Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
Terre del lambrusco: un weekend post-antico
In questo fine settimana, nel quale gli oracoli più consultati sono stati i bollettini meteo e i comunicati di annullamenti gare, i modenesi e limitrofi (con qualche bolognese e una discreta pattuglia reggiana) sono insperatamente riusciti a correre le gare previste dal calendario annuale sia al sabato sia la domenica.
Si è cominciato sabato 10 a Cortile, frazione orientale di Carpi al confine con Novi e Cavezzo, terra di Lambrusco Salamino (oltre che di bianchi decisamente mediocri): sarà forse per l’aria quasi extradoganale, ma è stata sfatata la triste abitudine carpigiana di sopprimere le corse al penultimo minuto (cominciando dalla maratona e finendo coi trail intitolati a Olmo albero nonché atleta). Fallite anche le previsioni del tempo che davano pioggia al 65%, e insomma alle 15,30 si sono ritrovate, sotto il sole o quasi, a occhio 3-400 persone per il 25° Giro di Cortile, una non competitiva che nel percorso più lungo dichiarava km 7,800, rivelatisi poi 8,500: quasi tre dei quali, i più pittoreschi, sull’argine sterrato del Secchia (a sua volta discretamente gonfio, sopra il livello delle campagne circostanti). Tracciato in parte nuovo, rispetto a quelli assai più monotoni che si svolgono in estate, e che veniva a toccare quello dell’ultima tappa del trail notturno di qualche mese fa con partenza dalla vicina frazione di S. Martino Secchia.
Anche se la gara era non competitiva, come al solito qualcuno, ovvero il sempiterno Valentini del Cittanova, si è premurato di prendere giù i primi arrivati, che la locale Gazzetta colorerà coi suoi titoli ad effetto, sul tipo “A Cortile incanta Gianluca Mazzi”: infatti il portacolori de La Patria (veramente sul quadernino sta scritto “Massi”) ha prevalso su Luca Raimondi e Matteo Guidetti. Tra le donne, pronostichiamo un titolo quale “Delirio del pubblico e mimosa d’oro per Silvia Torricelli” (altra valente carpigiana), mentre non sono sicuro, nemmeno con l’aiuto di Italo Spina, di decifrare bene il brogliaccio per il nome della seconda arrivata, che sembra Laura Lipintola o qualcosa del genere; terza Morena Cerchiari. Ordine d’arrivo, ovviamente, garantito dall’onestà dei partenti anticipati, che al traguardo si chiamano fuori.
Solito euro e mezzo di iscrizione, che oltre al ristoro intermedio e finale ha garantito mezzo chilo di pasta per tutti. Un po’ di nostalgia per chi ricorda come a Cortile, nello stesso parchetto oggi sede del ritrovo, anni fa in questa occasione stava seduto Ivano Barbolini per vendere in anticipo, a 5 euro, i pettorali delle sue leggendarie Tre Sere. Non mancava invece nemmeno oggi Pietro Boniburini, ex campione e apprezzato scarparo, che pare abbia fatto notevoli affari (io pure ho corso oggi con delle Mizuno che mi vendette lui un anno fa).
Il tempo per una doccia e una dormita, e rieccoci alle 9 di domenica 11 a Solignano, comune di Castelvetro cioè terra del lambrusco Grasparossa e del Pignoletto: è la 37° edizione della Camminata, che nei primi anni si svolgeva in forma competitiva (ricordo un Rossano Galli che sorpassò in tromba, sull’ultima salita, noi che facevamo i 15 km, e ci fermammo ad applaudirlo e incoraggiarlo); ma ben presto è stata roncaratizzata a non competitiva, su un percorso giudicato il più bello della provincia di Modena (esclusa l’area montana), non a caso scelto da molti di noi come terreno di allenamento, singolo o collettivo: e il ricordo va purtroppo a un altro che non c’è più, quel Gianni Vaccari che tutti gli anni riusciva a radunare qui cento e più amici, la vigilia di Natale, per una sgambata su percorso identico a quello di sempre, dai 90 metri di Solignano Nuovo alla Bolognina (dove oggi si è spinta Teida la fotografa per i suoi scatti itineranti) e su per via Medusia ai 200 metri del castello di Levizzano, dopo 6 km con un breve tratto di sterrato, e ai 311 della Madonna di Puianello dopo 8,5, al culmine della salita dei Buricchi impegnativa e pittoresca.
Solignano 2018
Da lì il ritorno a Levizzano per un’altra strada, e la lenta discesa, con qualche strappetto, verso la chiesa di Solignano Vecchio (altro luogo panoramico, anche per la presenza di storici tini Maselli, ora collocati in un parchetto come tane per giochi di bambini); indi una serpentina un po’ ripida, e un’ultima salitina dove si è di nuovo appostata Teida a scattare, porta al traguardo (che comunque non è marcato in nessun modo) dopo 18,600 km (per un totale di 325 metri di dislivello). Erano disponibili anche percorsi di 15 km (il più gettonato, direi) e su distanze minori.
Iscrizioni alla quota di 1 euro, roba da “reddito di cittadinanza”, che dà diritto a quattro ristori lungo il percorso maggiore, più ovviamente il ristoro finale, dove riceviamo anche una confezione di piade; purtroppo non c’è più il ristoro “di-vino” presso uno dei tanti agriturismi della zona, intorno al km 14. Pensare quando, nei tempi del podismo antico, la bottiglia di vino era il premio più tipico…
Piove (blandamente) alla partenza e per la prima ora di gara: le previsioni meteo davano pioggia al 90%, forse per questo non si vedono le folle oceaniche di altri tempi, sebbene l’elenco delle società in classifica (dominato dalla solita Cittanova, che ha comprato ben 180 pettorali!) dia un conteggio di almeno mille iscritti tesserati per qualche gruppo.
È possibile che i più competitivi siano andati alla vicina Pieve di Cento, per una 21 tra i gioielli del podismo regionale; altri patiti di “fango e neve” sono andati a trail nel parmigiano o nel ravennate (in effetti, un anno fa anch’io ero a Langhirano con Massimo Muratori per il trail a coppie, ma oggi ci troviamo entrambi qui per una giornata di quasi-scarico); di qualche altro, già podista di rango, si sa che “è andato a mangiare il pesce”. Ah – dico -, bella idea, quella di fare una corsa in riviera e poi restare là a pranzo! – Macché corsa in riviera, quelli sono andati a mangiare e basta! – è la risposta. Le fatiche e le glorie antiche finiscono sui tavoli dei ristoranti rivieraschi a mangiare pesce del Vietnam.
Certo non eravamo in mille alla partenza, stante l’abitudine (qui piuttosto consolidata) di partire prima con la giustificazione, normale in questa gara, che “non ti aspettano”, inteso che sbaraccano tutto. Cosicché dalle foto traspaiono alcuni ex campioni (soprattutto appartenenti alla società del citato Roncarati, o a gruppi che a lui si ispirano) bellamente per strada mezz’ora o più prima del via. Peggio per loro, che si sono beccati tutta l’acqua, mentre su noi regolari, dal passaggio per Puianello, non solo è smesso di piovere ma è persino spuntato un barlume di sole, con temperatura salita fino ai 10 gradi. Cosicché quel tal podista di Mirandola che ha corso in canottiera (direi l’unico, tra tanti impermeabili e berretti e guanti) non ha patito freddo.
E posso attestare che almeno fino alle due ore e mezzo di gara gli incroci erano presidiati e il ristoro finale in piena efficienza. Ma in questo weekend post-antico, i corridori antichi, gli ex atleti che un tempo si sfidavano sulle nostre dolci alture, per ogni anno che passa aumentano di numero e accentuano i loro vizietti post-sportivi: finché artrosi od osteoporosi od obesità o propensione alle mangiate di pesce vietnamita non li separino dal nostro mondo. Quanti torneranno a Solignano tra vent’anni?
Albinea: siamo goviani, il sottozero non ci ferma
Nella moria delle corse dell’Emilia centrale, solo ad Albinea non hanno paura di neve, ghiaccio, nebbia e temperatura che non ha nessuna intenzione di varcare lo zero. D’altra parte, qui non è terra di pensionati che una volta all’anno si propongono come organizzatori di gare: piuttosto, è la patria di William Govi, che tutti i giorni partendo con qualsiasi tempo alle 17,30 si allenava su questi colli: colli sui quali ha passato gli ultimi tristi anni di vita, per ridiscendere alfine nella terra consacrata del suo paese, che lo ospita ormai per sempre.
Detto dunque che nessun podista d’Italia può andare ad Albinea senza pensare a William (sarebbe come andare ad Arquà senza pensare a Petrarca, o a Bolgheri senza pensare a Carducci), eccoci dunque per la 33^ edizione del Mimosa Cross, che dopo otto giorni di nevicate ha ridotto solo di poco il chilometraggio (dai 22,9 ai 19,5), rinunciando al tratto di bosco e sentieri e alla quota 470 del massimo livello, ma offrendo ugualmente agli atleti un buon allenamento di salite e discese: il Gps segnala 250 metri verticali in totale, tra i 65 metri slm del km 5,5 e i 247 del 17,2, per tornare infine ai 155 della partenza-arrivo.
Al via anzi il sole fora la coltre di nebbia: è il saluto di Govi, che si farà più fioco quando da Borzano ci inerpicheremo sulla salita della Madonna di Montericco, godendo tuttavia di squarci panoramici che le foto di Teida Seghedoni ripropongono anche per gli assenti: si vedano, dalla sezione “Pregara e primi passaggi” immagini come la 101, 150, 272, 283 e tante altre; e dalla sezione relativa alla discesa da Montericco, la 298, 307 ecc.
Due euro di iscrizione per la gara non competitiva (in teoria ristretta ai 5 e 12 km, e premiata con una bottiglia di lambrusco locale); dagli 8 ai 10 per la competitiva, ovviamente con pacco gara più ricco, oltre che premiazioni per i primi 20 uomini e 10 donne (su 178 arrivati in totale).
Solignano 2018
Dalle foto (anche di Morselli, Carri e Petti, che però non hanno fatto il giro alto potete farvi un’idea della gara e del clima: da quella piazza Cavicchioni con un pilastro/campanilino in mezzo, ma l’orologio a lato su un piccolo piedistallo (sembra uno di quegli orologi dei paesi terremotati), piazza che pian piano si popola mentre il sole tenta di affermarsi; agli abbigliamenti scelti dai podisti: pochi ardimentosi con pantaloni a mezza gamba, poche a capo scoperto (ma la coda bionda di Francesca e la fluente chioma di Alessandra sono ben protette da ampie bandane), molti con giacca a vento che nasconde (speròmm) il regolamentare pettorale; la maggioranza con berretto di lana, tutti rigorosamente coi guanti, qualcuno coi bastoncini. Al via anche vari cani (foto Morselli da 141 a 147), ma qui all’arrivo c’erano giudici come Mainini e Iotti, non il famigerato De Lillo pugliese.
Forse per le modifiche dell’ultimo istante, il percorso ‘nuovo’ non era sempre segnato e frecciato come doveva; per fortuna, quasi ad ogni incrocio c’erano addetti che ti guidavano. Saporito il tè dei due ristori, mentre all’arrivo per noi tardigradi era già finito.
Il ghiaccio, paventato all’inizio soprattutto nella discesa finale, non ci ha dato problemi. Insomma, basta aver coraggio e le corse si riescono a fare, come recitano i volantini, “con qualsiasi condizione climatica”.
IL VIDEO DI NERINO CARRI
IL VIDEO DI STEFANO MORSELLI
La scomparsa di Dave Martin, statistico dell’AIMS
Il 28 febbraio ad Atlanta, in Georgia, è scomparso a 78 anni David Martin, dopo una militanza di venticinque anni nell’AIMS (l’associazione mondiale degli organizzatori di maratone e corse su strada).
Nato nel Wisconsin, USA, era professore emerito dell’università dello Stato di Georgia. La sua attività professionale di ricercatore, statistico e legale, e quella sul campo come allenatore, gli permisero di lasciare una traccia profonda nello sport. Ad esempio, fu tra i primi a voler ammettere le donne alle maratone, e fu grazie a lui che nei giochi olimpici del 1984 venne introdotta la maratona femminile.
Oltre al suo lavoro presso l’ AIMS, Martin ricoprì cariche importanti nell’associazione statunitense Track & Field (per lo sviluppo della maratona e la tenuta degli albi d’oro), nell’associazione della stampa sportiva e nella Società internazionale degli storici delle Olimpiadi. Le sue competenze in campo medico gli permisero di far parte della American Physiological Society e della società internazionale dei medici di maratona (IMMDA).
Fece parte del comitato che preparò gli atleti americani per le Olimpiadi di Atene del 2004: si devono anche a lui le medaglie d’argento di Meb Keflezighi e di bronzo di Deena Kastor in quelle maratone.
Autore di libri di successo come The Marathon Footrace (1979), The High Jump Book (1987), Training Distance Runners (1991), Better Training for Distance Runners (1997), The Olympic Marathon (2000), e centinaia di saggi nel campo dell’atletica e della medicina dello sport. I suoi libri e cimeli sono stati recentemente donati al Museo dell’AIMS a Berlino.
Il presidente AIMS Paco Borao ricorda la “grande finezza, intelligenza e passione di quest’uomo così umile, che trattava tutti con rispetto e cortesia”. (da un comunicato AIMS)
Salso-Busseto, tra Verdi e Guareschi
Fioccava che Dio la mandava, ma lo Smilzo, piuttosto di usare l’ombrello, simbolo della reazione borghese e clericale, si sarebbe fatto scannare… “Si serve la causa del popolo anche prendendo un raffreddore. Ogni azione rivoluzionaria comporta dei sacrifici”. Così pensò lo Smilzo e perciò, quando entrò in canonica, era fiero senza essere provocatorio: però aveva la testa piena di neve.
Così comincia un racconto del “Mondo piccolo” di Guareschi, scritto nell’inverno del 1949, e che si può benissimo applicare a noi podisti amatoriali che non ci fermiamo davanti alle avversità. Ah già, ma nel 1949 sì che nevicava… adesso, i meteo-astrologi ci hanno convinto che ci stiamo desertificando, che il buco dell’ozono è più grande di quello del Negus, che per avere acqua dovremo andare in Groenlandia ad attingere dagli iceberg che si scioglieranno… Infatti, la maratona verdiana, seppur collocata a pochi giorni dall’inizio della primavera climatica, grosso modo ogni cinque anni incappa in nevicate (mitica quella del 2004) o nubifragi memorabili.
Qualche volta incappa anche in elezioni, come nel 2013 quando fu fissato l’ “election day” che avrebbe dovuto dare una schiacciante vittoria al Peppone di Bettola. Nello spirito di don Camillo, approssimandosi quel capodanno provocai Pietrospino:
24 febbraio, data tragica! Causa elezioni non ti daranno le forze dell’ordine, non chiuderanno le strade… saranno tutti ai seggi! Non è questione dei podisti, che possono votare anche lunedi, ma degli agenti, vigili ecc. Ricordo la maratona di Bologna 21-4-96, giorno elettorale: si fece, ma con 400 partecipanti.
Senza indugio il destinatario mi rispose che lui tirava diritto:
Proprio stamattina ho scritto al Prefetto con la ferma intenzione di far la gara.
Ho modificato completamente il percorso. La, anzi le gare, partiranno da Fidenza Village e si sposteranno nelle campagne circostanti. Non ci saranno assolutamente grandi turbative alla circolazione. I podisti come ben sai sono concentrati sulle loro passioni e nulla li ferma, poi si può votare anche la sera e tutto il giorno dopo. Noi corriamo tra Toccalmatto e Casal Barbato , Priorato e Fontevivo, a chi diamo fastidio?. La macchina organizzativa è inarrestabile sono già partite le iscrizioni. Io voglio andare avanti, recedere vuol dire morire. Non fare il menagramo. Io non posso fare altrimenti.
E vennero le elezioni ma anche la maratona, con partecipazione quasi dimezzata anche causa la puntuale giornata da tregenda. All’incirca come quando don Camillo, spedito in una parrocchia di montagna, riuscì a portarci pure il crocefisso dell’altar maggiore. E chi li ferma quei due lì? (intendo don Camillo e lo Spino). Alla fine della giornata, stette peggio il finto benzinaio di Bettola.
Mentre la maratona, con nome leggermente cambiato ma riportata alla partenza storica di Salsomaggiore (località in piena decadenza, ma beneficata dagli appuntamenti podistici di Chittolini), tira dritto, e al nome di Verdi sta aggiungendo anche quello di Guareschi: se in un lato della medaglia odierna troneggia il Peppino di quelle parti, nell’altro troviamo don Camillo e Peppone in canottiera e pantaloncini; e rimane fisso il passaggio, al km 36, davanti alla casa-museo di Guareschi dove il figlio Albertino vigila. Salvo che lo si fa in senso inverso rispetto ai primi quindici anni, perché del tracciato ‘elettorale’ del 2013 è rimasta la variante tra Soragna, Roncole, Madonna dei Prati e Busseto, su una strada priva di traffico a differenza della precedente.
Anche in questo caso Guareschi aveva anticipato i tempi e, chissà, ispirato Chittolini: in un altro racconto, Peppone prometteva grandi mutamenti di viabilità: il popolo lavoratore, per andare a Solagna [cioè Soragna], che è a sud-est, deve mettersi in viaggio verso nord-ovest; poi, arrivato al Crocilone, girare a destra e procedere in direzione nord-est fino alla Strà Lunga… e dopo 14 km raggiungere finalmente Solagna… In altre parole, il popolo lavoratore è costretto a compiere un giro viziato che gli costa la bellezza di km 10 e mezzo.
Solignano 2018
Insomma, accanto alle musiche verdiane, diffuse da altoparlanti felicemente collocati ai lati delle strade (e per la velocità di diffusione del suono ti capita di sentire il do di petto “All’aaarmi!” sfasato di qualche secondo, da due altoparlanti piazzati a 3-500 metri l’uno dall’altro), si sovrappone la memoria guareschiana.
Nei primi 9 km corsi sotto la neve (vedere foto by Morselli, così imbacuccato che l’ho riconosciuto solo dalla voce) e con un vento freddissimo che veniva da nord-est (cioè contrario al nostro senso di marcia almeno fino al km 22, e dal 35 al 39), pensavo piuttosto al Guareschi internato nei lager polacchi e tedeschi tra il 1943 e 1945, chiedendomi se aveva più freddo lui o noi; e all’ingresso in Fidenza, marcato da un piccolo aumento della temperatura percepita, ho immaginato che adesso stessimo in una delle baracche, dopo l’appello all’addiaccio del primo mattino.
E Giovannino è tornato in mente durante l’attraversamento di villa e parco di Soragna al km 29, introdotto appunto nel 2013: il noce più grande del parco è quello che, secondo un altro toccante racconto, “Gerda”, fu scelto come torre di avvistamento dei tedeschi durante l’ultima guerra. “Una pianta secolare stupenda. Qualcosa di fenomenale”. Lo stavano per tagliare e vendere, quando ai suoi piedi ritorna il soldato Franz con la giovane sposa, appunto Gerda. Siamo nel 1952, e Franz, che il 10 aprile 1945, sceso dal gabbiotto in cima al noce, aveva inciso sul tronco il suo nome, ora ce lo riscrive, con la data nuova e aggiungendo il nome della sposa. E quell’albero scampa per sempre al suo destino di morte: e adesso il nostro passaggio di pacifici soldatini lo anima.
Poi, chi non si è fermato ai traguardi intermedi va alle Roncole, confortato da un infoltimento degli altoparlanti verdiani, che come nel “Va pensiero” ci ispirano “un concento che ne infonda al patire virtù”. All’ingresso delle Roncole ricomincia il vento contrario (ma non nevica più) fino appunto alla Madonna dei Prati: in Guareschi
una fabbrica massiccia e alta che si levava a lato di una strada deserta e solitaria, e tutt’attorno erano campi nudi e crudi
(oggi, i solchi delle piantate sono marcati da linee continue di neve, che il vento ha fissato e ghiacciato anche sul lato est degli alberi).
Su quella strada don Camillo incontrò Peppone, che di nascosto dal Partito andava a chiedere la grazia alla Madonna per il suo bimbo malato. Mentre Peppone entra “col suo bambino in groppa”, don Camillo rimase a far la guardia fuori della porta. Poi, per star più comodo, si inginocchiò su un sasso e disse alla Madonna dei Campi le cose che Peppone non avrebbe saputo dirle.
Noi podisti delle ultime schiere (saremo 534 classificati, di cui solo 12 oltre le cinque ore: considerando che i Gps danno concordi 400 metri in più della distanza canonica, direi che qui siano venuti soprattutto quelli ‘buoni’) alla chiesa voltiamo a sinistra riportandoci in parziale favore di vento, e guardiamo la successione di un campanile dopo l’altro fino a fissarci sul castello di Busseto, dove ci aspettano ancora Roberto Brighenti che già ci aveva intrattenuto alla partenza, e la tradizionale pasta asciutta, che tonifica un po’ lo stomaco rimasto alquanto orfano di bevande calde specie nella prima parte della corsa. Il pieno gastronomico è comunque garantito da un pacco gara dove trovi un po’ di tutto.
Consueto trasporto in bus alle docce, la cui temperatura è più che accettabile; basta non confondere il pullman delle docce con l’altro uguale che riporta a Salsomaggiore: ci furono anni in cui il bus per Salso faceva sosta anche negli spogliatoi, per raccogliere i docciati e portarli infine al luogo di partenza senza appestare l’aria col sudore rappreso. Ma oggi di sudati ce n’erano davvero pochi.
Gli arrivati della gara lunga sono una trentina in meno dell’anno passato, e all’incirca tanti quanti due anni fa (quando il clima era però decisamente migliore); solo 133 quelli della 10 km (facciamo 9,300), che fu la prima gara affiancata alla maratona dal 1998, 553 quelli della Ventuno e 497 nella Trenta.
Si aggiungano i non competitivi delle due gare più corte, e direi che anche quest’anno Pietrospino, primo allievo di Gigliotti, indi allenatore di Alessandro Lambruschini e altri campioni, ha fatto un bel regalo non solo a noi ma soprattutto alle Terre che ama.
I VIDEO
La partenza
Il passaggio al 7° Km
Il passaggio al 20° Km
Caso Ascari alla "Cinque Mulini" a bocce un po’ più ferme
Ci è stato fatto notare che, dopo un primo commento, non avevamo insistito sulla faccenda dell’atleta amatore ‘deriso’ dallo speaker, in diretta Rai, durante la Cinque Mulini.
Nel frattempo, sia il web sia giornali rispettabili hanno inondato l’etere delle loro versioni, condite dell’immancabile sdegno perbenista a buon mercato e a senso unico (aspettiamoci qualche interrogazione parlamentare di qualche candidato alle prossime elezioni). È anche nato subito è nato l’hashtag #iosonomarcoascari, la cui efficacia probabilmente sarà analoga a quella dei vari “siamo tutti XY”, “je suis Charlie” e via col vento.
E noi, che alla Cinque Mulini eravamo presenti col servizio fotografico più completo dell’orbe terracqueo, cosa facevamo? Leggevamo, facevamo verifiche, cercavamo i protagonisti: come dovrebbe fare qualsiasi organo di informazione.
Nel frattempo se ne sono scritte di ogni genere: il Corrierone di lunedì, con titolo ad effetto rinforzato dall’uso falsificante delle virgolette:
Atleta sovrappeso offeso in gara: «Insulto all’atletica, questo non è sport». Nel testo, l’ “offeso in gara” diventava “deriso dallo speaker”, con nuove virgolette: «Sei un insulto all’atletica» o «quello che vedete non è sport».
Qualcuno tirava addirittura in ballo la discriminazione verso i disabili, sostenendo che l’atleta interessato ricadesse in quella categoria (era stato tesserato per l’Asad Biella affiliata Special Olympics) : meno male che il Corrierone scopriva che “il runner è un giovane avvocato biellese e si chiama Marco Ascari”, “attivo in politica con la Lega Nord”. Però insisteva, addirittura inventandosi un neologismo: “Bullizzato”, e spiegando che ”Ascari è risultato, per errore, iscritto tra i professionisti. Ma dopo la sorpresa iniziale ha deciso di non tirarsi indietro e di correre con i campioni. E lì è venuto fuori l’enorme divario (Marco, come era inevitabile, ha concluso la gara ultimo con molti minuti di distacco dal primo) e gli insulti da parte dello speaker”.
Concluso la gara? Dalle classifiche che abbiamo consultato, appena disponibili, non risulta nessun Ascari, né tra gli arrivati né tra i partiti (dovrebbe comparire la scritta DNF, do not finished: perché non c’è?). La verità la scoprirete su queste pagine leggendo l’intervista di Fabio Rossi allo stesso Ascari, e scorrendo le foto qui sotto, dall'ultima delle quali appare l' "arrivo" di Ascari con tanto di nastro da vincitore (e lo speaker cosa diceva?).
Nel frattempo, “è arrivata anche la nota degli organizzatori della «Cinque Mulini»: L’Unione Sportiva San Vittore Olona 1906 ASD intende scusarsi pubblicamente, come già fatto in privato, con l’atleta M. A. per quanto sia apparso come un’offesa e si dissocia da qualunque interpretazione delle suddette frasi come offensive della dignità dell’atleta».
A dire il vero, non si dissocia dalle frasi dello speaker (di cui si continua a non fare il nome), ma dalle loro “interpretazioni”.
Solignano 2018
Interviene “La Stampa” (nella cronaca di Biella, cioè provincia di residenza di Ascari): ”per quello che sembra un disguido organizzativo si è trovato iscritto alla gara per professionisti della Cinque Mulini, una classica nazionale del cross, anche se la sua intenzione era quella di partecipare alla prova amatoriale. Marco non si è tirato indietro: ha concluso un giro al suo passo e invece che essere comunque applaudito per il coraggio nello sfidare i big del podismo, è stato deriso dallo speaker della manifestazione, che lo avrebbe tra l’altro definito un «insulto all’atletica» e «quello che vedete non è sport».
Segue un link a un blog e l’hashtag citato, poi l’immancabile dichiarazione del sindaco di Cossato, patria di Ascari: ”è vergognoso, un ragazzo buono come Marco non dovrebbe subire queste offese». Finalmente, bontà loro, la cosa più utile: una intervista ad Ascari, che almeno spiega come è andata con l’iscrizione:
«Avevo chiesto di essere inserito nella prova amatoriale visti i miei problemi di peso - racconta -. Ma quando sono arrivato alla partenza i giudici mi hanno detto che dovevo partire nella gara ufficiale con gli Assoluti visto che sono tesserato Fidal e iscritto a una società di atletica leggera. Non mi sono perso d’animo e ho affrontato la sfida».
Cominciamo a capire. Poi, dice l’avvocato (o meglio, “uditore giudiziario” in attesa di occupazione): “Sono comunque riuscito a portare a casa il mio sogno: correre la “Cinque Mulini”.
Correre, cioè partire, o concludere? Non si specifica; la nostra foto lo documenta.
Finalmente, e correttamente, "La Stampa" dà spazio alla versione dello speaker, di cui fa il nome, Walter Brambilla, ben noto tra gli sportivi, anche come speaker da 36 anni di questa gara. «L’ho visto passare, ultimo e staccato, e ho detto soltanto: “Se io giocassi a pallone non potrei sfidare Maradona”. Mi sembrava anche una battuta simpatica. Poi, a fine gara, gli organizzatori mi hanno spiegato la situazione, se me lo avessero detto prima avrei chiesto un applauso. Ma non ne sapevo nulla. La verità? E’ che oggi basta essere iscritto a una società e alla federazione per correre una gara come questa. E’ come se io mi iscrivessi al Milan e scendessi in campo: la gente mi fischierebbe o si metterebbe a ridere».
Adesso ne sappiamo un po’ di più, sebbene il comunicato della Cinque Mulini sembri non tener granché conto della dichiarazione di Brambilla, aggiungendo un dettaglio che sembra quasi avallare la storiella della disabilità di Ascari: “ è nostro dovere ricordare che da anni (quest’anno occorreva la 13^ edizione) abbiamo istituito il “Trofeo Amici dello Sport”, gara dedicata ad atleti diversamente abili […], La Cinque Mulini è di tutti, nessuno è escluso”.
Bè, magari, si potrebbero distribuire meglio i partecipanti: su questo, un piccolo mea culpa spetterebbe anche agli organizzatori. Un po’ ingarbugliata la dichiarazione dell’assessora di San Vittore Olona, Maura Alessia Pera, ha commentato: «Un gran brutto momento, che azzera tutto il lavoro degli organizzatori che da sempre si prodigano per lo sport aperto a tutti e per tutti. Il ragazzo è regolarmente tesserato Fidal, e si è regolarmente iscritto. Nulla vietava non ammetterlo alla corsa e così è stato”. La retorica politichese della litote (due negazioni invece di una affermazione) porta a dire il contrario di quello che forse l’assessora voleva dire: detto così, significa che “bisognava non ammetterlo”, ma l’hanno ammesso.
Fa il punto la Rosea stamattina 13 febbraio, sia pure riprendendo la notizia che Ascari fosse “ tesserato in passato in una società per disabili mentali”. Si aggiunge che “al Campaccio aveva gareggiato nella categoria Master; ma domenica alla Cinque Mulini un giudice giustamente zelante ha rilevato che, avendo meno di 35 anni, Ascari non poteva essere iscritto alla categoria Masters. E qui è nato il problema degli organizzatori: cancellare il suo sogno o concedergli una chance fra gli agonisti. Alla fine è stato trovato un accordo: «Parti insieme agli agonisti e fermati dopo il primo giro». Forse non è stata la soluzione migliore anche perché nessuno è stato avvertito dell’«esperimento”.
Ne sappiamo un altro po’ di più; e la frase di Brambilla viene ridimensionata secondo le dichiarazioni dello speaker (ma qualcuno che si prenda la briga di scaricare la registrazione dal sito della Rai…?): “Testualmente: «Se io giocassi a pallone non potrei giocare contro Maradona». La frase è solo questa, non quelle che fantasiosamente sono state diffuse sui social: infelice, sicuramente inopportuna ma non intenzionalmente derisoria nei confronti di un amatore (che nessuno sapeva fosse un disabile)”. Chiaro che conta anche il tono con cui una frase è pronunciata; e vorrei aggiungere che abbastanza spesso gli speaker di podismo (la mia esperienza riguarda le corse su strada), per ravvivare un evento francamente noioso per chi assiste, tendono a inserire spiritosaggini o battutine, sempre in bilico tra il complimento e lo sfottò.
Disabile o avvocato, saggiamente la Gazzetta conclude con una osservazione a proposito:
“La verità è che la vicenda ha svelato un imprevisto baco nei regolamenti del cross. Mentre nelle gare in pista per essere ammessi valgono i tempi di iscrizione e per le corse su strada agonistiche c’è sempre un tempo limite entro cui tagliare il traguardo, il cross anche a livello agonistico è sempre stato aperto a tutti. Va da sè che nessun corridore della domenica si è messo finora a sfidare i campioni keniani. Gli over 35 gareggiano nei Master ma gli altri? Teoricamente possono partire e arrivare al traguardo dopo tre ore costringendo tutto l’apparato organizzativo a fare gli straordinari”
E condividiamo il commento finale.
Ormai la frittata è fatta ma non esageriamo con l’indignazione.
La parola a voi lettori, magari qualcuno dei presenti potrà dirci esattamente cosa ha sentito.
Pratissolo, giornata ‘vuota’, 800 ‘liberi corridori’ e tante foto
Il “1° Raduno Podistico Scandianese” andato in scena a Pratissolo (piccola frazione separata dal capoluogo Scandiano solo dal torrente Tresinaro, su cui passa il ponticello pedonale ritratto nelle foto di Nerino Carri dalla 119), sotto l’insegna del locale negozio Free Run messo in piedi dalla signora Francesca già segretaria della maratona di Reggio (vedila con parte del suo staff nella foto di Domenico Petti n. 416), e dunque coll’appropriato titolo “Corri Libero”, si è inserito in una giornata vuota del calendario podistico reggiano, e che anche da parte modenese non offriva granché.
Malgrado la pubblicizzazione molto tardiva, sono tuttavia stati censiti ben 606 podisti iscritti alle camminate su strada, di 5 e 11 km, partite alle 9,30 (vedi foto Petti dalla 153) con l’anteprima di un Nordic Walking di 6 km partito alle 9,15 (foto Petti 120, Carri dalla 49); ma a questi si aggiungono circa 150-200 atleti che, con partenze scaglionate tra le 8 e le 8,30, si sono misurati con una “Randonnée” di 28 km (cfr. foto Petti dalla 26) e due trail di 12 e 22 km (ancora Petti dalla foto 79, Carri dalla 21): il più lungo, con un dislivello dichiarato di circa 670 metri. Questa almeno la versione ufficiale: ma il mio Gps, che ho portato lungo i 22 km, ha misurato alla fine 23,800 km e 810 metri di salita/discesa.
Ufficialmente si trattava di trail “autogestiti”: alla partenza venivamo riforniti di due barrette energetiche (lo stand è nella foto Petti n. 5); la consegna delle barrette e delle calze in premio avveniva tramite consegna del pettorale: ciò spiega perché dalle foto nessuno di noi appare con un numero attaccato. Sul tracciato c’erano due ristori di tè, gestiti entrambi da Paolo Manelli che una ne fa e dieci ne inventa, e ‘obbliga’ anche la moglie Cinzia a prestare servizio (foto Petti n. 57); alcuni addetti con la blusa arancio del Free Run fungevano da “guide differenziate per velocità”, un po’ pochine però, e le segnalazioni sul percorso erano piuttosto risparmiose, tanto che è difficile trovare due che abbiano fatto lo stesso percorso…
La prima parte del tracciato, grosso modo 6 km con la salita più brutta, coincideva col Furnasoun trail della primavera (e in effetti, le ciminiere coniche del Furnasoun appaiono a circa 2 km dalla partenza e arrivo), portandoci dai 90 metri circa di Pratissolo ai 380 del crinale; poi si cambiava, scendendo verso Rondinara (teatro di un’antichissima gara di Sant’Anna, organizzata – guarda un po’ – da Manelli), a 140 metri. Qui il percorso dei 12 km tornava verso l’arrivo, mentre quelli del giro lungo salivano al bellissimo castello di Viano, splendidamente restaurato e in posizione panoramica, a quota 370 circa, dopo 17 km (purtroppo nessun fotografo si è spinto fin lassù). Nuova discesa, e infine ultima salita, micidiale perché non segnata (le istruzioni dicevano solo che bisognava andare a una quercia…) e spesso attraverso campi molli, quasi sabbie mobili, nelle quali si affondava: al km 19,5 il Gps segnava il culmine di quota 281, dopo di che cominciava la discesa, quasi tutta su asfalto negli ultimi 4 km.
Nessuna classifica (e certo ci sarebbe stato da discutere relativamente alle distanze percorse da ciascuno, in mancanza di frecce direzionali), ma lo scopo era soprattutto quello di riempire una domenica altrimenti vuota; il tempo ci ha aiutato, nel senso che ha portato il sereno e un orizzonte abbastanza sgombro, e una temperatura sempre sopra lo zero (seppur di poco: chiazze di neve ci hanno accompagnato in quota).
Non so niente della corsa su strada, partita tre quarti d’ora dopo il trail e ampiamente esaurita quando siamo arrivati, in tre ore abbondanti, noi trailer medio-scarsi, guidati dalla esuberante Alessandra modenese che non disdegna di correre da queste parti dispensando sorrisi e foto di coppia: ma che i podisti ‘normali’ fossero in centinaia (successo credo inaspettato), anche senza modenesi e perfino senza sassolesi, lo dimostrano le foto.
Nonostante questi numeri, l’organizzazione ha retto bene (a parte il già citato ‘risparmio preventivo’ nel tracciare il percorso trail), nel senso che al nostro arrivo c’erano ancora tè tiepido e ristori in abbondanza, da cui la boss Francesca alla fine ha prelevato qualche torta intera per gli ultimi. Egregia la custodia dei bagagli, e a quanto pare i tunisini e compari già attivi nel reggiano le settimane scorse hanno girato alla larga.
Seguiva un pranzo del podista inclusivo di premiazioni dei campionati provinciali reggiani: pure su questo c'è la documentazione fotografica, a parte, di Petti.
Sei ore Ippociok: cavalcando tra il cioccolato
Dall’inventiva di Ermanno Ferretti, col supporto di tre ultramaratoneti emiliano-romagnoli come Enrico Vedilei in primo piano, e a immediato supporto Monica Barchetti e Andrea Accorsi (tutti già navigati organizzatori di gare di lunga lena), è nata l’idea di questa 6 ore, domenica 4 febbraio, in una località, Rossetta di Bagnacavallo (ma in realtà più vicina ad Alfonsine), che ben difficilmente avremmo conosciuto se non ci fosse stata una gara.
Gara che, sebbene inserita come prima prova di un “Trittico goliardico” insieme ad altre due 6 ore (della Birra a Castelbolognese e del Bombolone a Rimini), non ha avuto niente di pagliaccesco: i concorrenti erano tutti vestiti in modo irreprensibile (e gli 0 gradi alla partenza sconsigliavano dallo svestirsi troppo: di Luisa Betti ci si accontentava di ammirare i contorni); il tracciato di 4,220 era misurato precisamente e ben segnalato, ad ogni giro una coppia di giudici Uisp prendeva nota dei transiti: oltre al fatto che (come nota di colore) ad ogni passaggio i concorrenti erano invitati a deporre un ovetto di cioccolato in un bicchiere contrassegnato dal loro numero di pettorale, così alla fine il conto era facile.
Circa i due terzi del percorso erano su sterrato, e quasi metà si svolgeva sull’erboso argine del Senio: partenza e arrivo erano presso gli impianti sportivi intercomunali di Rossetta, da dove dopo un km si arrivava al maneggio-Scuderia del Senio; qui, tra cavalloni, pony e un somarello che sguazzavano nel fango trovavamo un ristoro di lusso, compresi salame e vin brulé; poi si montava sull’argine destro del fiume (7 metri di salita ogni volta), percorso in risalita, con Alfonsine alle spalle e le montagne in fronte. Circa 2 km di erba, poi discesa, inversione, strada sterrata e piena di pozzanghere fino al rientro negli impianti sportivi per il passaggio, e un altro ristoro più ‘normale’ (tè, frutta fresca e secca, ma pure cioccolato che alla fine, col sole che lo intiepidiva, ti si impiastricciava ai guanti).
Così via per tutti i giri che uno si poteva permettere in sei ore, salvo quelli che avevano programmato di fermarsi a un traguardo significativo come la maratona (dieci giri esatti, il Gps questa volta non ha niente da obiettare). A vincere la gara più lunga, restando in corsa per tutte le sei ore, anzi, 6h10, è stato Nicola Zuccarello, che ha concluso 18 giri (quasi 76 km), un giro in più del secondo, Luca Cagnani (71,7), due più del terzo, Michele Scoglio (67,5). Sesta assoluta, e prima donna, Sara Lavarini (15 giri, km 63,3 in 6h 01’), un giro in più di Antonella Feltrin e Manuela Sabbatini.
Su 93 che hanno concluso la prova, di cui ben 28 donne (senza contare i non competitivi, grosso modo altrettanti), il primo maratoneta è donna, la celebre Ilaria Marchesi, che ha concluso i suoi 42,195 in 3h 36 (dunque avrebbe avuto ancora due ore e mezzo per inanellare parecchi altri giri); a 10” è giunto il primo uomo, Federico Bruni, a 12 minuti Marco Bonfiglio.
Molto staccate le altre donne: Alessandra De Ponti e Ilaria Pozzi hanno chiuso nell’ordine poco sotto le 4h 40. Tra i volti noti del supermaratonismo nostrano, oltre alla già citata Luisa Betti (12 giri), spiccava il vecchio amico “Pinokkio” Maurizio Muggianu, che puntando di nuovo all’agognata Germania ha coperto 11 giri, come la coppia barlettana Rizzitelli-Gargano. In gara anche le due sorelle Costetti: Franca ha chiuso la maratona in 5h 16, Maria Luisa ha passeggiato per una trentina di km in compagnia dell’altra gloria storica del podismo romagnolo, Anna Zacchi.
Dopo la corsa, e una doccia sufficientemente calda, eccellente pasta party compreso nel prezzo, e il cui clou era rappresentato da strozzapreti immersi in un ragù saporitissimo; per mandarli giù, niente di meglio del bianco romagnolo servito senza risparmio. Il tutto per 30 euro, comprensivi di un pacco-gara a vocazione alimentare in cui spiccava il "cassone". Naturalmente, al cioccolato.
Miami, will you marry me? The answer is blowing in the wind
Miami, la città più meridionale degli Usa (non a caso, scelta come luogo d’esilio da 125mila profughi cubani, che hanno ricostruito una “piccola Avana” nel settore ovest della città), ha perlomeno quattro volti: 1- una Downtown che conta forse più grattacieli di Manhattan, toccati da tre linee di metropolitana sopraelevata e gratuita (Metro Mover) più un’altra linea, il Metro Rail, diciamo nello stile della S-Bahn di Berlino, a modico pagamento (l’equivalente di € 1,50 a corsa, 4 euro per un giorno intero); 2- la favolosa Miami Beach, isola nello stile di Venezia, congiunta da più ponti alla terraferma, e con una spiaggia bianca di 10 o più km affacciata sull’Atlantico, dove l’auto più comune è la Ferrari e i frequentatori vanno da Simona Ventura a Trussardi/Hunziker ecc., non più Versace (ma l’accesso alla spiaggia è gratuito, e puoi anche girare sui Trolley bus, gratuiti essi pure); temperatura attuale dell’acqua come a Rimini a inizio luglio, mentre l’aria oscilla tra i 21 e i 26 gradi; 3 – i quartieri a sud, raggiunti dal Metro Rail, molto verdi, con ottime soluzioni urbanistiche (mitica è la zona di Vizcaya e Coral Gables), case a uno o due piani annegate tra la vegetazione: volendo, si prosegue in auto verso sud fino all’estrema punta della Florida, Key West, dove abitava Hemingway; 4- la citata Little Havana, pienamente latina, con osterie, musica, movida, rivendite di sigari cubani e nicaraguensi (quelli economici costano 6-8 dollari l’uno), traffico di auto e smog, piena di distributori di benzina a prezzi ridicoli (faccio rifornimento per l’equivalente di 50 eurocent al litro).
In più, il 28 gennaio c’è la maratona, una delle tante organizzate in Florida (solo nel weekend precedente ce n’erano una a Tampa e una a Orlando, cioè Disneyworld; a breve se ne svolgerà una nelle vicinissime Bermuda e una 'spaziale' nei pressi di Cape Canaveral): gara che è sempre considerata a rischio, perché in Florida si concentra la metà di tutti gli uragani statunitensi, e infatti, delle 20 edizioni finora programmate, questa è la 16^ che arriva al termine (negli ultimi anni una fu annullata del tutto, una ridotta alla mezza, e l’anno scorso si corse sotto una pioggia torrenziale con 7 gradi). Le previsioni del tempo danno un peggioramento giusto per mezzogiorno di domenica 28, con 50% di probabilità di pioggia, e certezza di venti forti da ovest: la partenza della gara è fissata a scaglioni tra le 5,50 e le 7 di mattina, dunque si dovrebbe arrivare in tempo, come in effetti sarà: nessuno si bagnerà, mentre il vento fino a 40 km/h sarà una costante della gara, purtroppo più contro che a favore (e vallo a spiegare a chi non c’era, come mai il vento spirasse soprattutto contro… diciamo che sui tre ponti percorsi tra Miami e Miami Beach, in un tracciato fatto un po’ a 8, si rischiava anche di cadere a mare o almeno di essere sbattuti sui gard-rail, mentre nel tratto dove il vento doveva essere a favore correvamo nell’interno, tra i grattacieli o grandi alberature come a Vizcaya – comunque dichiaro che almeno verso il km 15 e il 38 ho sentito alle spalle una piacevole spinta, purtroppo durata poco).
La lamentela sul vento è stata una costante nelle dichiarazioni dei top runners: come scrive il Miami Herald, “The breeze combined with a humid starting time temperature of 73 meant any hopes of personal bests were blowing in the wind” (Bob Dylan ci soccorre!); “the problem today is wind – so much wind, everywhere. We had to struggle a lot”, dichiara il vincitore, il keniano di Eldoret Hillary Too, con 2h 23.02, mezzo minuto meglio dell’etiope Teklu Deneke, il quale insiste: “the wind was very bad and it was hot”. Modesto il tempo della vincitrice donna, la russa Lyubov Denisova, che con 2.40:53 ha vinto 4500 dollari che le serviranno per pagare gli studi della figlia negli Usa: e sul vento dice semplicemente “Terrible”. La mezza maratona, che partiva e correva insieme a noi fino al rientro sulla terraferma di Miami-Downtown, è stata vinta dal keniano Julius Koskei (1.05:47) e dalla etiope Senbeto Geneti (1.07:43).
Solignano 2018
Sono 2918 i classificati nella corsa “full / completo” (come dicevano i cartelli), 14mila nella mezza; ci si aggiungono i 5 km, il Kids run, la corsa per le carrozzelle e per altre categorie di disabili, assistiti da volontari. Mi ha commosso vedere un uomo senza un braccio che spingeva il baby-jogger di un handicappato grave. L’organizzazione è semplicemente perfetta, nello stile americano: dal momento dell’iscrizione (100 dollari, cioè 80 euro: bruscolini!) sei bombardato da email quasi quotidiani, che si intensificano nell’ultima settimana; l’Expo è nel quartiere delle arti, suburbio un tempo degradato e oggi luogo privilegiato per artisti, hippies, negozi tipici ecc.: ci si va con navette gratuite che partono sia dal centro sia da Beach. All’interno dell’ampio capannone (ingresso previa perquisizione dello zaino), c’è la consueta distribuzione di gadget, bevande, cibi vari, tutto gratis (penso alla tirchieria degli espositori nostrani); massaggi, tapis roulant ecc. Una ventina di box distribuiscono senza code il pettorale (che include il chip monouso) e il pacco-gara, in sostanza ridotto a una maglietta.
Sconsigliato usare le auto per raggiungere il luogo della partenza, giusto sul porto e nel centro commerciale di Bayside: il Metro mover (alle cui stazioni peraltro i maratoneti possono parcheggiare gratis) ha tre fermate nel raggio di 200 metri, e infatti alle 5 di domenica mattina è uno spettacolo vedere i podisti che si dirigono verso le varie stazioni e montano in carrozza. Noto che la maggioranza non ha zaini da depositare al “Gear check” (ingresso che ricorda un po’ quello di Fort Wadworth a New York, ma senza controlli polizieschi): evidentemente sono residenti locali che semplicemente escono da casa (o dall’albergo).
Italiani, pochissimi (nelle posizioni di rincalzo vedo un Francesco Maino da Busto Arsizio, 136° in 3h 27, e un Gabriele Giachi da Lamporecchio, 146° in 3 h28; tra le donne, Samantha Di Giacomo, Tamara Gozzi, Paula Nicchiarelli, Francesca Balestrazzi sono classificate da Miami, Daniela Piaggio dall’Honduras, Tiana Baroni da Boston, e via così). Ma nella mezza c'è addirittura una signora di Reggiolo, Sabrina Strazzi: speriamo che Morselli le estorca un commento... Prevale la lingua spagnola, parlata dai tanti centro- e sudamericani (Perù, Argentina, Guatemala, Colombia mi sembrano le magliette più frequenti): infatti la gara degli amatori è vinta da un argentino di chiara origine italiana, Sebastian Castellani, in 2h 41, e da una colombiana di Medellin, Ana Maria Naranjo, in 3h19.
L’italiano che fa parlare di sé le cronache è Stefano De Leo, 37 anni, che però risulta residente a New York: taglia il traguardo della sua prima maratona in 3.59:50, e aspetta l’amica di Brooklyn Sofia Hedstrom, 39 anni e 20 maratone corse: quando questa arriva in 4.19, Stefano inginocchiato le chiede in inglese di sposarla (“Sofia, will you marry me?”). La risposta è Yeah, e il commento: “When it’s right, it’s right”.
Il percorso è, almeno nella prima metà, da pelle d’oca: si parte al buio, e il sole sorge dall’oceano ormai a Beach: nell’isola si percorrono circa 3 km sul lungomare forse più famoso del mondo, Ocean Drive, per avviarci di nuovo verso Miami attraverso il ponte Venezia e l’isola di S. Marco. Di nuovo tra i grattacieli, poi quelli della mezza vanno al traguardo mentre noi pieghiamo a destra (sud) verso il segnale del miglio 14; da questo punto i ristori (finora regolarissimi ogni miglio, con acqua, gatorade e talora frutta) diventano anche ‘strani’: ghiaccioli colorati, spicchi di ananas, birra ghiacciata, sciroppo di cocco, cioccolato in barrette… Ci si allontana dal mare verso Vizcaya, poi al punto più meridionale del Coconut Grove, dopo il km 30, si fa il giro di boa tornando sull’Atlantico e in pieno vento, che soffierà alla grande sull’ultimo ponte verso Beach; dove però non arriviamo perché a un’isola intermedia facciamo inversione rientrando in Downtown al km 39.
Tifo abbastanza sensibile, e i soliti cartelli spiritosi: “Va più forte, dice tua moglie, perché così lei torna prima a dormire”; “Corri come se Weinstein ti stesse inseguendo”; “Su una scala da 1 a 10, tu sei 13,1” (cioè la lunghezza in miglia della maratonina). Parecchi i pacemaker, scaglionati grosso modo ogni quarto d’ora: il loro cartello reca non solo il tempo finale ma anche la media a miglio; moltissimi i bagni chimici (direi più che a New York) lungo il percorso.
Sfioriamo Little Havana e, dopo un crudele ponte piazzato al km 41,850 (almeno secondo il mio Gps, che alla fine darà 43,090), torniamo al luogo di partenza-arrivo per l’apoteosi finale, una medaglia dorata da almeno tre etti, e l’abbondante ristoro comprensivo di birra (obbligatorio dimostrare di essere maggiorenni!): sul prato verde del Bayside Park ci mettono in mano una o più scatole di cartone, contenenti pasta asciutta, formaggio, torta e altro. Chi corre col cellulare acceso, ad ogni rilevamento chip (cioè ogni 5 km) riceve un sms che lo informa sul tempo netto, lordo, media al miglio, piazzamento: io lo leggo solo dopo l‘arrivo, insieme all’email che riassume il tutto e aggiunge addirittura le foto e due video personali presi durante la gara. La mia prestazione tecnicamente orrenda (da jetlag, tallonite, vesciche, turismo pedestre e bagni di mare) è confortata dal piazzamento di categoria (6° su 22) e dal rilevamento che negli ultimi 2,195 ho superato 53 persone. Per forza: al traguardo c’era mio figlio americano, che guarda con crescente preoccupazione gli slanci senili del papà; mica potevo farmi vedere moribondo, e almeno negli ultimi 0,195 il Gps sentenzia che vado ai 4:55/km (meglio non rivelare cosa mi diceva dieci km prima…).
L’American way of marathon non prevede che ci siano docce sul traguardo: ma c’è il Metro mover che ci aspetta (una corsa ogni minuto, H24), e volendo possiamo anche rituffarci nell’acqua calda calda dell’Oceano: questa volta, la mia spiaggia prescelta si chiama Hollywood, non proprio da Oscar ma ci si può accontentare.
Una Corrida di San Geminiano un po’ pre-elettorale
I 665 competitivi classificati di questa 44^ edizione della classica gara ideata nel 1973 da Gigliotti e Finelli segnalano una discreta ripresa numerica, dai miseri 535 dell’anno scorso, anche se non sfiorano nemmeno gli 896 del 2016 e i 746 del 2015 (e non parliamo di quando i classificati erano duemila o più, ai tempi che non c’erano tutte le balle odierne di tessere e certificati medici ecc. – lo scrivo, casomai questo pezzo cadesse nelle mani della ministra della salute Beatrice Lorenzin, elettoralmente paracadutata a Modena e dunque venuta ieri a studiare la città che dovrebbe votarla, e a rivolgere il suo augusto messaggio ai podisti).
E aggiungo che comunque la Lorenzin era la meno peggio tra i politicanti venuti alla sagra di Modena, in prima fila alla messa vescovile della mattinata, e in parte poi alle premiazioni della gara nel pomeriggio. Penso che (se andrò a votare) voterò qualcuno, uno qualunque, ma purché non abbia partecipato a queste farisaiche profanatrici esibizioni. Almeno avessero corso i 3 km; ma forse ne andava della loro dignità.
Curiosamente, 665 furono pure i classificati della Corrida 2013, e 667 nel 2014: dunque il podismo nostrano è fatto a scale, ma tanto su ormai non ci si va più; difficilmente quantificabili i non competitivi (tra cui il sottoscritto: scusate, ma che il mio aereo da Miami arrivasse in tempo l’ho capito solo quando mi hanno riconsegnato le valigie all’aeroporto di Bologna, due ore prima del via della Corrida): i giornali parlano di cinquemila totali, non si sa se secondo la questura o secondo i sindacati. La mia impressione, a puro naso e per giunta con l’intronamento da fuso orario, è che alla partenza all’ora giusta non fossimo più di 2000-2500. Già, perché c’è anche chi parte prima (sembra di capire che un gruppo bolognese di una trentina di partecipanti sia partito in massa una mezz’ora prima, celebrandosi poi nel consueto autoritratto dove leggiamo tra l’altro che “il percorso di oggi risulterà essere molto simile a quello odierno”); e a questi va aggiunta la consueta dose di portoghesi o di quanti in ogni caso non hanno ritenuto opportuno di esporre il pettorale, nemmeno quello da 5 euro: guardate le foto della Teida e cercate uno che somiglia molto a Fausto Coppi, celebre scroccatore di pettorali di maratona (ma almeno quelli li indossa); e con lui ce ne sono tanti altri. Devo però dire che uno beccato due anni fa a correre senza pettorale, e da me denunciato su queste pagine, stavolta l’aveva. Quante me ne ha dette e me ne ha fatte dire! Però si è messo in regola; sia lui, sia l’altro tipo che di solito prende il pettorale economico poi fa la corsa lunga: oggi aveva un bel numero competitivo da 15 euro (riprenderà a risparmiare la prossima volta?).
Solignano 2018
Nel settore dei top (quelli che il pettorale non lo pagano, anzi sono pagati per venire qui), è dal 1995 che non vince un italiano (l’ultimo si chiamava Stefano Baldini): la novità è che oggi non ha vinto un keniano ma, per la prima volta, un etiope, Haile Telahun Bekele, 19 anni, in 38:17, un minuto abbondante sopra il record su questo tracciato, e comunque un minuto e mezzo prima dei ruandesi secondo e terzo (sul cognome impronunciabile del secondo ha fatto le sue ironie l’informatissimo Marescalchi in sede di premiazione). Primo italiano, il pavullese Simone Colombini “in grande spolvero” (come scrivono le gazzette tirando giù la polvere a frasi di cui non conoscono il significato); poco dietro, il compaesano Alessandro Giacobazzi recente trionfatore in maratona a Torino.
Tra le donne, si conferma la valanghinetta rosa, nel senso che alla vincitrice del 2017 Sara Galimberti è succeduta oggi Anna Incerti, che aveva già vinto dieci anni fa in 42:28 e a cui oggi sono bastati tre minuti in più per salire sul primo gradino del podio (come si suol dire: perché alle premiazioni il podio proprio non c’era), superando nel finale la keniana Jeruto Lagat. Podio virtuale completato dall’altra modenese Francesca Bertoni, terza: ma in effetti le straniere qui erano scarsine, in tutti i sensi: sono lontani i tempi di Rita Jeptoo o delle varie Jelagat. E anche la lunghezza complessiva lascia dei dubbi: ufficialmente si dice 13,350, sta di fatto che il cartello del km 13 è ad almeno 500 metri dall’arrivo (resta poi da fare anche un quarto di giro dell’ippodromo, cioè 250 metri), quando ai tempi che la Corrida sullo stesso percorso era ufficialmente quotata 13,274, il cartello dei 13 era affisso sul pilastro d’accesso all’ippodromo, una cinquantina di metri prima dell’ingresso in pista. A me il Gps dà 13,600.
E arrivano via via tutti gli altri, come dicevano i telecronisti delle volate in gruppo al Giro d’Italia: e se alcune foto del mio quasi omonimo, e fedelissimo tosco, Fabio Marranci mostrano lo sforzo dei migliori sul doppio cavalcavia di Cognento (km 6/8), le foto urbane della Teida immortalano (altra frase fatta e con sempre meno senso, in un’epoca nella quale le foto si cancellano ad ogni cambiamento di software) tutti, compreso Giuseppe Cuoghi, ex hockeysta compaesano di Raffaella Pelloni (meglio conosciuta come Carrà); Cuoghi deve essere l’unico ad aver corso tutte le 44 corride (perché l’unico anno che non la corse, venne tanta neve che la gara fu annullata).
E compresa la Lorella detta Lella, che col suo fitwalking arriva sempre e ovunque. E compreso infine (not last & not least) Lolo Tiozzo, patron della Ovunque, con cui ho corso gli ultimi 3 km (ai 5:40”… foto 655 e dintorni) constatando come sia il più popolare tra gli spettatori e anche tra i colleghi podisti, che gli vengono vicini per ricordargli quando li ha portati sulla muraglia cinese o a Petra o a Gerusalemme. Ma al traguardo Brighenti non si accorge di lui perché sta omaggiando Julia Jones.
Premiazioni con la sfilata di politici e vippetti locali, lasciamo perdere: al sindaco in pompa magna, eletto sulla base della promessa del “consumo zero del suolo”, bisognerebbe chiedere cosa significano quei cartelli ai bordi del grande campo verde tra i km 4 e 9 (per i modenesi: tra la Motorizzazione e la zona della concessionaria Piaggio), che annunciano un imminente mega-intervento edilizio; ma la maggioranza dei podisti, piuttosto che ingaggiare battaglie perdute, se ne sta in piedi nel fondo del vecchio palasport a chiacchierare dei fatti propri e commentare questo evento unico per Modena, e ahinoi finito troppo presto.
Dai colloqui apprendiamo che l’unica corsa modenese più antica della Corrida, la Sgambada di Mirandola in programma domenica prossima, non si farà (e la colpa non è della circolare Gabrielli). Il podismo modenese perde il suo vanto che lo rendeva unico in Italia, di non saltare mai una domenica di corsa. Accontentiamoci del mercoledì.
Gianni dall’aldilà resuscita la Classica?
Eravamo stati tutti delusi, l’anno scorso, quando la quarantesima edizione della “Classica” della Madonnina, complice la grave malattia del presidente Gianni Vaccari, era stata declassata a non competitiva, una delle tante sagre delle partenze anticipate, dell’acquisto gonfiato di pettorali per vincere i premi di società, e di quelli che il pettorale proprio non lo prendevano perché € 1,50 moltiplicati per una famiglia di tre, tutto l’anno, rovinano l’economia di una famiglia (questo mi sono sentito dire e vedo praticare in tutta la stagione modenese). Sembrava il destino anche della 41° edizione, per giunta spostata dalla sua sede naturale del quartiere (dove tira aria di sgombero per la sezione podismo) a quella stra-abusata del festival dell’Unità, soffocata tra tangenziale e due linee ferroviarie, ma benedetta dai pubblici amministratori che le hanno costruito un’uscita della tangenziale apposta, hanno fatto in modo che l’Alta Velocità la schivasse facendo un giro vizioso, eppure non sono riusciti a mettere in atto un lucroso piano edilizio data la spaventosa e forse insanabile situazione di inquinamento industriale.
Sembrava, fino al 2 gennaio, giorno del funerale di Gianni: ma molti di noi, che per questo 21 gennaio puntavano già su altre corse (Montefortiana o Galaverna, per citare le concorrenti più vicine), proprio sul sagrato della chiesa della Madonnina avevano sentito le prime voci: “perché non rifacciamo la competitiva?”. Detto e quasi fatto, con un frenetico attivismo che mi ha ricordato quello di oltre vent’anni fa, quando si trattò di salvare la “Corrida di San Geminiano” dalla crisi economica della Fratellanza di allora. Allora fu tutto il Coordinamento modenese, compreso Gianni Vaccari, che trovò gli sponsor e mandò in onda lo spettacolo, sia pure in forma non competitiva. Adesso, il collaudo era stato fatto due mesi fa col salvataggio in articulo mortis di un’altra classica tradizionale modenese, la Corrimodena, che abbandonata al suo destino da chi non sapeva più gestirla ma non voleva mollare l’osso, è invece andata in onda regolarmente nella data canonica di metà novembre (con un nome cambiato di poco, così il “padrone” del marchio se lo prende nel bisacchino).
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E più o meno lo stesso comitato, tra i cui componenti citerò Giuliano Macchitelli, Maurizio Pivetti, Vincenzo Mandile (cioè il coordinamento modenese, l’Uisp, Modenacorre – e sono sicuro di dimenticare altri elementi determinanti), dal 2 gennaio a oggi ha messo in piedi, non solo la prevista non competitiva affollata da un migliaio o più di partecipanti (grosso modo gli stessi di Marzaglia domenica scorsa), ma una competitiva di quasi 10 km, offerta al prezzo stracciato di 5 euro, cui si sono preiscritti circa 650 podisti anche da fuori regione: non solo quei 150 assatanati e/o cacciatori di prosciuttini che frequentano le normali competitive modenesi, ma gente molto comune, anche da 6’/km, desiderosa non tanto di testimoniare il proprio affetto per un vecchio amico, ma di provarsi su un percorso ben misurato (QUASI chiuso al traffico), di calzare un chip una volta tanto, ricevere una classifica, e la medaglia con l’azzeccata immagine di lepre, tartaruga e chiocciola che simboleggiano come il podismo, anche agonistico, sia aperto a tutti.
E pure il sottoscritto, che negli anni d’oro era quasi una lepre e adesso sta avviandosi per le strade delle tartarughe, ha avuto un soprassalto di nostalgia, ha recuperato tracce delle sue partecipazioni negli anni antichi (in fondo trovate un commento del 2003 scritto per la carta stampata) e, come faceva nei tempi migliori in compagnia di un altro aficionado oggi scomparso, William Govi, ha corso come assaggio la non competitiva di 8 km (facciamo 7,3), arrivando con una ventina di minuti di margine per prendere il via della competitiva di 10 (facciamo 9,7). Negli anni antichi l’intervallo tra i due via era di 75’ e si potevano ben fare gli 11,5 km della ludico-motoria; oggi sono 60', il giro lungo è da 13,5 e c’è da stare attenti…
Solignano 2018
Della non competitiva erano possibili 4 percorsi, che a parte l’inizio riprendevano i tracciati dell’antica Classica (quelli della “seconda maniera”, perché la prima maniera, come ricordavamo con Brighenti, puntava inizialmente verso il centro città e valicava un pericoloso passaggio a livello, dove qualche volta il treno passò sul serio), con un massimo dei 13,5 km citati, svolto per circa metà sull’argine destro del Secchia, molto collaudato sia in gare della Madonnina sia dell’Unità. Festa popolare, sebbene continui a far tristezza che almeno metà dei partecipanti si fossero avviati per le strade con mezz’ora o più di anticipo. Commentavo la cosa con uno degli storici compagni di Gianni, Flaminio Ballotta, messo a sbandierare proprio all’uscita dal festival: “Questa gente, Gianni l’avrebbe azzoppata!” – “Eh sì, ma cosa vuoi farci?”. Rapido passaggio quasi davanti alla sede storica della polisportiva (che squallore il primo tratto di via Barchetta! Sarebbe location ideale per film neorealistici anni Quaranta), poi si va a destra in direzione ovest, lungo un cavalcavia moderno e prima di un’altra deviazione a destra per il giro di 8 km: che per oltre metà coincide col tracciato della competitiva di un’ora dopo, e soprattutto col percorso che Gigliotti faceva fare a Baldini in preparazione alle olimpiadi di Atene. Si passa davanti alla romantica e solitaria chiesa di Freto, dove Gianni (in compagnia, incredibile ma vero, di un altro Gianni Vaccari!) inventò la camminata della sagra di giugno (citata nel pezzo del 2003 qui sotto), e dove adesso riposa in pace; poi resta poco più di un chilometro, che per i non competitivi prevede l’attraversamento del festival lungo un tratto sterrato, mentre il tracciato competitivo resta fuori ripartendo per un secondo giro, tutto asfaltato, che si concluderà poi con circa 500 metri in senso inverso rispetto alla partenza, e il reingresso nel festival.
Arrivo, a mio parere, non molto felice, causa due curve a 90 gradi negli ultimi 150 metri e un asfalto con irregolarità; ma capisco che si sia voluto evitare lo sterrato, che sarebbe stato anche più pericoloso. Dunque, partenza precisa alle 10 della competitiva (stavolta, è ovvio, i partéss prémma non ci sono, e direi nemmeno gli infiltrati, quelli che pagano la non comp e fanno la comp – altro discorso per forse un centinaio di preiscritti che non avevano pagato e non sono venuti): la voce ‘storica’ (vedi sotto) di Brighenti ci accompagna almeno dalle 8,30 di mattina e proseguirà per tre ore buone; ci sono vari politici, l’Assessore Bello e l’Ex Assessore Brutto, e altri (che, sono sicuro, si “mettono a disposizione” per una candidatura alle prossime elezioni), che però non avranno la mia citazione tranne il Sindaco emerito Gozzoli, che da sportivo autentico prende il via e come al solito lo reincontro al mio arrivo quando lui sta defaticando. Giornata splendida e nemmeno fredda, noi del ‘terzo settore’ ci godiamo le stradine e nel finale proviamo pure a sprintare, con un occhio al cronometro che sentenzia un’incredibile rush ai 5:16 /km, e l’altro occhio al cardio che spaventa indicando 177. Ma per Gianni, è giusto che il cuore batta un po’ di più.
Chi non si è stancato e ha i capelli un po’ grigi, si rilegga adesso il pezzo di quindici anni fa (per un giornale non sportivo), intitolato: Madonnina da un quarto di secolo significa grande podismo - La “Classica” è un esempio, ma non c’è solo quella
Passata la boa delle nozze d’argento, lo scorso 26 gennaio si è celebrata la 26^ “Classica della Madonnina”, una gara che, inizialmente considerata poco più di un prologo, l’ultimo allenamento utile prima della “Corrida” del 31 gennaio, col passare degli anni si conquistata una sua autonomia e un prestigio in ambito nazionale, che le garantiscono la partecipazione di atleti di assoluto valore. Così, il successo del 2003 ha arriso al padovano Ruggero Pertile, un ventottenne padovano allievo del grande Salvatore Bettiol, con un vantaggio di un solo secondo sul bresciano Fabio Rinaldi: entrambi gli atleti vantano vittorie e piazzamenti di rilievo in maratone di alto livello, e non è la prima volta che la Madonnina serve come rampa di lancio per corridori di razza. Anche tra le donne, la vincitrice Gloria Marconi e la seconda, Lucilla Andreucci, vantano successi di prestigio, titoli italiani e maglie azzurre. E chissà che non si vesta d’azzurro, prima o poi, anche l’ottava assoluta, la formiginese Laura Ricci, che pilotata da papà Dino, sempre più spesso, non solo gli arriva davanti, ma si fregia del trofeo di miglior modenese in gara… Ma la Classica della Madonnina non è solo la gara di elite, per supercampioni che si scannano in caccia di premi: no, in una Modena dove le corse competitive hanno vita grama (avere duecento iscritti sarebbe considerato un successo enorme), su questo circuito di 12,4 km si sono misurati più di cinquecento uomini e ragazzi, compreso il tassista di Cittanova Carlo Casarini (classe 1941), che ha finito la corsa nel rispettabile tempo di un’ora e un quarto; o il modenese di San Donnino Giancarlo Roversi, classe 1939, 1.03. Il podismo è lo sport che consente di far incontrare campioni e tassisti, keniani e pacifici pensionati, vecchi e giovani: dalle classifiche per categoria, puntualmente pubblicate dalla società col supporto tecnico di Championchip (azienda olandese di rilevamento elettronico con concessionaria a Parma), troviamo che il primo della categoria Master ultrasessantenni, il parmense Luciano Balestrieri di 62 anni, ha impiegato 51 minuti (volete un confronto? il sottoscritto ne ha messi più di 58); il secondo, un correggese del 1938, appena un minuto in più; il quinto, un altro parmense del 1934, ha finito in 56 minuti, battendo allo sprint il “giovane” formiginese Enzo Gibellini, “soltanto” quarantaseienne. In più, oltre ai 500 competitori, in quella fredda ma soleggiata mattina di gennaio sono arrivati (anche dalla Toscana e dalla Lombardia) più di duemila corridori non agonisti a misurarsi su percorsi da 3 a 12 km: molto suggestivo il più lungo, che dirigendosi verso Modena ovest lungo la via Barchetta arrivava al nuovo ponte ciclabile per Campogalliano, e senza attraversarlo piegava a sinistra per un lungo tratto d’argine del Secchia, per poi ridiscendere e, passando per i Tre Olmi e Freto, tornare alla Madonnina. La soddisfazione generale nasce dal fatto che i dirigenti della Madonnina sono tutti podisti, gente che da decenni, settimana dopo settimana, calpesta gli asfalti della provincia e di tutta Italia, e sa di cosa ha bisogno il corridore: percorsi chiusi quanto più possibile al traffico delle auto, ristori abbondanti lungo il percorso (specie per il settore bevande calde quando fa freddo: e possiamo garantire che il tè della Madonnina il più carico e gustoso dell’annata), la garanzia di una certa disciplina (cioè no alle cosiddette partenze anticipate, un male che dalla vicina Lombardia si sta diffondendo anche dalle nostre parti), ordini d’arrivo precisi e premiazioni adeguate. E se la Classica il vertice, altre manifestazioni durante l’anno vedono protagonisti capitan Gianni Vaccari e i suoi luogotenenti in veste di organizzatori: tra queste, arriva quest’anno alla 14^ edizione la camminata della sagra di Freto, nel pomeriggio del 15 giugno. E quando ne hanno abbastanza di organizzare, i podisti della Madonnina corrono: molti sono i maratoneti, alcuni dei quali (come Fabio Roccato e Paolo Calamai) hanno ottenuto anche piazzamenti di rilievo in maratone di livello nazionale e internazionale; molti altri (dallo stesso Vaccari alla “pulce degli Appennini” Romano Merighi, dal rigoroso Luigi Buldrini alla bella tabaccaia Daniela Montanari) sono onesti corridori, che arrivano sempre e qualche volta con onore. Quell’onore che poi tocca spesso, durante le manifestazioni più prestigiose in giro per l’Italia, a un altro figlio della Madonnina, quel Roberto Brighenti conteso ormai dai grandi organizzatori come speaker degli eventi più memorabili. L’unico peccato è che Brighenti andava forte pure lui, e invece oggi è costretto dalla sua bravura a restare inchiodato al microfono per ore e ore, mentre gli altri corrono.
“Ma voi, ai vostri atleti, pagate l’ingaggio?”. La risposta, magari pittorescamente condita da un tàmpel d’Oltrecavalcavia, è che semmai sono i podisti modenesi che … pagano per andare alla Madonnina; e anche i non tesserati accorrono in frotte agli allenamenti che la società programma in terreni collinari (Solignano-Puianello, Valle-Pazzano-Ligorzano) nei fine settimana quando l’attività ufficiale latita: l’ultima volta, il 7 gennaio, in quasi duecento si sono presentati per un warm-up di massa.