Fabio Marri
Probabilmente uno dei podisti più anziani d'Italia, avendo partecipato alle prime corse su strada nel 1972 (a ventun anni). Dal 1990 ha scoperto le maratone, ultimandone circa 280; dal 1999 le ultramaratone e i trail; dal 2006 gli Ultratrail. Pur col massimo rispetto per (quasi) tutte le maratone e ultra del Bel Paese, e pur tenendo conto dell'inclinazione italica per New York (dove è stato cinque volte), continua a pensare che il meglio delle maratone al mondo stia tra Svizzera (Davos e Interlaken; Biel/Bienne quanto alle 100 km) e Germania (Berlino, Amburgo). Nella vita pubblica insegna italiano all'università, nella vita privata ha moglie, due figli e tre nipoti (cifra che potrebbe ancora crescere). Ha scritto una decina di libri (generalmente noiosi) e qualche centinaio di saggi scientifici; tesserato per l'Ordine giornalisti dal 1980. Nel 1999 fondò Podisti.net con due amici podisti (presto divenuti tre); dopo un decennio da 'migrante' è tornato a vedere come i suoi tre amici, rimasti imperterriti sulla tolda, hanno saputo ingrandire una creatura che è più loro, quanto a meriti, che sua.
Bore - Val Cenedola, il riscatto e la ribalta del podismo 'povero'
SERVIZIO FOTOGRAFICO - CLASSIFICA - Bore (PR), 24 luglio – Se cercate sulle carte geografiche questo paese (di 688 abitanti, col centro storico a 832 metri di altezza), non lo troverete in tutte; ignorato completamente dalla Guida Emilia-Romagna del Touring, è soltanto citato come luogo di passaggio nella Guida Rossa, che pure fa 1100 pagine. Noi podisti però, e specialmente i trailer, conosciamo bene la zona: a est c’è Pellegrino Parmense, teatro della 50 km di Salsomaggiore; a sud, sullo “stradone per Genova” inaugurato nel 1773, ci sono Bardi e Borgotaro, tappe ben note della Abbotts way; a ovest c’è Morfasso, che ha dato il nome alle regole disciplinanti il trail (per essere veramente un trail, il percorso deve avere almeno un guado di un fiume in piena, un burrone sotto una cengia larga non oltre mezzo metro, una ferrata, e possibilmente un ponte tibetano… o qualcosa del genere: le leggi emanate in Italia sono rispettate per i primi sei mesi, dopo chissenefrega: avete mai preso una multa per circolare a fari spenti in autostrada?).
Dunque, si va a Bore per un appuntamento non molto pubblicizzato (quando l’ho detto a Giangi, mi ha risposto per whatsapp con 4 punti interrogativi), sesta edizione quando la quinta si era svolta nel 2019, con distanze ufficiali di 22 km +980 metri D e 12 km +480, con l’aggiunta di due non competitive, di 11,2 e 5,3.
I parcheggi del minuscolo campo sportivo (davvero non sarebbe un modello di “campo largo”) incassato sotto lo stradone e quasi invisibile, e quelli della rampa di accesso, sono pieni, e tre quarti d’ora prima della partenza si deve risalire fino alla provinciale e lasciare l’auto verso il centro cittadino. Le preiscrizioni (a una quota massima di 20 euro, cui corrisponde una maglietta tecnica, un paio di occhiali da sole targati K42, dunque roba adatta a noi, ma anche la possibilità di massaggi pre e post-gara gestiti da due professionisti, un ottimo ristoro finale molto ricco e 4 ristori lungo il percorso) sono salite a 110, che già superano i 106 arrivati dell’edizione 2019; infatti i classificati quest’anno raggiungeranno la quota record di 137.
Fa caldo: in pianura, comincia il secondo giorno consecutivo a 40 gradi; qui alla partenza stiamo sui 23, e in previsione di aumenti l’organizzazione annuncia di aver ritoccato il percorso eliminando un km sassoso e assolato (applausi all’annuncio: forse per questo i Gps diranno che il giro lungo arriva sì e no a 21 km, salvando però il dislivello). E’ comunque raccomandato di idratarsi bene e portare con sé una borraccia piena, che sarà molto utile anche a me nonostante la presenza dei ristori e nonostante, dopo un paio d’ore, il cielo si annuvoli attenuando un po’ la cosiddetta morsa del caldo: che non supererà i 32°.
Dico subito dei Vip: sui 22 km del lungo vince il trentenne Stefano Visconti (As Vengo Lì) nel tempo di 1h53’16”, unico atleta che sta sotto le 2 ore (il vincitore 2019 aveva finito in 2.09). Alle sue spalle, secondo è il 41enne Mattia Frigeri (Atl. Cral Barilla) a 7’50”; terzo il 48enne Davide Bologna a 13’33”.
In campo femminile vittoria netta per Elena Caliò (47enne del Team Pasturo) che in 2h17’16” stacca Galina Teaca (Team Viadana, di soli 4 anni più giovane) di 10’39”, e Paola Adorni (49enne, +Kuota) di 15’38”. Grandioso il miglioramento rispetto al 2019, quando per vincere erano bastate 2h53.
68 gli arrivati, con due abbandoni (uno l’ho incrociato dopo pochi km, diceva che non ce la faceva proprio; siccome la parola “ritiro” mi è estranea, gli ho proposto di finire almeno i 12 km).
Nel percorso di 12 km, convincente prova di Fabio Ciati (28enne del Ballotta Camp) primo in 55’48” (era arrivato secondo nel 2019, battuto in volata dal primo, con 54:50), un vantaggio di 3’44” sul 34enne Gian Paolo Savani (Atm), e 3’56” su Davide Pau (Asd Synergy, e già 45 primavere nelle gambe).
La 35enne Giulia Giordani (Atl.Manara) fa sua la gara femminile in 1h14’57”, seguita da Dallendysche Lusha (+Kuota, più anziana di 11 anni) a 5’32” e Enrica Martinelli (+Kuota , addirittura 55enne) a 7’05”.
69 i classificati, con due ritiri.
Il tracciato prevedeva una prima discesa, di quasi 200 metri verticali, fino al km 2,5 (dove i due percorsi si separano e Morselli stabilisce il suo primo appostamento fotografico); poi noi del lungo siamo avviati alla fase più temibile, la salita al Monte Carameto del km 8,2, punto più alto del Comune coi suoi 1318 metri: in meno di 6 km si va su di 650 metri, su una stradetta o mulattiera sassosa dove il Gps indica angoli di salita fino a 29 gradi, che tradotto in misure automobilistiche significa pendenze del 70% (A Morfasso saranno contenti per il rispetto di almeno una delle loro regole…).
A 200 metri lineari dalla vetta, sento alle mie spalle una voce: “Ultimo!”. Mi chiedo se non sia la ‘scopa’, che mi ha raggiunto e annuncia la mia posizione… No, è un collega che vuole incoraggiarmi: “Questo è l’ultimo strappo duro!”. In cima, punto di rilevamento IGM e dichiarato uno dei 300 panorami più belli d’Italia (dicunt, aiunt, tradunt etc.: in realtà l’afa non lascia vedere granché oltre le vallate), è piazzata la fotografa di Morselli, che accondiscende a riprendermi col mio telefonino (depositando a terra il suo cannone almeno da 220): cerca l’inquadratura giusta, ma intanto perdo posizioni… la rassicuro che non voglio una foto d’arte e non la pubblicherò, purché faccia presto.
Voi credevate che le salite fossero finite? Dopo un tratto di crinale su fondo soffice – tra le parti più belle del tracciato – in 5 km ci si trova a quota 800, ma si ricomincia ad andare in alto, dopo un secondo check-in con Morselli: al 14,3 siamo a 930, Monte Costazza, monumento ai caduti della seconda guerra, ristoro e altre foto scattate dalla ristoratrice; discesina, poi al 15,5 di nuovo a 940 (Monte Mu), idem al 17,5 (Monte Lucchi), tutti in un reticolo di sentieri segnatissimi (come pure il nostro percorso, marcato in maniera da guidare anche il rag. Filini).
Discesona, in parte asfaltata (ma non credo che l’asfalto abbia superato i 2 o 3 km nel complesso), al km 20 siamo a quota 780, cioè più in basso di Bore. E’ giocoforza un’ultima risalita, 50 metri verticali lungo 600 orizzontali, e in leggera salita è pure l’arrivo. Ma ci siamo: ristoro grandioso con acqua frizzante e birra freschissima, panini, riso, dolci; ritiro dei bagagli tenuti in custodia, docce spaziose e calde finalmente a disposizione (non ditelo a Speranza e alla professoressa Viola, sennò il primo non si rade più e la seconda si rifà mora, da bionda che era diventata in servigio di Lilly Gruber), una gran quantità di addetti a tua disposizione (per forza, dopo di me non c’è più molta gente da accudire), che quasi ti costringono a bere e mangiare ancora (esiste anche una convenzione con un bar-ristorante di Bore, per un pranzo a prezzi da regalo).
Insomma, siamo contenti tutti: il Fabio formaggiaio da Rio Saliceto che andrà in Albania a maratoneggiare con Lolo, la Stefania milanese tesserata Pico con cui avevo condiviso qualche metro nel trail di Borzano, e gli altri che la doccia l’hanno già finita da quel pezzo. Ci si dà appuntamento per le prossime trasmissioni (come dicevano una volta a Carosello quando finiva la mesata); qui nel parmense toccherà a Scurano, per noi mediopadani ci sarà la notturna di Scandiano-Castellarano, poi altre corse collinari, finché duri il nostro amore per la fatica e il sudore.
“Ma l'amore, no - l'amore mio non può disperdersi nel vento, con le rose - Tanto è forte che non cederà - non sfiorirà”.
A Bosco Albergati, in tono minore, ma premi per quasi tutti
Bosco Albergati (Castelfranco Emilia, MO), 22 luglio – La tradizionale corsa podistica al confine tra Modena e Bologna, punto di incontro tra i podisti delle due province (che per il resto non vanno molto d’accordo) si svolge per la 36^ volta, e rimane una tra le non molte superstiti di un calendario estivo che un tempo riempiva le nostre sere di giugno e luglio, quando il compianto Gianni Vaccari esaltava le 28 gare nel solo mese di giugno.
Qualcuno ricorda pure quando dopo la gara cantarono i Nomadi, quelli veri di Augusto; altri, i tempi, molto più vicini, nei quali il premio d’arrivo era una bottiglia di bianco frizzante, e per le donne una rosa rossa in aggiunta. Adesso siamo in austerity, il giornale per il cui sostegno era concepita questa serie di festival non esiste più, e soprattutto i modenesi sembrano snobbare questa gara.
Alla partenza, nell’ora giusta conto 75 persone; alla fine, la classifica per i gruppi più numerosi è vinta dal Monte San Pietro (BO) con una trentina di partecipanti, davanti alla Madonnina di Modena; ma le premiazioni di società, originariamente concepite per i gruppi con almeno 8 partecipanti, per arrivare a premiare 15 gruppi scendono fino a quelli con 3 iscritti: che si aggiudicano tutti 6 bottiglie di vino e una mortadella. Forse Giangi, che vediamo aggirarsi senza pettorale in senso contrario a noi quando stiamo ormai arrivando, avrebbe potuto pagarsi 3 pettorali a 2 euro l’uno, e ci avrebbe guadagnato; certo che il ristoro finale non poteva godere della sua approvazione, consistendo (dopo l’esaurimento di una minuscola quantità di tè) solo di acqua a una temperatura attorno ai 30 gradi (d'altronde, volete la pace o la refrigerazione?).
Fuori “il barometro ha raggiunto i 38 gradi” (parole sante di Massimo Gramellini, che assunto da Fazio per fare da spalla alla Littizzetto, adesso firma sul Corsera una rubrica umoristica quotidiana, da cui estraggo); in casa mia non ho barometri, ma solo termometri, che, sicuramente meno attendibili dei barometri di Gramellini, tuttavia arrivano a 40, qui temperati peraltro dal bosco già dei conti Albergati, che ospitarono Mozart e oggi ospitano i primi 2,5 km del tracciato.
Il cielo è solcato dagli aerei che planano su Bologna: chissà se all’arrivo i passeggeri troveranno il “people mover”, la luminosa idea di Prodi che dovrebbe collegare l’aeroporto alla città, e che sta fermo molto più spesso di quanto funzioni. Il Corsera di Bologna di ieri mette la notizia a pag. 7 (“People mover fermo, è la terza volta in sette giorni”), quasi nascosta rispetto ai titoli monocromatici delle prime pagine: “Il governo non c’è più, la rabbia del Pd” (pag. 1); “Finisce l’era di Draghi, rabbia Pd: ‘codardi’” (pag. 5); “Crisi, la rabbia delle imprese: pura follia” (oggi, pag. 1); “La rabbia delle imprese per la crisi del governo” (oggi, pag. 5). Ma tra tanta rabbia (quando andavamo a scuola noi, ci insegnavano che la rabbia è dei cani, mentre gli esseri umani provano “ira”) ci si apre alla speranza: “Il ritorno di Merola: ‘sono a disposizione’” (oggi, pag. 1); “Il ritorno di Merola: ‘Il Pd deve ridare speranza al paese. Io? A disposizione’” (pag. 3). L’uomo politico che si mette “a disposizione”, in realtà chiede di essere messo a stipendio, come quel tal senatore di queste parti, che prima di essere eletto correva le maratone; una volta eletto, non fece più un passo di corsa (il gruppo podistico dei parlamentari non sapeva nemmeno della sua esistenza), e al termine del mandato si dichiarò “a disposizione”. Tradotto, fu candidato nel collegio di casa sua, e trombato. Chissà se adesso tornerà “a disposizione”; ma i posti sono meno, e da quando non c’è più Zingaretti non lo si vede più in tv alle sue spalle a organizzare la claque…
Intanto, tirano un sospiro di sollievo tutte le maratone del 2 ottobre: scampato pericolo, si vota il 25 settembre, cavoli amari invece per la maratona e mezza di Ferrara (e le mezze di Portogruaro e Povegliano), e per la “Motor Valley” pomposamente annunciata a Modena. In quel giorno brinderanno invece (magari in un hotel a 5 stelle) i parlamentari uscenti, avendo raggiunto la fatidica quota di 4 anni 6 mesi e un giorno di mandato, dunque assicurandosi un vitalizio minimo di 1200 euro mensili; cui, fino a quella data del 24 settembre (ma chissà, magari anche dopo), continueranno ad aggiungere il loro onorario mensile di € 12400 (deputati) e 14600 (senatori), più l’assegno di fine mandato corrispondente a 4 mensilità. Poverini.
Intanto, nella prima periferia di Modena, stanotte una signora ha sentito che le stavano segando le sbarre delle inferriate: ha chiamato la polizia, sentendosi rispondere che non potevano uscire per mancanza di mezzi. Titolo, non esattamente originale, della Gazzetta di Modena: "Modena, la rabbia di Muzzarelli: 'Perdiamo 12 militari di pattuglia' - In città erano 31 i soldati in servizio per l'operazione 'Strade sicure'". Invece, i giornaloni continuano a interrogarsi sul tale se si alleerà col tal altro o se farà la desistenza o la resilienza o la transumanza; e i politici fingeranno di scandalizzarsi se non si va più a votare.
Torniamo alla corsa di Bosco Albergati, che uscendo dal bosco porta sul tracciato stradale solito, per un totale di 8,5 km, da fare a ritmo blando (6:30/km per il mio gruppetto), con Mastrolia vestito alla nude-look che finalmente si pronuncia sulle voluminosità artificiose di una celebre podista, vista l’ultima volta addossata a un muretto col suo amico, durante una corsa nella quale non arrivò mai al traguardo; e il suo imitatore Rambo (già 2.28 in maratona e 8 ore al Passatore, dice Paolino) tenta qualche strappo ma ogni volta dopo cento metri deve fermarsi, e arriverà tardissimo. Sembra in forma Mauro Zoboli, cui vorrei strappare il segreto per restare magri.
Ristoro intermedio con acqua alla stessa temperatura del tè, poi giro di boa alla Madonna dell’Oppio (la religione oppio dei popoli?), un po’ di prato, un altro po’ di bosco, arrivo con consegna del pacco-gara di acqua, waferini e spaghetti, più la sorpresa finale dei premi di società ultra-generosi (certe società non immaginavano nemmeno di essere a premio ed erano già partite).
Per fortuna, al di là dell’acqua calda da bere ci sono dei rubinetti per le docce, con acqua fresca che finalmente si può bere, come dimostra Fabietto da Castelfranco orgoglioso della sua figlia adolescente. Cuoghi si dice desideroso di una pausa, ma come rinunciare alla rediviva “Grotta” di sabato prossimo, patrocinata dal parente di Sergio Pattuzzi e forse con la presenza di Cristina D’Avena? Paolino esprime idee politiche molto condivisibili ("hai sentito che adesso mandano in parlamento quello che si fa le canne? - certo, se ha dei follower!), e io gli dico che lo voterei (Paolino, non quello delle canne), se però mi assicurasse di non cambiare partito ogni anno come invece è prassi dei nostri eletti.
L’ultima fatica è portare alle nostre auto i pacchi-premi di società (ne abbiamo quasi uno ciascuno), poi uscire dal parcheggio, operazione complicatissima per una serie di gimcane e sbarramenti stile caselli autostradali, per imporre a tutti un obolo da 2 euro (ma i podisti sono esenti). Qualcuno dichiara che domani andrà a una Color Run, altri si riposeranno per spargersi sulle montagne domenica, e poi misurarsi nel grande cimento di Scandiano.
Siamo ormai pochi, ma resistenti, e dopo le vacanze anche Cuoghi tornerà più forte e glorioso che pria.
Il Cacciorun per cacciare i pensieri cupi
Cacciola (RE), 20 luglio – 33 gradi, stasera alle 19,45 nelle campagne reggiane tra Scandiano/Arceto e la monumentale chiesa di Bagno (chissà perché, in un paese che non esiste in quanto tale, c’è un chiesone così grande). Mentre ci dirigiamo alla sagra di San Benedetto per il 5° Cacciorun, le radio trasmettono il surreale dibattito parlamentare, il cui succo sarà che il governo ottiene la fiducia ma non la accetta, e dunque al momento sarà bene non iscriversi alle maratone del 2 ottobre perché forse dovremo fare altro; anche se almeno il 50% di noi, quel 2 ottobre, andrebbe più volentieri a correre che a fare l’altra cosa cui vorrebbero obbligarci.
Ma ora et labora, ius solis come dice Draghi e ius lunae calantis, cacciamo la noia (secondo il logo della sagra e della corsa), e cacciamolo anche in illum locum (di più non si può dire, trovandoci davanti a una chiesa) ai signori che stanno parlamentando, per immergerci nell’atmosfera festosa di sport e allegria che ci riserva Cacciola, 360 abitanti di cui 70 over 70 (scusate il bisticcio). Parcheggio comodissimo e ben regolamentato in un prato a fianco del ritrovo, dotato persino di due toilette mobili profumate dal liquido che vi scorre schiacciando il pulsante. Iscrizione a 2 euro, che dà diritto a 1,5 euro di sconto sull’eventuale cibo da consumare o asportare, col risultato che alla fine pagherò 10 pezzi di morbido gnocco fritto un totale di 3 euro (e senza nemmeno fare la fila alla distribuzione); e si aggiunga il paio di calze come pacco-gara, circostanza che induce perfino Giangi a pagare il pettorale dopo aver parcheggiato il suo van dotato di wc e doccia interna. La scelta pagante di Giangi è motivata anche dalla pre-perlustrazione in zona ristoro finale: non usa pagare se c’è solo acqua, ma qui trovi anche tortine, succhi di frutta, macedonia di melone e uva (personalmente servita da Paolo Manelli e da due graziose addette che riscuotono i favori di Mastrolia).
Nei primi anni la gara era competitiva, ma con scarsa partecipazione, per cui oggi si ripiega sulla non competitiva unica per tutti (molto poche, direi, le partenze anticipate), un giro in senso orario per campi ben coltivati, allevamenti alquanto odorosi (ma è l’odore buono della nostra civiltà), ex case coloniche adattate a ritrovi per -ehm- cene eleganti, e passaggio finale tra campi di grano mietuto.
La supervisione di Manelli (del quale raccomandiamo volentieri la Scandiano-Castellarano fra 8 giorni), affiancato da altri grandi vecchi del podismo reggiano, garantisce serietà organizzativa, 7 km misurati quasi esattamente, strade protette, un ristoro intermedio di acqua – se Dio vuole – fresca, e addirittura mezzo km di stradello bagnato come se l’avessero annaffiato per noi. L'unica cosa che non va è il tizio che parte insieme al gruppo col suo cane lanciato, che rischia di far cadere qualcuno. Una volta c'era un regolamento che vietava queste cose, ma Draghi si è dimenticato di metterlo tra i sogni da realizzare nei prossimi 8 mesi.
Niente grandi campioni in scarpette, ma personalità locali come le signore della Corradini capitanate da Eugenia Ricchetti, i maratoneti coreani del Cavriago, i cugini Giaroli con Paolo che nella prima metà sembra addirittura andare più forte di Angelo (ma lo sappiamo che Angelo ha lo spunto finale e negli ultimi cento metri puntualmente si invola), Giancarlo Greco e Marco Belli, e tanti altri con magliette di corse gloriose cui hanno partecipato nei tempi d’oro.
Mentre si corre, si scherza sulle reciproche debolezze, si dibatte non sul 110% ma sulla reale consistenza tattile di certe appariscenti podiste, e le nostre mozioni di fiducia le spendiamo pro o contro le prossime gare: che domenica per noi locali offrono divaricazioni tra Suzzara e Cerreto Alpi, tra la val Cenedola e le sorgenti del Secchia. Una cosa è certa: governo o no, spread o spritz o onzer al sproch, la fiducia a noi stessi ce la votiamo, e le strade più o meno infuocate dell’amata Padania conosceranno ancora la nostra allegra, spensierata, incosciente voglia di sentirci vivi.
A Savigno, una sana sudata per pochi patiti
Savigno (BO), 17 luglio – E' stata la 26^ edizione della “Corri per un Amico”; negli anni d’oro, era la gara di bassa collina che nel bolognese si aggiungeva o contrapponeva a quella di pieno Appennino. Oggi pare invece che fosse l’unica, e nemmeno troppo frequentata: all’orario di partenza, fissato alle 8,45 senza deroghe (strano e coraggioso, in un podismo padano non competitivo dove ormai gli orari sono “da… a”) eravamo esattamente in 30. Iscrivendomi un quarto d’ora prima della partenza, mi è toccato il pettorale 225; sommando le 8 società più numerose delle preiscrizioni, si arriva ai 300 (ma è diffuso il vezzo di iscrivere un numero tot di podisti, poi chi viene viene e per gli altri si restituiscono i pettorali). A memoria, sono gli stessi numeri degli anni in cui Savigno era la camminata numero 2, la meno frequentata in provincia.
D’altronde, i competitivi vanno altrove, e i non competitivi non sono stati ancora recuperati dal dopo-o-durante-Covid (curiosità: qui a Savigno, circa 25 km da Bologna, risiede l’assessore regionale alla salute, che appunto decide il bastone e la carota per infettati o infettabili).
Non saprei chi sia l’Amico cui la gara è dedicata, ma personalmente ne ho almeno due da ricordare come legati a questa tranquilla piazzetta, con un ristorante intestato ad Amerigo 1934 (come lo zio di Guccini cui è dedicata una toccante canzone-poesia), un teatrino quale una volta l’avevano tutti i paesi, e un benemerito cesso pubblico come purtroppo non se ne vedono quasi più in giro, pulito, con acqua corrente e uno spiritoso cartello sullo sciacquone.
Dunque, i due Amici sono Angelo Pareschi, a lungo presidente del Coordinamento bolognese, e organizzatore della Bologna-Zocca che qui a Savigno aveva il suo traguardo intermedio dei 32 km (arrivavamo in discesa dalla Badia di Colombara e Mongiorgio, prendevamo un po’ fiato prima dei mitici 7 km di tornanti tra Savigno e Montombraro); e Antonio Mazzeo, un grande campione ultrarunner, che oggi farebbe 70 anni ma è morto esattamente quattro anni fa, il 21 luglio 2018. E mi fece l’onore (lui, primatista mondiale su varie ultradistanze) di accompagnarmi, appunto sui tornanti di Montombraro, sopportando le mie chiacchiere fino ad involarsi verso il vicino traguardo di Zocca.
http://podisti.net/index.php/cronache/item/3889-curno-bg-1-5-tutti-in-prima-con-antonio.html
Questo, sia detto con tutto il rispetto per l’Amico cui è dedicata ufficialmente la corsa. Che quest’anno cambia percorso, rispetto al solito giro calancoso sul versante ovest (quello appunto di Montombraro), e affronta invece le colline a est, verso Bologna, a destra del torrente Samoggia completamente secco (e se dico secco, non è un’iperbole come quella dei telegiornali che mostrano il Po che defluisce e dicono che è in secca: no, qui intendo che non c’è un goccio, un filo, un rigagnolo d’acqua, e potrei portarci il mio nipotino duenne a caricare i “tatti” sul suo “trak” sicuro che non si bagnerebbe nemmeno i sandalini, e se invece volesse riempire d’acqua il suo fàirtrak dovrebbe ricorrere alla fontanella del parcheggio auto).
Due percorsi, di 10 e 15 km “c.a.” (corrente anno, spiega il siglario dello Zingarelli), con partenza e arrivo ai 260 metri dell’ex capoluogo (adesso si è fuso con altri comuni limitrofi e la denominazione comune è Valsamoggia): come nella tradizione, è mantenuta una buona dose di trail, specialmente tra il km 3,5 (dove avviene la separazione dei due percorsi) e il 6,4, i 700 metri slm del monte Nonascoso, con una ascesa di 380 metri dei 490 complessivi che i Gps indicheranno, condotta su una ex strada della quale restano solo i sassi della massicciata e le buche profonde scavate dai trattori o jeep o fuoristrada.
Per fortuna, la temperatura non è infame (stiamo sui 28), e una parte della salita si svolge all’ombra; i più scelgono i 10, compreso Lucio Casali, tra i pochi modenesi presenti, uno che si è fatto il Cammino di Santiago e due giorni fa la Casaglia-San Luca appena sopra l’ora, dunque può anche rifiatare; a proposito, sorpassiamo un altro reduce, Giuseppe Cuoghi, che da terzo di categoria ha vinto una bottiglia di vino (pagandola, in sostanza, 15 euro più la trasferta), ma soprattutto “ho battuto Ivano”, il che gli basta.
Lo rivedremo venerdì prossimo a Bosco Albergati (vicino a casa sua e di Raffaella Carrà), in una delle poche camminate residue tra quelle che il Partitone bolognese organizzava in gran numero negli anni gloriosi di Prodi, e che come premio riservava una bottiglia di bianco frizzante (chiamarlo vino è un po’ esagerato), e una rosa rossa per le donne. Scopriremo venerdì se ci saranno ancora le rose rosse, o invece i crisantemi per la fine della gloriosa e “responsabile” avventura governativa in (tras)corso.
Ma torniamo all’oggi, alla quota 700 del monte Nonascoso, dove noi pochi salitori vediamo una vettura e due addetti: speriamo vanamente che ci sia un ristoro, che invece troveremo solo verso il km 8 (dunque dopo un’oretta di cammino), suppongo all’intersezione col percorso "corto" (già, qui non c'erano i ridicoli percorsini da 2/3 km che valgono soprattutto come pretesto per arrivare il prima possibile a rimpinzarsi al ristoro finale), quando il tracciato del “lungo” devia su un nuovo sterrato che lo porterà a raggiungere la dominante chiesa dell’Assunta di Merlano, con belle viste collinari, per scendere poi per tornanti asfaltati con pendenza del 18%, fino a un’ultima salita sterrata e discesa erbosa con vista finale su Savigno, il tutto a cumulare km 13,600 secondo il Gps.
Si arriva molto alla spicciolata (in genere, a gruppi di 3 o 4 camminatori, soprattutto camminatrici, insieme); il traguardo non è segnato ma bisogna entrare in un cortiletto per il ristoro finale e il rituale mezzo kg di pasta come pacco-gara, consegnando i pettorali mogli di sudore e spesso sbriciolati (per 2,50 di iscrizione: a Bologna stanno sempre 50 cent sopra Modena, fin dai tempi delle 1000 lire che qui erano 1500).
Benedetti siano la fontanella al parcheggio e i lavandini dei bagni pubblici: benedetti anche i savignesi (2800 in tutto nell’ex-comune, secondo l’ultimo censimento) per averci dato quello che potevano darci.
Il circo del podismo mediopadano riserva il prossimo appuntamento a un luogo che, se non ci fosse la corsa, il grande pubblico avrebbe diritto di ignorare: Cacciola, poco a nord di Arceto (RE), 300 abitanti con chiesa e sagra parrocchiale, dove ci si vedrà mercoledì 20 alle 19,45. Chissà se a quell’ora sarà de-finito il tormentone politico che agita i talkshow di questi giorni: crisi o non crisi? Il 2 ottobre voteremo (o il 4, martedì, come piace scrivere al Corriere della sera di oggi, p. 6, ad opera dell’autorevole Virginia Piccolillo), o potremo scegliere tra le maratone del Mugello, Montepulciano, Sacile o Rieti?
Personalmente penso che possiamo iscriverci tranquillamente alle gare, confortati in ciò da quanto si legge più autorevolmente sullo stesso Corriere a p. 5:
“La politica è sangue, merda e poltrona. Molti grillini vogliono restarci aggrappati. Vogliono portarsela dietro insieme al conto corrente… Dovete immaginare cosa possono provare molti di loro, diventati parlamentari per uno sfizio del destino, talvolta eletti solo coi voti di un condominio… La prospettiva di dover rinunciare non solo allo stipendio, ma ai velluti rossi e ai commessi che si alzano in piedi al loro passaggio, gli fa orrore”.
Baggiovara, 33 gradi e il resto, eppure ci siamo ancora
Baggiovara (MO), 15 luglio – La Padània è proclamata zona rossoarancio per il caldo (oggi le temperature hanno toccato i 37, alle 19,30 in cui si partiva stavamo sui 33), in attesa di tornare zona rossa per il Covid vero o presunto; eppure, il calendario della sagra di Baggiovara (paesone poco a sud di Modena, il cui nome risale ai Bajuvari o Bavari che lo occuparono ai tempi delle invasioni barbariche; podisticamente parlando, km 10 della ex maratona d’Italia) non ammette deroghe, e dopo la pausa virale riprende con la sua data (settimana più, settimana meno).
Il volantino recita “16° Memorial Bondi”, ma sono ben più di 16 anni che ci si ritrova qui; i meno giovani (come Paolo Giaroli) ricordano anche i tempi, 30 e più anni fa, che si svolgeva in marzo una combattutissima gara a staffetta, grosso modo su questo tracciato ma con passaggio da Casinalbo. I più aggiornati sanno che qui c’è il distributore di benzina più economico della provincia (oggi la verde sta a 1,86) e dopo la gara passano a fare il pieno. Stare però attenti al proditorio autovelox piazzato dal limitrofo comune di Formigine sulla tangenziale, che passa lontanissima dal centro urbano, infossata in un canale, ma è giuridicamente utile per fare cassa (notare che nello stradone, a due carreggiate separate, è stato prima abbassato il limite da 110 agli striminziti 90, e poi installato l’apparecchietto).
Economico invece il prezzo del gnocco fritto venduto alla sagra: 0,50 al pezzo, la metà di quello che fanno pagare a Modena con la scusa dell’autofinanziamento sociale (tutti, ma proprio tutti, hanno bisogno di soldi). Con la conseguenza che nel dopo-gara alla cassa parrocchiale di Baggiovara c’è una fila di 50 persone, e qualcuno desiste.
Nel mezzo, si corre: perché? Campionesse come Sonia De Carlo (la bocca sempre atteggiata a un sorriso tra il garbato e il triste) o Simona Bedeschi si ristorano dalle gare impegnative appena organizzate e corse, e anziché aduggiarsi di ripetute solitarie fanno il loro allenamento in compagnia; Paolino e Maurito Malavasi vengono qui per abitudine e come ultima rifinitura prima del trail marathon in terra friulana; Angelo Giaroli ha lasciato che il suo sodale Cuoghi si cimentasse per l’ennesima volta alla Bologna-Casaglia-San Luca (scartata da altri per esosità), ed è venuto qua, in buona compagnia non necessariamente podistica. Solitario è come sempre Leandro Gualandri, però in compagnia della inseparabile Fp2 portata fino alla partenza. La scultorea Alessandra, con la sua amica, aveva pensato di fare qui l’ultima sgambata prima del trail della Nuda previsto sul nostro appennino domenica prossima, per cui avevano già pagato: ma oggi arriva la notizia che la gara è stata de-Nudata avendo raggiunto… non più di 11 Nudisti preiscritti.
Società come la Guglia o la Madonnina hanno innalzato le loro tende nel solito campo fresco (non Largo…) alle spalle della chiesa; ma incredibilmente, a vincere per numero di partecipanti non sarà il Cittanova, ma a pari merito lo Sportinsieme e la Rocca di Formigine, che ne iscrivono ben 30 ciascuna, superando i 26 della Madonnina.
Naturalmente c’è chi parte anche mezz’ora prima (Verzoni ricostruisce la storia del suo intervento chirurgico studiato col dottor Guaitoli in modo da battere Marri; non pervenuti i Montesanpietrini dopo l'astinenza fotografica di Marzaglia), ma all’ora canonica siamo – a occhio – un centinaio buono, che disciplinatamente attendiamo l’arrivo dell’ambulanza e l’OK dei vigili per partire, superando un cavalcavia quasi all’inizio e un altro quasi alla fine (ricorda il giro a tappe di Carpi, commenta Gelo). Come sempre, poco dopo il 4° km, in uno dei rari tratti ombreggiati, c’è Debbia col suo ristoro di tè fresco e di acqua tiepidina. Un altro po’ di sterrato, poi il secondo cavalcavia, la rituale deviazione nel campo di grano mietuto e infine l’arco gonfiabile dopo 6,700 km. Per i 2 euro di iscrizione, mezzo chilo di spaghetti, altro ristoro di tè e acqua, e doccia all’aperto ricavata dalla traversa di una porta da calcetto. Fotografi locali con un almeno paio di scatti ciascuno per ogni concorrente (più le foto on demand): chissà se è ancora vivo quel fotografo del podismo antico modenese, che aspettava a cento metri dal traguardo, e se un podista gli faceva segno con pollice e indice della mano, scattava, e la settimana dopo portava la stampa per 1000 lire. Ma forse è sepolto a Baggiovara, uno dei pochissimi cimiteri modenesi con posti ancora disponibili.
Cadono i governi ma si studia il modo di non far cadere né onorario né pensione ai poveri onorevoli scadenti in procinto di tornare a vendere bibite allo stadio; l’inflazione galoppa, il dollaro ha pareggiato l’euro così chi si iscriverà a New York o Chicago pagherà il pettorale 50 euro in più; va su pure l’indice erretì, la quarta dose è partita in tutta Italia (Mandelli è già tetradosato), non ancora nella progreditissima Emilia-Romagna. Ma chissene… come cantava Gianni Morandi quando non si tingeva i capelli e gli bastavano capolavori del genere per andare in testa alla hitparade di Luttazzi, e chissene importava se nelle hitparade del resto del mondo c’erano canzonucce come Pretty woman, The house of rising sun, A hard days night, ignote alle mamme cui bastava Canzonissima.
E bando alle nostalgie: oggi si correva a Bazvèra, e ci vuol altro per fermare noi irriducibili.
Three Livigno, domina la mammina cèca Petra Pastorova
Livigno (SO), 10 luglio – La maratona è arrivata anche qui, per iniziativa del presidente Supermarathon Italia Paolo Gino, che meritava fortuna migliore in rapporto al dispendio di mezzi per ‘contagiare’ del virus delle 42 km anche questa località dotata finora solo di una maratonina (oltre che essere sede di allenamenti in altura come sta facendo in questi giorni la Nazionale di marcia).
Le tre maratone consecutive ("Tri" alla lombarda secondo la denominazione originale, poi anglicizzata in "Three"), disputate tra sabato 8 e domenica 10, sono state ben lontane dall’obiettivo minimo di “una cinquantina” di partecipanti in cui il Presidente sperava ancora alla vigilia, e per esempio dagli 81 di Orta-4 o i 68 di Pont Saint Martin: gli arrivati (come testimonia il collaudatissimo e tempestivo cronometraggio Icron) sono stati rispettivamente 18, 24 e ancora 24, nemmeno di primissima fascia con l’eccezione della dominatrice che in realtà (se le tifose dello shwa non si opponessero) dovremmo chiamare “dominatore” in quanto, sebbene donna, ha sbaragliato il lotto dei maschi giungendo prima assoluta in tutte e tre le prove.
Mi riferisco a Petra Pastorova, quarantacinquenne di Ostrava, tre volte mamma, 2.36 in maratona (Praga 2013; e 2.39 a Siviglia nel 2020), 8.27 sui 100 km ai mondiali del 2011, e poche settimane fa vittoriosa nella 50 km di Romagna, che sull’impegnativo tracciato livignasco (questa volta, perfettamente misurato) dal dislivello complessivo di oltre 360 metri ha fatto segnare un crescendo da 3.29:16 a 3.22:46 fino addirittura a un 3.05:11 che le è valso il successo non solo assoluto ma anche sulle prime due donne dell’ultima Pistoia-Abetone, Federica Moroni e Ilaria Bergaglio: che a Livigno potevano contare sulla freschezza essendo presenti unicamente all’ultima tappa, ma sono riuscite solo a stimolare nella loro avversaria una prestazione tale da metterle in riga.
Decisamente lontani gli uomini, il più performante dei quali è stato Fabrizio Lavezzato (Novese), con 3.13 il terzo giorno, seguito da Daniele Tufo della Naviglio Running, 3.29:30 alla seconda tappa; e il più continuo il sessantenne Carmine Sansone (Team Marathon: 3.58, 4.01, 3.56 nelle tre tappe), cui accosterei per stakanovismo il vecchio amico nervianese M 55 Paolo “Scoubidou” Fastigari (4.36, 5.04, 4.50).
Ma i contenuti agonistici sono passati in secondo piano di fronte all’ennesimo raduno festoso tra vecchi amici, che ha anche consentito di festeggiare tre soci che hanno raggiunto la cifra tonda: Lorenzo Gemma “il trombettiere” forlivese, che a quota mille ha agguantato il primatista italiano Piero Ancora e la coppia barlettana Rizzitelli-Gargano; Massimo Faleo, un importante ruolo organizzativo in questi tipi di raduni e arrivato a quota 600 nella terza gara; e il bolognese Leonardo Manferdini che ha fatto 300.
La giornata conclusiva di domenica 10, appunto, ha visto l’arrivo di gruppo, a quota 6h46, di ben dieci maratoneti, i tre festeggiati appunto, in compagnia fra gli altri di Gargano-Rizzitelli, di Luciano Ferrari che aveva ‘pensato’ questa gara, e di Enzo Caporaso il cui contributo di esperienze è sempre prezioso in questi ritrovi.
Ha chiuso le feste, come nelle altre tappe, “ol sindic” Marco Simonazzi, avvocato prossimo alla seconda laurea, curriculum lavorativo internazionale di tutto rispetto, e grande donatore di sangue, che nei tre giorni è stato sulle gambe più o meno 22 ore, impiegandone poi quasi altrettante nel rientro a casa sui disastrati mezzi pubblici italiani che rendono Livigno raggiungibile più facilmente dalla Svizzera che dalla madrepatria (la quale si 'scusa' facendo pagare la benzina mezzo euro al litro di meno).
Correre in altura, come è noto, fa crescere i globuli rossi (è il modo ‘lecito’ di stimolare l’Epo) e dunque la capacità del sangue di trasportare ossigeno, con effetti positivi a lungo termine; ma la rarefazione dell’aria, se agevola le gare brevi e le prestazioni anaerobiche, è invece una tara per i fondisti: a Livigno la partenza-arrivo era collocata a 1805 metri, e il punto più alto (corrispondente ai giri di boa dei km 10,5 e 31,5, lungo la maestosa pista ciclabile che porta verso sud alla Forcola di Livigno) stava a 1957.
Ciò serva a valutare più correttamente i valori tecnici indicati dalle classifiche; ma il tempo cronometrico è forse l’ultima cosa che importa ai supermaratoneti, che sistemati quasi tutti in un grande hotel dotato - a prezzi più che abbordabili - di ogni confort (tranne la comodità rispetto al centro maratona), indulgevano volentieri a lunghi soggiorni in piscina e a “terzi tempi” serali sotto le musiche mixate da Paolo Fastigari; e si danno già ora appuntamento per i prossimi cimenti, al lago d’Orta in agosto e a Forlì in settembre per ricordare il fondatore del Club, Sergio Tampieri scomparso nel 2010.
Per commenti, classifiche, video e foto si può andare all’indirizzo https://www.clubsupermarathon.it/2022/07/three-livigno-day-3-10-7-22-tre-giubilei-x-three-livigno/
Vertical di Ospitaletto (MO): Morlini nel diluvio dei Modena Runners
6 luglio – Questa gara, giunta alla sesta edizione secondo i miei taccuini (sebbene, tradizionalmente, ogni nuovo organizzatore ci tenga ad assegnare il n. 1 al proprio allestimento), ogni volta supera i record precedenti. Io c’ero, alla prima del 6 gennaio 2017, ed eravamo una trentina; nell’ultima, 16 luglio 2021, furono classificati in 93, regolati dal “mostro” reggiano Bergianti in 27:39, col secondo a 4 minuti.
In questa serata vanamente pronosticata di nubifragio dai meteo-virologi, i classificati sono 116, e la classifica mostra una sola eccezione alla monotonia del cappotto maschile: Isabella Morlini, la statistica reggiana cinquantenne (ma ne dimostra 38) ha continuato la sua serie di vittorie dell’ultimo mese (19 giugno, Trail golfo dei Poeti SP; 25 giugno, Panoramica di Monchio MO; 26 giugno, Monte Caio a Schia PR; 2 luglio, Forte Ratti GE) ed ha sbaragliato le colleghe del gentil sesso vincendo in 33:39 sui 6,950 del percorso con 375 metri di dislivello. A 1 minuto è giunta la sua delfina, ossia erede proclamata, Ioana Lucaci; a 1’40” Dinahlee Calzolari. Alle altre sono rimaste le briciole dei premi di categoria.
Alquanto mono-tono l’ordine d’arrivo maschile, con tutto il cosiddetto podio occupato dalla realtà più competitiva del podismo modenese, i Modena Runners: Luca De Francesco, del 1982, con 28:32 ha inflitto 43” a Saimir Xhemalaj, classe ’94 (che qui si era iscritto col tesseramento Uisp di Mud&Snow, altra brillante realtà locale), e 1’08” all’altro compagno di squadra Giuseppe Castiello (1981). Gli unici tre a stare sotto la mezz’ora. Dietro loro, l’abisso: a 2’49” è giunto Fabio Poggi di San Vito, tradizionale avversario nelle competitive modenesi, incalzato da un altro Modena Runner, Fabrizio Gentile.
Modena Runners ha vinto anche la classifica per società, con 11 arrivati, davanti a Mud& Snow e Podistica Formiginese con 7; erano presenti anche squadre bolognesi, reggiane, toscane.
Mentre si evolve la classifica delle “Five Road Race” dopo la seconda tappa: restano la staffetta di Borzano la prossima settimana, e in autunno i 5000 al vecchio ippodromo di Modena e la classica maratonina di Correggio.
Il tracciato è quello consacrato dagli allenamenti di Baldini (che ne detiene il record, con 25 minuti netti ufficiosi) e di molte società podistiche (personalmente mi ci ero cimentato l’ultima volta il 2 gennaio di quest’anno, con ben altro clima): tre km corribili quasi a tutta, due decisamente impegnativi, con angoli in salita fino a 9 gradi (che automobilisticamente significa 20% di pendenza), e gli ultimi due un po’ meno pendenti salvo lo strappo ancora a 9 gradi a 250 metri dall’arrivo.
Organizzazione perfetta, addirittura strada chiusa da un’ora prima dell’evento; un rinfresco a metà gara e uno più abbondante alla fine, punteggiato dal rosso degli spicchi di cocomera; premiazioni anche di categoria (seppure con l’accorpamento degli over 60 in unica categoria, che significa niente premi per il 77enne Lolo Tiozzo e il 75enne Cuoghi, ma neppure per Dino Ricci e Angelo Giaroli nonostante mi abbiano superato a -2 km dal traguardo).
Niente premi neppure per il dominatore degli M 70, Leandro Gualandri, che forse dall’imperterrito uso della Fp2 ricava vantaggi aerobici, ma finisce solo quarto malgrado un 41:21 da applausi che completerà scendendo a valle in bicicletta.
Mentre Soraia Pozzi e Cecilia Gandolfi, tra le poche a finirmi dietro, ottengono un 2° e un 3° posto di categoria: ecco l’utilità delle quota rosa, in attesa che la legge Zan imponga altre categorie.
A tutti gli altri paganti i 10 euro prescritti (sempre meno dei 15/20 pretesi dai bolognesi della Casaglia-San Luca), il pacco gara, tra i cui gadget sta una curiosa borsa portaoggetti in tessuto da asciugamano, ma che come asciugamano non serve, ed è scomoda pure come portaoggetti mancando della tracolla.
Premiazioni in un fresco parchetto a 300 metri dall’arrivo, e adiacente al ristorante Spino il cui stracotto di guanciale rientra tra i 20 migliori cibi mai gustati in questa e nell’altra vita: lo garantiscono anche i miei nipoti, che il master-speaker Brighenti attesta essere venuti dal Michigan per assistere alle prodezze dello sfiatato nonno.
I “Racconti di corse” di Francesco Colombo, da tapascione a “keniano bianco”
Come per tanti di noi, lo sport dell’infanzia e adolescenza di Francesco Colombo era il calcio, con l’atletica scoperta solo dopo i 25 anni causa un serio trauma patito giocando tra amici. C’erano buoni presupposti, come l’essere stato l’unico capace, all’Isef, di correre i 3000 sotto i 12 minuti, finché la curiosità lo spinse a una 10 km serale di Cesano Maderno, nel 2013, con scarpe da ginnastica consumate, un 68° posto finale su 454, e le foto di Arturo Barbieri. La passione era scoppiata e non si sarebbe più fermata, salvo forze maggiori…
“Nell'estate 2020, dopo il lockdown e con le gare ormai lontane – ci scrive l’autore - mi è sorta l'idea di mettere per iscritto i ricordi di quegli anni di corse. Inizialmente voleva essere solo per me stesso, poi ho voluto condividerlo con colleghi e parenti stretti, stampando qualche copia ma inizialmente senza pubblicarlo. Alla pubblicazione ho associato l'idea dell'adozione a distanza, che ovviamente farò ugualmente anche non dovessi raggiungere la cifra necessaria. In questo modo ho potuto raccontare della mia esperienza ai miei alunni della scuola media dove insegno Educazione Fisica, ai quali ho sempre provato a insegnare a non arrendersi mai e che la fatica è necessaria per raggiungere qualsiasi obiettivo”.
Siccome l’obiettivo di ogni stradista è arrivare a correre una maratona, già nel 2014 l’avvicinamento cominciò con la 21 della Montefortiana, una gran fatica intrisa da qualche “smorfia di dolore”; e *il gran balzo avvenne meno di due mesi dopo alle Terre verdiane: qualche inevitabile errore di inesperienza lo porta a una crisi di sete e alla necessità di camminare per qualche tratto, ma ne esce un 3.17 oltretutto immortalato da Stefano Morselli (qui a p. 20: è una delle tante foto da Podisti.net che arricchiscono l’opera). Curiosamente, c’ero anch’io, che andavo ancora discretamente tant’è vero che Francesco (senza saperlo) mi inflisse appena 40 minuti.
La moglie Federica è fedele accompagnatrice, prima da sola, più tardi con le figlie che arriveranno: una volta si cimenta addirittura in una cronoscalata a coppie da Erba: esito positivo, “pane salame e un buon bicchiere di vino rosso”, ma per il momento resterà un unicum. Mentre Francesco prosegue singolarmente (s’intende, con la moglie a bordo strada, e spesso con amici e colleghi a fianco) e, nell’unica maratona estera finora corsa, che fortunatamente non è New York ma Reykjavik, nell’agosto dello stesso 2014 scende sotto le tre ore. Tempo che sarà ampiamente battuto da un 2.43:07 a Santhià l’anno dopo, gara corsa “da soli in mezzo al nulla… non un essere vivente”, ma celebrata da un terzo posto assoluto.
Addirittura primo sarà Francesco nel giugno 2015, in un Urban Trail a Novedrate, vicino a casa, concluso con un intervento d’urgenza al pronto soccorso per suturare i guai di una caduta (che ancor oggi gli lascia “un mignolo di legno”); e malgrado tutto, a settembre verrà il successo nella prima e unica maratona del lago di Varese, con un 2.46 fotografato ancora da Arturo Barbieri (p. 42), e la premiazione con la figlia neonata Lisa tra le braccia.
Un altro evento memorabile, che non a caso Francesco ha corso 6 volte collegandolo alle vacanze estivea Castelrotto, è la mezza dell’Alpe di Siusi (ideata dal nostro amico Hartmann Stampfer), che in parte si dipana lungo un sentiero “talmente duro da far venire le lacrime”, comunque segnata nel 2016 da un terzo posto assoluto; mentre una nuova vittoria (della quale l’autore quasi si scusa) sarà nel novembre 2016 al “Barbarossa Doble Trail” di Montorfano nel comasco: in tanti sbagliano percorso, e Francesco (che ha sbagliato “meno”) si ritrova primo a sorpresa, un “insperato trionfo… pur non essendo il più forte”.
All’estremo opposto sta l’esperienza della “First Marathon”, che “non certo in un luogo suggestivo”, Calderara di Reno a fianco dell’aeroporto di Bologna, inaugurava l’anno, per “pochi coraggiosi (69 in totale)”, che si mettono in maggioranza a camminare o trotterellare chiacchierando allegramente, “stupiti della nostra andatura”. E così commenta il protagonista: “Mi domando se quelli strani siano loro … o siamo noi che ci danniamo l’anima per non perdere nemmeno un secondo… E’ solo una questione di punti di vista”. Complice un guaietto fisico analogo a quelli che (si dice) erano l’assillo costante di Zenucchi, da quella gara arriverà solo un secondo posto in 2.58. appena davanti alla prima donna.
È un’esperienza anche quella, come sul fronte opposto lo sono le scalate alla Torre Allianz di Milano del 2018 e ’19, o le corsette all’alba nelle città meta di gite scolastiche (prima che gli studenti si sveglino): finché arrivano il Covid e i lockdown, con l’autore che s’ingegna a correre sul tapis roulant o nel cortile o sulle rampe del garage di casa a Seregno, fino a completare una 42 autogestita.
I mesi che seguono, a parte le rare e avventurose vacanze strappate alle limitazioni, saranno dedicati alla raccolta delle proprie emozioni per questo libro, per dire a tutti noi che “la corsa riporta la calma, rimette in ordine i cocci e le priorità della vita”.
Incollo il link per un eventuale acquisto (€ 15,60)
Marzaglia (MO): una corsa proletaria alla Zavattini
3 luglio - Una poesia di Cesare Zavattini in dialetto ed Lusèra è l’ideale per descrivere questa gara, che si doveva fare a fine gennaio e per le note ragioni è stata rinviata in piena estate:
O vést an funeral acsé puvrét
c’an gh’éra gnanc’al mort
dentr’in dla casa.
La gent adré i sigava.
A sigava anca mé
senza savé al parché
in mes a la fümana.
La fumana e il ghiaccio accompagnavano appunto le 24 precedenti edizioni di questa corsa, al cui arrivo era infatti prevista l’erogazione generosa di vin brulé: forse, la giustificazione più valida per andare in questa località dal nome poco invitante e che, per le bizzarrie del calendario, trovava la sua corsa collocata consecutivamente ad altre gare nella stessa zona.
E venivano a migliaia, intasando le stradine in maniera che una ventina d’anni fa, chiedendomi proprio a proposito di questa competizione, chi avesse ragione in un ipotetico scontro tra un’auto che arrivava al parcheggio e un partente anticipato che scorrazzava come se fosse lui il padrone della strada, mi presi della “sveglia al collo” da colui che dominava allora il coordinamento podistico modenese. Che rimase a fare il bello e il brutto tempo, abbandonato via via dai fans, finché un giorno si fece portare via da due zingare l’intero incasso della sua corsa: la sua sveglia al collo non aveva suonato, forse perché era suonato il portatore (tuttora detentore dell’esclusiva di quella gara, col piccolo particolare che la gara non esiste più).
Torniamo allora, con un pendaglio al collo in meno, a Marzaglia, che il comune di Modena tenta di rivitalizzare con un cosiddetto autodromo e un cosiddetto aeroporto, ma è soprattutto sede del gattile, del Caravan Camping Club e della Protezione civile; dicono anche che l’acqua estratta da qui sia la più ‘leggera’ della zona, ma gli ecologisti ribattono che le escavazioni nel fiume Secchia la ‘sporcano’, e ciò forse giustificherà il tipo di acqua dato ai ristori e in fondo.
Dall’epoca Covid e dall’andazzo precedente rimane la partenza libera dalle 8 (quando la temperatura sta sui 26 gradi) alle 9 (quando il sole innalza verso i 30, che però non saranno superati di molto fino al rompete le righe). Non c’era da aspettarsi una grande partecipazione, data la stagione, la “comitansa” (come diceva un telecronista locale) con una corsetta analoga nella Bassa, alla Concordia dove a li galini li gh’à ligà li gambi cun li curdeli rossi; e, per i competitivi nonché vogliosi di panorami e aria fresca, a Castelnovo Monti nel reggiano.
Eppure a Marzaglia è approdata anche la squadretta del Monte San Pietro di Bologna, che per arrivare qui ha percorso ben 54 km, rinunciando alla camminata ufficiale bolognese, nella collinare Berzantina distante 55 km: un’ipotesi è che sperassero nelle fotografie che come d’abitudine includono anche le loro partenze antelucane, ma non avevano letto Zavattini e non sapevano che in questo funeral acsé puvrett angh fuss gnanch un strass ed fotograf.
A parte questo, devo dire che a Marzaglia hanno fatto le cose per bene: tre percorsi (da quasi 15, più di 8 e quasi 4), una partenza ufficiale strenuamente mantenuta alle ore 9 da Peppino Valentini, un pacco gara che valeva molto più dei due miseri euro di iscrizione, percorsi segnalati e presidiati da sbandieratori in mascherina (puvrett), taluni con ombrello parasole; traffico assente, disponibilità di docce seppure con la scritta, davanti allo spogliatoio, che l’accesso era consentito a un massimo di 11 persone.
In questo campo nel 1984 io giocavo con una squadra di amatori (la Nuova Giungas, non siamo esattamente andati in finale di Champions): siccome ero un panchinaro che entrava nel secondo tempo, per la doccia avrei dovuto aspettare che finissero gli 11 titolari (e giocavamo al venerdì in notturna, anche a gennaio, inizio ore 22). Trentotto anni dopo, alle 9,00 ci ritroviamo esattamente in 30 anime sul segnale del via dato da Valentini: il campione regionale Leandro Gualandri (unico reggiano a valicare il confine) con due mascherine al braccio, Maurito Malavasi che si prepara a un trail friulano (e saranno gli unici due a optare per il percorso più lungo); poi Lucio, che ha fatto migliaia di km nei vari pellegrinaggi santificati ma qui si accontenta di 8,2, come il sottoscritto e tutti gli altri, che man mano raggiungono i partenti dei minuti o mezzore prima.
Ecco dopo 3 km Vittorio, mio compagno nei record di maratonina del 1993, ma che confessa di andare ormai più di passo che di corsa, però non ha perso l’abitudine di corcamminare in compagnia di belle signore. Poi, dopo il tratto più delizioso del tracciato, al km 5 (un mezzo km totalmente ombreggiato) il momento peggiore sullo stradone, dove arrivano quelli dei 14 km e si trascina “Rambo” Benassi, imitatore di Mastrolia quale “indiano” ai tempi d’oro.
Finalmente arriva il traguardo, dove alcuni nostalgici (come il vigile Pavesi) reclamano il vin brulé ma ricevono solo un cartone di acqua minerale, che si dichiara incartonata in Sardegna ma ha solo etichette inglesi: good, pure, smart (un’acqua smart te la mandano a casa mentre fai lo smartworking?), green (che schifo, un’acqua verde?!), e perfino cool (come direbbe Zavattini, tool in dal cool). Ma che ci volete fare: se uno dei 22 sponsor elencati nel depliant ti omaggia di quest’acqua, te la tieni stretta e dici persino grazie. Anche perché il pacco-gara dà torto agli assenti, ricco com'è di pasta, pomodoro (col nome di un fotografo assente), cremine, l'immancabile gel sanificante, crackers e l'acqua from the Sardinia Island.
Il podismo della rinascita, alla faccia delle professoresse Viola e Capua (gli ozi operosi della Capua sabbatica…) che come le veline sono una mora e l’altra bionda (tinta), si è adattato come poteva.
Finisce la Fassa a tappe con la Seraghiti che riprende il primato
Pozza di Fassa, 1° luglio - Per oggi i meteo-astrologi avevano previsto pioggia dalle 13 (i più pessimisti) o al massimo dalle 16 (gli ottimisti). Sono infatti le 16 e un sole ustionante splende sulla Val di Fassa, ancor più ultravioletto per quelli che sono rimasti nei rifugi presso l’arrivo del Buffaure, e aspetteranno le ultime discese della funivia per tornare a Pozza dalle loro auto o alloggi. “Come avete sentito dai titoli” (altra frase inutile dei lettori di tg), e come leggerete meglio nel resoconto di Pegaso Media, la più esperta Monica Seraghiti, sulle pendenze proibitive della pista da sci del Buffaure (il mio Gps dal km 8 all’arrivo ha segnato angoli fino a 29 gradi, che in gergo automobilistico significa pendenza del 65%) si è ripresa il primato che aveva detenuto nelle prime tre tappe; mentre tra gli uomini, scontato il successo di Dalmasso, va notato l’exploit di don Torresani, che ha superato tutti gli altri (che, con rispetto parlando, potrebbero essere suoi figli) sfiorando un secondo posto finale che sarebbe stato, evangelicamente parlando, una moltiplicazione dei pani e dei pesci. E per restare sul sacro, don Franco prima della partenza ha benedetto noi tutti ricordando in particolare il cofondatore del Giro, Elio Pollam, scomparso in età ancor giovane sei mesi fa, e che ha affrontato lucidamente la malattia fatale, come l’apostolo Paolo, senza perdere la fede: don Franco ci ha esortato, al km 1 della nostra tappa, a volgere uno sguardo a sinistra, nella chiesa nuova di Pozza, dove Elio riposa per sempre. Ci aggiungo personalmente l'augurio più caldo per il campione ultrarunner Marco Menegardi, a pochi giorni da un serio intervento chirurgico.
Lascio la parola a Pegaso Media.
Si è chiusa all’insegna di Moreno Dalmasso e Monica Seraghiti la Val di Fassa Running 2022, tornata ad animare i sentieri della valle ladina trentina dopo due anni di stop causa pandemia. Per il cuneese di Costigliole Saluzzo e per la marchigiana di Urbino, vincitori di 4 atppe su 5, si tratta della prima volta nell’albo d’oro di questa corsa a tappe. Dalmasso si era piazzato terzo nella generale del 2019, mentre la Seraghiti non aveva mai partecipato.
Entrambi hanno sigillato il proprio alloro con una perentoria affermazione anche nel tappone dolomitico conclusivo di sola ascesa, che ha visto la partenza da San Giovani di Fassa e l’arrivo in quota nella piana del Buffaure dopo aver affrontato 11,8 km e 930 metri di dislivello. Moreno Dalmasso ha impiegato solamente 56’43” a portare a termine la sua prova, dimostrando di avere un bagaglio tecnico decisamente superiore agli avversari, anche rispetto al fassano di Campitello Simone Manfroi, che ha preso parte solo alla frazione conclusiva, e che è giunto dopo soli 48 secondi.
Nella tappa, che il Comitato Organizzatore ha voluto intitolare all’amico Elio Pollam, scomparso il 27 dicembre scorso, ha dato il tutto per tutto Don Franco Torresani, esperto runner specializzato nelle sfide in salita. Il prete che ha benedetto gli atleti prima dello start, è giunto sul traguardo con il tempo di 58’26”, a 1’42” dal vincitore, riuscendo a rosicchiare un po’ di secondi al rivale nella classifica Michael Zagato, senza però scavalcarlo nella generale. Ottimo prestazione poi per l’atleta di casa Damiano Nicolodi che ha terminato in quinta posizione, seguito da Simone Viola e Daniele Scapellini.
Il podio della classifica generale, al termine delle cinque tappe, vede dunque trionfare Moreno Dalmasso con 4h29’24”, davanti all’altro piemontese che difende i colori del Cus Pro Patria Michael Zagato con un distacco di oltre 12 minuti. Terzo Don Franco Torresani dell’Atletica Paratico che accusato un gap di 3’10” dall’argento assoluto. Quarta posizione per il bergamasco Simone Viola, davanti al fassano Damiano Nicolodi.
C’era invece grande attesa per la sfida femminile, visto che prima dell’ultima tappa la torinese Sarah L’Epee godeva di un vantaggio di 11 secondi su Monica Seraghiti. Dopo essersi studiate a vicenda nel primo chilometro, quando il percorso ha iniziato ad inclinarsi la marchigiana ha aumentato il ritmo guadagnando secondi su secondi e riconquistando la leadership che aveva gestito fino alla quarta tappa. Sul traguardo di Buffaure Monica Seraghiti è giunta con il tempo di 1h01’56” staccando di 2’16” Sara L’Epee, quindi terza come in tutte le altre tappe è giunta Ana Nanu. Nella classifica di tappa troviamo poi quarta Alice Colonetti, quinta Sara Baroni e sesta Lorena Brusamento.
Nella generale la Seraghiti può vantare un tempo di 5h02’09”, di 2 minuti e 5 secondi più basso rispetto a quello della L’Epee. Più staccata in terza posizione Ana Nanu, quindi quarta Sara Baroni della Quercia di Rovereto e Alice Colonetti del Speedy Runners.
Grande soddisfazione per i 250 partecipanti e per gli organizzatori dell'evento capitanati da Armando Mich, il quale ha ufficializzato già le date della prossima edizione, ovvero dal 25 al 30 giugno 2023.
La generale di categoria
Nella classifica generale di categoria si sono aggiudicati la vittoria finale Alice Colonetti nella AF 18-34, Monica Seraghiti nella BF 35-39, Marina Ruffini nella CF 40-44, Ana Nanu nella DF 45-49, Sara Baroni nella EF 50-54, Daniela Marangone nella FF 55-59, Delfina Marenda nella GF 60-64, Rosina Sidoti nella HF 65-69, Maria Grazia Nardini nella IF 70-74.
In campo maschile Michale Zagato si è aggiudicato la AM 18-34, Davide Diotti nella BM 35-39, Federico Sama nella CM 40-44, Lorenzo Conterno nella DEAFM, Moreno Dalmasso nella DM 45-49, Achille Faranda nella EM 50-54, Daniele Baroni nella FM 55-59, Franco Torresani nella GM 60-64, Ademaro Bertolini nella HM 65-59, Luigi Luzi nella IM 70-74, Verardo Brodi nella LM75+, Antonio Serra nella ZM17.
Hanno detto
Moreno Dalmasso (primo classificato): «Sono soddisfatto di questa vittoria, dopo il terzo posto finale del 2019. Sono state cinque tappe impegnative, soprattutto la terza e l’ultima, dove non è mai facile gestire le energie. Tutti davano per scontata la mia vittoria finale, ma finché non ho tagliato il traguardo non mi davo certezze. Il tappone finale l’ho gestito bene fino a metà gara, poi negli ultimi chilometri ripidi ho stretto i denti. Sono arrivato stanco ma felicissimo».
Don Franco Torresani (terzo classificato): «Salire sul podio dopo cinque tappe con avversari bravi e più giovani mi da tanta soddisfazione. Sono contento per il terzo posto. Nel tappone conoscendo le mie caratteristiche ho deciso di provare il tutto per tutto nel tratto verticale. Ho recuperato un po’ di secondi sugli avversari, ma il secondo posto era troppo lontano. Mi ha fatto enorme piacere prendere parte a questa gara ideata dall’amico Elio Pollam, al quale ho voluto dedicare una preghiera e un ricordo».
Monica Seraghiti (prima classificata): «Grandissima soddisfazione personale questa vittoria alla Val di Fassa Running. Mio padre aveva partecipato a due edizioni e mi aveva sempre parlato bene. Così dopo la maternità ho deciso di presentarmi al via. Non è stato facile vincere, anche perché Sarah è stata un’avversaria di grandissima qualità. Partivo con un ritardo di 11 secondi, conscia che in salita vado forte, ma non sapevo quando andava forte Sarah. Ho dato il tutto per tutto ed è arrivata la vittoria finale. Tornerò sicuramente».
Sarah L’Epee (seconda classificata): «Sono contenta per aver centrato il podio, soprattutto per l’ottima prova di giovedì dove mi sono giocata le mie carte con grande soddisfazione. Sapevo che nel tappone Monica per le sue caratteristiche aveva qualcosa in più di me. Onore a lei per vittoria di tappa e del circuito. Io vengo sempre volentieri alla Val di Fassa Running, anche se non è il tipo di competizione che di solito pratico, ma il contorno di questo evento è super».
Armando Mich (presidente Comitato Organizzatore): «Sono felicissimo di come è andata la Val di Fassa Running numero 22. Abbiamo deciso solo a febbraio di riproporre l’evento dopo due anni di stop, con un riscontro positivo in quanto a partecipazione. Siamo motivatissimi e assieme ad Ornella Tater, responsabile dei percorsi, abbiamo già deciso la data del prossimo, ovvero l’ultima settimana di giugno con il tappone sul Col Rodella. Tappone che sarà sempre intitolato ad Elio Pollam».
[F.M.] Il nome di Campitello mi dà personalmente un piccolo nodo alla gola, per il ricordo di quando, bambinello che aveva appena terminato l’asilo, fui portato lì in vacanza, a prendere la prima seggiovia della mia vita, quella al col Rodella; e sceso dal seggiolino mi misi a correre sul prato per raggiungere le Cinque Dita, che mi sembrava di toccare. Se sarò ancora al mondo, spero tra un anno di tornare portandoci i miei nipotini, grosso modo attorno a quell’età che aveva il nonno ignaro della vita e delle sue croci come lo sono ora Davide, Paolo, Anna e Alex l’Americano.
Ma godiamoci il primo giorno di luglio, cominciando dallo sconto praticatoci rispetto agli 11,8 km + 930 m D indicati nel comunicato: si trattava in realtà di 9,8 con poco più di 800 metri da salire (e 115 da scendere a intervalli), in una salita abbastanza godibile fin oltre il settimo km, che peraltro abbiamo scontato negli ultimi 3, in alcuni tratti dei quali noi camminatori (oso dire almeno l’80% dei partecipanti) rischiavamo di cadere all’indietro. Dalle classifiche ufficiali si nota che i nostri tempi finali sono presso che gli stessi nelle ultime tre tappe, salvo che le altre erano di quasi 12 e quasi 14 km.
Molto regolare ad esempio il lecchese Giovanni Civillini, che mi ha rifilato i soliti 20/25 minuti quotidiani mantenendo saldo il secondo posto della nostra categoria. Idem il mio compagno d'albergo Maurizio Mometti, coequipier della vincitrice, lui pure davanti 11 minuti oggi e... il tempo di una mezza maratona nella classifica finale. Nei pressi pure l'assai più giovane Gianluca Spina, figlio d’arte di Italo e Cecilia i sassolesi, che anzi oggi ha fatto per 3 minuti meglio di ieri; mentre il “senator” Giuseppe Cuoghi, ripresentatosi dopo la debacle febbrile di martedì e la ripresa di giovedì, si è accontentato di chiudere il gruppone dei 191, riservandosi di spiegare poi a Giangi la sua ‘particolare’ posizione di classifica.
Anche Giuseppe ha un caro ricordo di Elio e delle tante occasioni in cui si è rapportato con lui; ma venendo a ieri, ci ha descritto il divertente episodio di un podista quasi-novantenne che, arrivando ieri circa due ore dopo il vincitore, a 30 metri dall’arco ha intravisto due concorrenti non competitive che stavano concludendo mano nella mano: allora è partito, ha separato la coppia femminile infilandocisi in mezzo, non per uno struscio erotico ma per sprintare, incurante delle risate di compatimento del poco pubblico rimasto. A volte si riesce a rivalutare Govi e Togni.
Venendo ai nostri sfidini (che mia moglie chiama guerre tra poveri, e invece sono il sale di queste corse, una volta deposto il pensiero dei prosciuttini-premio) dirò che finalmente la mancanza di una discesa finale ha evitato il rituale sorpasso che mi capitava di subire, date le scarse dote discesistiche personali. Senza nemmeno doparmi col Froben, ho lasciato Maurizio Pivetti (che a sua volta giura di non aver insufflato Vicks) a 4 minuti esatti, giungendo in solitudine al traguardo e all’abbraccio di una ritrovata amica e collega quale Daniela Malusa da Chievo (che ha corso le ultime due tappe), abbraccio benedetto da don Torresani (cui ho poi presentato Pivetti, il quale molto diplomaticamente gli ha confessato di essere tifoso di Papa Francesco, ricevendosi la confessione-reply che don Franco ha vinto una corsa dell'Unità senza dirlo al vescovo).
Persino la bravissima Kordula di Bellinzona, sempre davanti nei primi 4 giorni e ancora oggi fino a metà gara, ha preso 3:20 (però ne conserva 9 nel conteggio finale, che le vale il secondo posto di categoria); e addirittura la coppia del Pontelungo Bologna, Alessandra Demaria e Giacomo Pantaleo, quasi costantemente visti finora dal lato B, oggi sono arrivati dopo … 50 secondi! E quanto a vicini di casa, noto l’exploit di Lorena Brusamento della Gabbi, oggi sesta donna appena alle spalle dei cinque mostri sacri dominatori delle tappe precedenti.
Usciamo tutti spiritualmente arricchiti da questa settimana dolomitica, che chi vorrà potrà stamparsi ancor meglio vedendo le foto d’arte di Teida Seghedoni. Mysterium fidei, qui pro vobis et pro multis effundetur.
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