Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
Mandelli è apprezzatissimo a Monza! Anche quando non vorrebbe…
Il nostro Roberto Mandelli si avvia ad essere (se non lo è già) il fotografo sportivo più rinomato di tutta la Lombardia. Lo sanno bene i lettori di Podisti.net, ma lo sanno anche gli “esterni”, gli organizzatori di gare e i giornali. I quali talvolta trovano indispensabile, e molto comodo, ricorrere a sue foto per documentare eventi locali. Tutto bene, salvo che ‘dimenticano’ di citarlo come autore delle foto che pubblicano.
Memorial Giorgio Molteni 2017
L’ultimo caso è di oggi 29 agosto e chiama in causa il “Giornale di Monza” online: nell’annunciare il “Memorial Molteni” di domenica 2 settembre a Carate, con particolare attenzione ai disagi del traffico auto, apre con una foto dei concorrenti sulla linea di partenza.
Bene, perché la foto è presa dal servizio su Podisti.net relativo alla prima edizione del 29 aprile 2017; peccato che siano state artatamente (cioè volutamente e con intenzione di appropriazione indebita) ritagliate le sovraimpressioni da cui risultava che la foto è di Mandelli ed appartiene a lui e alla nostra testata.
A questo punto, stiamo a vedere se il “Giornale di Monza” darà a Roberto quel che è di Roberto: lo chiediamo con le buone…
...e, come direbbe Totò, tomo tomo cacchio cacchio il "Giornale di Monza" ha sostituito la foto: piuttosto che riconoscere il suo debito verso Mandelli, ne ha messa un'altra, che non si sa di chi sia.
E la chiamano deontologia.
Pavullo (MO) - il 34° Giro delle 4 Torri chiude il Circuito del Frignano
26 agosto - Si conclude in maniera degna, sebbene con un colpo d’occhio di partecipanti inferiore all’attesa, il 9° Circuito del Frignano, campionato provinciale Uisp di corsa in montagna che ha messo insieme 11 gare disputate nell’appennino modenese tra la fine di maggio e quest’ultima domenica di agosto.
I competitivi classificati a Pavullo sono stati 202 (39 le donne), ed è una cifra mediamente superiore a quelle registrate nelle gare consorelle; circa 800 i non competitivi, col maltempo della giornata precedente che ha forse dissuaso una parte degli habitués del coordinamento modenese: e vogliamo azzardare che una metà dei non agonisti sia partita in anticipo? Lodevoli poi, anche se non affollatissime, le serie sui 500 e 1000 metri offerte ai ragazzi dai 6 ai 17 anni (ma forse per i più grandicelli si potrebbero prevedere distanze un tantino più impegnative).
La gara principale era misurata in 14,5 km (il mio Gps dà 14,2), con un dislivello in più e in meno di circa 400 metri; le “quattro torri” sarebbero le 4 principali alture del percorso, che spazia tra i 674 e gli 850 metri s.l.m. (questi ultimi raggiunti allo storico castello di Montecuccolo, cui si accede per una mulattiera ciottolata che dovrebbe fare parte dell’antica via Vandelli, la prima transappenninica carrozzabile modenese).
Percorso (per almeno un terzo non asfaltato) ottimamente segnalato, con abbondanza di addetti nei pochi attraversamenti, tre ristori più il consueto ricchissimo quasi-pranzo finale comprensivo di caffè preparato all’istante. Insomma, 34 edizioni hanno conferito agli organizzatori una eccellente qualità di allestimento, e garantito un discreto ritorno in sponsorizzazioni oltre che abbondanti premiazioni di società e individuali (ai consueti prosciutto e formaggio parmigiano si sono aggiunte le scarpe da running per i primi e le prime tre). L’unico neo, che dipende dal tumultuoso sviluppo urbanistico della cittadina, restano i parcheggi selvaggi e non assistiti, a parte le poche decine di posti disponibili vicino all’ingresso dell’impianto sportivo. Adesso che c'è un sindaco nuovo e 'di rottura' rispetto al passato, vedremo se cambierà, ma ormai la cementificazione è compiuta e i semafori sono fin troppi e fastidiosi.
La classifica individuale vede al primo posto assoluto Marco Rocchi della MDS in 53:39, allo sprint su Riccardo Tamassia battuto di due soli secondi, e con un minuto sul terzo Andrea Aragno. Senza storia la gara femminile, come accade da queste parti (Modena-Reggio-Parma-Garfagnana, per tacere del Trentino) ogni volta che prende il via Isabella Morlini: diciottesima assoluta, pochi secondi sopra l’ora, due minuti netti sulla promessa locale Francesca Giacobazzi, poco meno di tre su Laura Ricci. Forse, passare un mese ad arrampicare e correre in montagna è più produttivo che rimanere tutta estate nella bassa a rastrellare premi e premiuzzi.
Le classifiche generali del Circuito del Frignano, come posso grossolanamente argomentare con carta e penna (in attesa delle proclamazioni ufficiali), vedono Rocchi, secondo fino a ieri, conquistare il primo posto, dal momento che dei suoi rivali più vicini, Bernardi era assente a Pavullo, Gentile è arrivato 6°; e la Ricci vincere la classifica femminile incrementando il vantaggio sulle inseguitrici Boschetti, Gualtieri e Donnini, oggi tutte oltre la quinta posizione: sebbene per un complicato gioco di "bonus" alla fine siano solo 3 i punti che separano la Ricci dalla Boschetti.
“Corro per Elio”, in un ricordo che non può estinguersi
Venerdì 7 settembre Pioltello ricorderà sportivamente Elio Bonavita per la quarta volta: la “Corro Per Elio” prenderà il via alle 18,30 su due percorsi da 6 e 3 km: la quota di iscrizione di 7 euro sarà ben spesa, perché oltre a dare diritto al pacco gara e a una t-shirt (per i primi 500 iscritti) andrà interamente a finanziare progetti di beneficenza.
Tutto nasce dalla forte iniziativa della famiglia di Elio, un “sole” (come indica il nome), che non può tramontare, sebbene quel maledetto giorno di marzo del 2015 abbia spento irreversibilmente la vita di quel ragazzo quattordicenne di Villasanta che stava andando al parco di Monza a giocare per la sua squadra di calcio, la “Dominante”, ma si è trovato in mezzo a un incidente innescato da Suv guidati a folle velocità (117 all’ora). La mamma di Elio ha passato mesi o meglio anni in ospedale; i due responsabili se la sono cavata con molto meno (includendo l’omissione di soccorso, che è imperdonabile anche più di un incidente, hanno pagato il loro debito con un paio di anni “figurativi” di carcere), e sicuramente adesso pilotano di nuovo le loro maxi-auto ; le assicurazioni, il patteggiamento e il condonismo standardizzato in Italia hanno provveduto al resto.
Alla famiglia e agli amici, ai compagni di scuola e di squadra non resta che tenere vivo il ricordo del loro Elio, con lo sport come piaceva a lui: ecco la ragione di questa corsa; molto più che una tapasciata. E’ lo sport più forte della morte e dell’ingiustizia.
Il Volantino:
Mezzolombardo (TN) – 10 miglia del Teroldego
11 agosto - Il Teroldego (accento rigorosamente sulla ò) è un vitigno di antiche origini e dalla discussa origine del nome: c’è chi lo connette al Tirolo (“Tiroler Gold”, oro tirolese: strano nome per un vino rosso), sebbene i chimici sostengano che abbia parentele genetiche con uve quali la Marzemina e la Lagrein, di origini addirittura medio-orientali come l’amore bello e impossibile di Gianna Nannini. Sta di fatto che oggi il vino scaturito da queste uve è appannaggio della cosiddetta Piana Rotaliana, ovvero un territorio a ovest di Trento, nelle valli d’Adige e di Noce, tra Molveno e la Val di Non per intenderci. Qui, nella cittadina di Mezzolombardo, alle 18 di sabato 11 è partita la “10 miglia”, competizione pressoché in piano tra i vigneti: premio garantito, una bottiglia di vino e mezzo chilo di pasta, e a fine gara un piatto di pasta ed un bicchiere del vino in questione (questo almeno era promesso dal sito ufficiale, ma sembra che il vino non sia apparso per niente, salvo che non si insistesse in modo vigoroso... siamo in regione autonoma, ma certi vizi dell'Italietta sono penetrati).
Gara frequentata ovviamente da corridori locali, ma data la stagione, oltre che il prestigio della manifestazione, anche ‘visitata’ da corridori foresti. “Mezzo foresto” è il vincitore, Ousman Jaiteh, tesserato per il Trentino Running Team, che ha concluso in 53:52; alquanto “decentrato” il secondo, il pugliese Francesco Milella (Daunia Running, peraltro habitué di queste contrade), giunto a quasi tre minuti ((55:30), davanti al trentino Alex Cavallar (56:08), che ha preceduto una schiera di corregionali. In campo femminile cast di grande prestigio, regolato dall’eterna giovinezza della reggiana Isabella Morlini (non ne diciamo l’età, ma la classifica ufficiale dichiara la categoria SF 45), che al mattino scala le montagne e verso sera per rilassarsi va a correre: e ha vinto in 1.05:07, 48 secondi prima della locale Federica Stedile, e due minuti esatti davanti all’altra trentina (SF 50 !) Simonetta Menestrina. Quinta un’altra atleta di prestigio, l’ultramaratoneta Monica Carlin, coetanea della vincitrice. Galline vecchie (sia detto con l’ammirazione di uno ancor più vecchio) che sanno fare un brodo più buono di tante pollastrelle. Se poi (secondo l’usanza emiliana ben nota alla professoressa Morlini) il brodo, nel quale magari galleggeranno canederli, sarà “in vino”, cioè irrobustito nel piatto da un bicchiere di Teroldego, sarà una goduria in più, da insegnare (insieme alle tecniche di corsa) ai discendenti di Cesare Battisti e Alcide De Gasperi.
Songavazzo (BG) – 3° Magut Race
Ce ne sono tante, di manifestazioni strampalate e dai dubbi rapporti con lo sforzo atletico, che al confronto questa manifestazione cosiddetta “goliardica” vale la pena di segnalarla. Se non altro per il nome dell’ideatore, Mario Poletti, bergamasco di Fiorano al Serio, plurititolato sky-runner, detentore del record del Sentiero delle Orobie, vincitore della Monza-Resegone in compagnia col suo vicino di casa (di Gazzaniga) Zenucchi.
Gara particolare, la si direbbe quasi uno sprint data la lunghezza di150 metri , però aggravati da 50 metri di dislivello e soprattutto da percorrere (ecco qui la ragione del titolo, il lombardo magutt cioè ‘muratore’) portando sulle spalle un sacco di cemento da 25 kg messo a disposizione dall’organizzazione. E’ arrivata nella pineta di Songavazzo una settantina di atleti, provenienti da tutto il nord Italia,che si sono sfidati tra due ali di spettatori disposte ai lati del tracciato.
La vittoria è andata al campione in carica Paolo Visini, che ha completato il tracciato fermando i cronometri su 1’56”, un secondo in meno del tempo che gli era valso la vittoria lo scorso anno e che quest’anno ha assegnato il secondo posto a Pierluca Armati ; Kristian Pellegrinelli è stato il terzo in 2’07”. Gli ultimi a partire sono stati il recordman di metri di dislivello in salita in 24 h Andrea Daprai (trentino) e appunto Mario Poletti.
Solo due coraggiose atlete si sono messe in gioco, gareggiando con lo stesso sacco da 25 kg (la parità dei sessi si raggiunge anche così, altroché dischi e giavellotti più leggeri come impone la Iaaf). La più veloce è risultata Vittoria Mandelli (4’25”) seguita da Lauretta Morandin (11’28”).
Alla gara ha spiritualmente partecipato un altro Mandelli, il nostro Roberto, che scendendo dalle sue vacanze di Caspoggio ha messo a punto la foto di Poletti che abbiamo collocato in testa.
Tra Carpi e Guastalla, per spegnere l’afa…
3-4 agosto - Siamo rimasti in pochi nelle città emiliane a beccarci i 38 gradi di inizio agosto. Ma chi è rimasto consulta ansiosamente i calendari podistici per sapere dove sudare al tramonto…
Non che molti lo rimpiangessero, ma in mancanza di meglio è tornato “Al giir ed Quartirol” (due i ma solo una o: coerenza vorrebbe che si scrivesse anche Quartirool), che l’anno scorso aveva ceduto sotto la scure della circolare Gabrielli o per dire meglio dei suoi occhiuti applicatori (ripeto che la circolare non riguarda le corse, ma le feste, i concerti ecc.; eppure è stata un pretesto per taglieggiare anche il mondo del podismo).
- Dunque, 19° appuntamento in questa parrocchia al limite meridionale di Carpi città, ormai inglobata dal centro ma che da un lato si apre sulla campagna. Giro già ritenuto il più brutto di tutta l’annata modenese, circuito di 2,2 km tra fabbrichette, ditte di trasloco, negozi più o meno etnici; ma che quest’anno era annunciato in veste rinnovata, con partenza “dal parco delle Regioni” e tracciato “in parte sull’argine canale”. Uno pensa a un parco e a un argine… poi va là e scopre che il parco è il solito campo sportivo dietro la chiesa, con qualche albero ai lati; e il canale di bonifica, quello oltre il quale si aprirebbe la campagna aperta, non solo non ha un argine, ma non verrà nemmeno toccato: per circa 300 metri la strada gli corre a fianco, e nessun ponticello né arginello si erge per farci passare dove si respirerebbe. Anzi, l’asfalto è stato in parte rinnovato, appena messo, ed emana calore supplementare rispetto ai 35 gradi dell’aria. Giro nuovo? Semplicemente in senso inverso rispetto al precedente, con un vialone in meno e qualche stradetta in più: 2 km da percorrere quante volte si desidera. Alla partenza, per dire molti, saremo in 150, ma per strada c’è già un sacco di gente che corricchia o cammina, e perlopiù si ferma dopo un paio di giri. Qualcuno corre sul serio, come in rappresentanza di Morselli il suo scudiero reggiolese Mirco Ferrari (foto 318), o i carpigiani Carlo Gabbi (foto 360) e soprattutto il mitico Antonino Caponetto (foto 254, 258, 359); Francesca Braidi e marito completano l’educazione dei pargoli portandoli entrambi a correre (foto 404); Mastrolia adocchia due simil-straniere (non podiste) dalle ammiccanti scollature, ma alla fine si riduce a fotografare Caponetto. Le foto di Teida sorprendono atteggiamenti medicalmente preoccupanti di qualche vecchia volpe (foto 219), e altre vecchie volpi che seguono ansimando una pink lady vestita di tutto punto (74, 312, 358), in corsa e nel dopocorsa, che non vada in pericolo (ma ce l’ha lo spray urticante?).
Premio finale, la cinquantesima borraccia di plastica da aggiungere alle altre che non userò mai. Ma anche oggi abbiamo assolto il dovere sociale e consumato 5-600 calorie.
SERVIZIO FOTOGRAFICO DI TEIDA SEGHEDONI
- L’indomani, si passa ancora da Carpi per raggiungere (attraverso una serie insidiosa di autovelox chiaramente a scopi monetari) una specie di Rio Bo della bassa reggiana, San Rocco di Guastalla, quasi alla foce del Crostolo in Po: zona d’influenza di Morselli, che infatti dall’Egitto telecomanda il suo Mirco Ferrari; come viene Gelo Giaroli disposto ad alleviarmi la pena di ben 11 km con 32 gradi; un certo numero di mantovani (viadanesi soprattutto, col neo-presidente e la canotta nuova), e a sorpresa parecchi modenesi capitanati per il lato-segreteria da Peppino Valentini, per il lato immagine dalla Teida, e per l'aspetto della gloria sportiva dal Micio Cenci.
Giro, questa volta, lunghetto ma gradevole: l’argine promesso viene in effetti mantenuto, dal basso ci regala una graditissima ombra, e dall’alto lascia vedere i campanili dei paeselli vicini che hanno allevato i Baldini: Castelnuovo di sotto, Meletole Poviglio Santa Vittoria… Con Gelo rievochiamo, anche per mettere alla prova l’esperienza podistica degli eterni sposini Alle-Simo, le corse che si facevano e non si fanno più: la 21 di S. Vittoria, la sagra del pesce di Meletole, il retrorunning di Poviglio…
Ben quattro ristori dotati, se Dio vuole, di acqua da bere deliziosamente fredda; che ritroviamo al ristoro finale, all’ombra di una vecchia scuola probabilmente dismessa, dove un addetto con tagli netti e sapienti da macellaio antico affetta cocomere pure esse freddissime, distribuite a volontà (io che sono moderato ne prendo solo tre fette). Per 2 euro di iscrizione, premio di una bottiglia di vino dall’intitolazione promettente: alla prova dei fatti, l’enologo carpigiano Torricelli ci dirà se era buona. Scende pacificamente il tramonto, e la zona si anima dei molti che vengono alla cena all’aperto: questa volta, i Gps ci indicano che abbiamo speso un migliaio di calorie, si può trasgredire un po’ di più.
SERVIZIO FOTOGRAFICO DI TEIDA SEGHEDONI
Il “gioco cretino” non impedirà l'Europeo di Daisy!
Aggiornamenti positivi, almeno sul fronte principale del caso-Daisy, cioè della sua salute e della possibilità di gareggiare agli Europei.
Sono stati rapidamente identificati gli autori del lancio di uova a Daisy Osakue, colpita ad un occhio dagli occupanti di un’auto in corsa. Si tratta di tre ragazzi italiani abitanti nella cintura torinese, a Vinovo, La Loggia e Moncalieri, che per compiere la loro furbata si sono serviti dell’auto del padre di uno di loro (è filtrato il cognome, De Pascali, e l’età del figlio, 19 anni).
Non era la prima volta che i bulletti (pare addirittura sette) compivano azioni del genere: già ci avevano provato pochi giorni prima ai danni di un’altra persona, a Moncalieri, e altre volte (pare sette in tutto) in luoghi diversi. Purtroppo per loro, le nostre strade sono piene di telecamere; da queste si è risaliti alla targa, al proprietario e agli utilizzatori.
Cretini non una volta (per l’azione compiuta), ma almeno tre, per la serialità del fatto sempre a bordo della stessa auto, e perché non si erano nemmeno premurati di cancellare le chiazze di uovo rimaste sulla fiancata. Diciamo pure, settanta volte sette: il loro livello intellettuale è evidentemente pari a quello di coloro che compiono reati, li filmano e li mettono online. Ma al cosiddetto esame di “maturità”, promossi con elogi.
Creda chi vuole alla balla messa in giro dall’avvocato difensore di questi “ragazzi normali”: "Si sono spaventati, hanno pensato anche di costituirsi ma gli inquirenti li hanno preceduti” (che peccato, sembra di sentire Jannacci “Quelli che perdono la guerra... per un pelo, oh yeah!”). E per conferme sul livello intellettuale, ecco la motivazione: "Un gioco cretino che abbiamo visto in tv" (al confronto, gli “Amici miei” che schiaffeggiavano i partenti sul treno meritano il Nobel della pace). Come ha detto il sindaco di Vinovo (residenza dell’ “autista” del misfatto), questi ragazzi “ogni tanto non accendono il cervello e fanno azioni di una totale idiozia".
I tre sono stati denunciati per lesioni e omissione di soccorso, naturalmente a piede libero; e chissà se metteranno mai piede nelle patrie galere, o meglio, nei campi di rieducazione che sarebbero il luogo più adatto per loro. C’è tanto da lavorare in Italia, dalla raccolta dei pomodori alla pulizia dei servizi igienici negli edifici pubblici, dal servizio nei ricoveri per anziani allo scavo con piccone nel tunnel della Tav, che sarebbe un peccato lasciare questi giovanotti a casa propria, magari a esercitarsi con le freccette e a postare tweet di “chiedo scusa”.
Rispetto a questi impuniti (l'aggettivo è il più calzante per loro), importa molto di più la sorte di Daisy (studentessa di legge, che scopriamo aver praticato in gioventù anche la corsa a ostacoli, con successi in campo nazionale). Ed ecco l'atteso comunicato della Fidal, diramato oggi 3 alle 11,50, e che vi riproponiamo:
"Daisy si è sottoposta questa mattina ad una visita di controllo presso l'Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI a Roma. Questo è il referto redatto dal prof. Antonio Spataro, Direttore Sanitario dell'IMSS.
"Il controllo oculistico effettuato dall'atleta Daisy Osakue presso l'Istituto di Medicina e Scienza dello Sport del CONI, in data odierna ha documentato un miglioramento del quadri clinico che consente la sospensione progressiva della terapia cortisonica e la partecipazione ai Campionati Europei di atletica a Berlino".
In virtù di questa comunicazione, la primatista italiana under 23 di lancio del disco farà regolarmente parte della squadra azzurra che domani, venerdì 4 agosto, partirà per la rassegna continentale in Germania (6-12 agosto)
Alleluia! Sperando che questo non alleggerisca la posizione dei tre impuniti di cui sopra. "Falce, vanga e fonderia / questa la cura per "ecc. ecc., era un murale affisso all'università di Bologna nel Sessantotto.
Per quanti si collegassero solo oggi, riprendiamo il nostro pezzo di ieri, aggiungendo che si unisce alla trepidazione Sebastiano Scuderi, il quale pochi minuti fa ci ha scritto su Daisy, da lui personalmente conosciuta:
Per anni mi sono allenato sulla pista della Sisport e l'ho vista iniziare i primi passi nel campo appositamente attrezzato per i lanci con la grande Maria Marello. Prima di lei ho conosciuto Zahra Bani, altra 'colorata' e i suoi tre fratelli meno noti, a Giaveno coi Padri de La Salle, e Kevin Ojiaku a Ivrea, Marouan Razine a Rivoli, Bencosme de Leon a Cuneo, eccetera: l'atletica è la culla dell'integrazione, anche per questo la AMO
Una prima visita oculistica, eseguita il 1° agosto, ha evidenziato (comunicato Fidal)
“abrasione ed edema retinico importante all'occhio sinistro post traumatico, trattata dallo specialista con terapia antibiotica e corticosteroidea per via locale e sistemica. Venerdì 3 agosto l’atleta eseguirà un controllo oculistico presso l’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport, al fine di valutare se le condizioni cliniche e la terapia in atto siano compatibili con la partecipazione agli Europei di Berlino”.
Perché c’è anche questa sottigliezza degna di azzeccagarbugli: il cortisone che sta assumendo potrebbe farla risultare positiva all’antidoping. Supponiamo però che esibendo la prescrizione medica l’ente antidoping dovrebbe consentire la cura (e ci mancherebbe che la vietasse!).
Purtroppo però non credo che la terapia antibiotica aiuterà l’organismo di Daisy a sostenere efficacemente lo sforzo sportivo: speriamo che la sua forza di volontà, e la cosiddetta adrenalina messa in circolo dall’episodio, possano supplire alle oggettive defaillances fisiche.
In ogni caso, vorremmo Daisy a Berlino. Anche per arrivare ultima, ma su un piedistallo ben più alto di quello dei suoi aggressori “pentiti”.
Davos (CH), chiusa la Swissalpine 2018
Nell’ultimo fine settimana la Swissalpine di Davos, che alla 33° edizione aveva puntato in grande stile su S. Moritz e zone limitrofe, ha chiuso i battenti per il 2018, dando appuntamento al nuovo doppio weekend del 20/28 luglio 2019. I dati ufficiali parlano di 3605 atleti provenienti da 58 nazioni, ma ovviamente gli svizzeri, soprattutto locali o delle regioni vicine, sono stati di gran lunga i più numerosi.
I dati di partecipazione sono confrontabili solo in parte con quelli del 2017, data la diversità delle gare e, in quasi tutti i casi, della sede di partenza: ben lontani appaiono i tempi in cui tutte le corse finivano nella pista sotto il palaghiaccio di Davos. Nemmeno i numeri confortano la smania di cambiamento che ha caratterizzato questa edizione: la gara-clou, quella che sostituiva la leggendaria 75/78 km durata dall’inizio fino all’anno scorso, era diventata di 88 km (altre fonti della stessa organizzazione dicono 85 km), con partenza da S. Moritz, e ha raccolto 300 finisher in tutto (61 donne): nel2017 erano stati 454 (85 donne).
Ha vinto il maiorchino Tofol Castanyer, vincitore anche dell’ultima K 78, in 8 ore e 20, surclassando di ben 48 minuti il secondo. Prima donna, in 9h42, Julia Bleasdale, passaporti inglese e tedesco, ma residente a Pontresina, cioè uno dei luoghi attraversati dalla corsa. I tempi ottenuti dimostrano la durezza della gara, non più popolare presso tutti i tipi di podisti, come nella tradizione.
Era stata allestita anche una super-ultratrail di 127 km, che ha raggranellato al traguardo 113 corridori (di cui 21 donne), con vincitore un altro naturalizzato svizzero, Ramon Casanovas in 15 h 40. Unico italiano al traguardo, il napoletano Gabriele Carbonara che ha impiegato 22h 31. Tra le donne ha prevalso un’altra svizzera, Denise Zimmermann, in 18h 47. Nel 2017 le gare estreme erano due: una 133 km finita da 77 atleti e una 214 km conclusa da 51: se le consideriamo entrambe, troveremo che il risultato del 2018 è numericamente inferiore.
L’unico netto miglioramento negli arrivati si è avuto con la 43 km di Davos-Davos attraverso i passi Scaletta e Sertig, finita da 660 persone (178 donne): primo uomo in 3.10, prima donna in 4. 03. Nel 2017, la 47 km più o meno equivalente era stata finita da 516 corridori. Della scarsa partecipazione alla 43 di “Prologo” a Samedan ho già scritto; nel frattempo è uscito il report di Birgit Fender che allego qui:
https://www.marathon4you.de/laufberichte/swissalpine-irontrail/der-neue-k47/3425
Tra le altre gare, l’unica che ha registrato una cifra consistente di arrivati è stata la 23 km, con 654 finisher contro i 608 del 2017: ma è chiaro che si tratta di una corsa di contorno.
Vedremo le scelte organizzative dell’anno prossimo se apporteranno qualche modifica a un restyling evidentemente poco apprezzato dagli atleti.
Montorso e Zocca (MO): bei giri e belle signore ai lati del Panaro
28/29 luglio – All’approssimarsi di agosto, le corse in pianura sono rarefatte, con l’eccezione delle poche annesse a feste politiche o religiose (che però si svolgono verso sera nei feriali); gli sportivi che non sono in ferie, inclusa una certa percentuale di agonisti che rinunciano alle ferie pur di non perdersi i premi delle competitive (resi anche più facili dalla ridotta concorrenza) sono instradati in luoghi ariosi, dove i 33° che gravano su Modena diventano 27 o addirittura 24, e la presenza di boschi da attraversare offre invitanti ombreggiature.
Addirittura, nei fine settimana c’è da scegliere tra diverse manifestazioni a poche decine di km: sulle colline o montagne tra Modena Reggio e Bologna, nell’arco di queste 24 ore, ne ho contate almeno sei o sette, con la fatale dispersione dei praticanti.
Ad esempio a Montorso (località nella parte sud-est del comune di Pavullo, a 600 metri di altezza), per la ripresa dopo sei anni di interruzione della “Grota” (così detta dal nome dell’antica mulattiera che porta oltre gli 800 metri, verso l’aria buona di Gaiato che in tempi tristi era stato scelto come sede di un sanatorio), gli organizzatori hanno contato poco più di 150 partecipanti, di cui almeno la metà camminatori, o partenti anticipati fuori di ogni regola.
Il lato più positivo è stato rappresentato dalle gare per bambini, le uniche competitive e premiate, su un percorso ovviamente ridotto e in prevalenza campestre; mentre gli adulti si sono avviati, di corsa o di passo, su un percorso quantificato in 8 km, che il Gps attesta di 8,500 (circa 3 dei quali sterrati o ciottolati) con 240 metri di dislivello. Giro bellino, con intensi scorsi panoramici specialmente quando si raggiungeva Gaiato girando attorno all’ex sanatorio (oggi clinica privata): la vista spaziava fino alle vette di confine con la Toscana, a dire il vero alquanto annebbiate dall’afa; ma si lasciavano ammirare anche diversi edifici, case contadine o piccoli castellucci in pietra viva.
Direi perfetta la regia del comitato sagra (il protettore del luogo è San Vincenzo Ferrer, ausilio contro gli incendi e il colera, e all’interno della chiesa spiccano gli ingenui ex voto dei miracolati), che ci ha coccolato con ben tre ristori a base di squisiti dolciumi casalinghi, cocomere e altro, e premi di partecipazione decisamente consistenti, di fronte al solito prezzo da sussidio di mendicità, 1 euro e mezzo.
Un bravo dunque a Graziano Pattuzzi, ex presidente della provincia ed ex sindaco di Sassuolo, contestato quando era in politica ma adesso, nelle vesti di reuccio di Montorso nonché speaker e cicerone, da approvare senza remore. E bravo e fortunato, perché alla sua gara, in assenza di grandi valori tecnici, è riuscito a far venire alcune signore capaci di attirare su sé vogliosi sguardi maschili e preoccupati sguardi femminili. Come mi diceva Mandelli, gli ingredienti essenziali per il successo di una corsa podistica sono i servizi igienici, il bere e le soffici forme femminili.
La sagra è proseguita, non solo con una frequentatissima cena all’aperto (e devo dire che i parcheggi erano vasti e ben organizzati), ma il giorno dopo con spettacoli e la tradizionale presenza di Cristina D’Avena, “figlia” dello Zecchino d’Oro e dunque anche di due frati francescani originari di queste parti, i padri Berardo Rossi e Gabriele Adani (e aggiungiamoci il leggendario padre Sebastiano da Verica, inventore della nazionale cantanti). Negli anni d’oro, anche padre Berardo era ospite di Montorso; ora che, dal 2013, è ospite del paradiso e dei cori angelici di lassù, Cristina è tuttavia tornata come sempre.
Ma noi podisti, la domenica mattina, passando il Panaro (l’antico confine tra Longobardi e Romani, donde le odierne Lombardia e Romagna), in linea d’aria una decina di km, eravamo emigrati nella patria non solo di Vasco ma anche di padre Gabriele Adani, fondatore dell’Antoniano di Bologna, co-ideatore (come si è detto) dello Zecchino d’oro, grande giornalista e parlatore, scomparso prematuramente nel 1993: a Zocca si è tenuta oggi la 21° edizione della camminata del Monte della Riva (alias Monte Cisterna), un’altura boscosa con santuario a 788 metri che domina – si fa per dire – i 759 metri di Zocca.
La fama podistica di Zocca era stata oscurata, negli ultimi anni, dalla soppressione della leggendaria 50 km Bologna-Zocca (lo sfascio bolognese passa anche da lì), e dall’insorgere prepotente della vicina Rocca Malatina, teatro non solo di una corsa domenicale ma anche di un trail fra i meglio organizzati del calendario regionale. Era rimasta a Zocca questa camminata, come sempre sotto lo speak del Lupo sport, ora inserita in un circuito provinciale del Frignano (cioè dell’Appennino modenese), dotato di ricchi premi individuali, di tappa e finali.
La competizione odierna era contrastata da un’altra in territorio bolognese, a una ventina scarsa di km, che si era spostata di una settimana rispetto alla data prefissata; poi, da un trail sull’appennino modenese, e da ben due gare mattinali e una pomeridiana nell’appennino reggiano. Scorrendo le classifiche, si scopre che più di uno ha fatto la doppietta...: i reggiani che hanno corso mattino e pomeriggio in zona, un po' li possiamo capire. Ma c'è chi ha fatto oltre un centinaio di km, da Zocca a Cerreto Alpi: quando al mio arrivo di Zocca ho visto la rituale vincitrice (su un lotto di ben 22 concorrenti) allontanarsi in fretta dalla zona, in rituale compagnia del papà-manager, senza nemmeno aver preso il rituale prosciutto destinato ai primi – tranquilli, c’è chi glielo porterà a casa -, ho pensato che stesse dando la caccia a un altro 'premio in natura' pomeridiano. A pensar male si fa peccato, ma così è stato: eccola trionfatrice di ben 10 rivali a Cerreto Alpi (gara che ha contato in tutto 38 classificati, con evidenti vantaggi sulle casse degli organizzatori).
Torniamo ai Blaschi nostri: dunque, causa concomitanze, non eravamo in molti ai due nastri di partenza: 86 al primo nastro, dei competitivi da 7 euro (14 per i ritardatari), tra cui una delle splendide signore ammirate la sera prima a Montorso; pochi di più al secondo nastro, arretrato di una ventina di metri, per i non competitivi dal solito euro e mezzo (qualcuno anche da 0,0, come il solito personaggio che corse a sbafo pure a Rocca Malatina con la scusa che partecipava in modo non competitivo, e quando l’ho scritto mi ha accusato di aver diffamato lui e la sua società…).
Percorso che non ricordavo (dicono sia stato modificato rispetto alle prime edizioni), bello, equamente ripartito fra asfalto e sterrato, molto ombreggiato, in buona parte corribile anche dagli scarsi, per un dislivello complessivo di 300 metri, e due piccole cime-Coppi (bè, facciamo cime Aru o Pozzovivo) nel ben restaurato borgo di Montalbano e nel citato Monte della Riva (diffidate però della fontanella collocata sotto la cima: è acqua di acquedotto e molto trattata).
Tre ristori, uno dei quali frequentato due volte, tanto da vedere la bottiglia di lambrusco (accessoria rispetto a tè ed acqua) piena circa per metà nel primo passaggio, ma con l’ultimo centimetro in fondo, nel secondo passaggio. Vino anche come premio per i competitivi (a parte i prosciutti di cui sopra e altri premi in natura, ben 41 in totale cioè grosso modo uno ogni due concorrenti: e, senza fare l’uccello del malaugurio, non sarebbe la prima volta che certi organizzatori largheggiano troppo in premi, poi chiudono di punto in bianco), latte per i non competitivi.
Lezione di antica civiltà contadina: a fianco dell’arrivo, incredibilmente, un barbiere (locale!) è aperto, come negli anni Cinquanta, e lavora a tutto spiano (mentre i ricchi barbieri di città tengono chiusi domenica e lunedì, poi magari si lamentano della concorrenza terzomondista). Suona la campana per la “funzione”, come dicono qui, cioè la messa. Anche noi podisti abbiamo santificato, a modo nostro, la festa. C'è anzi, come si diceva, chi di messe (con annesse eucarestie) ne ha prese due...
Samedan (CH) – 33° Swissalpine Marathon – T 43 “allegra”?
21 luglio - Podisti.Net era nato da pochi giorni, e diciannove anni fa andai per la prima volta a Davos per correre la Swissalpine. Me l’aveva raccomandata un meraviglioso ingegnere bolognese, che anzi mi portò lassù con la sua auto, una Volvo che faticava alquanto in salita, ma arrivava comunque.
Da principiante, quell’anno corsi “solo” la maratona, mentre l’Ingegnere, un anziano alpinista e dirigente del CAI, si cimentò come sempre nella mitica 78 km. Dall’anno dopo, mi buttai anch’io nella K 78, e ci portai tanti amici nel corso del tempo. Tutti ne tornarono entusiasti, e fin dal primo momento giocai la mia credibilità mettendo Davos al primo posto delle corse che uno non può perdere, a pari merito con un’altra corsa, sperimentata dal 2000: la Jungfrau Marathon di Interlaken. Così ne scrissi.
31-7-1999
Davos, 31 luglio: la fine del mondo
Prima di morire, tutti devono andare a Davos, alla Swissalpine Marathon: non è necessario fare i 78 km del percorso intero, che pure hanno attratto anche quest’anno più di mille partenti; ma “basta” una maratona di 42 (altri 900 partenti), con due cime di 2600 metri da scalare dopo la partenza dai 1350 metri e prima dell’arrivo (a Davos appunto) a quasi 1600. E c’è anche la maratona a staffetta (3 componenti), e la 30 km quasi pianeggiante, oltre alle gare per bambini. Panorami da togliere il respiro, organizzazione perfetta (incluso il servizio ferroviario gratuito per i vari punti di partenza e per il ritorno), tifo incredibile -anche in alta quota - anche i pastori!-, classifiche esposte meno di mezz’ora dopo l’arrivo di ciascuno. Una delle cose più incredibili è che tra gli organizzatori ci sono le Ferrovie retiche e le Poste: ve l’immaginate voi, in Italia? Neanche su quella rivista patinata, dove un paio di mesi fa è stato scritto che una maratona in Svizzera bisogna programmarla un anno prima, vorranno credere che si accettavano iscrizioni anche la mattina della partenza.
Da andarci assolutamente. Dicono che meglio ci sia solo la maratona della Jungfrau, guarda caso sempre svizzera.
Da quel momento e per ora, nella personale classifica di partecipazioni Davos batte Interlaken 9 a 7: ci sarei andato molto più spesso (all’inizio di ogni anno, sono i due primi nomi a essere scritti nell’agenda dei desiderata), ma i casi della vita costringono talvolta a prendere decisioni diverse, e spesso la curiosità per lunghissimi di montagna organizzati in Italia mi ha spinto a restare in madrepatria.
Ma perché più a Davos che a Interlaken (sinonimo di perfezione assoluta)? Perché a Davos c’è una abbondanza di scelte, dapprima tra 78 e 42 km, poi con l’aggiunta di altre 42 disputate in contemporanea su percorsi diversi (volta a volta chiamate K 42, C 42, S 42, L 42 ecc.), e una 30, e una 21, e una staffetta ecc. ecc. Negli ultimi anni, pure una 214 e una 133, che non mi sogno certo di fare, perché vorrei correre per divertirmi e non per aggiungermi una medaglia su un petto da gerarca sovietico antico.
Avrei voluto correre per l’ultima volta la K 78: ma quest’anno è stata soppressa, forse perché i 455 finisher del 2017 sono stati ritenuti troppo pochi. Al suo posto, c’è (ci sarà) una 88 km, con dislivello molto accresciuto e la partenza da San Moritz; e, se non bastasse , una 127 con partenza da Samedan. Tutte assegneranno punti per l’UTMB (anch’io, senza cercarli, qui ne ho fatti 3): ma non vorrei che questa rincorsa crescente alle difficoltà, all’allungamento, al sovrumano, restringesse i partecipanti a una élite sceltissima (quella che poi, come dice Mainini senior da Reggio Emilia, dopo cinque anni smette con i menischi consumati e i legamenti a pezzi), lasciando a casa i podisti normali. A Davos e Interlaken ho sempre corso con le scarpette da asfalto, come tutti i mei amici, senza problemi. Adesso sta diventando impossibile.
Ma anche i numeri di una volta stanno diventando una chimera per gli organizzatori, e forse qui sta una causa della rincorsa ai cambiamenti: intanto, questa T 43, dichiarata in due diverse pagine del sito di 42,9 ovvero di 43,5 km, con 2574 metri di dislivello, è stata conclusa da appena 109 persone (+ 11 ritirati). L’equivalente del 2017, la L 43, aveva visto al traguardo 134 podisti. D’accordo, questo era chiamato “prologo”, in sostanza un collaudo pionieristico del percorso che costituirà la prima metà della K 88 prevista la prossima settimana; ma non so quanto convenga, a chi allestisce, il mettere in piedi una macchina che in questo penultimo sabato di luglio ha convogliato in zona (tenendo conto anche dei percorsi minori di 29 e 16 km) solo 250 sportivi. Nemmeno il gradimento dei podisti è come una volta: se nel 2017 il consueto referendum tedesco ha messo Interlaken al secondo posto assoluto (dopo il Rennsteig di Eisenach, la “Davos tedesca”), la Davos svizzera è scivolata al 53° posto, solo settima tra le 20 elvetiche votate.
Ci sono andato, ripeto, per nostalgia e per curiosità: il nuovo tracciato mi mancava, non ero mai stato in questi posti (di Davos si sente solo il nome e il profumo, ma non lo vediamo mai nemmeno dall’alto delle due cime principali che dobbiamo salire), il nome di Samedan (accento sulla E, o se volute dirlo alla ladina Samàden) è già noto agli appassionati per la 25 km di mezzo agosto: insomma, ci sono le garanzie per essere soddisfatti.
A dire la verità, dalle istruzioni si poteva dedurre qualche avvisaglia che non tutto sarebbe stato come al solito (a parte i costi di iscrizione, al livello o quasi delle gare maggiori, vale a dire fino a 127 euro compresa la cresta del mediatore di iscrizioni: però coi tradizionali benefit, come il transito gratuito per una settimana su tutti i treni svizzeri): tre ristori segnalati in tutto su 43 km, cui veniva assegnato un tmax di 10 ore (segno che non si trattava di una banalissima, atleticamente parlando, maratona di Roma o New York), e in questi ristori l’unico nutrimento solido garantito erano le banane; la sola bevanda calda era data come disponibile al km 30. Eppure, i materiali obbligatori (in realtà, mai controllati) erano esclusivamente un impermeabile e una borraccia d’acqua: nessuna richiesta di barrette o frutta secca o simili.
Comunque, si parte, a un orario comodo (le 10, poi divenute per strani motivi le 10,08) anche per chi arrivasse in giornata senza spendere per alberghi. Il meteo (che in Svizzera è il più preciso d’Europa) prometteva deboli piogge a partire dalle 11, con possibili rovesci pomeridiani e miglioramento in serata; temperatura mai superiore ai 12 gradi, e di 6 gradi o meno alle vette più alte (una quota 2500 al km 9 e un 2600 abbondante verso il km 35, con partenza e arrivo a 1700).
I primi 6 km sono deliziosi, si arriva a un alpeggio-ristorante attraverso una comoda stradina percorsa da ciclisti. Dentro l’alpeggio si mangia, ma (è il primo avviso di cosa ci capiterà nel resto della gara) fuori non c’è niente per noi, salvo un rubinetto da cui fuoriesce un getto d’acqua fortissimo (quelli che servono per lavare dal fango le bici: foto 10-11), difficilmente bevibile.
http://foto.podisti.net/p206883660
Ma quasi nessuno ha sete, il cielo si è già coperto, qualche gocciola comincia a serpeggiare; e ci prende la bellezza del panorama, tanto che sostiamo spesso e volentieri a fotografarci reciprocamente: la bella americana di Denver Desiree, la coppia israeliana Nir e Adi, il giapponese Katsumasa… (foto 14, 16), la tedesca Birgit (foto 23, redattrice della testata tedesca Marathon4you.de, e già più volte alla Swissalpine): ma ancora lunedì sera il suo resoconto non appare, ci sono solo le foto:
https://www.marathon4you.de/laufberichte/swissalpine-prolog/bilder-vom-swissalpine-prolog-t43/3685
Almeno per i primi 30 km sarà un continuo rincorrerci e un chiedere “do you can make me a picture?”, “bitte kannst du mir eine photo maken?”.
Lasciamo pure che i primi guardino il cronometro (l’arrivo sarà quasi allo sprint tra due svizzeri, Bernhard Eggenschwiller dell’85 e il ticinese Gabriele Sboarina, dalla chiara origine veneta, del ’90, in 4 ore e tre quarti; tra le donne, vince in 5h 34 la 39enne svizzera Nina Brenn); noi siamo qui per riempirci gli occhi e i polmoni, e farci un po’ di compagnia vista l’assenza quasi totale di addetti sul percorso (i più numerosi sono i fotografi) e la scarsità di bandelle segnaletiche (quelle ad esempio delle foto 34 e 35). A un certo punto, per vincere il perpetuo timore che mi assale se non vedo segnali, misuro la distanza che c’è tra l’uno e l’altro: sono mediamente 650 metri, decisamente troppi.
Se non altro, le frecce (foto 28) sono ben visibili, ma per l’attraversamento di S. Moritz, tra il km 16 e il 19 (la negazione del trail), bisogna stare davvero attenti. E quando la settimana dopo si correrà parzialmente in notturna, se non decuplicano almeno gli addetti sul percorso rischiano di dover poi ricorrere ai cani molecolari per recuperare gli atleti nei boschi…
I colleghi (partiti un’ora dopo) dei 16 km si staccano sulla sinistra, godendo la loro buona dose di panorami (foto 46-49); noi puntiamo invece sulla perla dell’Engadina, però… il ristoro di S. Moritz è davvero indegno: sotto la pioggia, un bugigattolo 2x2, con un tavolino che offre acqua ormai tiepida (“da doccia, non da bere!”, dico all’addetto), tè freddo e banane. Poco di meglio troveremo al successivo ristoro di Pontresina, dopo altri 14 km (sotto un portichetto, area di metri 3x1,50: foto 21, con Birgit infreddolita, e 22 dove l’addetta non ha voluto apparire in foto: peccato perché era carina): c’è brodo vegetale caldo. Mentre all’ultima Verpflegung del km 38 ritroveremo le solite banane e l’acqua (stavolta inutilmente fredda: stiamo gelando da soli, a quota 2500).
Da S. Moritz si era ripartiti con uno zigzag molto asfaltato (rotatorie comprese) che tra dubbi segnaletici ci portava al casinò e all’hotel Kempinski, poi finalmente per un bel sentiero in moderata salita verso il Lei dals Chods (lago dei polli: chi vuol familiarizzare colla lingua grigionese, piuttosto somigliante al dialetto bolognese, cominci col tradurre i messaggi delle foto 51 e 52; cosa dica il cartello della foto 53 lo capiranno anche i fratelli Elkann e il cane di Vujadin Boskov). Qui al lago c’è un altro rifugio (foto 17, 18), ma neanche un pollo, né vivo né arrosto: l’unica anima viva dopo un tornantino è un fotografo, che mi richiama mentre sto cercando di entrare: dàinter an gh’ai nciàun (o circa…), non c’è nessuno.
Sarà la nostra sorte, come anticipato, pure negli altri due rifugi da cui passeremo (foto 25, 33): bui, sbarrati, nessun addetto, niente da mangiare e nemmeno da bere (neanche una fontanella). Pure il palasport di Pontresina (sul cui frontone campeggia la scritta “Langlauf”, cioè corsa lunga) per noi è muto.
Se dite che era previsto, ebbene sì; se dite che in 127 euro (purtroppo, la nostra moneta è scesa in picchiata rispetto al cambio 2 E = 3 Chf dei bei tempi) potevano starci anche due tavolini con un thermos di tè caldo… ebbene pure. E al km 38, dopo l’ultima salita (foto 39-40), ecco l’ultima banana di cui ho detto, da mandar giù con acqua fresca.
Controlli: un solo tappetino chip al km 16, mentre al 30 un tizio si limita a spuntare il nostro nome sul suo pc, senza prenderci il tempo (per me, lì sono 6 ore esatte): come si è visto, raggiungo Birgit, che mi farà in un certo senso da scorta nella salita bellissima ma durissima (non si chiama Muragl per caso), e altrimenti solitaria, di 800 metri verticali in 5 km tra i paravalanghe: la nostra ‘velocità’ raggiungerà i 26 minuti a km, e ogni tanto guarderò in basso per individuare, sullo sfondo di Pontresina, segnali di vita (foto 29-30-31).
Da qualche cartello escursionistico (foto 27-28) mi sembra di capire che al nostro prossimo rifugio di Muottas Muragl arriveremmo, senza salire in cima, anche per un’altra stradetta, percorribile di passo lento in 1h 45: ma… se ci fosse un controllo? Invece non c’è niente, i truffatori italici di cui parlano le cronache possono attrezzarsi, che qui c’è esca per le loro ambizioni. Invece quella brava gente di Birgit, Nir, Katsumasa, e perfino un Thomas Hunziker sguissero del 1983, se la fanno tutta senza sconti: il Gps di Birgit alla fine darà 43,100, anche se io penso che con tutte quelle nuvole spesso avremo perso i segnale, e che in una salita o discesa verticale a tornanti è difficile che il Gps ti misuri tutte le giravolte.
Ma in ogni favola c’è un lieto fine, quando sulle panchine per turisti affannati comincia ad apparire la consolante scritta “Samedan”, e a noi che scendiamo si presenta la visione prima dell’aeroporto (foto 41-42), poi dei prati adiacenti, e più lontano del campanile (chiesa protestante rigorosamente chiusa, malgrado il cartello dia degli orari di apertura): ma dove sarà il campo del futball (bala-pé in grigionese)? Per rinforzo mentale si abbozza un conto alla rovescia: saranno 3 km? Adesso due? La pista dell’aeroporto sarà 800 metri? La partenza-arrivo è 500 metri sotto il campanile, dunque non può mancare più di un km…
Incrociamo ciclisti che ci urlano “Bravo, es ist geschafft!” (ce l’hai fatta); comincia l’asfalto, ecco il palasport dopo l’ultima curva a destra (foto 43): suona il chip, Gratulationen! Ti mettono al collo la medaglia d’acciaio, infatti con scritta “Irontrail”, ti danno la maglietta da finisher, e restiamo ad attendere i compagni di cammino e di foto: Birgit dopo 10 minuti, Nir dopo 13, Hunziker dopo 16. Ci abbracciamo (“oh my friend blowing in the wind! Lebst du noch?”), ci accomodiamo al pasta party (foto 45), dove il ragù è esaurito e suggeriscono di condire i fusilli col brodo e tanto formaggio. Sembra che la birra sia esaurita essa pure, ma ne portano un bel cartone; mentre ci rifocilliamo, un’oretta dopo, arrivano Chonh Yu e Katsumasa.
Per dirla in lingua grigionese, “Allegra!”.
Chissà se ci rivedremo.