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Maurizio Lorenzini

Maurizio Lorenzini

appassionato di atletica, istruttore Fidal e runner

Lunedì, 10 Settembre 2018 13:48

RunCard : Fidal contro Fidal?

Il recente articolo sulla questione RunCard, pubblicato in seguito ad una lettera di Mauro Marelli:

http://www.podisti.net/index.php/commenti/item/2318-runcard-parente-povera-lettera-alla-fidal.html

induce a ulteriori osservazioni.

Non vi è dubbio che la RunCard sia stata un’invenzione per fare cassa, cosa peraltro legittima se analizzata singolarmente ed isolata dal contesto, ma chi la sceglie decide di risparmiare oppure si tratta di una scelta “concettuale”? Qualcosa del tipo …non faccio agonismo però voglio gareggiare (qui ci vedo una contraddizione di base, ma andiamo oltre) e siccome sono obbligato .... vado di RunCard. I vantaggi che sostiene di dare all’atto pratico sono discutibili o comunque minimi, ma non credo proprio sia questa la motivazione. Invece, appunto, fa risparmiare chi vuole fare gare agonistiche, magari comprando la Runcard tramite gli organizzatori di gare, che abilmente la propongono nel pacchetto iscrizione, si arriva a spendere non più di 10 euro. Tesserarsi con un gruppo sportivo costa mediamente il doppio del prezzo standard (30 euro) e magari mi rompono le scatole dicendomi dove andare a correre. Non è proprio così, ma questa potrebbe essere un’altra motivazione.

A correre si fa sempre (più o meno tanta) fatica, come giustamente osserva il Marelli, ma questo accade nelle gare Fidal, in quelle EPS, nelle corse non competitive …. Il fatto è che si tratta di fare una scelta di campo: mi interessa l’agonismo? Che vengano riconosciute le mie prestazioni? Che se vinco qualcosa debba essermi dato (soldi o salami che siano)? Che se voglio, posso gareggiare in pista? Mi tessero formalmente con la federazione, che ha le sue regole, come in tutte le altre discipline sportive. Oppure faccio altro. A me pare maledettamente chiaro.

Purtroppo è la federazione stessa ad aver creato questa situazione per cui, giustamente per alcuni versi, nella sua missiva alla Fidal, Mauro Marelli fa le sue osservazioni e ha qualche ragione nel sostenere le sue motivazioni.

La RunCard la intendo come una forzatura delle regole, la creazione di un tesserificio che in qualche modo compete contro le stesse associazioni che sostengono la federazione, i gruppi sportivi; ovviamente questi ricevono un danno non indifferente, dato che la loro attività è sostenuta anche attraverso il tesseramento dei master. Se si voleva regolamentare la partecipazione dei liberi (il fu tesseramento giornaliero) di modi ce ne erano tanti, a mio avviso è stato scelto il peggiore. Non certo per Fidal, quantomeno dal punto di vista delle entrate, dato che ad oggi sono state vendute oltre 100.000 tessere in modalità RunCard.

Ora Fidal, in risposta al Marelli, scrive di “un sistema di ranking che comprende tutti i tesserati …” ; forse la lettera inviata dal Marelli è un campanello di allarme, ragionevolmente non è l’unico ad aver sollevato il problema. Si corre il rischio di piazzare meno RunCard, in prospettiva può diventare un problema, dato che nell’accordo con Infront, che nei prossimi 6 anni porterà un bel po’ di soldi nelle casse federali, il progetto RunCard ha una posizione importante. Allora facciamo un altro passo verso il “mercato” del podismo, diamo qualche ulteriore benefit a chi si vuole avvicinare alla pratica della corsa: si tratta di persone ai quali frega poco di appartenere ad un gruppo sportivo, dei campionati di società, degli aspetti sociali che un gruppo di norma rappresenta. Interessa anche poco che tali gruppi (ahimè, sempre meno) sostengano le attività del settore giovanile. Già rispetto alla prima release del progetto sono stati fatti dei passi in avanti (?!?), i RunCardisti possono andare a premio (non in denaro, ma la norma non è poi così difficile da aggirare). Pare che un giorno probabilmente vedranno le proprie prestazioni certificate e magari verranno aggiunti ulteriori benefit. Se questo è il trend, usciamo dall’ipocrisia, equipariamo a tutti gli effetti le RunCard al tesseramento tradizionale, facciamoli correre in pista, non si sa mai che possa interessare; un campione italiano con la RunCard?  Perché no. E se uno è forte e vince una gara, perché non dovrebbe essere pagato in soldoni?

Torno volentieri quasi ogni anno a correre in Engadina, una splendida valle svizzera che offre percorsi unici, come quello della Engadiner Sommerlauf; una scelta fatta da quasi 200 italiani, in occasione della 39^ edizione. Si parte da Sils e si arriva a Samedan, sono 25 chilometri, l’altimetria dice che alla fine si scende di un centinaio di metri, tuttavia le (non poche) risalite lungo il percorso dicono che c’è anche un certo dislivello positivo. Si corre su un fondo che alterna asfalto a sterrato e sentieri boschivi; e a chi , come a me, piace il genere, pare proprio un’esperienza unica, anche grazie al contesto che ti circonda; è proprio questo a rendere la fatica meno… faticosa, a condizione di lasciare il GPS a casa: del resto quando si corre in montagna il crono dovrebbe essere valutato in modo meno critico.

 

Trasporto gratuito degli atleti dall’arrivo alla partenza, nella graziosa cittadina di Sils. Servizi igienici, deposito borse, ristoro pre gara, non manca nulla di quello che deve esserci, perfino un warm up un tantino diverso dal solito, niente a che vedere con la classica corsetta di riscaldamento; qui, invece, una bella ragazza da un palco comanda le operazioni a suon di musica.
Noto, con piacere, che fa meno freddo di altre occasioni in passato, infatti la temperatura è di 12 gradi; buona l’idea della partenza alle 10.00, sia perché consente a molti di arrivare in giornata, sia perché fa meno freddo.

 

Il percorso è sempre lo stesso, ormai consolidato: primi chilometri facili, solo un paio di brevi salite al km 4 e 9, da affrontare comunque con giudizio. Dopo il passaggio a Saint Moritz, proprio a fianco della pista di atletica che vede spesso grandi atleti ad allenarsi, si fiancheggia l’omonimo laghetto e poco dopo inizia il tratto più faticoso, sono circa 1500 metri dove si sale sempre, con un paio di strappi piuttosto duri. Dal km 16 all’arrivo si corre sempre in discesa, con passaggi nel bosco che da soli meritano di esserci, poi si esce a Celerina, girando intorno alla chiesa di origine greco-romana di San Gian (parte della costruzione risale all’anno 1100).

 

Questi ultimi chilometri possono risultare complicati perché sempre esposti al sole, o più semplicemente perché le energie cominciano a mancare. Arrivo alla ProMoulins Arena di Samedan, con lo speaker che chiama per nome (quasi) tutti, uno per uno.

 

I plus di questa manifestazione sono molti, ecco perché il titolo “vale sempre la pena di correrla”: il percorso è bello e vario, assolutamente senza traffico, nemmeno biciclette e si corre in uno scenario unico. Una distanza perfetta per chi pensa ad una maratona autunnale, prima dei classici lunghi. Un’organizzazione all’altezza della situazione che cura anche alcuni importanti dettagli: inutile il ristoro dopo pochi chilometri, invece ottima la distribuzione in quelli successivi, sono ben 6 dal km 7 all’arrivo.

 

Un motivo in più per quanto mi riguarda? La presenza di mia figlia: attratta dalla mia descrizione della gara ha voluto esserci ed alla fine era felicissima della sua personale esperienza.

 

I lati meno positivi della manifestazione: sostanzialmente uno, i costi, soprattutto per noi italiani non sono certo bassi, è auspicabile che venga pensata qualche formula in prospettiva (convenzioni alberghiere, sconti per gruppi, etc) magari già dal 2019, anno in cui si correrà l’edizione numero 40.

 

Mercoledì, 15 Agosto 2018 16:04

Stefano Baldini : goodbye Fidal

Avrà deciso di passare un buon Ferragosto ed allora si è tolto il peso subito, magari la decisione era maturata da tempo, addirittura prima degli europei. Comunque sia Stefano Baldini, fino ad oggi Direttore dello sviluppo e del settore tecnico giovanile, saluta la Federazione italiana di atletica leggera. In un’intervista alla Gazzetta dello Sport spiega chiaramente che è stufo dei cattivi risultati ottenuti, che secondo lui sono figli di errori di gestione e di improvvisazione; ritiene di essersi dedicato al massimo del suo impegno e della sua professionalità, probabilmente è stufo di vedere associato il suo nome ai continui insuccessi della nazionale. Pare che subito dopo la conclusione degli europei, avesse già comunicato la sua decisione al presidente Giomi, il quale ha pensato bene di rimandare tutto a settembre (?!?), allora ecco che Baldini ha ritenuto fosse davvero troppo ed ha formalizzato le dimissioni. Farà come molti, che danno le dimissioni per negoziare qualcosa di più e di meglio? Non credo, e comunque è lui stesso a sgombrare il campo dagli equivoci. Non se ne fa niente.

Giova ricordare che, al momento di sostituire Massimo Magnani (precedente DTO) a Stefano Baldini era stata proposta la posizione di direttore tecnico organizzativo; lui presentò il suo progetto, bocciato perché ritenuto troppo oneroso, almeno così si disse in Fidal. Forse era anche una questione di autonomia, o di indipendenza da certe influenze e invadenze? Sta di fatto che venne in qualche modo sdoppiata la figura del DTO: da una parte Elio Locatelli, che si occupava dell’alto livello e dall’altra parte Baldini, ad occuparsi dello sviluppo e del settore giovanile, un settore che in effetti nei tempi recenti ci ha dato qualche soddisfazione.

Ebbene, la cosa non ha funzionato; la (brutta) impressione dall’esterno è che manchi un vero progetto, che si confidi in qualche medaglia per fare meglio dei precedenti campionati (difficile fare peggio) per poter dire “siamo sulla strada giusta”, cosa che peraltro il presidente Giomi ci racconta comunque da anni. A prescindere.

Ora si rimanda tutto a settembre, le fatiche berlinesi dei vertici federali meritano un periodo di riposo, poi si vedrà di fare. Già, ma cosa?  Mentre le nazioni che, guarda caso, hanno fatto benissimo a Berlino (Polonia e Gran Bretagna sono in testa al medagliere) negli anni hanno centralizzato il sistema di gestione, in Italia si è puntato al decentramento (“ognuno ha il suo atletino che si coltiva gelosamente nell’orto di casa propria” ha detto Stefano Tilli), che non ha funzionato. Abbiamo un bel settore giovanile che fa già bene e potrebbe fare anche meglio, in prospettiva, ma è precisa responsabilità della federazione fare in modo che ciò avvenga, creando le migliori condizioni possibili.

In bocca al lupo Stefano, qualunque cosa andrai a fare. Buon lavoro ad Elio Locatelli (si sarà pentito di essere tornato?), ha avuto il buon gusto di assumersi la responsabilità di scelte sbagliate, ora dovrà rimboccarsi le maniche e lavorare duramente e bene. Infine, buona fortuna a chi arriverà, se arriverà.

Agli occhi degli sportivi che non si occupano solo di atletica il confronto deve apparire impietoso: nuoto e ciclismo agli europei di Glasgow hanno regalato agli italiani un mucchio di soddisfazioni, e medaglie, per i risultati dell’atletica ci siamo rimasti male, difficile negarlo.

Sono sei le medaglie portate a casa, grazie ad un artificio (perché di questo si tratta) che per la prima volta le assegna anche nella classifica a squadre in maratona, in questo modo da 4 diventano 6 (oro nella maratona maschile e argento in quella femminile). Intendiamoci, il riconoscimento ci sta tutto e andava benissimo assegnare il titolo, come sempre stato, ma la medaglia proprio non ce la vedo. Alla fine comunque poche le medaglie, le aspettative erano ben diverse, anche se adesso i vertici federali si sforzano di dirci che non ne avevano messe in conto un numero maggiore.

Provo a fare la mia personale disamina e dico subito che qualche motivo per consolarci riesco a trovarlo, sia pure dovendoci mettere un certo impegno. Vediamo prima alcuni principali risultati negativi, perlomeno da alcune specialità dalle quali poteva essere legittimo attendersi di più.

Non bene Vallortigara, ha sbagliato “solo” la gara più importante della stagione, e non è poco; Tamberi in fondo forse non è andato male, ma non deve lamentarsi se gli altri saltano più in alto di lui. Non riesco a considerare fallimentare il 5° posto di Tortu. Male la staffetta 4x100 uomini, errore apparentemente banale nel cambio ma che è costato la squalifica. Male la staffetta 4x400 donne, ma in realtà si deve dire male Libania Grenot (nemmeno qualificata nella sua gara individuale), ricevuto il cambio tra la seconda e la terza posizione è scivolata al quinto posto. Una campionessa che molto ha dato all’Italia, ad esempio due ori europei, ma ora a 35 anni forse è giunto il momento di farsi da parte. Così e così la Trost, che continua a saltare molto più in basso di una volta. C’era forse troppo ottimismo intorno a questi atleti? Eppure lo sviluppo della stagione induceva a sperare in meglio.

Bene, o meno peggio, invece un dato forse poco apparente, ma che non deve sfuggire: una dozzina di atleti in finale, da quanto non accadeva? Ci ricordiamo i cappotti di Pechino 2015 e Londra 2017? E sono atleti quasi sempre giovani, il ricambio che aspettavamo forse sta cominciando ad arrivare. Desalu, Tortu, Crippa, Chiappinelli, Cairoli, Osakue, Ojiaku, Pedroso, Mattuzzi sono i primi che mi vengono in mente, ma non sono gli unici. Altro dato: sono 11 i personal best portati a casa, purtroppo negativamente controbilanciati da tanti atleti che hanno corso, lanciato e saltato al di sotto delle aspettative. 

Molto ci sarebbe da dire sulle altre specialità track and field, ma questo è un sito di podismo ed allora concentriamoci sulla corsa, quella che peraltro in fondo ha portato il maggior numero di medaglie (5 su 6, secondo le nuove regole, oppure 3 su 4, in base alle vecchie). L’unica, bella, voce fuori “dal coro” è quella della pugliese Antonella Palmisano, suo uno splendido bronzo nella 20 km di marcia. 

Yohanes Chiappinelli e Yeman Crippa ci regalano il bronzo, rispettivamente nei 3000 siepi e nei 10.000 metri, con prestazioni davvero entusiasmanti. Entrambi chiudono lontani dai loro personal best, ma queste erano gare molto tattiche e dove la vittoria contava più di ogni altra cosa. Poco più che ventenni rappresentano un bel pezzo di futuro nel mezzofondo prolungato.  

Maratona donne: notevole la prestazione di Sara Dossena, lei ed il suo coach mi avevano pronosticato che sarebbe entrata nelle prime sei ed avrebbe realizzato il personal best. Complimenti, obiettivi raggiunti, con nuovo pb di 2:27:53. Grande Catherine Bertone, ottavo posto, continua a correre a livelli altissimi, a Berlino ha corso la sua seconda miglior maratona di sempre (2:30:06), la prima è un 2:28:34, che rappresenta il record mondiale nella categoria W45. Fatna Maraoui, atleta solida ed affidabile, ha fatto il suo e anche qualcosa di più, chiudendo al 14° posto in 2:34:48. A Laura Gotti non è andata bene, non ho notizie su eventuali infortuni o problemi di altro genere, ma bene e da apprezzare che abbia voluto comunque concludere la gara. Una gara vinta dalla bielorussa Mazuronak (2:26:22) nonostante una copiosa perdita di sangue dal naso; anche qui c’è un po’ d’Italia, dato che appartiene alla scuderia di Gianni De Madonna. Al secondo posto bene l’esordiente francese Clemence Calvin (2:26:28), che nello scorso mese di giugno aveva corso una mezza in 1:09:52. Terzo posto per Eva Vrabcova-Nyvltova (2:26:31). 

Maratona uomini: bene Yassine Rachik, italiano dal 2015, atleta che spesso ha avuto difficili rapporti con la federazione di atletica leggera, confidiamo che questo sia un buon punto da cui ripartire; convocato grazie alle sue prestazioni, si porta a casa il bronzo ed il record personale di 2:12:09 (precedente 2:13:22). Bene anche Eyob Faniel, l’allievo di Ruggero Pertile si classifica al quinto posto col tempo di 2:12:43; conoscendo un pochino il ragazzo penso che non sia rimasto soddisfatto, invece dovrebbe essere contento della sua prestazione, è un talento, sono certo che migliorerà e di molto. A mio avviso deludente Stefano La Rosa, che comunque pensando alla classifica a squadre stringe i denti e finisce la sua gara in 2:15:57. Vince la gara il belga Koen Nart in 2:09:51 (record personale, precedente 2:10:16): alzi la mano chi lo aveva pronosticato. Delude le aspettative il super favorito Sondre Moen, addirittura ritirato al km 26. Ancora grande Tadesse Abraham, proprio nel giorno del suo trentaseiesimo compleanno diventa vice campione col tempo di 2:11:14.  

Insomma, tornando all’Italia e …tirando le fila: siamo onesti, pensavamo meglio. Invece siamo sempre qui a guardare il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, che il presidente della Fidal, Alfio Giomi, cerca di convincere tutti, a cominciare da sé stesso, che in fondo è mezzo pieno. Va tutto bene o quasi, secondo lei, però eviti di appellarsi alla classifica a punti per scalare artificialmente qualche posizione nel ranking. Ma anche di dirci che - ha visto tanto azzurro e non importa il conto delle medaglie - oppure - l’atletica italiana si è svegliata e siamo sulla strada giusta -, fino addirittura al minaccioso - chi ha fallito qui, non avrà altre possibilità -. Sono le stesse cose che ci racconta dal suo primo mandato e, a proposito di possibilità e responsabilità, cominci proprio dalle sue personali.   

 

A due giornate dalla conclusione la notizia più importante è la concreta possibilità per la norvegese Therese Falk di realizzare il record del mondo di dieci maratone, corse in dieci giorni consecutivi, nel minor tempo possibile. Il primato attuale è dell’inglese Sally Ford, fatto a Brathay (Inghilterra): nel 2012 impiegò 36:38:53 per coprire la distanza delle dieci maratone, alla media giornaliera di 3:39:53. Therese Falk, dopo 8 gare, ha una media di 3:37:03. Si sa che le ultime giornate sono le più faticose, oltretutto è tornato a fare caldo, ma la possibilità di realizzare un record così significativo le darà ancora più forza.

In fondo a questo pezzo si trova l’intervista video alla forte atleta norvegese. Inutile dire che è nettamente in testa alla classifica generale femminile. Seguono Jannet Lange e Jane Trumper.

Intanto continua la marcia di Adam Holland, attualmente pare difficile che possa migliorare la prestazione del 2017 (e quindi il suo record del mondo), ma le performance che realizza restano di buon livello, infatti la media/ritmo è circa 4’/km. Giorgio Calcaterra mantiene il secondo posto nella classifica generale, segue Marco Rossi: Marco e Giorgio sinora hanno spesso condiviso la propria fatica.

La gara sui 56 chilometri è stata impreziosita dalla presenza di Daniela De Stefano (tempo finale di 4:56:07), attuale vicecampionessa italiana sulla 100 chilometri, che molto probabilmente diventerà campionessa italiana per la squalifica di Cristina Pitonzo. Luisa Betti, nell’ottava giornata della sua gara, con 5:22:35 realizza il suo miglior tempo.

Ecco le classifiche giornaliere dell’11 agosto

Maratona uomini

1)Adam Holland, 2:55:53 2) Giuseppe Chieppa, 3:12:40 3) Giorgio Calcaterra, 3:13:37

Maratona donne

1)Therese Falk, 3:33:19 2) Monica Magni, 4:05:17 3) Jannet Lange, 4:08:04

Ultra 56 k

1)Daniela De Stefano, 4:56:07 2) Luisa Betti, 5:22:35 3) Mirela Hilay, 5:50:02

Mezza maratona uomini

1)Diego Ciattaglia, 1:27:22 2) Gigi Cabrino, 1:28:02 3) Massimo Zucchi, 1:36:38

Mezza maratona donne

1)Sofia Cenetta, 1:36:38 2) Loredana Ferrara, 1:40:56 3) Sanda Opayets, 1:41:14

10 km uomini

1)Silvio Gambetta, 38:51 2) Maurizio Muraro, 42:56 3) Claudio Pasini, 45:32

10 km donne

1)Emanuela Zerbetto, 1:02:02 2) Elvira Bottoni, 1:03:02 3) Elisa Giudice, 1:04:49

link alle classifiche complete

http://www.clubsupermarathon.it/classifiche-gare.html

http://www.clubsupermarathon.it/personaggi-ed-interviste/4172-intervista-a-therese-falk.html

 

ONLINE LE FOTO DI ARTURO BARBIERI, cliccare su servizio fotografico

La Orta 10in10 è giunta al giro di boa: 895 le presenze complessive, invece 94 sono i partecipanti, distribuiti sulle varie distanze, che hanno fatto tutte le giornate. Le temperature si sono finalmente abbassate grazie alle piogge serali; alla partenza alle 8 del mattino in genere sono intorno ai 20 gradi.

La maratona, dopo 5 gare, vede saldamente al comando Adam Holland, il tempo medio giornaliero è di 2:50:30 (complessivo 14:12:29); Giorgio Calcaterra è al secondo posto con 16:04:48, dopoprestazioni molto regolari intorno a 3 ore e 16 minuti. Terza piazza per Marco Rossi (16:38:48).

Al femminile il podio attuale è tutto straniero: comanda la norvegese Therese Falk, tempo complessivo di 18:40:10 con l’ottima media/gara di 3:44:02. Seconda l’olandese Jannet Lange, 20:51:20 e terza l’australiana Jane Trumper (24:18:46).

Nella Ultra di 56 chilometri è Luisa Betti al primo posto (anche assoluto) col tempo di 31:21:56, segue Carmine Sansone, 31:27:40.

Mezza maratona maschile con Diego Ciattaglia in testa alla classifica (7:28:48), seguito da Sean Smith (8:40:02) e Diego Graff (11:41:40).

Tra le donne Sanda Opayets (ucraina che risiede da molti anni in Italia) fa registrare un tempo complessivo di 8:37:48, che peraltro rappresenta il secondo tempo assoluto. Seconda posizione per la romana Paola Massaroni (8:48:46) e terza Eleonora Brugnati (9:22:54).

Il vigile del fuoco Mario Scimone è al comando della classifica nella 10 k, tempo totale 3:53:38; notevole la regolarità delle sue prestazioni (da 46:07 a 46:57), per una media giornaliera di 46:44. Secondo posto per Vito Colletta (5:10:47) e terzo per Franco Cabrini (6:08:59).

Tra le donne la prima è Elisa Giudice, col tempo totale di 5:24:04 è anche terza assoluta. Seguono Marina Citi (5:25:40) e Gabriella Valassina (7:23:14).

Passato il giro di boa è iniziata la “discesa” verso le 10 giornate, il meteo dice che si manterranno condizioni accettabili; invece sarà interessante vedere lo sviluppo delle prossime gare, diverse posizioni sono ancora suscettibili di cambiamenti, anche significativi. Risulterà fondamentale la gestione delle risorse nelle prime giornate di gare.


Classifica dopo 5 maratone

http://www.podisti.net/index.php/classifiche/5070-orta-10in10-dopo-5-tappe.html?date=2018-08-09-00-00

 

Qualche considerazione aggiuntiva di Stefano Severoni:

 Dato singolare è che nella distanza più lunga emerga una donna, Luisa Betti, che con il passare dei giorni migliora l’andatura in gara, nonostante difficoltà del percorso, il caldo e la fatica dei giorni precedenti. Nella maratona dominio del britannico Adam Holland. L’”esordiente” Giorgio Calcaterra mostra un’estrema regolarità e sfrutta questo tour de force come allenamento-test in vista dei Campionati Mondiali 100 km su strada del 9 settembre in Croazia. Bravo Diego Ciattaglia, ex azzurro della 24h, che è al 1° posto nella classifica sulla mezza maratona, gara che comunque implica superare i 200 km in 10 giorni su ritmi più sostenuti. Brava anche la leader femminile dei 21,097 km, Sandra Opayets. Meno “competitiva” la 10 km, ma sempre comunque partecipata. Complimenti a tutti soprattutto agli atleti non più giovanissimi come Angelo Squadrone, Francesco Capecci, Vito Piero Ancora, sempre pimpanti con la corsa. Dalle foto emerge entusiasmo per atleti, accompagnatori e staff organizzativo. Da lodare Paolo Francesco Gino, presidente del Club Super Marathon Italia, costretto a un forzato stop agonistico, ma eccellente organizzatore. Rispetto alle precedenti edizioni, aumenta il numero di partecipanti con gli atleti stranieri attratti da questa singolare esperienza estiva, sportiva sì, ma soprattutto sociale.

 

 

5 agosto. Dopo un avvio col botto Adam Holland ha rallentato decisamente il ritmo nella sua seconda maratona, chiudendo vittorioso in 2:55:27. Lo stesso ha fatto Giorgio Calcaterra, che ha condiviso la sua fatica con Francesco Lupo terminando in 3:15:28. Questo è anche l’ordine della classifica generale maschile.

Strategia certamente corretta, del resto la giornata è stata calda, anzi molto calda. Un calo di prestazioni particolarmente presente nella seconda parte della gara, ci riferiamo soprattutto a chi correva maratona e ultra. Ricordiamo che tutte le partenze avvengono, ogni giorno, alle ore 08.00, quando le condizioni climatiche sono ancora accettabili.

Ora la speranza è nel meteo, che effettivamente promette un calo delle temperatura.

Ecco alcuni degli altri highlights della seconda giornata.

Sono stati complessivamente 242 gli atleti classificati, numeri in deciso incremento rispetto al 2017. La forte Elena Di Vittorio ( vincitrice dell’Ultra Maratona del Gran Sasso) ha chiuso in 3:45, davanti alla norvegese Therese Falk e l’olandese Jannet Lange.

Nella Ultra di 56 chilometri dopo due giornate al comando della classifica si trovano Luisa Betti e Carmine Sansone. Mezza maratona maschile dominata da Giuseppe Abbateola, che ha vinto con un ottimo tempo, 1:18:34. Al femminile prevale Natalia Brignoli, in 1:41:02.

Infine la 10 K: vincono Mario Scimone (47:18) e Sarah Flicoteaux (56:52)

Per completare la giornata ecco una bella intervista a Giorgio Calcaterra, curata da Laura Failli.

https://youtu.be/l1ol5APjpW4

6 agosto. In maratona continua lo show di Adam Holland, anche se le prestazioni sono inferiori al 2017. Il caldo certamente fa la sua parte; altrettanto vero che di norma i primi giorni di queste manifestazioni servono per “prendere le misure”, potrebbe essere proprio questa la strategia dell’inglese che ha chiuso in 2:56:35. Seguono Giorgio Calcaterra e Marco Rossi, che arrivano con lo stesso tempo di 3:15:16.

Gara femminile che registra un’altra ottima prestazione di Elena Di Vittorio, vincente in 3:36:12, seguono Therese Falk (3:47:28) e Jannet Lange (4:13:10).Sulla nuova distanza (56 km) inserita per la prima volta, Luisa Betti chiude in 6:22:52 e Carmine Sansone (6:24:29).

Mezza maratona vinta da Diego Ciattaglie(1:28:23), secondo e terzo posto rispettivamente per Simone Tosetti (1:28:15) e Erik Bakke (1:30:57).Tra le donne Ilaria Senesi (1:41:28) precede Sanda Opayets (1:44:03) e Paola Massaroni (1:44:47)

Infine, la 10 K: Michele Gallina, 46:25 ed Elisa Giudice, 1:04:29 sono i vincitori di giornata. 

7 agosto. Adam Holland trova il modo di fare meglio della precedente giornata e chiude in 2:48:38. Calcaterra pare aver messo il pilota automatico con tempi sempre molto vicini tra loro. Arriva ancora insieme a Marco Rossi in 3:17:34.

La norvegese Therese Falk torna a vincere in 3:43:52, secondo posto per Jannet Lange (4:09:45) e terza piazza per la 55enne australiana Jane Trumper (4:42:15).

La 56 k vede ancora al comando Luisa Betti, tempo finale 5:54:41 (unica donna rimasta in gara); Angelo Cislaghi tra gli uomini con 5:14:27.

Mezza maratona che continua a dare buoni riscontri cronometrici: Paolo Amron chiude a 4’/km (1:24:23), davanti a Diego Ciattaglia (1:28:35) ed Elia Fasano (1:28:59). Tra le donne questo l’ordine di arrivo: Raffaella Leonardi (1:39:29),Sanda Opayets (1:43:40), Monica Riccardi (1:43:59).

Nella 10 k vittorie di Mario Scimone, che giorno dopo giorno continua a correre su ritmi molto regolari (46:23) e Marina Citi (1:03:31). Anche Ettore Comparelli (pettorale numero 1000, per prestigio e …peso) chiude la sua quarta fatica.

Vanno così in archivio le prime quattro giornate di gara, il caldo continua ad essere tanto, anzi troppo, le previsioni meteo continuano a dire che domani sarà meglio. Speriamo. Nel frattempo alla Orta 10in10 ha fatto tappa l’americano Nick Nicholson, che da un anno sta correndo una maratona al giorno; forse gli sembrava poco ed allora ha partecipato alla ultra di 56 chilometri.

Continua la sua avventura anche Laura Failli, che oltre a farsi una maratona al giorno, dopo la sua fatica sforna quotidianamente contributi sotto forma di report e interviste, testimoniando molto bene l’essenza di queste manifestazioni.

Link per vedere tutte le classifiche, giorno per giorno:

http://www.clubsupermarathon.it/classifiche.html

Eccoci a completare il team azzurro: dopo Laura Gotti, Fatna Maraoui e Sara Dossena, è la volta di Catherine Bertone. Ricordo che, purtroppo, la sfortunata Giovanna Epis non potrà essere della partita, come descritto in un altro pezzo

http://www.podisti.net/index.php/notizie/item/2133-maratona-berlino-2018-forfait-di-giovanna-epis.html

Se è un buon segno arrivare ad un impegno agonistico, ottimisti e convinti di aver fatto tutto bene, e di poter fare ancora meglio, la dottoressa Bertone ha già vinto la sua gara. Già, perché è un classico dichiarare problemi avuti e magari nemmeno risolti del tutto, una preparazione imperfetta e tutto quanto possa incidere negativamente sulla prestazione; talvolta è vero, in altri casi serve ad esorcizzare la paura. Catherine Bertone ha dichiarato senza se e senza ma di stare bene, di aver fatto tutto quello che doveva fare ed è fiduciosa di fare una buona maratona. 

Si presenta col miglior tempo di accredito, 2:28:34, ottenuto proprio qui alla maratona di Berlino (settembre 2017) e con l’età… della meno giovane, eppure ciò che riesce a fare dimostrerebbe proprio il contrario. Questo tempo rappresenta anche la miglior prestazione mondiale master, categoria W45. 

Nata nel 1972 in Turchia, da grande decide di fare il medico. Anche per questo la sua storia nell’atletica, e il suo salto di qualità, arriva molto tardi, dopo aver “sistemato” la famiglia; infatti, dopo la nascita della secondogenita Emilie, comincia ad andare sempre più forte, con diversi passaggi nella corsa in montagna. Nel 2011, proprio a Berlino (un segno del destino? la città del suo personal best nel 2017 ed ora della maratona europea) corre in 2:36:00; si migliora più volte negli anni successivi. Nel 2016, direi a furore di popolo, partecipa alla maratona olimpica di Rio, portandosi a casa un ottimo nono posto tra le europee. 

Supportata dal marito, Gabriele Beltrami, ex buon runner (un SM40 con mezze poco sopra i 70’), che però dichiara che tornerà alle corse, per Catherine gli anni passano davvero bene, perché continua a correre forte. 

Come alle altre atlete selezionate per la maratona europea, ho rivolto a Catherine alcune domande per sapere qualcosa di più su come ha vissuto e preparato l’avventura verso Berlino.

Dove si è svolta la preparazione verso Berlino?

Causa di  forza maggiore la preparazione l’ho svolta ad Aosta, quindi tra le strade di casa (n.d.r. la Bertone è medico ed ha sempre dovuto far coincidere i turni ospedalieri con la corsa, aggiungo che la collaborazione del suo datore di lavoro non è mai stata … fantastica, in questo senso). 

Lavori principali? Chilometraggio settimanale? Numero di sedute? 

In primavera ho fatto i lavori più brillanti, tutto è proceduto bene e senza intoppi; poi, da metà maggio, ho iniziato il periodo della canonica preparazione specifica. Le gare/test sono state una mezza, un 10.000 e un 5.000 metri in pista. Sono soddisfatta anche perché sono migliorata nei 10.000 su strada a giugno a Langueux (34:06) ed in pista sui 5.000 metri ad Aosta (16:16:59). Sono risultati che danno buone sensazioni, anche se poi in maratona sarà un’altra storia.
Mediamente sono 150 km/settimana; i principali lavori sono il medio in salita di 8/10 km e gli sprint i primi due mesi. Ripetute con recupero da ferma e medio progressivo, infine il mio immancabile "variatone" settimanale, con chilometri a salire. Ultimo lungo fatto il 2 agosto. 

Hai integrato la preparazione con altri sport?

No, la preparazione è basata sulla sola corsa.

Domanda scontata e banale, ma inevitabile: obiettivi, ambizioni, speranze...

Posso solo dire che farò del mio meglio per contribuire ad una medaglia a squadre…. Molto onestamente, davvero difficile fare pronostici, tra l’altro non ho ancora visto la start list delle avversarie. So di Clemence Dalvin, sulla quale i francesi puntano per difendere il titolo della Daunay; in effetti in pochi giorni ha corso i 10 k in 31:20 e la mezza di Olomouc in 1:09:52. Anche l’etiope naturalizzata spagnola, Gebre Trihas, viaggia su quei tempi. Poi la bielorussa Mazuronak, ha un personale di 2:23. Insomma, vedremo cosa succede.

Bene, si conclude qui il mio giro di interviste; ringrazio Laura, Fatna, Sara e Catherine per la loro disponibilità ed auguro loro tutto il meglio per l’avventura europea.

Probabilmente ha sempre avuto la corsa nel suo DNA, pur se “distratta” per un certo periodo da duathlon e triathlon, specialità quest’ultima dove peraltro ha ottenuto dei buoni risultati anche in campo internazionale.

Oggi è pronta a rappresentare l’Italia con tutte le carte in regola per fare bene. Arrivata all’atletica in tempi relativamente recenti, ha bruciato le tappe, in particolare negli ultimi 12 mesi. Ovvio che per questa ragazza originaria di Clusone (oggi vive a Gallarate), popolarità e notorietà siano arrivate soprattutto grazie alla maratona di New York, dove al suo esordio ha corso in 2:29:39 (sesta posizione) ma i riscontri tecnici che certificavano le sue qualità c’erano già tutti, anche ben prima. Ripetuti miglioramenti che l’hanno portata a correre i 10.000 metri in 33:13 (Roma 2017) e la mezza maratona in 1:10:39 (Stralugano 2017). 

In una carriera più volte interrotta dagli infortuni, oggi non è più una sorpresa e le aspettative ci sono tutte, così come maggiori sono le responsabilità verso i suoi tifosi e la nazionale. Ho avuto modo di vederla più volte negli ultimi tempi e di parlare con il suo allenatore, Maurizio Brassini; è carica e motivata, vive questa responsabilità in modo positivo, confidiamo che sarà capace di tradurre tutto questo in una grande gara.

Ho posto le stesse domande fatte alle altre atlete (manca l’intervista a Catherine Bertone, è in arrivo), per sapere come è stato il suo avvicinamento a quella che, personalmente, considero la gara più importante della sua vita agonistica, quantomeno per il prestigio. 

Dove si è svolta la preparazione verso Berlino?

A Livigno, sono scesa un paio di volte per delle gare test, 10 k a Peschiera Borromeo (n.d.r. gara test corsa in 33:09!) e alla vittoriosa mezza di Tarragona, in Spagna.

Lavori principali? Chilometraggio settimanale? Numero di sedute? 

Programma inizialmente modificato a causa di uno stop di due mesi in primavera, poi ho incrementato gradualmente il chilometraggio fino a totalizzare 160 km/settimana nel periodo di massimo carico. Le sedute erano mediamente 10, il lavoro più importante è stato 5 x 5000 metri, con un mille di recupero 

Hai integrato la preparazione con altri sport?

La mia storia agonistica dice triathlon, quindi ovviamente ho integrato con nuoto e bicicletta, che ho alternato tra loro quando non facevo la doppia seduta di running 

Domanda scontata e banale, ma inevitabile: obiettivi, ambizioni, speranze?

Ho fatto tutto quello che dovevo fare e penso anche bene, allora dico obiettivo personal best e provare ad entrare nelle prime 6

Qualche segnale negativo c'era, ma trascurato perché troppo più grande era la voglia di ritrovarsi sulla linea di partenza della maratona europea. Invece niente da fare, i problemi fisici degli ultimi tempi hanno avuto il sopravvento.

Ed è un gran peccato perché Giovanna veniva da un periodo dove tutto girava bene. Ha esordito in maratona a Firenze nel 2015, col tempo di 2:39:28; oggi il suo personal best è di 2:29:41 (Febbraio 2018 – Siviglia). Importante, ed era al tempo stesso bene augurante, che nelle successive cinque maratone corse si era sempre migliorata. Altro dato tecnico che ritengo significativo: nel primo semestre del 2018 ha abbassato i suoi personal best sui 3000 e 10.000 metri, 10 k e mezza maratona. Insomma, si potevano fare tutti gli scongiuri di questo mondo, ma i presupposti erano davvero buoni; dopo, come dice lei stessa “è una maratona, una gara ed una distanza da vivere e conquistare, metro dopo metro”: difficile non essere d’accordo. 

Veneziana di origine, un po’ lombarda di adozione, infatti vive a Legnano dal 2013.

 Ora dovrà smaltire la delusione, ma è giovane e forte, nella testa come nelle gambe, siamo certi che si prenderà e ci darà ancora tante soddisfazioni. 

Grazie ad uno scatto di Roberto Mandelli pubblichiamo questa sua bella foto, forse adesso non sarà così felice e sorridente, ma piace mostrarla così. Perché Giovanna Epis è proprio così.

 

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