Ci sono stati giudici che hanno ribaltato la sentenza di condanna di Enzo Tortora e altri che hanno assolto personaggi celebri messi in galera da PM affetti da protagonismo (anche se purtroppo quei giudici e quei PM hanno continuato indisturbati la loro carriera).

E’ ovvio che Alessio Guidi avrà ragione, in seconda istanza. Ma (se lo è chiesto lo scrivente, pochissimi giorni fa, danneggiato da una ‘sentenza’ emessa da un organismo non qualificato, eppure dotato di potere), vale la pena di fare ricorso? Forse basterebbe farsi una risata e brindare alla memoria del prof. Conconi e del dottor Ferrari, assurti ai più alti onori nella Fidal come ‘preparatori’ degli atleti da medaglie; e di quei papaveri federali che alzarono la pedana del pesista Andrei per fargli fare il record (hanno mai trovato un giudice che li ha condannati?).

Qualcuno proporrà sicuramente un hashtag Siamo tutti Alessio Guidi. Cominciamo da qui, invitando all’attenzione i solerti giudici: a chi firma il presente articolo, qualche anno fa, giunse da Alessio Guidi l'informazione amichevole che un suo atleta, impossibilitato per malattia a partecipare a una grossa maratona italiana, lasciava 'libero' il suo pettorale. Il sottoscritto ne approfittò e corse la maratona, finendo in classifica col nome dell’altro (perché non si poteva più cambiare). E magari, siccome ero raffreddato,  mi ero fatto pure qualche inalazione di Vicks: doping! Meritiamo un’altra bella squalifica.
Pazienza: se non potrò correre maratone in Italia, con Alessio (che sulla mezza ha 1.19, sulla maratona ha 2.48 ma anche 6.34 per aiutare amici in difficoltà) andrò in Svizzera o in America, dove sono organizzate senza i cavilli che a noi italiani tocca di subire.

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