Rodolfo Lollini
“Only the brave” al Monga di Treviglio
Domenica 22 Dicembre. Mentre la massa dei consumatori, compreso molti podisti, è impegnata negli ultimi assalti ai centri commerciali, in mattinata a Treviglio va in onda il solito raduno dei più coraggiosi per la seconda tappa del Trofeo Monga. Se l’anno scorso avevamo già definito “duri e puri” i partecipanti, per una gara che si era disputata dopo diversi giorni di tempo sereno, con le recenti piogge il tracciato è terreno di caccia solo per coraggiosi.
Il circuito, di circa 2070 metri, era uguale a quello del 2018. Con il campo di gara ubicato appena fuori dal centro sportivo, tra via San Zeno e via Ai Malgari. Andava ripetuto due volte per le categorie femminili, maschili dagli SM60 in su e per gli Allievi. I senior maschili dai 35 ai 55 anni dovevano invece compiere tre giri. Percorso durissimo. Un mare, anzi un oceano di fango già dalle prime battute, nel campo di granoturco. Poi si arrivava ad una pozzanghera lunga una ventina di metri ed abbastanza profonda. Si proseguiva nel vicino boschetto dove i filari di alberi portavano a ripetute curve a 180 gradi, quasi una decina ad ogni giro. A differenza dell’anno scorso anche lì non mancava il fango ed un’altra vasca. Definirla pozzanghera è sicuramente limitativo. Poco dopo aver superato un fossato abbastanza profondo si rientrava sul fango puro per le ultime centinaia di metri che portavano all’arrivo. Del primo giro…
Per fortuna al termine della fatica il centro sportivo A.Mazza offriva caldi spogliatoi, confortevoli docce e fontanelle per pulire le scarpe ed in generale ridurre la quantità di terra da portarsi a casa.
Alle tre batterie hanno partecipato circa 300 atleti. Al femminile successo di Alice Colonetti (Bracco Atletica), davanti a Lia Tavelli (Atletica Lonato) e Daniela Benaglia (Atletica Saletti). E’ seguita la manche degli Allievi con la vittoria di Kilian Rossi (Atletica Saletti) e degli over 60. Podio tutto per i meno vecchi ovvero gli SM60 Pasquale Maresca (Alpinistico Vertovese) che ha preceduto di un soffio Pier Alberto Tassi (Atletica Lumezzane) e Marco Torrente (Zeloforamagno). Nell’ultima manche dominio di Stefano Casagrande (Azzurra Garbagnate), con Carlo Luciano Bedin (Team-A Lombardia) al secondo posto. Terzo Alessandro Rocca (Daini Carate).
Arrivederci il 12 gennaio 2020 a Cittiglio (VA).
Servono i master per far crescere le “Survivor Series”?
Dopo le fasi preliminari ad Imola (BO) e San Donà (VE), con le finali all’Idroscalo di Milano di domenica 15/12, si sono chiuse le Survivor Series 2019. Si doveva gareggiare anche a Busto Arsizio ma la tappa è stata eliminata a causa del maltempo. Complimenti a Serena Troiani (CUS ProPatria Milano) e Simone Bernardi (Atletica Imola) che hanno scritto il loro nome nell’albo d’oro.
Le Survivor sono una novità nel panorama del cross, faticosamente portate avanti da un paio di anni dalla ferrea volontà di Stefano Longo a cui la nostra testata ha spesso dato spazio per raccontare in cosa consistono, cliccate qui per leggere il pezzo di presentazione dello scorso Settembre. Per chi non lo sapesse ancora, si tratta di gare brevi, solo 1200 metri da ripetere quattro volte. La prima volta a cronometro individuale, mentre per i successivi tre turni (quarti, semifinali e finale) si gareggia in batterie.
Anche quest’anno, tra gare concorrenti, raduni di mezzofondo e mille altre attrazioni alternative, la partecipazione è stata piuttosto limitata. Un vero peccato in quanto si tratta di una formula innovativa, allenante e divertente. Quello che ci permettiamo di suggerire per cercare di raggiungere un’adeguata massa critica è di non limitarsi agli assoluti, ma di coinvolgere anche i master con classifiche dedicate. Al momento gli over partecipano insieme ai giovani e purtroppo non tutti si chiamano Riccardo Lerda, un SM45 col cuore e soprattutto le gambe di un ragazzino. In grado di fare ancora bella figura contro atleti che vista la carta d’identità potrebbero essere figli suoi.
Un Monga in mezzo alle vigne a Torre de' Roveri
E’ partita la stagione dei cross in Lombardia. Tradizionale apripista il Trofeo Monga, giunto alla sua 39^ edizione. E’ domenica mattina 8 dicembre. Il tempo ha concesso da qualche giorno una tregua ed un tiepido sole illumina il campo di gara anche se non riesce certo a riscaldarlo. La temperatura è pochi gradi sopra lo zero. Siamo in una cornice insolita. Un vigneto nel quale il Running de' Roveri ha ricavato un giro tra i filari lungo due chilometri da ripetersi due o tre volte a seconda delle categorie. Il fondo è allentato ed i continui saliscendi non danno un attimo di tregua agli oltre 250 partecipanti.
Alle 9.30 scattano tutte le donne. Batteria da 4 chilometri che vede prevalere Alice Colonnetti della Bracco Atletica. Inutile parlare di tempi su un simile fondo che obbligava ad usare le chiodate. Dietro di lei Daniela Benaglia (Atletica Saletti) ed Itzà Vailati (Nuova Virtus Crema) Le manche si susseguono ogni mezz’ora. Stessa distanza per gli over 60 e seguenti che sono abbinati agli Allievi, con Kilian Rossi dell’Atletica Saletti a fare il vuoto. Per gli over il primo è Francesco Mazzilli, portacolori dell’Amatori Casorate. Per ultimi partono gli altri uomini, ovvero tutte le altre categorie maschili da 59 anni a scendere, fino agli junior. Sei chilometri per loro. Mette tutti in fila Salvatore Gambino (DK Runners). Seconda piazza per Roccardo Ghillioni (Triangolo Lariano) e terzo Abdeljabbar Hamouch, il rappresentante dell’Atletica Stezzano che nelle battute iniziali è l’unico a provare ad insidiare il battistrada.
Un buon ristoro tra le botti della cantina che ospita anche le premiazioni e poi una breve passeggiata fino al vicino centro sportivo ci consente di lavarci al caldo. Prima di Natale ci attende la seconda a tappa del circuito, il 22/12 a Treviglio (BG). E sarà ancora battaglia.
Mi denunci per violenza sessuale? T’inietto Epo a tua insaputa…
Chi credeva che la lista delle giustificazioni quando si viene pizzicati dall’agenzia antidoping fosse finita, deve ricredersi. Dopo le bistecche al nandrolone, la crema intima della partner che ti contagia durante un rapporto intimo, il dentifricio al testosterone, ecc. ecc. Sentite cosa arriva dalla Francia, dove Ophélie Claude-Boxberger, campionessa nazionale dei 1500 e 3000 siepi è stata trovata positiva all’Epo dopo un controllo a sorpresa lo scorso 18 settembre.
L’atleta ha denunciato di essere stata vittima dell’ex allenatore, Alain Flaccus, compagno della madre e che lei aveva denunciato anni fa per violenza sessuale. Il movente? La gelosia di Flaccus, per la sua attuale relazione con il medico della Nazionale che per amore ha abbandonato la sua famiglia.
Flaccus, a suo tempo radiato dalla federazione a seguito della denuncia della Claude-Boxberger, ha confessato alla polizia di aver iniettato Epo a Ophélie a sua insaputa durante un massaggio, dopo averla rilassata fino a farla addormentare…
Vicenda poco credibile se si pensa che durante un massaggio difficilmente si dorme. Se poi sei una donna ed il massaggiatore è la stessa persona che hai denunciato per violenze sessuali… vabbè, lasciamo perdere. Poi bisognerebbe anche riferire come Flaccus ha spiegato di essersi procurato l’Epo. In un parcheggio, da uno sconosciuto ;-)
Padre e figlio corrono la maratona sotto le 5 ore, ma sommando i due tempi!
Se per molti runner completare la maratona, specialmente all’esordio è già di per se stesso un successo, il passo successivo è quello di battere dei limiti cronometrici, come quello delle cinque ore. Ed è quello che hanno fatto lo scorso 25 Ottobre Tommy ed Eoin Hugues alla maratona di Francoforte. Col piccolo particolare che il limite di cinque ore è stato infranto sommando i tempi dei due atleti!
Il 34enne Eoin, all’esordio sulla distanza, ha chiuso la sua prova in 2h31’30”. Per fortuna Tommy, il vecchio padre con 59 primavere alle spalle, una partecipazione alle olimpiadi ed un personal best di 2h13’59” ci ha messo una pezza fermando i cronometri a 2h27’52”. Il loro tempo combinato di 4h59’22” è il nuovo “record” mondiale per il tempo di maratona padre-figlio più veloce, battendo il precedente limite di 5h02’12”.
Complimenti vivissimi alla famiglia Hugues, peraltro non nuova a queste imprese, in quanto già detentori dell’analogo primato sulla mezza maratona.
A Leicester mezza e maratona che si potevano disputare… per corrispondenza
Curiosa storia quella avvenuta a Leicester in Gran Bretagna, dove lo scorso 6 Ottobre era prevista l’edizione 2019 della locale maratona e relative gare di contorno, tra cui la mezza distanza. A causa delle inondazioni sia nel Watermead Park che in numerosi villaggi lungo il percorso della gara, l’organizzazione è stata costretta suo malgrado ad annunciare l’annullamento della manifestazione.
Non tutti i mali vengono per nuocere e anche situazioni negative possono generare azioni positive. A cominciare dagli organizzatori che a differenza di ben più noti colleghi anglosassoni, non hanno aspettato fino all’ultimo per cancellare la gara, magari intascandosi le iscrizioni o proponendo solo “buoni” per il futuro. Qui hanno rimborsato chi ne ha fatto richiesta oppure offerto l’opzione di aiutare organizzazioni benefiche.
Ma c’è un aspetto più curioso. Coloro che avessero dimostrato di aver effettivamente percorso la distanza, inviando una traccia GPS della corsa, avrebbero comunque ricevuto la medaglia dell’evento. Molti runner hanno preso in parola gli organizzatori, correndo altrove, in zone più sicure, le distanze per le quali si erano iscritti.
Tra i più impegnati in questa corsa “compensativa” molti team a staffetta. Il premio per i migliori non può che andare ad un gruppo di vigili del fuoco che ha corso in uniforme 63 giri intorno ad uno stadio di calcio per coprire la distanza della mezza maratona. Uno di loro ha dichiarato alla BBC che non volevano deludere i loro donatori ed inoltre si erano allenati duramente, quindi non accettavano l’idea di non correre.
Butter e le sue 196 “maratone”: fu vera gloria ed efficace beneficenza?
Oggi vorrei tornare sulla notizia recentemente riportata dal collega Annoscia relativamente al trentenne britannico Nick Butter che correndo la maratona di Atene ha completato il suo record. Essere il primo al mondo ad aver corso una maratona in tutti i 196 Paesi riconosciuti dall'ONU. Impresa effettuata in meno di due anni. Così facendo è riuscito a raccogliere l’equivalente di circa 75.000 euro per il Prostate Cancer UK, l'organizzazione che nel Regno Unito si occupa appunto di lotta contro il tumore alla prostata.
Scusate se oggi sarò politicamente scorretto, ma più che esaltarmi per l’impresa ed il gesto atletico, vengo assalito da alcune domande. Non in ordine d’importanza, ma la prima è la seguente: chi può testimoniare che il runner abbia effettivamente corso delle maratone? Perché se nell’ultimo caso in Grecia si trattava di una manifestazione ufficiale, in molti altri paesi, se l’è cantata e suonata da solo. Pratica peraltro diffusa almeno in passato anche tra alcuni collezionisti e macinatori di maratone nostrani… Ad esempio a San Marino di maratone ufficiali non se ne organizzano da anni eppure il runner britannico ha piantato la bandierina lo scorso 13/9/2018, come facilmente reperibile navigando sul suo sito. E di certo anche una traccia GPS dice poco se non c’è un ente terzo che possa certificare che abbia effettivamente corso e non si sia fatto un giro in auto o in bicicletta. A questo punto, per assurdo, erano più affidabili quei collezionisti di maratona che in passato correvano attorno all’isolato di casa propria, chiedendo ai vicini di testimoniare il numero di giri effettuati per arrivare a 42195 metri.
Venendo all’aspetto economico, sarei molto curioso di sapere con che soldi si è mantenuto per quasi due anni considerando che non ha un’impiego essendoci licenziato dal suo precedente lavoro. Tra l’altro tutti i costi per gli spostamenti non sono irrilevanti nel suo caso. Se uno gira tutto il mondo ed ogni tanto deve anche rientare in patria per la gestione dei visti. Francamente mi piacerebbe conoscere il conto economico dell’intera operazione rispetto ai 75.000 euro donati alla peraltro benemerita associazione. Il sospetto è che se fosse restato a casa, forse avrebbe risparmiato di più.
1000 metri in 4’25” per il concorso Vigili a Padova: rinunciano il 60% dei candidati
Il posto fisso affascina sempre gli italiani, se poi è quello in una pubblica amministrazione, ai concorsi il numero dei candidati è sempre elevatissimo. A Padova, dove erano in palio ben 22 posti da vigile urbano, hanno trovato un rimedio geniale per sfoltire i ranghi in maniera preventiva, ovvero inserire una prova atletica sui 1000 metri. Tempo massimo consentito 4 minuti e 25 secondi. Un crono assolutamente fattibile per chi è abituato correre ed anche per chi è giovane e pratica attività fisica. Con un minimo di allenamento ce la si può fare.
Anche perché va ricordato che l’età massima per candidarsi era 35 anni. Quindi parliamo di persone giovani, non di master SM80! Per le donne bastavano addirittura 5 minuti e 25 secondi. Questa barriera, insieme alla richiesta di ben 15 piegamenti consecutivi sulle braccia, 7 per le donne, ha generato un impressionante numero di rinunce. Circa il 60% dei candidati non si è presentato presso lo stadio Colbachini in piazzale Azzurri d’Italia, dove erano previsti i test. E fra chi ci ha provato, ben il 20% non ha ottenuto il tempo di qualificazione, tanto che dai 626 candidati originari, solo 192 sono approdati alle prove orali e scritte. D’altro canto le esigenze dei responsabili della Polizia Comunale sono chiare: ringiovanire il gruppo dei vigili con elementi anche in grado di rincorrere gli spacciatori di droga che la fanno da padroni in zona stazione ferroviaria, tanto da indurre l’amministrazione a disporre un presidio fisso di polizia 7 giorni su 7. Ma a causa dell’analfabetismo sportivo che sta sempre più minando le giovani generazioni, trovare gente che sia in grado di correre ad una velocità accettabile, diventa sempre più difficile.
Atene: Baldini torna sul luogo del trionfo
E’ senza ombra di dubbio LA MARATONA. E’ dalla leggenda di Filippide, che avrebbe corso completamente bardato da combattimento dal paese di Maratona all’Acropoli di Atene, che nasce tutta la storia di questa disciplina. Se questo soldato è l’eroe dell’età antica, per l’età contemporanea, quando si parla di Atene e di maratona, col suo trionfo olimpico nel 2004 l’eroe è Stefano Baldini. Dopo quindici anni il reggiano è tornato a correre su queste strade, prendendosela comoda: anche se per lui ciò significa farlo in meno di 3 ore anche a 48 anni. Al via con il pettorale numero uno, ha mantenuto le promesse chiudendo in 2h57’07” e classificandosi al 99° posto. Ovviamente è andato come un orologino, come testimoniato dal passaggio alla mezza in 1h28’30”.
Venendo alla cronaca sportiva di questa edizione numero 37, a trionfare non è stato un runner di primo pelo, bensì il quarantaduenne keniano Kimen John Kipkorir in 2h16’34”, precedendo il rwandese Muhitira Felicien di soli 9 secondi. La Grecia festeggia il terzo posto di Gkelaouzos Konstantinos, giunto a circa due minuti e mezzo, e la vittoria femminile di Eleftheria Petroulaki in 2h45’50”.
Quasi trentamila i finisher sulle varie distanze, considerando anche la 10k di sabato ed altre non competitive collaterali.
Cediamo ora la parola ad Armando Bertolasi, uno degli italiani partecipanti alla distanza regina: “La gara è stata ben organizzata. I pullman ci hanno prelevato alla mattina presto ed alle 7 eravamo già ai nostri posti di partenza, non prima di aver depositato le borse nei furgoncini che abbiamo ritrovato all’arrivo. La temperatura era mite, attorno ai 19 gradi, peccato solo per qualche spruzzata di pioggia prima dello start che era fissato per le ore 9. Pochi chilometri dopo il via ho avuto i brividi quando siamo transitati intorno a Soros, la collina dove sono tumulati i guerrieri della battaglia di Maratona. Tracciato duro, circa 450 metri di dislivello con le salite dal km 25 che mi hanno prosciugato l’energie. In tanti punti non è mancato il supporto del pubblico che ci salutava ed incoraggiava. L’arrivo allo stadio Panathinaiko è stato veramente suggestivo anche se ero abbastanza cotto e non me lo sono goduto pienamente. Un'esperienza che consiglio a tutti i maratoneti”.
Milano di corsa contro il cancro al pancreas
La Corsa delle Città è una gara podistica non competitiva nata per sensibilizzare la popolazione e le autorità sul cancro al pancreas, un tipo di tumore purtroppo in forte crescita e per il quale non vengono destinati fondi sufficienti. Infatti è attualmente la quarta causa di morte per tumore in Europa, ma riceve meno del 2% di tutti i finanziamenti europei destinati alla ricerca sul cancro.
Inserita nel calendario delle iniziative promosse in tutto il mondo in occasione del World Pancreatic Cancer Day che per la precisione si celebra il 21 Novembre, la Corsa delle Città è diffusa in varie città europee come Alicante, Madrid, Roma e Stoccolma. Oggi, domenica 10 novembre, in mattinata si è svolta la tappa di Milano.
Teatro della manifestazione il bel Parco delle Cave, un’area dismessa dalle attività estrattive che era diventata una discarica a cielo aperto prima che nel 2002 degli importanti lavori di riqualificazione restituissero questi 135 ettari di verde alla cittadinanza.
Offrendo 10 euro all’AISP (Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas) era possibile partecipare scegliendo tra due diverse distanze, ovvero 5 e 10 km. In sostanza si percorrevano uno o due giri del tracciato da cinquemila metri ben conosciuto dai frequantatori del parco. Percorso segnalato che parte ed arriva al laghetto del parco. A supportare gli organizzatori dell’AISP c’erano gli esperti uomini del comitato della Stramilano che hanno gestito partenze ed arrivi oltre a presidiare il percorso. Trattandosi di una non competitiva non segnaliamo vincitori o classifiche anche se in effetti abbiamo notato alcuni piè veloci che ne hanno approfittato per un allenamento di qualità, come per esempio Lucia Cozzi del GS Montestella, oltre a personaggi famosi come Maurizio Lupi, il deputato maratoneta che qui è di casa, oppure il giornalista sportivo Gianluca Rossi. L’evento ha avuto un buon successo. Anche il tiepido sole che ha accolto tutti i partecipanti ha dato una mano e non c’è dubbio che siano stati raggiunti gli obiettivi della manifestazione, ovvero promuovere la conoscenza di questa malattia e sensibilizzare il pubblico sulla necessità di indirizzare maggiori fondi a favore della ricerca.