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Fabio Marri

Fabio Marri

Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua. 

Il sottotitolo del libro di cui vogliamo parlare (purtroppo Vincenzo Mollica non era disponibile alla recensione, e dunque non leggerete il solito peana a suon di "gran bel libro imperdibile") suona “Divagazioni di un viaggio a piedi da Milano a Voltri”, ed è probabilmente più azzeccato del titolo primo, “Ci sono gli indiani ma vado avanti lo stesso”: che ti farebbe pensare a connessioni gucciniane tra la via Emilia e il West, mentre a p. 250-251, nel corso del quart’ultimo capitolo, apprendiamo più banalmente che gli indiani ovvero Apaches sono i dolori ai piedi, malgrado i quali l’autore arriverà a Tortona perseverando nella sua “pura follia di un vegliardo rincitrullito” (p. 254). Coraggio, mancano una cinquantina di km: per il lettore, solo 23 pagine più 7 di indice dei nomi, e la fatica sarà finita per entrambi.
Sto parlando ovviamente dell’ultima fatica sportivo-letteraria di un autore, ora ottantaduenne (ma tra i 70 e i 72 all’epoca delle imprese), Ennio Buongiovanni, che apprendiamo essere giornalista sportivo molto prolifico, e persino premiato, nell’ultimo quinquennio, e che nel novembre 2019 ha stampato, presso l’editore Fusta di Saluzzo (specializzato in resoconti di viaggio), queste 285 pagine in vendita a 18,90 €, formalmente piuttosto ruspanti eppure innalzate a saggio culturale, tra la guida rossa Touring e le informazioni storico-turistiche di Wikipedia, con una spiccata predilezione per le citazioni letterarie e pittoriche di cui l’indice finale tenta di dar conto: però col fiatone, tanti sono i nomi o i rimandi dimenticati o errati o imprecisi.
Il buon Jack Kerouac, ad esempio, secondo l’indice risulta alle pp. 79 e 224 (in quest’ultima pagina sono ben 12 i nomi di persona citati, e ciò comincia a dare l’idea del tipo di libro); ma nella realtà appare già nel motto introduttivo di p. 7, che verrà ripetuto a p. 74 (repetita iuvant): solo che l’autore è citato col cognome Kerouak, e forse la cosa avrà indotto chi componeva l’indice a trascurare questo fake.
Che capita abbastanza spesso, soprattutto nel caso di nomi stranieri: zappa sui piedi di chi indulge a citazioni di cose più esibite che possedute: le “thaitiane di Gauguin” a p. 44, il “ca marche” di 36 e il “ca va” di 165 (sarebbe ça), il “Kunsthistorishes Museum” di Vienna di 206, il “Paul Cesanne” di 221 (mancante all’indice, forse per un rifiuto di Madama Verità); il pittore Munch, che nelle tre volte in cui è citato appare sempre con un nome diverso: Edwar a 122 (e nell’indice), Edward a 173, Edvard a 224; il “Don Peterson” di 147 (che nell’indice è schedato subito sotto “Don Gianfranco – di Pasturana”, lasciandoci così il dubbio se Don sia nome o cognome o titolo, e insomma a chi corrisponda tra i 188 milioni di entrate su Google sotto questo nome).
Vorremmo, piuttosto, leggere, non fare continue ricerche per capire quello che non sappiamo o che crede di sapere l’autore in preda a un citazionismo esasperato, che gli fa esibire due volte Patty Pravo (97 e 128) per la sua “pazza idea” del viaggio; oppure cinque autori più un modo proverbiale solo per aver parlato di corda (e ci sarebbe da ridire sull’interpretazione di Pirandello); o dodici-nomi-dodici in tre righe a p. 135 per dire che il pittore o il poeta non rappresentano la realtà ma la loro personale trasfigurazione.
Si capisce che redigere l’indice sia stato fatica ingrata, e ciò spiega forse perché, di Socrate e Santippe citati insieme alla stessa p. 135, l’indicizzatore abbia messo solo Socrate, mentre Santippe deve essere stata inghiottita dai tanti Santi messi appunto sotto “Santo” senza troppo curarsi dell’ordine alfabetico: Sant’Ambrogio è dopo San Carlo, Santo Stefano è dopo Santhià Giuseppe ma con un rinvio a p. 116 dove proprio non c’è.
Viene attribuita a vari maestri di giornalismo (da Longanesi a Montanelli a Debenedetti a tanti altri) la frase: “chi dice in venti parole ciò che può essere detto in cinque, è capace di qualsiasi delitto” (cito a memoria senza andarlo a cercare sul web): non voglio fare di Buongiovanni un … criminale, ma direi che questo racconto, se ridotto a metà pagine, riuscirebbe digeribile e financo piacevole, per il tifo che l’autore concentra su di sé proteso a una meta negatagli dagli eventi, dal fisico, dagli amici e addirittura dall’amantissima moglie: alla fine speriamo tutti che a Voltri ci arrivi davvero, anche se ci chiediamo come mai, con tutta l’esperienza che ha, tutti i bar e le fontanelle cui passa davanti, tutta la gente ospitale che incontra, Buongiovanni abbia sempre una sete maledetta: per forza, in tutto l’equipaggiamento meticolosamente enumerato in venti righe a pp. 20-21 ci sono “bustine di integratori salini e due borracce di Gatorade”, roba che fa venire sete, e niente acqua. In compenso c’è il Malox, che sarà “Maalox” e, se in forma di sciroppo, si può bere lasciandoti un retrogusto di gesso fresco.
Ma tiremm innanz (ovviamente anche questa frase compare nel libro con l’ovvio riferimento risorgimentale, a p. 201), e peschiamo dal libro le pagine migliori, tra cui metterei in testa il divertente intermezzo con gli ortopedici e fisiatri e plantaristi di Brescia (pp. 100, 104-5, 118-121 e via andare), capaci di spillare soldi e fare interventi chirurgici con viti che arrugginiscono e dunque vanno tolte. Poi la digressione di 113-6, al passaggio sotto la galleria del Turchino (uno dei tanti), che rievoca la Milano-Sanremo del 1910.
Il capitolo migliore è probabilmente quello della parte II intitolato “Sulle tracce di Renzo Tramaglino” (186-201), in sostanza una digressione perché non si occupa della agognata discesa su Voltri ma di un allenamento del 31 marzo 2009 in direzione est, a Gorgonzola-Cassano-Gessate, grosso modo per dove Renzo passò fuggendo da Milano verso Bergamo. Efficace la descrizione del degrado lungo la Martesana (187-8); peccato che a p. 193, per passare il ponte sul Naviglio di Gorgonzola, Buongiovanni senta il bisogno di enumerare i principali ponti da lui percorsi in tutto il mondo. Seguono altre citazioni letterarie, e a proposito di ville in decadenza diventa necessario citare “mala tempora currunt” con una attribuzione a Cicerone che tuttavia non ha riscontri certi. L’autore si riscatta a 196-197 descrivendo la villa Aitelli di Inzago con note personali (non attinte da Google insomma), e prosegue offrendo note interessanti sul Rudun di Groppello. Peccato che, dopo aver detto che questo “ruotone” fu commissionato da san Carlo Borromeo, rifila la panzana che “sarebbe stato lo stesso Leonardo a progettarlo. Niente di più probabile”. Oibò, Leonardo abbandonò definitivamente Milano nel 1513, San Carlo divenne arcivescovo cinquant’anni dopo…
Meno male che Buongiovanni ammette poche righe sotto: “di divagazioni cultural-turistiche e pseudo-letterarie ne ho fatte anche troppe”. Eppure, questo è il capitolo più bello, preludio alla rapida conclusione della storia, accompagnata da una citazione vagamente iettatoria (“metto le scarpe al sole proprio come il titolo dall’ [sic, ma sarà dell] omonimo romanzo di Paolo Monelli”): perché mettere le scarpe al sole, nel gergo degli alpini ripreso da Monelli, significa morire ammazzato.
Ciò che fortunatamente non accade a Buongiovanni, che alle 15,50 del 3 maggio 2009 arriva a vedere il mare di Voltri, in cui l’indomani poserà i piedi “per un lungo e benefico massaggio” (p. 272, purtroppo segnata dall’ennesimo errore di stampa, “suoi miei tendini” anziché sui). Un’ultima citazione (Baudelaire), i cui versi sono tradotti ricopiando (senza dichiararlo) la versione leggibile in https://sensodellavita.com/2007/08/30/luomo-e-il-mare-charles-baudelaire/.
Poi, ancora tre righe e la fatica (di tutti, incluso il Roberto Mandelli che, dopo aver partecipato alla presentazione (tutte le foto) e avermi 'suggerito' la lettura, molto ha penato per inserire il suo egregio collage fotografico) è conclusa, “con i piedi che non mi fanno più male”.

 
 

9 febbraio – Se ad essere classificati in una maratona sono 160, cui vanno aggiunti altri 114 che nella concomitante gara delle 6 ore (omologata IUTA) superano la distanza fatidica dei 42,195, cominciamo già ad avere un numero totale di 274 che, per le “Minors”, è degno di qualche rispetto, magari di qualche invidia da parte degli organizzatori: siamo sui numeri delle maratone 2019 di Aquileia o Pescara, e qualcosa più del Mugello.
Aggiungiamo 109 classificati nelle gare competitive di contorno (una 30, una 21 e una 10, inserite nel Corrimarche e nel “Correre per correre” Uisp), e anche senza conteggiare i non competitivi, stiamo sui 400, che nella fredda ma luminosa mattina di domenica hanno riempito il bellissimo impianto sportivo di Fano, una pista in asfalto di 2266 metri, nata per il ciclismo ma perfetta anche per i podisti.
La gara ha coronato il congresso annuale del club Supermarathon Italia, cui l’attuale confermatissimo presidente Paolo Gino ha conferito un’efficienza e un dinamismo manageriale, sposato a un “volto umano” e ad un impulso per la solidarietà che non possono non catturare. Per dirne due, il Club, oltre a confermare le sue serie ad Orta (quest’anno, siccome siamo nel 2020, le 10 in 10 diventano 20 in 20, nei primi venti giorni d’agosto), si accolla l’onere di mantenere in vita la 24 ore di Torino e la 100 km delle Alpi (1-2 giugno), e prosegue nell’appoggio all’iniziativa pro terremotati di Norcia, con la “Due giorni della Sibilla” il 18 e 19 luglio.

Ma passo alle corse della domenica, doverosamente cominciando dalla gara-regina, la maratona, che ha visto la vittoria di Giorgio Calcaterra  con lo stesso tempo di Riccardo Quattrini, entrambi M 45 (ma Calcaterra compie 48 anni questo lunedì), in 2.51:27; in campo femminile, della riminese Pamela Guidotti (3.44:45), quasi 12 minuti davanti a Giulia Ranzuglia (31 le donne che hanno concluso la prova). Piluccando nella graduatoria, vediamo Franco Scarpa (‘contabile’ del Club, omologatore delle classifiche semestrali) con 4.12, figlio Mauro e papà Paolo Malavasi in 4.18 e 4.47 (stavolta Paolino, reduce dalla Gran Canaria, ha conseguito la sua “tacca”: ech du tacoun c’tem fe gnir!); c’era il vincitore della maratona ‘privata’ del Faro di Maspalomas, Alfredo Sboro (5.19), e via via gli altri componenti del direttivo del club, compreso il “sindaco” mantovano Simonazzi che ha battuto il presidente Gino. Non potevano mancare i maratoneti più prolifici, dal primatista 2019 Pandian (112 gare corse) al recordman all time Ancora, e ancora Gemma, Faleo e altri volti ben noti alle 42 italiche.

A questi maratoneti-e-non-un-passo-di-più (almeno stavolta) si sommano, come detto, i 114 che nelle 6 ore hanno superato i 18 giri, raggiungendo cioè i 43 km necessari per la ‘tacca’: il più resistente di tutti, Maurizio Di Paolo (M 45), di giri ne ha fatti 32, cioè oltre 76 km; quasi un giro in più (per l’esattezza 1600 metri) del secondo, Luca Cagnani. Tra le donne, Alina Teodora Muntean (F 40) ha superato di un soffio i 70 km, tre e mezzo in più della seconda Patrycja Mokrzycka (le due signore sono quinta e nona assolute). Si è fermato a 63 km l’ingegnere e ultramaratoneta reggiano Antonio Tallarita; a 56,600 l’ex presidente del Club, nonché organizzatore della maratona Alzheimer, Luciano Bigi, con lo stesso numero di giri della mamma volante bergamasca Ilaria Pozzi. Un’altra plurimamma e nostra collaboratrice, Simona Bacchi, accompagnata come sempre dal marito Alessandro Mascia ha chiuso a 51,600; davanti al comune (diciamo così) datore di lavoro, Mauro Firmani della Maratombola, che si è accontentato di sfiorare i 50 km, battendo comunque i colleghi organizzatori Francesco Capecci (la Sabbia di San Benedetto del Tronto, 45,600) e Franco Schiazza (Gran Sasso, 45,300). A quasi 44 km è arrivata Angela Gargano, di cui si annuncia per maggio il traguardo delle 1000 maratone in carriera; mentre il gruppo è stato chiuso da Luca Mazzocchi e Fabrizio Zandrini che si sono accontentati di 31,700 km.

Di tutto rispetto il tempo del vincitore della 30 km, il pesarese Luca Sperindei (1.58, cioè 3:58 a km); la prima donna, Roberta Ciferri, ha impiegato 2.40.

Francesco Berardi, enfant du pays, ha dominato la mezza maratona, conclusa in 1.20 (cioè 3:48 a km), oltre 6 minuti sul secondo Giampiero Martini; nessun problema anche per la prima donna, la recanatese Barbara Cimmarusti, 1.34 cioè 7 minuti sulla seconda Chiara Mainardi. Poco sotto l’1.54 è giunto Annibale Montanari, organizzatore di una delle maratone più belle di quelle contrade e non solo, la Collemarathon Barchi-Fano, e che ovviamente ha avuto un ruolo decisivo nell’allestimento di questa giornata. Ma gli applausi più sentiti sono toccati al presidente onorario del Club, Angelo Squadrone, anni 91, che ha finito in 3.26.

La gioventù si è invece riversata sulla 10 km, dominata da Peter Santagatti (26 anni) in 33:02, un minuto davanti ai due (presumo) gemelli Luca e Lorenzo Boinega (29 anni). Prima donna, Elena Smacchia in 41:50. Tra tanti giovani, notata peraltro la presenza di una coppia un po’ più attempata del Road Runners Milano, Franco Cabrini e Gabriella Valassina, che ce l’hanno fatta in 1.28.

A completare la giornata, pizza gratis per tutti gli iscritti (secondo la ferrea organizzazione della fascinosa segretaria Cristiana da Rimini) in un locale lungo la via Roma (alias Flaminia), il rettilineo di 220 miglia che Giulio Cesare percorse dopo aver gettato il dado; e possibilità di partecipare (stavolta a pagamento) alla sfilata di uno dei più antichi Carnevali d’Italia, o anche di visitare il monumentale centro storico e la piccola ma notevolissima pinacoteca.

Venerdì, 07 Febbraio 2020 14:26

Maratoneti italiani: sono davvero in calo?

Attesissima e puntuale, è uscita la “Maxiclassifica” dei maratoneti italiani, allegata al numero di “Correre” di febbraio oltre che recuperabile, almeno nei dati, dal sito del mensile stesso.

Il succo del grande lavoro di raccolta è condensato nelle righe seguenti, da cui attingo.

 È sceso a 36.725 il totale dei maratoneti italiani che nel 2019 hanno portato a termine almeno una maratona (42,195 km), per un totale di 57.092 tempi. Una flessione che era già cominciata nel 2018, quando furono 37.874 i nostri connazionali finisher della distanza, in calo rispetto al record assoluto che era stato raggiunto nel 2017 con 39.460.

Il calo ha riguardato soltanto gli uomini, scesi ancora: 29.810 contro i 31.002 del 2018 (- 3,8%). Continua, invece, l’incremento della partecipazione femminile: nella stagione da poco conclusa sono state contate 6.915 maratonete contro le 6.871 del 2018 (+ 0,6%). Questa crescita della maratona italiana in rosa sta proseguendo ininterrottamente dal 2013.

New York resta la gara estera più amata dagli italiani, con 2.850 finisher; il calo rispetto al 2018 (2.983) è dovuto soprattutto all’anticipata apertura delle iscrizioni per il 2020, quando la gara vivrà la propria cinquantesima edizione;

Valencia continua ad affascinare i nostri runner: 2.013 lo scorso anno (1.870 nel 2018); Berlino (1.062 italiani), Atene (892) e Parigi (644) sono le altre destinazioni estere maggiormente gettonate dai nostri connazionali.

Presenze di italiani sono state rintracciate in 116 maratone nel mondo, che si aggiungono alle 90 disputate sul nostro territorio.

In Italia, Roma (8 aprile 2018) risulta ancora la più frequentata tra le italiane, ma è scesa a 8.820 concorrenti arrivati (ne aveva contati 11.675 nel 2018). A completare il poker delle quattro gare maggiori troviamo Firenze (24 novembre) con 7.455 arrivati (7.606 nel 2018), Milano (7 aprile), ancora in crescita con 6.303 maratoneti (5.556 nel 2018) e Venezia (27 ottobre), che ha accolto 5.369 finisher rispetto ai 4.915 della precedente edizione, flagellata dall’acqua alta.

Ovviamente – mi permetto di osservare – l’acqua alta degli ultimi 3 km non aveva inciso per nulla sugli arrivi: le iscrizioni erano state aperte e chiuse ben prima che si sapesse dell’acqua alta. Anzi, paradossalmente, il fascino esercitato dallo sguazzare in trenta cm d’acqua, oltre alla pubblicità data all’evento, ha certamente fatto da traino alle iscrizioni del 2019.
Qualche altra considerazione critica (non nel senso di ‘polemica’ ma nel senso di ragionarci sopra un po’ di più). A cominciare dal numero complessivo dei maratoneti: sono davvero calati? Risultano 1100 in meno sul 2018: ma se pensiamo agli annullamenti delle maratone di Genova e Torino, e ai quasi tremila partecipanti in meno registrati a Roma per le note incertezze organizzative, questo “calo” del 2019 va quantomeno asteriscato. E buona sorte che “Correre” assegna il ‘punto’ ai quasi 7500 che hanno completato la maratona di Firenze, misurabile in circa km 41,600: non è colpa dei podisti se hanno ‘tagliato’, ma i loro tempi andrebbero, questi sì, asteriscati.
Però, anche ammettendo il “calo”, lo circoscriverei alle maratone su asfalto, le uniche prese in considerazione da “Correre”, che continua a ignorare le ecomaratone e le maratone di montagna, sulle quali invece si stanno riversando gli interessi di tanti maratoneti stanchi di correre tra i gas di scarico o quantomeno in scenari urbani poco edificanti o comunque sempre uguali negli anni. Come segnalo da almeno vent’anni, una delle maratone più belle d’Europa, la Jungfrau di Interlaken, omologata Aims e che ogni anno fa il tutto esaurito – con molti italiani presenti – da almeno un decennio è stata tolta dalla maxiclassifica. Dove non figurano neppure ecomaratone italiche come (per dirne solo due) Alba e Cervia, la maratona sulla sabbia di San Benedetto del Tronto (e tantissime altre), mentre c’è (distrazione?) la cosiddetta maratona di Ostia, che si rivela essere la Maratombola di Castelfusano di fine dicembre: gara bella e raccomandabile, ma totalmente ‘eco’, quasi totalmente su sentieri nel bosco. Perché quella sì e le altre no?
Un’altra stranezza ritrovo nella maratona chiamata (a p. 24) “Palma di Maiorca”: almeno alcuni tempi attribuiti a podisti non si riferiscono a Palma ma alla Gran Canaria, insomma a Las Palmas (vabbè, sempre un’isola spagnola con le palme è…); mentre, piluccando sulla classifica della ‘vera’ maratona di Palma di Maiorca, svoltasi a ottobre 2019, constato nella maxiclassifica l’assenza dei risultati di vari partecipanti italiani: per dirne due a caso, Mario Polverino e Pasquale Simeone, che figurano con altri risultati. Strano, tanto più che la maratona maiorchina era stata pubblicizzata dall’agenzia storicamente legata a “Correre”, e con l’intervento del direttore stesso del mensile.
Quanto alle maratone plurime, quelle che si svolgono in più giorni consecutivi nello stesso luogo: se ad esempio le 4+10 di Orta sono distinte giorno per giorno (e in fondo, le prime 4 erano differenti per tracciato e quasi sicuramente per lunghezza l’una dall’altra), le 8 di Rieti non lo sono, e dunque lo stesso atleta si trova accreditato di tempi diversi nello stesso luogo, senza distinzione.

Posti questi limiti, i dati della Maxiclassifica sono una miniera che offre spunti pressoché infiniti. Credo che il più ‘gettonato’ (come si dice oggi nonostante i gettoni siano spariti da decenni) sia quello del “chi ne ha fatte di più?”, evidenziabile a colpo d’occhio su “Correre” dalla lunga striscia bianca sotto il nome del singolo pluricorridore. E tornando alle origini del Club dei supermaratoneti italiani, che le sue classifiche interne le compilava a partire dalla maxiclassifica più aggiunte individuali (restò clamoroso l’anno della falsa attribuzione del record all’ignaro Sante Facchini), sono andato a vedere le graduatorie online (molte e preziose) del Club stesso, il cui presidente Paolo Gino figura nella maxiclassifica con 25 gare, diciamo così, “asfaltate” (incluse due Rieti-chissà-quali), ma nella classifica del Supermarathon Italia (che non distingue per il fondo stradale, e comprende le ultramaratone e le gare a tempo, 6 ore ecc.) è accreditato di 46.
A occhio, spiccano per numerosità nella Maxiclassifica i componenti del Club (anche se non mi sono preso la briga di contare una per una le ‘tacche’ di tutti su “Correre”): per curiosità, do tra parentesi le cifre risultanti dalle graduatorie 2019 del Club, che approssimativamente raddoppiano, o quasi, i numeri di “Correre”. Il primo dovrebbe essere ancora il milanese Vito Piero Ancora (53 maratone per “Correre”, 92 all inclusive), seguito dal rubicondo toscano Massimo Morelli (65), dal maresciallo ‘trombettiere’ forlivese Lorenzo Gemma (58), dal veneziano di San Donà Elvis Tasca (55), dall’anconetano Fernando Gambelli (54).
La Lombardia primeggia anche tra le donne, con “Carlotta” Gavazzeni (57) seguita da Giulia Ranzuglia (53, con uno strepitoso ancorché asteriscabile 3.45 a Firenze) e da Carolina Agabiti (47 gare). Non facendo parte del Club, non entra nelle classifiche annuali la barlettana Angela Gargano, cui “Correre” attribuisce 29 maratone, ma saranno qualcuna in più (risultavano in tutto 937 al 30 giugno 2019 secondo le statistiche mondiali ‘giapponesi’; chissà che il 2020 non segni il raggiungimento delle mille, cui Ancora è già arrivato da tempo).
Se però dalla quantità di maratone passiamo alla qualità, le statistiche di “Correre” sono impietose: nessun maratoneta italiano figura nei primi 100 del mondo; il record stagionale di 2.08:05 è al di sopra del ‘peggior’ tempo registrato al mondo. Va meglio per le donne, ma il 2.24 della Dossena (che le vale il 65° piazzamento planetario) è isolatissimo, stando a cinque minuti sopra del secondo tempo femminile.
E si fa presto a capire perché: i maratoneti di trent’anni fa continuano a correre, ma come Petrarca vanno “misurando a passi tardi e lenti”, sempre più, i tracciati che una volta discendevano con orgogliosa sicurezza: intravedo una sola eccezione che coniuga quantità e qualità, l’astigiano Alessandro Ponchione, 55 anni, e 37 maratone nel 2019, a partire da un 3.15 a Padova, chiudendo con un 4.01 nella maratona collinare di Suviana. Ma dietro i veterani, si scorgono ben pochi under 30.
E meno male che ci sono i ‘nuovi italiani’: tra i migliori 7 della graduatoria 2019, abbiamo due Yassine (primo e terzo!), un Eyob e un Ahmed; i due migliori con cognomi nostrani, Meucci e La Rosa, stanno compiendo 35 anni, e l’unico giovanissimo appare Alessandro Giacobazzi, non ancora ventiquattrenne. Notare che nei primi cento ci sta Gianni Bortolussi, classe 1969.
Tra le donne, si diceva, staccatissima in alto la Dossena, che viaggia verso i 36 anni e comunque ha fallito l’appuntamento mondiale; a cinque minuti, la Epis (32 anni), poi la Straneo (44) e la Bertone (48). Prima under 30, Sara Brogiato, un pelino sotto i 2.37. Ma nelle prime 30 ci stanno Salvatori e Moroni (coetanee della Bertone), e Claudia Gelsomino classe 69; del ’71 è l’avvocata Monica Carlin, 56^ in Italia. La Bertone è anche l’unica italiana detentrice della miglior prestazione mondiale ed europea delle F 45 col suo 2.28 di Berlino 2017.
Nell’attesa dei giovani, consola vedere la ‘resistenza’ delle generazioni anteriori, i cui migliori sono estrapolati nelle graduatorie “age group” di pp. 12-18 (con la perdonabile distrazione della sigla M appioppata anche alle gentildonne). Le nostre portacolori in azzurro sono dunque distribuite nelle fasce d’età: prima la Brogiato nelle under 30, la Epis nelle F 30, la Dossena nelle F 35, la Straneo nelle F 40, la Bertone nelle F 45 e la Gelsomino nelle F 50, col suo tempo conseguito tre mesi fa; ma se andiamo più in su con le età, troviamo le gloriose Navacchia e Del Ben che sopravvivono ancora nelle graduatorie F 55-60-65, con prestazioni ormai stagionate.
“Doppio record” stagionale, per dir così, assegnato a Franca Monasterolo: il suo 4.48 di New York 2019 la issa in testa alle F 75 a pagina 20; il tempo però manca all’elenco alfabetico di p. 60, ma a pagina 14 è compensato dal primo posto tra le “M 75” grazie al 4.45 di Ravenna (stavolta confermato).
Tra gli uomini, risulta ancora primatista europeo degli M 60 il ligure Luciano Acquarone, ora novantenne, per una prestazione realizzata nella non più esistente maratona di Asti, 34 anni fa; Acquarone conserva i record italiani anche per le categorie dalla M 55 alla M 75; mentre per le M 80 e 85 troviamo ai vertici europei il carpigiano Antonio Caponetto, classe 1931, che però nel 2019 non risulta accreditato di nessuna prestazione sui 42 km. A dire la verità (lo dico da testimone oculare) Toni ha corso il Passatore, ma alla simbolica striscia dei 42,195 sulle rampe di Razzuolo non c’era nessuno a cronometrarlo, e “Correre” quest’anno, a differenza di annate precedenti, non sancisce questi tempi di passaggio. Ma nel 2021 obbligheremo Toni a correre una 42 asfaltata da M 90, e il record non mancherà, e con esso la prenotazione per una statua da collocare nel monumento a Dorando Pietri sito alle porte di Carpi.

Gran Canaria, 23 gennaio – Da nove anni, per l’ultima domenica di gennaio, un nutrito gruppo di maratoneti italiani, teleguidati a Prato da Mario Ferri il giramondo, e nell’isola atlantica da Ugo Fabbri che ormai è di casa lì, si ritrovava sulla costa sud-orientale della Gran Canaria per corrervi la maratona. Prenotazioni già fatte da agosto, voli low cost e ospitalità di lusso (non nei prezzi) presso l’hotel Occidental Margaritas di Maspalomas; e così era stato anche a principio del 2019.
Se non che alla fine di ottobre dello stesso anno, gli organizzatori comunicavano che la maratona n° 10 non si sarebbe svolta più in gennaio ma in novembre o dicembre (curiosamente a ridosso dell’altra maratona canarina, di Lanzarote). E’ vero che veniva allestita in tutta fretta un’altra maratona in una località diversa dell’isola, il 1° febbraio, ma i nostri maratoneti avevano già prenotato per la settimana precedente: gli organizzatori ‘storici’ non davano segni di vita, allora che fare?
Si procede all’italiana, diciamo nello stile supermaratoneta: la maratona la si organizza in proprio! Al motto “Quando c’è una volontà, c’è una via”, individuato un circuito di 7 e rotti km, tale da completare la distanza canonica con 6 giri, lungo la costiera di Maspalomas con un breve tratto nell’entroterra e punto di riferimento nel faro che domina la zona; ottenuto il pieno appoggio logistico dell’hotel, della Diadora e del negozio sportivo Campione, la ventina di  ‘podisti volonterosi’ si sono fatti stampare una maglietta (verde per gli uomini e rosa per le signore) col profilo dell’isola e un ironico messaggio alla maratona-che-non-c’è, creando così la “Maratona del Faro” (prima, unica? Non si sa), senza bisogno di omologazioni e le altre menate burocratiche di cui ci si compiace in Italia, e sono partiti, con 25 gradi di temperatura, e senza l’obbligo di arrivare in fondo.  Le medaglie erano pronte, in parte preparate da Ferri stesso e in parte offerte dal Club Supermarathon, e in particolare dal ‘trombettiere’ forlivese Lorenzo Gemma (che però all’ultimo momento ha dovuto dare forfeit causa incidente).
A seguire l’impresa sono arrivati un giornalista e un fotografo-cameraman del principale giornale di Las Palmas, che hanno potuto constatare la vittoria assoluta di Alfredo Sboro, un riminese con 304 maratone all’attivo ma che aveva un conto aperto con la Canaria, perché nel 2019 era dovuto rientrare in Italia, alla vigilia della maratona, per un grave lutto familiare. Tempo finale, oggi, di 5.11:42. Seconda assoluta, e ovviamente prima donna, Paola Gueli (154 maratone), in 5.20:42; dietro lei, Rosa Lettieri (368 maratone), a filo delle 6 ore, come l’organizzatore Ferri (che ha smesso di contare le maratone quando arrivò a quota 500) e Ugo Fabbri, altro riminese traslocato sull’oceano, 84 maratone all’attivo. Gli altri se la sono presa più comoda completando ciascuno i giri che gli aggradavano: si segnala Daniela Gallia (55 maratone, l’ultima in Giamaica un mese prima), che sofferente per una ‘fresca’ caduta sugli sci ha fatto 28 km.
Per tutti, è seguito il cosiddetto terzo tempo, ovvero la cena conclusiva della giornata, dove l’Occidental Margaritas è stato all’altezza della sua fama di ospitalità, con un menù lussuriosamente abbondante e senza sottilizzare su dolci e bevande extra.
Sarà omologata? Costituirà una gloriosa ‘tacca’? Andrà sulle maxiclassifiche? Ai dubbi si potrebbe rispondere con l’ipotetico apocrifo commento di Paolino Malavasi, modenese aficionado di quelle contrade e reduce dalle Six minors emiliane così da arrivare a 240 maratone ‘ufficiali’ in carriera: “Csa vot ch’a m’nin frega? ai ho magné, dbu, ciapè al sol e fat al bagn, quand a toren dal vostri bandi (più terd ch’as pol) an’im parlàm!”.

Commenta Ugo Fabbri:

La "Maratona del Faro" è un evento autogestito, creato appositamente per permettere ad un gruppo di italiani in vacanza di poter correre una maratona (ma anche una mezza) in sostituzione della Gran Canaria Maratón prevista per oggi, il 26 gennaio ... ma poi annullata pochi mesi fa ... per motivi, a dir poco, inesplicabili. Sarebbe stata la 11ª edizione.
Io sono uno dei pochi (13 in tutto) che ha corso (e finito) tutte le 10 edizioni: ed è per questo motivo che l'anno scorso sono stato premiato con una targa di riconoscimento dall'organizzazione.
Quattro mesi fa, il mio caro amico Mario Ferri mi disse che sarebbe venuto ugualmente con un gruppo (come fa ogni anno)  e mi chiese di organizzargli una maratona.
Detto e fatto: mi misi all'opera per creare un circuito su uno dei lungomari oceanici piú affascinanti d'Europa, con il Faro di Maspalomas come zona partenza/arrivo.

La "strana" partenza alle 13 é stata decisa appositamente per permettere ai partecipanti di poter fare gli ultimi km con il fresco del pomeriggio e di godere del magnifico tramonto.

Inoltre mi sono occupato anche di tutta la promozione grafica, con un sito web (Google Photos) dedicato esclusivamente a documentare questo evento.
Poster, foto e video di ogni punto kilometrico, foto e video prima, durante e dopo la maratona.

Tutto questo mio impegno e tempo, l'ho dedicato a Mario (e al suo gruppo), perché, oltre a considerarlo un gran amico, lo ammiro molto per la sua energia e simpatia che riesce a trasmettere.

 

? Galleria di foto/video su Google Photos di FORZA AZZURRI
https://photos.app.goo.gl/VXBEfQXeAi4Ewhbv6

Quasi quattordicimila appassionati hanno partecipato al referendum indetto per la 15^ volta dall’egregio magazine tedesco Marathon4you.de per scegliere le migliori maratone dell’anno 2019 nell’area germanofona.

https://www.marathon4you.de/voting/

Si afferma per la sesta volta consecutiva, con oltre 1100 preferenze dei podisti, il Rennsteiglauf, molto più di una maratona annoverando distanze varie, dai 75 e 42 km delle due gare principali (che partono rispettivamente da Eisenach, la città natale di Bach, e da Neuhaus, nel Land di Sassonia) fino a gare più brevi, per concludersi nella pittoresca conca collinare di Schmiedefeld, dopo percorsi quasi totalmente boschivi. E’ una corsa-fedeltà, dato che molti dei votanti hanno confessato di averla corsa già 25 volte!

Invariato anche il secondo posto di Francoforte, sempre molto amata dai podisti per la comoda collocazione delle infrastrutture, il percorso appassionante e lo spettacolare arrivo tra luci tecno nella Festhalle.

Risale alla terza posizione Berlino, sorprendentemente solo quinta l’anno prima; ma questa è una classifica ‘dal basso’, che evidentemente non tiene conto dei tanti record che semmai interessano ai toprunner, e nemmeno del numero di partecipanti, che invece determina le classifiche ‘oggettive’, tecniche, i vari metalli pregiati con cui si contraddistinguono.

Scende dal terzo al quarto posto (e al primo tra le non tedesche) la maratona della Jungfrau, con partenza dalla svizzera Interlaken e arrivo a quota 2100, in uno scenario senza pari e con una organizzazione semplicemente perfetta: è questo che procura i voti degli amatori.

Da notare che il vertice della graduatoria mette insieme una maratona extraurbana-collinare, due totalmente cittadine e una di alta montagna, senza distinzioni ‘puristiche’.

La quinta e sesta posizione tornano alla Germania, con la relativamente piccola Hannover (sesta l’anno prima) e la frequentatissima Amburgo (scivola al 12° posto Colonia, quarta nel 2018); conferma il settimo posto la svizzera Lucerna (che ci siamo permessi di segnalare anche noi)

http://podisti.net/index.php/cronache/item/5169-lucerna-ch-13-swiss-city-marathon-la-corsa-rende-felici.html

mentre sale all’ottavo posto la 42 del Lussemburgo.
Quale prima austriaca (15^ assoluta) si conferma la maratona del Danubio di Linz, seguita come l’anno scorso da Salisburgo.

Le classifiche “di specialità” continuano a regalare soddisfazioni all’Italia tra le maratone di montagna: invariato il ‘podio’, rimane terza la maratona di Bressanone (20^ nella classifica generale) dopo l’inarrivabile Jungfrau e la bavarese Allgäu; seguono la Karwendelmarsch (una 52 km a sud di Monaco), la spettacolare Zermatt e al sesto posto, come già nel 2018, la maratona dello Stelvio.

D’altro genere è la classifica delle maratone elaborata (come già nel 2018) dal meritorio sito toscano Marathonworld.it, che si basa su dati oggettivi, cioè (cito):

- La media temporale dei primi 10 arrivati della gara maschile, alla quale viene attribuito un valore che pesa per il 35% sul punteggio totale del ranking
-La media temporale delle prime 10 arrivate della gara femminile (35%)
-Il numero di arrivati della gara (20%)
-Il numero di edizioni disputate (10%)

 Ad ognuno dei 4 dati è assegnato un punteggio che viene poi sommato e ricalcolato in base alla rispettiva percentuale di riferimento.

Si tratta dunque di una classifica, in un certo senso, quantitativa per il 30%, e qualitativa per il resto, fondata cioè sulla qualità dei primi arrivati: non siamo dunque lontani dai parametri con cui la Fidal assegna le qualifiche oro-argento-bronzo, e dunque è inevitabile che nei primi posti ci siano le 42 italiane più partecipate, e ovviamente le più ricche, tali cioè da permettersi di ingaggiare i top.
Ai primi quattro posti troviamo nell’ordine, infatti, Roma (736 punti), Firenze (720), Milano (691), e con un distacco più sensibile Venezia (605).
Le maratone delle città non capoluogo regionale incalzano, con l’ascesa non sorprendente di Ravenna, quinta con 559 punti, solo 3 in più di Padova sesta. I tempi dei finisher sono migliori per Padova, ma i quasi 800 arrivati in più fanno pendere la bilancia a favore dei romagnoli.
Settima è Reggio Emilia (538 punti), che precede quanto ad arrivati ma è penalizzata (pensate un po’) dalla mediocrità dei tempi femminili. Ottava “di stima” (come si diceva una volta) la maratona di Torino, in virtù dei risultati degli anni antecedenti, incalzata da altre due ‘provinciali di lusso’ come Pisa e Verona.
Che precede Treviso grazie al maggior numero di arrivati; mentre al 12° posto troviamo la prima maratona di una città non capoluogo di provincia, Russi, che in questa graduatoria speciale tiene a distanza la Collemar-athon Barchi-Fano e la Verdi Marathon Salsomaggiore-Busseto: tre splendide realtà di provincia che negli anni mantengono invariata la loro attrattività. Molto indietro due illustri decadute, il Lago Maggiore (23^) e Ferrara (26^), appena davanti alla più antica, il Mugello, forte di 46 edizioni ma di soli 264 arrivati, meno delle giovani Alzheimer (con arrivo a Cesenatico) e Navigli (Abbiategrasso).

Due classifiche diverse ma da tener presenti entrambe, per chi volesse programmare una partecipazione un po’ fuori dagli “influencer” soliti.

 

Lunedì, 13 Gennaio 2020 00:32

Tutto esaurito alla maratona di Bologna?

Nella serata di sabato 11 scorso l’ufficio stampa della Bologna Marathon, in programma il prossimo 1° Marzo, ha annunciato il “sold out”. A meno di tre mesi dall’apertura delle iscrizioni, è stato raggiunto il tetto massimo prefissato, ovvero 2500 runners tra maratona e la “30 dei Portici”.
Evidentemente è grande l‘attesa per una manifestazione che in città mancava dal 1996;* e la scadenza, il 10 gennaio, del primo step entro il quale i pettorali avevano ancora il prezzo iniziale (42 euro per la maratona), ha portato all’infoltirsi delle iscrizioni: «Il numero d’iscritti è aumentato esponenzialmente fino ad “esplodere” nella giornata di venerdì – hanno spiegato gli organizzatori - raggiungendo il limite totale previsto. Sorpresi per il risultato che va oltre ogni nostra attesa, ci siamo trovati costretti a sospendere le iscrizioni per le competitive e a prendere qualche giorno di tempo. Dobbiamo riflettere e capire come accontentare i tanti che ancora non sono riusciti ad iscriversi e, allo stesso tempo, garantire la massima qualità dei servizi a tutti gli atleti che hanno già acquistato il pettorale». 
Non sarà quindi più possibile, almeno per il momento, iscriversi attraverso il sito web della Bologna Marathon; gli organizzatori stanno valutando come procedere per accontentare quanti hanno fatto domanda per correre una delle due gare in programma. Nei prossimi giorni saranno dati ulteriori aggiornamenti e notizie riguardanti le iscrizioni alle gare competitive.
Il punto interrogativo che abbiamo aggiunto al titolo esprime la nostra speranza che, nei cinquanta giorni ancora a disposizione, gli organizzatori sappiano trovare i modi per soddisfare tutti i partecipanti a un evento che si annuncia come uno dei principali della stagione. Dovrebbe comunque restare impregiudicata fino all’ultimo la possibilità di prender parte alle gare su distanze minori: ma è chiaro che da Bologna i podisti si aspettano molto di più.

*NdR In realtà, come ricorda Valentina Gualandi, le ultime due edizioni si corsero, sebbene in tono minore, nel 2003 e 2004. Comunque, 15 anni senza maratona a Bologna (è meglio stendere un velo pietoso sulla Vignola-Bologna) sono troppi.

Lunedì, 06 Gennaio 2020 23:53

Dopo 10 anni, un Campaccio senza Mandelli

6 gennaio - Per la prima volta dal 2010, il Campaccio di S. Giorgio su Legnano ha fatto a meno delle foto che Roberto Mandelli pubblicava su Podisti.net, con pieno gradimento, a quanto pare, non solo dei podisti (intendo i podisti comuni, quelli che non puntano a premi monetari, pagano per iscriversi e sarebbero contenti di non foraggiare anche agenzie fotografiche), ma pure degli organizzatori.
Quest’anno qualcosa è cambiata: seguendo una prassi che taluni organizzatori di maratone adottano (Reggio, tra le ultime), chi allestisce il Campaccio ha pensato di affidarsi per il servizio completo ad una premiata ditta, tanto forte da potersi permettere, lo stesso giorno, di gestire anche una maratona (sebbene di serie C) in Val Padana. Da cui, per inciso, a 24 ore dallo svolgimento non abbiamo ancor visto uno straccio di comunicato.
Fatto l’accordo (sui cui dettagli economici non vogliamo disquisire, ma che alla fine graveranno sulle tasche di chi ordinerà le foto), scattano le “privative” o esclusive. Al nostro Mandelli è arrivata una melliflua comunicazione secondo cui sarebbe stato benvenuto al traguardo del Campaccio, ma avrebbe potuto pubblicare solo un numero limitato di foto, “non più di quanto consente il diritto di cronaca”. Il nostro Roberto ha dignitosamente replicato che con questi limiti non sarebbe venuto, nemmeno lungo il percorso da spettatore qualunque, cui nessuno poteva impedire di scattare e far circolare le proprie foto anche in sedi non private (chi ha assistito alla trasmissione Rai avrà notato varie persone oltre le transenne che col telefonino riprendevano gli arrivi; e chissà quante saranno già sul web).
I nostri redattori, presenti sia per passione sportiva sia per fare il loro lavoro, hanno ottenuto un pass senza condizioni; chi invece si presentava come fotografo doveva preventivamente firmare un modulo secondo il quale si impegnava a pubblicare non più di 30 immagini: limite largamente rispettato colle 26 foto complessive di Lorenzini e Maderna, inserite nella stessa cartella ‘ufficiale’: che, piaccia o non piaccia, per noi è stata assemblata da Mandelli. Mentre un altro appassionato, Carlo Vincenzi, appostato in un luogo defilato e pittoresco del tracciato, non fotografo professionista né giornalista, e che dunque non doveva sottostare a nessun balzello, ha fatto qualche decina di scatti amatoriali riprendendo molti protagonisti delle due gare maggiori (nella foto 77 vedete ad esempio Chiappinelli, che sul traguardo è sfuggito alla Rai, invece impegnata a dissertare e a inquadrare il gruppetto dei primi tre arrivati, ormai fermi oltre il traguardo).
Roberto Mandelli, in questa giornata della Befana, per la prima volta dopo dieci anni si è dedicato ad altri compiti: ha svuotato un vecchio cascinale di famiglia, ha riparato alcune tegole, ha ‘salvato’ un pappagallino che si era rintanato in un luogo buio e ha cominciato ad addestrarlo (chissà se tra le prime parole che gli sta insegnando ce ne sia qualcuna dedicata ai commercianti di foto?), ha anticipato il falò di S. Antonio per tante scartoffie che non servono più… Poi, al tramonto, è rientrato alla casa-madre e da lì ha cominciato a sistemare foto altrui; ma su nostra richiesta ha recuperato dagli archivi le sue immagini dai dieci anni di Campaccio e le offre a noi tutti. Liberi di fare i confronti con le foto a pagamento del Campaccio 2020.

2019 - https://foto.podisti.net/f151367053

2018 -  https://foto.podisti.net/f176611464

2017 -  https://foto.podisti.net/f509842685

2016 - https://foto.podisti.net/f919968064

2015 - https://foto.podisti.net/f277626229

2014 - https://foto.podisti.net/f862655880

2013 – http://foto.podisti.it/ark2013/index.php?view=category&catid=34&option=com_joomgallery&Itemid=208

2012 - http://www.fotopodisti.net/2012_01/index.php?cat=5

2011 -  http://www.fotopodisti.net/2011_01/index.php?cat=8

2010 - http://www.fotopodisti.net/2009_09/index.php?cat=580

Dopo 10 anni, un Campaccio senza Mandelli

A cavallo tra la fine del secondo millennio e l’inizio del terzo (in realtà, l’indicazione era imprecisa, ma la cifra tonda restava) i maratoneti italiani, e molti stranieri dell’epoca, corsero da una a due maratone ‘millenarie’ nell’arco di 24 ore.
La prima fu la “Assisi Marathon – Millennium for peace”: esordio in assoluto per quella città, e destinata a rimanere la penultima perché dopo una seconda edizione nel 2000 non credo sia stata più fatta (sicuramente non con quel nome). La seconda fu l’unica “Millennium Marathon” di Roma, un’idea di Primo Nebiolo benedetta alla partenza da papa Giovanni Paolo II: “la vita può essere paragonata a una singola maratona che tutti siamo chiamati a percorrere…: ci attende un comune traguardo ed è l’incontro con Cristo” (quello fu anche l’anno del Giubileo, e infatti un’altra denominazione corrente era “Maratona del Giubileo”).
A Roma si correvano maratone già da qualche anno, nel ricordo sempre vivo della gara olimpica del 1960: fino al 1991 si era svolta la “Romaratona” (parola che sopravvive solo nei trattati grammaticali poco aggiornati, come esempio di “parola-macedonia”); dal 1995 era nata la Roma City Marathon, che aveva celebrato la quinta edizione il 21 marzo (con vittorie di Philip Tanui e della sfortunata Maura Viceconte), e di lì a breve aveva in programma la sesta edizione.
Non pare che gli organizzatori prendessero molto bene questa intromissione ‘giubilare’: anche noi di podisti.net (nati da pochi mesi) che avevamo mosso qualche critica alla gara ‘canonica’, e nel nostro calendario avevamo gratificato di 3 “piedoni” e mezzo la futura Millennium Marathon (su un massimo di 5: Reggio ne aveva 4), ricevemmo una lunga e cortese lettera da Enrico Castrucci in quanto “responsabile  comunicazione” della “Maratona della Città di Roma”, in cui ci chiedeva in base a quali dati potevamo valutare una maratona ancora a venire…
A giudicare dalle due pagine che alla corsa di Roma dedicò la “rosea” del 2 gennaio, al di là dei toni paciosi, conciliari e millenaristici con cui la gara venne raccontata (si segnalò perfino la liberazione di 200 bambini africani prigionieri dei “signori della guerra”), questa ebbe strascichi polemici in relazione alle imminenti selezioni per le olimpiadi di Sidney: il ct Lenzi e il presidente Fidal Gola parteciparono alla stracittadina e dunque usarono il fiato per altri fini, ma Giacomo Leone, giunto secondo di un soffio in una gara vinta dai keniani (Josephat Kiprono tra i maschi e Tegla Loroupe per le donne) disse “senza troppe perifrasi – così si esprimeva la Gazzetta – che “di fare la riserva o di restare in disparte lui proprio non se la sente”. Gli replicò il nuovo selezionatore delle gare di fondo, Massimo Magnani, secondo cui Leone “possiede una grande capacità, quella di saper leggere la gara”, ma in Fidal “abbiamo le idee piuttosto chiare in materia… Goffi e Modica sono fuori discussione, e Baldini se sta bene è l’uomo di punta”. Al che Leone sparò ad alzo zero: “tocca agli altri dimostrare di essere più bravi del sottoscritto”; il nostro più grande di sempre, Bordin, non era regolare come me; “se occorre facciamo le selezioni all’americana, io sono pronto”.
Per la cronaca, non mancarono gli elogi e un titolino a sfondo nero per Roberto Barbi, sesto “con il personale, sfiorando la barriera delle due ore e dieci”. Il resto alle prossime puntate, ma torniamo ad Assisi e alla vigilia di Capodanno: all’esordio di questa 42 si presentò un numero di atleti incredibile se rapportato ai tempi odierni: a finire la gara entro le 6 ore furono 899 maratoneti. Dall’ “Almanacco della maratona italiana” trascrivo il resoconto essenziale:

Una bella giornata di sole, ma fredda e con troppo vento, ha caratterizzato la prima edizione della "Assisi marathon" con partenza da Santa Maria degli Angeli e arrivo nella piazza del Comune di Assisi. Come era prevedibile non si sono fatti registrare tempi eccezionali. Gli ultimi tre chilometri e mezzo in forte pendenza hanno lasciato il segno sulle gambe di molti concorrenti ed appesantito i tempi finali. Ha vinto Davide Milesi, uno che non disdegna la salita, in 2:22.29, precedendo il burundiano Diomede Cishahayo (2:23.37) e Giorgio Calcaterra (2:24.05). Sonia Maccioni, umbra, ha dominato dall'inizio alla fine la gara femminile. Ha terminato in 2:38.47, nona assoluta. Barbara Cimmarusti (2:50.29) e Deborah Bruni (2:51.13) hanno completato il podio. Tiziana Alagia, ventiseienne lucana che corre per l'Avis di Firenze, si è piazzata al quarto posto in 2:52.12. Era la prima volta che correva la maratona: tutto bene, solo qualche rimpianto per una prima parte di gara condotta troppo prudentemente. La piemontese Maria Grazia Navacchia conquistava il sesto posto in 3:06.05, lo stesso piazzamento ottenuto in febbraio a Busseto, quando era iniziata la sua lunga stagione. Si è rivista anche l'altra piemontese, Anna Maria Garelli, che senza preparazione ha ottenuto l'ottavo posto (3:08.42).

 

Dopo 10 anni, un Campaccio senza Mandelli

1° - 2:22.29 MILESI DAVIDE
2° - 2:23.37 CISHAHAYO DIOMEDE
3° - 2:24.05 CALCATERRA GIORGIO        

1° - 2:38.47 MACCIONI SONIA
2° - 2:50.29 CIMMARUSTI BARBARA
3° - 2:51.13 BRUNI DEBORAH

La mia copia personale della classifica rimarca, soprattutto nelle parti medio-basse, alcuni nomi, più o meno celebri allora, che forse farà piacere rileggere vent’anni dopo. Ad esempio tra le donne, poco sotto il 20° posto, ecco tre romagnole nel loro pieno agonistico, e che capita di incontrare ancora nelle corsette locali: Anna Zacchi, ravennate più volte protagonista del Passatore con la sua andatura da marcia veloce, che ad Assisi chiuse in 3.38; e le sorelle Maria Luisa e Franca Costetti (3.38-3.44), i cui compagni affettivi erano pure presenti: Enrico Vedilei, allora tesserato per l’Avezzano, 36° assoluto in 2.54, e Ivano Folli 100° in 3.17. Ancora tra le donne, la marchigiana Laura Durpetti, le cui trecce suscitavano in alcuni l’irriverente accostamento alla figlia di Fantozzi, e si stava facendo valere lei pure al Passatore; e le due carpigiane Lorena Losi e Marisella Beschin (fra le 3.50 e 3.56). Il figlio di Lorena, Daniele (per gli amici “Bonsai”), fu capace di 3.21.
Mimetizzata nelle retrovie Angela Gargano (4.50), destinata però ad essere la prima donna a correre 100 maratone in un anno, sempre in compagnia del marito Michele Rizzitelli che però in competizione andava per la sua strada (allora 4.07); e ancora più indietro la campionessa ferrarese Valentina Maisto, all’epoca attardata da seri problemi di salute.
Tra gli uomini, la presenza del grandissimo Antonio Mazzeo, terzo della categoria M 45 con 3.02, ci procura oggi un velo di mestizia; nella stessa classe di età, una ventina di minuti dietro, stava Luciano Bigi, futuro presidente del club Super Marathon Italia, e che nelle ultime settimane del 2019 ha raggiunto le 600 maratone. Batté di poco Giorgio Garello (3.26), ma quel ragazzo ne ha fatta di strada. E poi, oltre la fatidica barriera delle 3.30 che segnava gli under-5/km, ecco “quelli che ci sono sempre”: il “bombardiere-trombettiere” di Forlì, Lorenzo Gemma (3.33), 6 minuti davanti a “don” Gregorio Zucchinali che non aveva ancora intrapreso la carriera di dirigente degli ultramaratoneti.
Quando poi arriva ai 3.50 di Gianfranco Gozzi, già creatore della maratona di Calderara e altro futuro presidente dei supermaratoneti, la mia classifica ha un punto interrogativo e uno esclamativo, dato che “l’omone” era stato visto partire mezz’ora prima: sarà solo invidia perché mi aveva battuto di due minuti? Appena sotto le 4 ore vediamo il bolognese Renzo Pancaldi e il riminese Giovanni Tamburini, altro fondatore dei supermaratoneti (club nato – diceva – per sottoporre al vaglio le vanterie da bar di alcuni podisti), i cui membri  infoltiscono le pagine seguenti: sir Fausto Della Piana (4.03), Paolo Gilardi, allora megadirigente industriale, oggi maratoneta del mondo, da Canterbury a Roma, da Vladivostok a Gerusalemme e via di questo passo.
Intorno alle 4.09 arrivarono due futuri dirigenti supermaratoneti: Franco Scarpa, che oggi è lo statistico, colui che omologa le ‘tacche’ individuali e redige le classifiche semestrali degli over-100; e Massimo Faleo, il foggiano che ad ogni maratona non si sapeva se ci avrebbe messo 3 o 5 ore, e oggi si preoccupa di co-gestire le 42 del sud Italia. E mi sembra di rivedere il copricapo con un gelato rovesciato di Alfio Balloni “Il Balloni passava e la gente gridava ‘gelati’ – al km 30 gli zuccheri eran quasi finiti”), pratese che di lì a poco troverà una fine assurda, investito in motorino da un cinghiale vagante. Allora finì in 4.11, mentre intorno alle 4.15 arrivarono il chimico farmaceutico Rinaldo Furlan (per gli amici Bubu), tuttora sulla breccia e senza peli sulla lingua, e mister Giorgio Pogliano, megaindustriale torinese che lì venne in compagnia della moglie americana e delle due splendide figliolette bionde. Batté di pochissimo Giuseppe Cuoghi, ex hockeysta che, oggi ben oltre i settanta, continua a macinare maratone, come l’ing. Mario Liccardi (4.24), alias “mago della pioggia” con quello che ne è seguito; e Vittorio Camacci (4.28), di cui spesso leggiamo su questi schermi. Si limita alle tapasciate modenesi non competitive il dottore carpigiano Sergio Guaitoli, uno che nel ’99 correva già da 27 anni (dalla prima Sgambada di Mirandola), allora finì in 4.21; è passata alla storia la volta che non poté correre una maratona perché costretto a fare il medico di servizio nella gara stessa.
Ma fu tra le 4.34 e le 4.50 che arrivarono i mostri sacri di quell’ambiente: Giuseppe Togni da Lumezzane, classe 1926, che prima dell’addio da questo mondo supererà ampiamente le 750 maratone corse (e, a differenza di oggi, si trattava di maratone vere, ufficiali, non di quelle autogestite ecc.), e allora finì in 4.34, un minuto meglio dell’ing. Antonino Morisi da Persiceto (alpino, pubblico amministratore, e colui che scoprì per gli italiani le bellezze di Davos e Interlaken), che se ne andrà ancor prima, letteralmente morendo sul campo.
Tra loro due si inserì un altro torinese che abbiamo fortunatamente il piacere di rivedere ancora, ma non più di sfidare in gara, Gaetano Amadio; come vediamo e leggiamo ancora di Mario Ferri, pratese classe 1946, che allora arrivò a braccetto col “Vescovo”, Pietro Alberto Fusari da Treia, inconfondibile per il basco nero e i bragoni bianchi. A chiudere il plotone dei 780 maschi, un altro oggi consegnato all’eternità: Mario Ferracuti, classe 1926 come Togni, “il leone di Fermo”, che ci ha lasciato nel 2018 a 92 anni.
Dopo le premiazioni (mi restano ancora le due felpe, una grigia e una blu elettrico, ricevute nelle due edizioni), alcuni dei partecipanti come detto corsero verso Roma, alla maratona del giorno dopo (Gilardi fu tra questi); lì li aspettava già William Govi, che stranamente, o saggiamente, non venne ad Assisi. Dove, dopo questa, ce ne fu una nel 2000 (vinta da Graziano Calvaresi in 2.22 e da Sara Ferrari in 2.48), poi più niente.
Quest’album dei ricordi ci porta nel nuovo anno, che secondo voci potrebbe vedere il ritorno della maratona sotto l’aureola di San Francesco.

Chi conosce Ermes Luppi (detto Lupo) da meno di un trentennio (come in questo suo arrivo alla maratona di New York nel 2008, pescato da Roberto Mandelli), non lo ricorda coi baffi: che riemergono invece da molte fotografie riprodotte nel suo ultimo libro, Cammino e penso. La corsa tra passato e futuro, una sorta di “intervista totale” a cura del suo amico libraio Giorgio Bettelli (Modena, Artestampa, dicembre 2019, pp. 164, 16 euro). Il libro viene in un certo senso a completare l’autobiografia Dentro e fuori dalle mie scarpe, scritta nel 2011 a due mani con Andrea Accorsi (che le aveva conferito una classe letteraria superiore al livello del libro attuale – aperto sia da una Introduzione sia da una Prefazione, senza che sia molto chiara la differenza tra l’una e l’altra - ma nella quale il Lupo 2011 confessava di non riconoscersi del tutto…).
Anche qui si ripercorrono, molto rapidamente, i primordi della carriera di Ermes, portiere di calcio, poi ciclista alle soglie del semiprofessionismo, infine podista in contemporanea agli inizi del podismo modenese, cioè con la Corrida di Gigliotti e Finelli del 1973; poi fatalmente attratto dalla Grande Mela (chi scrive ci andò per la prima volta in una trasferta organizzata da lui nel 1990), dove scoprì anche le strategie di marketing delle scarpe sportive. Perché nel frattempo l’operaio e rappresentante sindacale della Fiat Modena, Luppi Ermes, aveva profittato dei prepensionamenti agevolati e con la cifra della liquidazione aveva aperto nel 1984 il suo primo negozio, all’estrema periferia di Modena (anzi, fuori città, vicino alle decentrate carceri di Saliceta San Giuliano…), già con l’insegna del Lupo.
E questo nuovo metodo ‘americano’ di vendere ebbe successo, tanto che il negozio si avvicinò progressivamente al centro città ed è divenuto, oltre che il luogo più rinomato del suo settore, anche un “salotto” dove non solo ci si provano scarpe ma dove ci si confessa, si discute (più in dialetto che in buon italiano: di zeta ne circolano poche,  e insomma si resta nel dubbio se quel tal campione friulano si chiami Venanzio Ortiz come a p. 76 o Venansio Ortis come parrebbe da p. 159…), si rievoca, e per quanto si può si tenta di guardare avanti. Il Lupo-pensiero è esplicitato a pp. 27-31, tra pessimismo della ragione (nei riguardi di un movimento podistico modenese alquanto “adagiato”) e ottimismo della volontà, e viene arricchito nei capitoli seguenti da una miriade di interviste a personaggi noti e notissimi, che parlano di sé, della propria esperienza e delle prospettive, se ce ne sono.
Non può mancare, tra gli intervistati, il concittadino Lucio Gigliotti, cui è dedicato l’intero capitolo 5 (pp. 47-58) e altre pagine più oltre (100-103); seguono ex atleti di fama nazionale e altre celebrità locali, come Tonino Caponetto ed Elvino Gennari (che però ricorda male quando dice che suo fratello Pietro, alla prima Sgambada di Mirandola del 1972, arrivò “sicuramente tra gli ultimi”: in realtà si piazzò 32° su 850, come è detto in questo stesso libro a p. 35); allenatori, medici, dietisti, organizzatori delle corse, dalle maratone più antiche, come quella di Vigarano, oggi Ferrara, fino alle gare più moderne e fuori dagli schemi.
Tra questi ultimi, merita attenzione Sergio Bezzanti, inventore modenese delle corse 5.30, che hanno riempito un vuoto perché “ai giovani del vostro podismo non frega niente, ma proprio niente… i nuovi entrati nelle corse della domenica hanno un’età che supera i 30/40 anni… ci sono corse che riciclano senza vergogna gli stessi allestimenti da 30 anni, danno in regalo t-shirt e medaglie senza data per poterle riciclare negli anni successivi” (p. 134).
Tranne la prima frase, io commentatore non condivido nient’altro, e penso invece che le 5.30 non abbiano niente a che fare con lo sport, siano soprattutto un affare monetario per chi le promuove, e una scusa per marinare la scuola e fare casino per gli studenti: ma non posso non constatare il successo dell’iniziativa (per sentito dire, perché io alle 4 mi alzo per correre la TDS o la Dolomiti Extreme, non per fare il buffone coi selfie). Semmai metto questo fatto sullo stesso piano delle altre considerazioni sulla decadenza, non del solo podismo, ma della nostra civiltà, che emergono da tante frasi di Lupo o di Gigliotti (p. 48-50: “noi eravamo ruspanti e praticavamo un’attività di strada, di cortile, di marciapiede. Oggi quell’attività non c’è più. Questo è il gap che c’è tra noi e gli africani. In Africa i bambini fanno tanta attività; camminano, corrono, arrampicano”; mentre i nostri scolari “alle 17,30 chiedono ai genitori o ai nonni di giocare con lo smartphone o la playstation. In quella giornata il ragazzino non ha fatto nessuna attività motoria”.
Lupo si è dato “una calmata” come corridore; adesso “cammina e pensa”. Il suo pensiero finale, nella pagina conclusiva, è “che le scarpe di adesso siano peggiori di quelle di un tempo”, “durano poco e costano molto”. Ma (ultime parole famose) “se una soluzione esiste, da Lupo c’è”.

Rilanciamo volentieri una tabella diffusa dalla "Gang degli Atleti Disagiati", alias "Pro(secco) Athletic Team",  " specialisti nel raddrizzare con un sorriso una giornata storta". Vabbè, non stiamo compilando una dieta-punti e quindi non è specificato di quanti grammi sarà la fetta di panettone o quanti "cappelletti" (come li chiamano a Carpi o in Romagna, alias tortellini, anolini ecc.) dovranno essere contenuti nel piatto dei cenoni o pranzoni. Ma la morale è: più tonnellate di cibi ingurgitiamo, più tonnellate di km dovrem(m)o fare per smaltirli. Auguri per l'una e l'altra delle incombenze!

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