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Recoaro-Valdagno-Padova, 23/24 luglio - Per parlare di questo trail STUPENDO e molto impegnativo, devo tornare indietro, al famigerato 4 giugno. Quello che non era mai successo in 48 anni di "onorate" corse in montagna, successe quel giorno. Inciampai in una radice e feci un volo di 50 metri rotolando sulle rocce battendo testa e collo. Recuperata dall'elicottero e trasportata all'ospedale di Vicenza, ero  ridotta veramente male. [Vedi in fondo altri dettagli]

Tutti i trail dov'ero iscritta, per me annullati. Quello dove veramente mi spiaceva non partecipare era la Recoaro Marathon, in quanto sono veramente innamorata delle Piccole Dolomiti vicentine. Oltre a questo, ho una stima infinita per gli organizzatori della manifestazione: un gruppo, gli Ultraberici, che ci mette il cuore quando organizza sia l'Ultrabericus Trail che la Trans d'Havet.

Bene, presa la decisione e munita di un certificato medico che mi autorizzava a riprendere l'attività sportiva, sabato 23 mattina mi sono presentata alla partenza a Recoaro Terme. Gli iscritti alla 80 km erano già partiti a mezzanotte , veramente degli eroi perchè la Trans d'Havet è uno dei trail più duri che ci siano.

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/8989-trans-d-havet-2022-zambon-e-olivi-inarrivabili.html

Il regolamento prevedeva i pantaloni oltre il ginocchio e la maglia con le maniche lunghe. Da buon soldatino ho rispettato le regole, e già morivo di caldo alla partenza.

Si sale subito e il gruppo si sgrana. Fatti pochi chilometri entriamo in un sentiero coperto e iniziamo a respirare. Il primo cancello è a 3 ore dalla partenza al Rifugio Campogrosso, e ho paura di non farcela. Miracolo! Ci arrivo in un’ora e 57 minuti. E qua troviamo un mega ristoro, ma ho soltanto sete, riempio le borracce e riparto. Saluto i due Flavi compagni di squadra: loro sono sulla 80 km quindi hanno già percorso più di 50 km tenendo conto che si sono dovuti cuccare le famose 52 gallerie del Pasubio.

La pacchia è finita. Inizia il sentiero che ci porterà sul Massiccio del Carega (2260 metri) e successivamente al Fraccaroli. Siamo sotto il sole che scotta, non c'è un albero; le tabelle CAI danno come tempo di percorrenza tre ore. Recito qualche Ave Maria perchè ho paura di non farcela.

Apro due parentesi: la prima, mi raggiunge Yuri, senza bastoncini e con un passo trotterellante che gli invidio sempre; la seconda: quando con la lingua fuori si arriva al Bocchetta Fondi, si prova un’emozione unica. A perdita d'occhio si vedono tutte le cime delle Piccole Dolomiti.

Passo Bocchetta Fondi e proseguo verso Bocchetta Mosca. Seppur non sia previsto alcun ristoro, trovo dei volontari SUPER che hanno portato a spalla bottiglie d'acqua perchè fa un caldo boia. E finalmente eccomi al Fraccaroli. Riempio nuovamente le borracce e riparto. È mezzogiorno, e mi aspetta una delle discese che più detesto. Quanti sassi. Cammino sulle "uova". Non riesco a correre, ho paura, tutti mi sorpassano. Se cade un giovane si rialza, io se mi spacco qualche osso vengo portata direttamente all'ospizio.

Finisco la famigerata discesa e finalmente vedo il Rifugio Scalorbi. VIVA GLI ALPINI. Hanno messo su un ristoro che neppure un ristorante a 5 stelle riuscirà ad allestire. Minestrina, formaggio di malga, speck, frutta, dolci, caffè ecc. ecc. Trovo seduti sulle panche tanti amici della “lunga”, e scambio qualche battuta. Abbraccio gli Alpini, il miglior corpo che ci sia. Quando ci sono loro è come essere nelle mani della Madonna.

Si risale. Passo della Lora, Scaggina, Zevola, Passo Tre Croci, sentieri impegnativi ma che fanno sognare per la loro bellezza. È l’una del pomeriggio e "corro" verso Malga Campo d'Avanti. Altro mega ristoro allestito dagli amici della Val del Chiampo. Sono talmente carini da scrivere che mancano soltanto 13 km al traguardo. Mah, ho qualche dubbio. Quest'anno ci è stato risparmiato il Gramolon ma bisogna fare tutte le Creste del Falcone ed è una fatica unica. (Mando mille maledizioni a Massi, a Cunegatti, al malefico Pollo che ci fa morire, quando sotto si può percorrere un sentiero agevole).

E arrivo al Rifugio Montefalcone. Qua Alessandro, conoscendo il mio peccato di vera caffeinomane, ha già la tazza di caffè pronta e offerta. Foto di rito con Ale, e via verso Sella del Campetto. Mi aspetta Marana e le gambe iniziano a tremare. Ennesima discesa che tutti amano e che io detesto. Ricordo il volo del 4 giugno e proseguo a passettini. Finita la discesa mi rianimo. Mi raggiungono due amici bresciani e tra chiacchere e aneddoti, mi avvio verso l'arrivo.

11 ore e 1 minuto. Ultima, la più vecchia, ma sono certa di essere stata più felice io che il primo arrivato. La maglietta è bellissima , la medaglia pure. Due segni della sensibilità di questo meraviglioso gruppo. Un altro particolare che mi è rimasto impresso. A Malga Campo d'Avanti c'era il Soccorso Alpino con la cisterna d'acqua. Non hanno sprecato una goccia. Ci facevano rinfrescare moderatamente, proprio in virtù della preoccupante situazione che stiamo attraversando. Se alla fine dell'Ultrabericus Trail detti un 110 e Lode a questo gruppo, dopo la mia - poco eroica - Recoaro Marathon, assegnerò un 150 più lode lode.

Grazie a tutti, in particolar modo ai volontari, agli Alpini, al Soccorso Alpino e a tutti quelli che hanno applaudito questa povera vecchia.

 

[F.M.] In effetti, era qualche mese che non ospitavamo scritti dell’amica, nostra e di tutti, Natalina Masiero. L’ultimo era stato il racconto del suo Tuscany Crossing; poi c’era stato il ritorno al “vero” Passatore, col conseguimento di uno scontato 1^ posto F 70, ma il 5 giugno ci aveva raggiunto (non da lei, ma tramite amici) un comunicato:

“Ci dispiace confermare che durante l’evento sportivo Durona Trail [Valle del Chiampo, Vicenza, 60 km] di sabato 4-6-2022, una partecipante è rimasta vittima di una caduta lungo il sentiero 202 che congiunge Serra del Campetto a Cima Marana, scivolando in un dirupo per alcuni metri. La squadra del “servizio scopa” arrivata sul punto dell’incidente ha immediatamente allertato il 118. Il Soccorso Alpino e l’elisoccorso sono quindi rapidamente intervenuti sul posto. Prestate le prime cure, l’infortunata è stata stabilizzata ed elitrasportata all’ospedale di Vicenza”.

Si trattava proprio della siora Nadaìna; la raggiungevamo appena possibile, ricevendone alcuni messaggini (con la preghiera di non pubblicizzare l’argomento sulla nostra testata):

Dalla cima sono precipitata a valle. Trauma cranico e frattura delle vertebre cervicali.

Il primo commento di chi scrive era stato: “Mi dispiace, ma sono pronto a scommettere che festeggerai il compleanno [a Natale, ndr] correndo almeno una maratona sulla neve”.

Mi sbagliavo: l’ 8 giugno Natalina era già a casa, dimessa dall’ospedale. E informava:

“L’esimio neurochirurgo mi ha prescritto 3 mesi di collare e 5 di riposo. Il medico di base ha scritto nel certificato che posso svolgere una BLANDA attività motoria”.

E ieri: “Una settimana fa, stufa di un collare in ferro e gommapiuma, l'ho tolto. Sabato ho fatto la Recoaro Marathon. Ultima, distrutta, ma arrivata”.

Sarà che Natalina, classe 1952, si dichiara “una povera vecchia”, ma abbiamo l’impressione che saremo in tanti prima di lei a smettere di correre.

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8 maggio/ 15 maggio. Oggi l'istituto Oncologico Romagnolo ha scritto: Cristiana aveva detto “a Ravenna sarà la mia ultima maratona”. Ed era quella la mia intenzione, poi invece, il gruppo col quale ero andata all'isola d'Elba ha proposto di fare un viaggio per  la Maratona delle Cattedrali. Quindi c'era un viaggio organizzato, che partiva da Rimini .

Con mia grande gioia avrei avuto compagnia per tutto il viaggio, avrei  visitato per la prima volta le grotte di Castellana, visto per la prima volta Matera. 
Oramai sono 2 anni che convivo con la mia malattia, dicono tutti che sono una guerriera, e che  sto bene: il 20 aprile ho fatto la chemio n. 35, resta qualche dolore alle ossa, cosa volete che sia? 
Dentro di me penso: " Chissà domani?".

E allora,  ho chiamato la mia amica Mariella Dileo, e le ho chiesto se la Maratona delle Cattedrali, Barletta-Giovinazzo, poteva avere come tempo massimo 6 ore e mezza.

Perché, purtroppo,  lo so che con le mie macchie al polmone posso camminare e correre, ma non mi posso permettere di avere comunque un’andatura tale da rimanere entro le 6 ore.

Mariella mi richiama e mi dice : "Cristiana, ‘farai i palloncini’ delle 6 ore e 30, con altre 2 amiche".

Evviva..!!! Ero felicissima, amo la Puglia ed avevo già corso la prima edizione della Maratona delle Cattedrali: nonostante la pioggia, ne avevo un bel ricordo.
Nel frattempo ho dovuto subire l'intervento alla cataratta, quindi  per un mese e mezzo non mi sono potuta allenare causa convalescenza (mi avevano detto che le vibrazioni avrebbero potuto compromettere il cristallino), il tempo passava e si avvicinava la data della maratona, io non non ero più uscita né a camminare né  a correre, ed  ero quindi  titubante sulla riuscita della maratona. Ma ero sicura che accanto a me  avrei avuto  due persone delle quali mi fidavo ciecamente: la Lilly, che era già stata con me nella maratona di Ravenna, e Angela Gargano, la Signora della 1000 maratone,  due grandi donne e grandissime amiche.  Sapevo, quindi che  grazie al loro appoggio ce l'avrei sicuramente fatta. Anche se avevo sulle gambe solo l'allenamento  del mese di aprile, con 12 km per volta al massimo.

Tengo d'occhio pure il meteo. E purtroppo si comincia a notare che domenica 8 maggio sul lungomare pugliese ci sarebbero stati piogge e temporali.

La situazione mi ha messo un po' a disagio, perché per colpa della mia malattia la pioggia fa paura. Comunque si parte, arriviamo in Puglia, visitiamo Trani, Alberobello,  le grotte di Castellana che sono  uno spettacolo della natura meraviglioso: sono rimasta affascinata e sbalordita per la loro imponenza, e felicissima di averle viste.

Le previsioni di sabato 7 davano che per domenica ci sarebbero state “piogge modeste” e temporali, ed io ho pregato la mia Buona Stella (sono convinta di avere una buona stella) che mi potesse aiutare ad avere un clima, anche se coperto e fresco, senza pioggia.

E' domenica 8 mattina,  si parte in direzione verso la prima cattedrale di Barletta (noi eravamo a Giovinazzo). E' stato carinissimo poter  salutare  persone che non vedevo da tanto tempo e ricevere l'intervista della giornalista che mi ha presentato e parlato della mia malattia.

Incontro anche la mia nuova compagna di viaggio: Elena Carraro, perché Lilly Farronato putroppo si è infortunata; ma ci accompagnerà in bicicletta, sarà la nostra reporter e porta il mio zaino “di sopravvivenza”.

Siamo in fondo, coi palloncini delle 6 ore e mezza color fucsia . Si parte: Lilly ci precede e scatta foto e video al nostro passaggio.  Nei primi 10 km il tempo è coperto ma tutto sommato clemente. anche se si iniziano a sentire dei tuoni e a vedere un po' di di nuvole  più cupe davanti a noi;  in lontananza si intravvede Trani, ma arriva anche la pioggia. Ho tanto pregato perché non si scatenasse, ma purtroppo scende copiosa. Ci ha accompagnato praticamente da Trani fino quasi a Bisceglie, ma io ero stata previdente, ed ho tirato fuori dallo zaino prima uno e poi anche il secondo kway... Però ero zuppa lo stesso, all'inizio abbiamo cercato di evitare le pozzanghere, ma poi la strada in alcuni punti era piena d'acqua, impossibile non bagnarsi.

Poi per fortuna, prima di Bisceglie il cielo si apre; è uscito un pallido sole e siamo riuscite ad entrare in Bisceglie, ammirare il magnifico lungomare e fare il giro della cattedrale con il sole. Avevo tolto un kway e lo avevo messo sulla bici ad asciugare, ma anche la bici… subisce un infortunio, ahah la gomma si è forata! Nonostante una persona gentile l’abbia rigonfiata, di lì a poco si sgonfia di nuovo e Lilly sarà costretta ad accompagnarci camminando con la bici a mano.

Siamo al ristoro del km 25, in lontananza Molfetta e ancora cielo nero sulla città… Guardo le mie amiche e dico: "ragazze, ci aspetta l'acqua su Molfetta", ma ero stata ottimista: poco dopo cominciano i goccioloni,  e sembrava  il cielo si fosse aperto,  l'acqua era tanta che non si vedeva nulla o quasi, in alcuni tratti sul lungomare di Molfetta ho preso i palloncini e li ho portati sottobraccio perchè per colpa del vento mi rallentavano. Speravo che potesse calmarsi, ma nulla purtroppo, l'acqua e il vento contrario ci hanno accompagnato fino a  Giovinazzo, la strada in alcuni tratti sembrava un fiume.   Hanno cominciato anche i tuoni e i lampi, quindi la situazione che era già critica sembrava volesse anche peggiorare.
Cominciavo ad avere freddo, ho preso anche i manicotti, praticamente zuppi e non mi hanno aiutato molto; ma oramai  siamo arrivate che i nostri GPS davano davano 40 km,  però il cartellone ufficiale segnava 39…: ci guardiamo, ho un attimo di panico, era solo un km, ma ero quasi stanca di pioggia e freddo...

Per fortuna  poco più avanti troviamo anche il tabellone con scritto 40, sospiro di sollievo. Giriamo verso il lungomare di Giovinazzo, dove il ristoro era abbandinato, tanto per i bicchieri d'acqua ci pensava madre natura, e le arance galleggiavano nei vassoi… Ci fermiamo un attimo lo stesso, perché nonostante il tempo avverso avevamo un piccolo margine sull'arrivo. Anche qui il vento era abbastanza forte, ho iniziato a sentire molto freddo; allora  mi giro verso le compagne dicendo:" ragazze, comincio a coriccchiare". Ma è stato  un tentativo inutile, comunque ero raffreddatissima e sentivo tantissimo freddo. Ma c’è ancora poco per l'arrivo, prima di cui dobbiamo arrivare in cattedrale. Ed eccola la cattedrale di Giovinazzo: anche qui non c'è più nessuno ad indicare la strada, ma ad intuito giriamo verso la piazza principale. Avevo intravisto  una transenna, incontriamo un signore, che ci conferma che qui è il km 42,  ed è cosi: poco dopo il cartellone dichiara 42. Lasciamo il centro storico e vediamo il tratto finale dell'arrivo, gli ultimi 150 metri. Col telefono giro il video del mio arrivo; ero felice e alla fine ho ripreso anche le mie lacrime, ma ci stavano.

Del resto ogni volta che comincio questo viaggio non so mai se e come andrà a finire. Questa domenica, nonostante la pioggia, sono riuscita in un'impresa che non pensavo di poter portare a termine, specialmente dato il clima. Anche se, la mattina alzandomi e vedendo le previsioni meteo avverse avevo pensato positivamente dicendomi: " Ci proverò. Perché sicuramente non avremo talmente freddo da non riuscire a scaldarci." Ed è stato proprio questo che mi ha aiutato.

Ma sopratutto:  Grazie.  Grazie alle mie compagne di viaggio per aver condiviso questo viaggio lungo e movimentato. Siete state davvero delle grandi braccia  alle quali potermi appoggiarenel  momento del bisogno, e vi voglio tanto bene.

Ho finito la mia  maratona numero 151, la numero 7  da malata oncologica. L’Istituto Oncologico Romagnolo, dopo avermi ricordato la promessa di Ravenna, si è corretto: “… ma Cristiana ci meraviglia sempre e anche questa volta è riuscita nel suo intento”. Ho corso portando con me tutti malati oncologici e la maglietta dello IOR, che è sicuramente una realtà molto viva e che aiuta tanto i malati come me qui in Romagna. Grazie a chi mi ha seguito e mi ha dato la possibilità di poter dire “grazie”.

E grazie Mariella Dileo: senza la nostra Maratona delle Cattedrali,  e la possibilità di “essere il palloncino” delle 6 ore e 30, non sarei qui a raccontare la mia impresa.

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Venerdì, 08 Aprile 2022 17:46

Rinasce dalle origini il sogno della “Bora”?

Sono anni di grande preoccupazione nel mondo, in cui la spensieratezza e la leggerezza che avevamo quando si andava a correre è sempre più lontana. Noi in questi anni abbiamo resistito con due edizioni durante i due picchi della pandemia, di cui una in zona arancione e semi-lockdown. L’attenzione è sempre stata alla sicurezza, ma anche a cercare di garantire normalità o almeno un’atmosfera non oppressiva.

In questi anni, al nostro trail, ma anche partecipando da concorrente ad altre gare, la frase che ho sentito di più è stata: “bello, ben organizzato, ma non c’è lo spirito di un tempo”. A questo si aggiunge che tra il 2022 e il 2023 i prezzi andranno alzati, e anche non di poco: trasporti, sicurezza, servizi e pacco gara. E’ aumentano tutto. Spesso raddoppiato.

Cari amici, impossibile dare qualità e professionalità se non si raddoppiano i prezzi o quasi. Non ci si sta dentro con i costi. Se pagate poco, anche se c’è il lavoro dei volontari e degli sponsor dietro, non potete pensare di avere qualità e sicurezza. E’ come pretendere di mangiare buon pesce in città a prezzi bassi. Non si può. Nemmeno se un ristoratore ci si impegna con tutto il cuore e mettendo una marginalità tale da campare senza arricchirsi.

Queste condizioni mi avevano fatto pensare di non organizzare più La Corsa della Bora.

Ho lottato per farla anche in condizioni proibitive, ho trattato questa gara come figlia, ho espulso i concorrenti irrispettosi del lavoro dei volontari, ho rimborsato e lasciato a casa prima della gara i concorrenti che ritenevo essersi iscritti senza avere i requisiti. Ho trattato questa gara come un’azienda che deve produrre un reddito e ridistribuito i frutti del lavoro in maggior servizio e qualità l’anno successivo. Tutti i volontari e il team S1 mi sono stati accanto in queste scelte e con loro abbiamo affrontato i momenti anche più duri con il sorriso e uniti.
Gli Enti Pubblici ci hanno supportato, in particolare la Regione Friuli Venezia Giulia, PromoTurismo FVG, i Comuni di Trieste, Duino Aurisina e PortoPiccolo ma anche tutti gli altri Enti coinvolti.

La nostra ASD in questo momento potrebbe decidere se reinvestire in attrezzature e servizi per i soci, oppure se mettere tutto, fino all’ultimo centesimo e sforzo, in una gara che è un sogno. Tutto. 
Un ultimo sogno, l’ottavo anno di gara e il terzo sotto la pressione di un mondo che sta cambiando.

Il sogno di tornare a sognare sui sentieri. 
Un ottavo anno che potrebbe essere l’ultimo anno di Corsa della Bora o un nuovo inizio di un mondo con dinamiche economiche e sociali completamente nuove...

Per questo un’immagine sognante, serena e non vibrante. Un pensiero di pace, di corsa in compagnia delle persone a cui si vuol bene verso un futuro roseo. Un’immagine dal passato, con una speranza per il futuro. Un’atmosfera che culla rassicurante e l’adrenalina del gelido vento di Bora che ci dà l’energia per guardare avanti. Un futuro che forse nessuno si aspettava ma potrebbe anche essere, finalmente, migliore di quanto ci aspettiamo.

Nel concreto ecco in breve le novità 2023:

  • Prezzi bloccati al 2020 per chi si iscrive ORA pagando una caparra di 5 euro e con tempo per saldare fino al 30 ottobre 2022
  • Confermato arrivo a PortoPiccolo, con spazi aumentati e ulteriore ampliamento del servizio ristoro dedicato ai runner.
  • Nuove distanze non competitive per tutta la famiglia.
  • Nuovo percorso della 164 km, con cancelli di deviazione: se non arrivi in tempo ai due cancelli principali, la tua gara diventa una 90 o una 130, certificata ITRA.
  • Partenza da Piazza Unità per la 32 e la 42 K.
  • Pacco gara e servizi come negli anni passati, senza alcun taglio.
  • Aggiornamento prezzi edizione 2023 il 1 settembre 2022, secondo le condizioni del mercato, per tutti gli iscritti dopo il 1 settembre.

Nell’ottica del sogno e della speranza, vogliamo prefissarci degli obiettivi, vogliamo credere nel futuro e vogliamo che lo facciate anche voi.

Regaliamo quindi l’iscrizione alle gare lunghe (sopra i 42K) a chi ha il sogno di una ultra ma non si è potuto permettere economicamente di affrontarla.

(Condizioni di partecipazione omaggio in calce).

Vi sveleremo le novità elencate sopra e molte altre, con il trascorrere dei mesi. Le iscrizioni sono aperte e il sito aggiornato.

Abbiamo affrontato quello che pensavamo fosse il peggio. Siamo pronti per ripartire, con voi, pieni di speranza per un futuro roseo. Noi non diciamo “andrà tutto bene”, ma correndo sul Carso urliamo "Essere qui è meraviglioso".

Iscrizione gratuita fino al 31/08 per chi ha già partecipato o vuole partecipare per la prima volta ad una distanza sopra i 42K ma che abbia una base credibile per portarla a termine. Richiesto reddito inferiore ai 15K per il 2021, o essere studente in regola con il piano di studi. In caso di richiesta di esenzione della quota per reddito inviare ISEE o valida documentazione equivalente a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. . La documentazione verrà esaminata e cancellata immediatamente dopo la visione. Se qualificante, verrà emesso un codice omaggio valido fino al 31/08 che garantirà un’iscrizione indistinguibile dalle altre.

 

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Bagno a Ripoli (FI), 3 aprile – 282 classificati nelle tre gare competitive, cui si sono aggiunte una non competitiva di 11 e (sabato) una passeggiata eno-gastronomica. Nella giornata di tre grandi, o almeno storiche, maratone stradali, la Toscana ha offerto un’altra delle sue rinomate eco-maratone, su dolci colline che non impongono sforzi estremi, belle stradicciole bianche (bè, oggi marroni per il fango e cosparse di enormi pozzanghere), qualche soffice sentiero e in più  con apparizioni improvvise e stupefacenti di Firenze, dove la cupola del Fiore, il campanile di Giotto, il Palazzo Vecchio ti facevano inumidire gli occhi. “Te beata, gridai…”, scriveva Foscolo, un veneto arrivato da di là del mare, che a Firenze, tra colline, monumenti e uliveti trovò il porto per una quiete mai raggiunta altrove.

La gara più lunga (quantificata, secondo le fonti, con un dislivello tra i 1200 e i 1500 metri) è stata nettamente vinta dal “ragazzo di paese” Paolo Lepri, tesserato proprio a Gràssina dove la gara partiva e arrivava, in 3.14:44, con oltre 8 minuti di vantaggio su Federico Badiani (Montecatini) e 10 su Alessandro Dommi (Firenze). Più tranquilla l’andatura delle donne, regolate da Serena Martini (Scandicci) in 4.06:30, anche lei 8 minuti sulla seconda, Francesca Capelloni, e un quarto d’ora sulla terza, M. Laura Chellini. 112 gli arrivati, entro le 6.53, largamente sotto il tmax fissato in 8 ore.

La 23 km, che per la prima metà coincideva con la 42 ma evitava la salita più impegnativa al “Poggio Firenze” o Fontesanta, è stata vinta da un altro di Scandicci, Filippo Bianchi (1.37:13), e da Sara Emily Bulukin (Le Panche Castelquarto), 1.46:29, su 98 partecipanti in tutto.

La 11 km, in sostanza una bella escursione su prati ameni e dolcissimi pendii, è andata a Giuliano Burchi in 52:51 ed Elisa Parrini in 53:57: 72 i classificati in questa competitiva, cui si aggiungono i camminatori e non competitivi.

Tutte le classifiche, redatte e messe online in tempi brevissimi malgrado la mancanza di chip, sono state elaborate grazie all’eccellente coppia di giudici Uisp posta al traguardo e orchestrata dal mio quasi omonimo Fabio Marranci, per lo zelo del quale basta riferire un episodio: al mio arrivo, mentre mi mettevano al collo la medaglia, ha immediatamente sentenziato che ero a premio di categoria,  ha stampato la classifica accompagnandomi al box dell’organizzazione (foto 3 del servizio messo insieme con perizia da Roberto Mandelli, malgrado il furto con destrezza che la sua Juventus ha patito ieri sera) e addirittura dandomi con le sue mani il sacchetto alimentare (non troppo) meritato, oltre alla sua porzione di lasagne provenienti dalla vicina risto-tenda l’Arena. (Che differenza con domenica scorsa (non dico dove), quando gli organizzatori avevano volentieri dimenticato di chiamare i vincitori di categoria, mandando a casa a mani vuote per esempio tutte le signore F 55, ignare del premio…).

Poi il Marranci è tornato sul traguardo, dove nel frattempo l’aveva surrogato la giudice-avvocata con cui c’è stata anche l’occasione di considerazioni varie giuridico-sportive.

I benefit non finivano qui, perché appunto esibendo il pettorale andavi all’Arena trovando, oltre alle lasagne, del buon vino rosso. Signori, questa è la Toscana.

Confesso che prima della settimana scorsa manco sapevo dov’era Bagno a Ripoli: a parte la Firenze Urban Trail (quest’anno cancellata), le mie ecomaratone erano tutte nella zona del Chianti, qualche decina di km più a sud; ma fortunatamente, un avviso sul sito del Club Supermarathon informava dell’evento e di uno sconticino sulle quote d’iscrizione, peraltro modeste (da 30 a 40 euro, secondo i tempi; 5 per la 11 km): infatti, i supermaratoneti in classifica (si capisce, sul percorso lungo) sono ben 13 su 112, e sarebbero stati 14 se avesse potuto venire Massimiliano Morelli, il Morellino non di Scansano, che in queste gare c’è sempre, a ravvivarle con le sue battute. Purtroppo, la mancanza del Morellino dimostra che non tutta la Giustizia è quella dei tribunali italici; e per ora non dico altro, se non che il suo Club si è già attivato per la concreta solidarietà a un confratello nel bisogno.

Torniamo alle dolci colline a sud di Firenze, punteggiate di pievi medievali, tra cui stupefacente quella di Vicchio (con un panorama da lucciconi agli occhi), e il convento dell’Incontro, a monte di Villamagna, nelle cui spoglie celle ci si santificava forse, ma sicuramente si conquistavano la serenità e la Pace interiore; e si lavorava con gli strumenti conservati in un piccolo museo (foto 36).

Poi, scesi nel pomeriggio a Gràssina, nella grande Casa del Popolo, e nel vicino centro parrocchiale con la sagoma inconfondibile di uno dei tanti “Nuovo cinema Paradiso”, si tocca con mano quanto l’associazionismo delle due grandi Chiese del dopoguerra ha risollevato l’Italia fiaccata e demoralizzata. Qui don Camillo e Peppone, disinteressati, entusiasti, entrambi innamorati del loro Popolo per il quale rinunciavano a ogni tornaconto personale (quasi… come oggi), diedero alloggio, calore, bicchieri di vino, partite a carte, la radio, le prime tv, certamente qualche predica o comizio, ma tutto a fin di bene, e in una concordia sostanziale che non si poteva dichiarare pubblicamente ma era nei fatti (vedere foto 4-7).

E quando la situazione rischiava di precipitare e qualcuno pensava alla “seconda ondata”, ecco, proprio da qui, da Ponte a Ema, saltava fuori un Gino Bartali, un eroe del Popolo, che fa girare le balle ai francesi (copyright Paolo Conte), rivince il Tour a dieci anni di distanza, dona la maglia gialla alla Madonna del Ghisallo, e tutti a festeggiarlo, da papa Pio XII a Palmiro Togliatti sul letto d’ospedale; e la rivoluzione può attendere (foto 8, 9, 14-20).

Che Italia era quella, dove se non vinceva Bartali vinceva Coppi, e se non vinceva Nuvolari (copyright Dalla) vinceva Ascari o Farina, e poi avevamo il Grande Torino, e Nearco all’Arc de Triomphe… “Ils gagnent tout, ces Italiens!”, mormorò il presidente francese con le balle giranti di cui sopra, e quando al Tour per il terzo anno consecutivo, dopo Bartali e Coppi, la maglia gialla era ancora nostra, di un altro toscanaccio come Magni, i francesi aspettarono i ciclisti italiani sul col d’Aspin per bastonarli. Ma non vinsero nemmeno allora, perché li fregò uno svizzero: tiè.

Tutto questo cosa c’entra? Ma è l’aria che si respira, ma è la parlantina alla Pieraccioni che senti in trattoria, ma è lo scorrere dell’Ema, è la Toscana: che dopo un sabato anche di neve e grandine ci regala una mattinata dove i cristalli dell’auto sono ghiacciati (aspetteremo dal presidente di Reggio Atletica i numeri della temperatura, che non azzardo, ma nella vestizione pre-gara opto per maniche lunghe e guanti); dove il giovane e sportivo sindaco di Bagno a Ripoli dà il via con la pistola dal tappo rosso, e noi ci mettiamo per strade carraie, senza aver dovuto esibire (per la prima volta dopo due anni) la cervellotica autodichiarazione, e incontrando finalmente, nei 7 ristori, l’acqua e la cola in bicchieri, così niente va sprecato.

Fino al km 12 si può correre quasi in scioltezza, poi quando comincia la salita, che al km 15 ci fa varcare i 500 metri (dagli 88 della partenza) e al 18 ci porta alla “cima Coppi” di 675 metri, chi ne ha di più si fa avanti: così l’avvocato Reali da Latina (manco a dirlo, supermaratoneta), che migliora di un’ora il tempo della sua precedente partecipazione nel 2019 (l’ultima che fu fatta); e prima di lui, quel prodigio di Leandro Pelagalli da Prato, 70 anni suonati da quel po’, capace di un 4.38 da schiantare gli altri; e venti minuti dietro lui, Mauro Gambaiani modenese (tra Fanano e la terra dei Pico), ma “troppo giovane” per arrivare a premi di categoria. E appartenendo il sottoscritto alla razza di chi rimane a terra, subisco il sorpasso di talune ragazze biondissime e bellissime nelle chiome o trecce ondeggianti, di cui leggo solo i nomi di società sulle magliette (Oltrarno, La Nave), non riuscendo nemmeno a complimentarmi tanto vanno veloci.

Una breve discesa e siamo alla metà gara: oddio, arrivo al ristoro dalla sinistra, mentre altri arrivano da destra: dove ho tagliato? Le angosce sono sopite dalle due simpatiche signore, che tra una cola e un muffin mi spiegano che niente, tutto OK, devo solo girare a destra e fare l’anello di 7 km, dopo di che ci rivedremo. Così è: 230 metri di discesa in 2 km, fino a San Donato in Collina lambito dall’A1, poi si risale, in parte su sentiero con altre visioni che non è retorico definire mozzafiato (e mi valgo di Sara, brava podista e organizzatrice di gare dell’Ellera, per qualche foto panoramica; e parliamo anche di quanto sia ‘pericoloso’, da Gabrielli in poi, allestire una corsa).

Di nuovo al 28, quando il cielo comincia a rannuvolarsi (bè, i primi sono già arrivati), e da qui è quasi tutta discesa: in 5 km si va giù di 400 metri, fino a S. Andrea, su belle stradine sterrate che addirittura, ai nostri livelli, permettono medie da 6:50/km (!). Un gran dubbio ci prende al 35, dove una villa medicea è preceduta da un uliveto dove tutti gli alberi sono fettucciati, ma senza far capire qual è la direzione… Siamo in 4, comincia a piovere, telefoniamo all’organizzazione (sembra che uno sbandieratore abbia abbandonato il suo posto, è l’unica pecca in un allestimento per il resto perfetto), poi qualcuno vede una fettuccia sulla via di Mondeggi della foto 57; salvezza raggiunta, ultimi 4 km di asfalto con salitina di 30 metri e altrettanta discesa su Gràssina (un superaccessoriato compagno di gara, che vedete sorpassarmi all’arco gonfiabile nelle foto 59-60, dice che è l’undicesima discesa su 11, è lunga 1600 metri e finisce sul traguardo).

Ed ecco il Fabio-giudice-premiatore-factotum (“quest’anno no, non vengo alla Corrida perché non ci sono le bancarelle”), un lavaggio sommario nei lavandini della Casa del Popolo, le lasagne, il caffettino col podista che cerca di farselo offrire a scrocco (tanto te-ttu mi honosci…). E’ tornato il sole, sono arrivati tutti, si può tornare a casa a raccontare un’avventura in più.

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Ciao, sono Enrico Maggiola 10/11/84, categoria MM35, e provo a fare un breve sunto della mia "carriera" podistica con annessi e connessi.

Ho iniziato a giocare a calcio con innesti di pallavolo e di palestra da quando avevo 9 anni fino all'università.

Essendo io una persona lenta e scoordinata, sono stato relegato quasi da subito al ruolo di difensore, dove mi divertivo a scontrarmi con gli avversari, con un atteggiamento però sempre alla luce del sole e al limite del regolamento.

Ho iniziato a correre blandamente quando ero a fare il Visiting Phd a Philadelphia. Andavo con gli amici, magari dopo la palestra oppure da solo il mattino quando l'hangover (diciamo, gli strascichi di lavoro della giornata) non mi permettevano di chiudermi in palestra.

Tornato in Italia ho realizzato che la corsa è un'attività intelligente. Essendo io curioso, la corsa mi permette(va) di occupare il tempo e ascoltare podcast di informazione politico economica.

Ho continuamente aggiunto km e il 30/01/11 ho corso la prima maratona a Napoli. Gara che è stata importante, in quanto ho scoperto uno dei vantaggi dell'essere uomo in questo sport.
Il mese successivo ho corso un'altra maratona, e il successivo ancora la mia prima maratona all'estero, a Gerusalemme.
Fare le gare è bello, mi permette(va) di correre in luoghi sempre diversi.

Il 5/10/2014 ho ricevuto  la prima squalifica. Non ho indagato per capire bene la motivazione, poiché i risultati sono sempre stati per me non importanti. Il giudice mi disse qualcosa a proposito del fatto che non indossassi la maglietta (indumento che ho sempre reputato fastidioso) e che avessi in braccio il barboncino-toy che mia sorella (persona fondamentale per me) mi aveva passato a pochi metri dal traguardo.
Cambiamo continente: il 10/12/2016 ho corso una ultra "amatoriale" a Taipei. E' stato un bel trip. Sono arrivato 2 giorni prima della gara e sono partito il giorno dopo la stessa. In aeroporto all'immmigrazione, in  entrata avevano qualche difficoltà a credermi circa la brevità del viaggio, ma io con un sorriso e la parola "ultramarathon" ho avuto le porte aperte.
In quel viaggio ho scoperto il rispetto che le popolazioni asiatiche hanno per il prossimo. Sui mezzi di trasporto pubblico trovavo spesso persone con la mascherina. Io avevo pensato a qualche preparazione per un eventuale attacco cinese, invece mi era stato spiegato, che è normale coprirsi le vie aeree se una persona ha l'influenza.

Il 7/5/2017 alla maratona di Almaty in Kazakhistan ho scoperto come ogni Paese ha le sue proprie mode in determinati periodi. Ad Almaty più della metà dei corridori avevano applicato Kinesio Taping.
Ma al ritorno in Italia, due mesi dopo (15/7/2017) ho corso ad Asolo forse la mia più bella gara di sempre. Io sono fortunato ad allenarmi a Trieste dove ci sono molte salite, quindi correre una 100 km dove si sale fino a 1700 m o giù di lì di altitudine non è stato un problema.

Il 2/09/2017 ho corso la mia prima 12h a Copenhagen. Li ho scoperto quanto il corpo si raffredda dopo una corsa. Mentre attendevo i risultati, ho iniziato a patire il freddo, soffrendo alquanto: per fortuna la mia fantastica mammina mi ha portato a bere un the caldo che almeno per 15 secondi mi ha fatto stare bene, ma il freddo era terribile.

Il 26/11/2017 ho corso la mia peggior maratona (prima del guaio che vedremo dopo). Avevo organizzato l'arrivo alla maratona in Halong Bay con un margine di 5h, essendoci innumerevoli variabili arrivando da Seul. Purtroppo l'aereo coreano era in ritardo e sono arrivato a 25 minuti dalla partenza.
20 giorni dopo, però,  ho corso una 12h a Barcellona dove mi hanno comunicato, con mia incredibile sorpresa, di aver fatto il record assoluto italiano: km 149,660!

C'era nell'aria una possibile convocazione per la nazionale nella 24h. Allora ho provato a correrne una a Las Palmas l'11/03/2018. Nel gruppo IUTA/nazionale c'era molta confusione in quanto gli europei erano previsti a fine maggio di quell'anno. Io sono partito con molti dubbi, ma alla fine ho preso come riferimento il direttore di quella gara, che mi aveva pregato di correre 220km (chilometraggio che serviva per qualche label). Così, dopo 21h20m ho deciso di ritirarmi, avendo raggiunto quella distanza. Purtroppo subito dopo ho avuto una specie di "calo di zuccheri", quindi mia sorella ha avuto il piacere di essere premiata al posto mio.
Così ho corso gli europei il 26/05/2018 a Timișoara dove, grazie anche a Vito Intini, ho raggiunto i 242km.

Il 3/06/2018 sono andato all'addio al celibato del mio cuginetto, dove ho deciso di chiudere con una parte molto importante della mia vita. Da allora mi sento, o sentivo, molto meglio.

Il 14/7/2018 ho corso nuovamente ad Asolo. Ci ho messo mezz'ora in più della precedente volta, ma ho avuto l'onore di essere battuto da quello che reputo il miglior corridore con cui mi sono scontrato, Marco Bonfiglio.
La settimana dopo ho corso una 100 km a Immenstaad, in Germania. Il viaggio in pullman è stato molto proficuo, in quanto ho fatto per la prima volta in vita mia una tappa in Svizzera e una in Liechtenstein.
La settimana successiva ho corso il mio ultimo trail, il GTO di Brescia. Trail che adesso non posso più fare per guai di cui dirò: non tanto per il menisco rotto ma a causa della quadrantanopia che mi è rimasta.

Il 10/08/2018 ho conosciuto AP, la traduttrice di una 100 miglia in Ungheria, una ragazza che emotivamente è fondamentale per me.

Due settimane dopo ho corso la Spartathlon in uno stato abbastanza pietoso. Avevo più febbricola del solito ed ero partito molto male. Per fortuna prima del canale di Corinto ho incontrato Lorena Brusamento e mi sono ‘risvegliato’ dopo aver chiacchierato con lei. Ho concluso così la gara molto tranquillamente. 

L'8/12/2018 ho concluso la 100km più dura. Ero a Budapest dove ho corso una 100 km assumendo dalla sera prima solo acqua, così per poter dare uno strappo alla noia facendo qualcosa di diverso dal solito. Ci ho messo 8:53:24.

Invece, il 19/01/2019 ho patito la più cocente sconfitta. Ad una 24h in Grecia mi sono accorto, alla 14esima ora, di non essere in grado di migliorare il mio PB. Avendo l'aereo per tornare in Italia a poche ore dalla conclusione della gara, ho valutato che era meglio ritirarsi, andare in hotel da mia sorella con calma per farmi una doccia. Inoltre iniziavo a perdere lucidità quando ascoltavo in cuffia le lezioni  riguardo il CFA, Chartered Financial Analyst (una certificazione in ambito finanziario rilasciata dal CFA Institute statunitense), per un esame che avrei fatto mesi dopo. Il dolore dell' essermi ritirato è durato una settimana.

Ma due mesi dopo, il 10/3 ho corso a Szekszard in Ungheria la mia migliore 6 ore: km 80,317.
E dopo un altro mese circa ho corso una 12h in Franciacorta. Pensavo di fare poco meno del mio PB ma quando a due ore dalla fine mi sono accorto che ero ancora riposato, ho deciso di aumentare il ritmo, riuscendo così  a migliorare il mio record personale: km 154,419.

Il 12/5/2019 ho corso la Ultrabalaton, ma purtroppo attanagliato dai crampi ai polpacci. La cosa mi era successa anni prima, quando avevo corso l'80% del Passatore coi crampi ed ero stato ricoverato finita la gara.

Due mesi dopo ho corso nuovamente Asolo con una prestazione mediana tra la prima volta che avevo corso e la seconda volta. Ma ho avuto una piccola grande gioia quando nel tratto in discesa avevo ascoltato una notizia sulle politiche implementate da Macron atte a limitare i rimborsi pubblici per i farmaci omeopatici.

Il 17/7/19 ho corso nuovamente la 100 miglia in Ungheria. La gara mi è stata più facile da correre del solito, grazie ad una fantastica accomodation e un supporto altrettanto eccezionale. 
Ma stava approssimandosi la svolta. Alla prossima puntata.

 

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CLASSIFICA GENERALE (pdf) - 6 marzo – Secondo l’Uisp era la 35^ edizione, secondo il comune di Albinea la 37^, ma poco importa (dipende se si dà un numero alle corse degli ultimi due anni, non svolte): è stato il primo grande evento dell’era post Covid, che ha richiamato più di mille appassionati da tutta la regione. Per forza: domenica scorsa c’era la maratona di Busseto, saltata; oggi c’era quella di Bologna, saltata; ecco perché (assenti giustificati i modenesi, impegnati dalle loro parti in una non competitiva, parimenti intitolata al fiore con odore di strinato; ma Giangi è venuto ad Albinea) ho visto i parmigiani, i torrilesi amici del Fanfo, alcuni mirandolesi ex sudditi di Libero, e qualche bolognese, oltre ovviamente ai padroni di casa reggiani: che, come erano i migliori a organizzare podismo ante-Covid, così mantengono il primato adesso che si ricomincia..

“Niente sarà più come prima”, secondo una frase fatta di questi mesi, che nella classifica dei luoghi comuni della nostra epoca ha uguagliato “Andrà tutto bene” [e si è visto!]; e infatti, l’iscrizione a questa gara è stata programmata a numero chiuso e fortemente raccomandata con preiscrizione che scadeva tre giorni prima. E i 250 pettorali della competitiva da 23 km (+450 D) sono andati a ruba; contingente aumentato, ma altri che lo desideravano non hanno trovato posto, e alla fine i classificati (secondo una prima graduatoria con qualche 'baco') sono 264. E si aggiungono 584 preregistrati per la non comp di 12 km e 185 per la 5 km; tanti, almeno, erano i preiscritti, ma questa mattina c’era una lunga fila per le nuove iscrizioni alle non competitive (partite in coda alla competitiva, con possibilità di dilazionare la partenza per i 45 minuti successivi, a patto di chiudere tutti i giochi entro mezzogiorno esatto).

Preiscrizione individuale e ritiro del pettorale individuale, previa esibizione del greenpass e consegna dell’autocertificazione (per quello che servono ste carte, io ho smaltito una delle autodichiarazioni che tenevo in auto per viaggiare nel 2020, in base a questo o quel DPCM dalla dubbia costituzionalità); anche sull’utilità sanitaria del greenpass ci sarebbe da ridire, ma tutti sanno che è stata solo una scusa per obbligare a vaccinarsi, e siccome vaccinarsi è un bene, venga pure l’inganno del greenpass (“e dall’inganno suo vita riceve”, scriveva Tasso). Non ho capito bene come funzionava con l’obbligo di mascherine: alla partenza: grosso modo direi che fossimo metà e metà (mascheratissimi tutti gli addetti). Mancava il ristoro finale, sostituito da un sacchetto con generi alimentari vari, più che sufficiente (con 2 euro cosa si può pretendere?).

Percorso bello, come tutti quanti in questa area reggiana pedemontana (penso a Scandiano, a Montecavolo, a Canossa e Quattro Castella): forse tra i più duri, data la lunghezza eccedente la classica maratonina,  i 450 metri di dislivello dichiarati (il mio Gps dice 22,850 +425) e i quasi 5 km sterrati nella salita verso il Parco dei Gessi di Borzano (alias parco del Vento o del Lupo), fino all’uscita di Cavazzone a poco meno di 500 m slm, e l’inizio della discesa verso Albinea, che però ci riserverà altre salitelle fino a quella dell’ultimo km dove sono appostati i fotografi Nerino (dotato di moglie irredentista del Donbass) e Domenico Petti.

Italo è al traguardo e aspetta fino agli ultimissimi (come, ovviamente, i giudici, e lo speaker Brighenti); Italo ha anche una giustificazione famigliare dato che tra le competitive aveva moglie e cognata (e figlio, ma quello va forte), che se la prendono un po’ comoda arrivando grosso modo nel tmax, più o meno insieme a Simona Neri (la quale mi segnala l’eccellenza del percorso e dell’organizzazione, salvo la segnalazione insufficiente a un bivio del km 19 dove rimaneva l’istinto di proseguire per lo stradone verso la chiesa, come si faceva in tempi antichi, invece di imboccare uno stradello più rustico indicato solo da una minifreccia sull’asfalto).

Il giro che poi abbiano fatto i partenti anticipati (ecco in vezzo pre-Covid di cui non sentivo la nostalgia), già per le strade almeno tre quarti d’ora prima del via, non lo so proprio: e il giorno che capiterà un incidente stradale, vedremo chi pagherà. Devo dire che, negli orari legali, il traffico era quasi assente (qualcosa in più nello stradone di discesa), e i pochi incroci sorvegliatissimi.

Venendo all’élite, hanno vinto Simone Corsini e Manuela Marcolini. Corsini (MDS), non ancora trentenne (con 2.27 alla maratona di Reggio 2021), era arrivato 5° nell’ultima edizione di Albinea del 2019, in 1.27:26, e oggi si è migliorato alla grande chiudendo in 1.20:53. A due minuti un altro habitué dei podi locali, Andrea Bergianti della Corradini Rubiera

La Marcolini (che sta per toccare il traguardo personale dei 40 anni), dello Sportinsieme, nel 2019 aveva vinto in 1.37:05, confermando la sua predilezione per questa gara della quale detiene anche il record, con 1.36:14 del 2017. Oggi le sono bastati 1.39:45 per sbaragliare la concorrenza, rappresentata da Evegenya Kovaleva (Sampolese) giunta a oltre due minuti.

Ecco il nostro resoconto dell'ultima edizione, nel 2019:http://podisti.net/index.php/cronache/item/3505-albinea-re-34-mimosa-cross.html

E quello della penultima, accorciata dalla neve nel 2018: http://podisti.net/index.php/cronache/item/860-albinea-siamo-goviani-il-sottozero-non-ci-ferma.html#!Albinea_2018_Morlini_Ferraboschi

 

Ripartendo da Albinea, è d’obbligo per noi più anziani un ideale saluto alla memoria di William Govi, che qui viveva (e se volevamo parlargli al telefono dovevamo chiamare solo tra le 17 – quando arrivava dalla fabbrica – e le 17,30, quando partiva per i suoi allenamenti) e su queste colline correva e a un certo punto inventò le maratone individuali autogestite. Chissà se il suo privatissimo e ordinatissimo museo della maratona sarà prima o poi a disposizione del pubblico.

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Quando nel febbraio 2020 avevo colto l'occasione di unire il piacere di correre una maratona nuova lungo la costa laziale con l'andare a salutare carissimi amici nella meravigliosa Carpineto Romano, non avrei mai immaginato come sarebbe stato stravolto il mondo da lì a pochi giorni.
Nel 2020, la Maratona Maga Circe sarebbe stata la prima dell'anno che mi avrebbe portata a festeggiare la 100esima maratona, correndo a ottobre Venezia (prima maratona Venezia 1993, 100esima maratona Venezia 2020... cerchio chiuso, tutto calcolato!). Invece di chiuso ci sarebbe stato tutto il resto, non il mio "cerchio maratone".
Comunque quella maratona corsa senza troppo pensarci, in pieno inverno, almeno per noi friulani che a febbraio corriamo imbottiti come palombari, indossando pantaloncini e maglietta, tra gente allegra, con una organizzazione impeccabile e un percorso, in gran parte lungo il mare, che unisce due luoghi diversamente particolari come San Felice Circeo e Sabaudia, mi aveva dato una carica e un entusiasmo tali da farmi sognare di arrivare almeno a 200 maratone, non fermarmi a 100.
Invece, per mesi ho potuto correre solo nell'androne dell'autorimessa condominiale, guardata dai condomini alla finestra come una pazza ‘untrice’.
Ma ho l'arroganza di sostenere che noi maratoneti siamo gente speciale: difficile, se non impossibile spezzare i nostri sogni e i nostri programmi.
Ed eccomi quindi alla partenza della seconda edizione della Maratona Maga Circe 2022... appuntamento imperdibile per il significato di "rinascita" che avevo voluto darle.
Partita dal gelido inverno friulano con la mia "allieva" Daniela Battisti (carpinetana trapiantata nel pordenonese) e con Giorgio, il nostro paziente accompagnatore (quando, vedendolo con me, gli chiedono se anche lui corre, si potrebbe sentirlo rispondere "sì, corro anch'io, a volte prendo anche multe per eccesso di velocità...in  moto"), sabato mattina con 700 km da fare, sono arrivata nel pomeriggio a Sabaudia con una temperatura e una luminosità da tarda primavera. Un altro mondo....
Mentre nel 2020 avevamo deciso di dormire a San Felice Circeo, questa volta abbiamo preferito pernottare a Sabaudia e, vista l'ottima organizzazione delle navette che ci hanno portato alla partenza, la prossima volta (e ci sarà certamente una prossima volta...) ripeteremo la scelta.
Cosa dire della partenza.... emozionante... Era la terza maratona che correvo dopo la pandemia, con Bologna e Reggio Emilia, ma adesso ogni occasione di condividere un "qualcosa" con altre persone, almeno per me, acquista un significato e un valore da godersi dal primo all'ultimo istante; e trovarmi alla partenza di una gara, per una diversamente giovane come me che ha cominciato a correre all'età di 10 anni, e non di una gara "normale" ma di una maratona, mi fa partire col cuore in gola e le lacrime agli occhi.
Meraviglioso scoprire che con l'aumentare degli anni aumentano parallelamente anche l'emozione, l'entusiasmo e la voglia di essere ancora alla partenza non da spettatrice, ma da protagonista.
Il percorso, così diverso dai miei soliti collinari di allenamento, mi è sembrato divertente e scorrevole, forse anche perchè molto vario passando attraverso paesi, campi coltivati, zone verdi alberate e mare... tanto mare.
Ho apprezzato anche quest'anno il passaggio al 28esimo km attraverso Sabaudia: anche se ho guardato con una certa invidia gli atleti della 28 km attraversare il loro traguardo, mi ha dato molto entusiasmo attraversare il mio "futuro" arrivo pensando che in fondo il più era fatto.
Avevo però dimenticato il continuo e impegnativo saliscendi degli ultimi 14 km. Ma che panorami meravigliosi, e la Coca cola ai ristori fa miracoli per superare i momenti di sconforto...
Sono arrivata stanca, mooolto stanca, ma moooooolto felice.
Dopo 30 anni che corro maratone e, se capita, anche qualche ultra, con tutti gli accadimenti che in tanto tempo mi sono accaduti - sicuramente tantissimi molto belli, ma qualcuno anche "impegnativo" - mi considero una privilegiata nel riuscire ancora a godere e sorridere emozionata passando sotto uno striscione con scritto Partenza e Arrivo. La vita è piena di gioie, volendo guardarle.
Un ultima cosa... l'abbronzatura era compresa nel prezzo di iscrizione.

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Lunedì, 07 Febbraio 2022 23:55

Con la Maga Circe “si riparte da qui”: chapeau!

6 febbraio - Sono stati tenaci gli organizzatori della seconda edizione della “Maratona Maga Circe” e hanno vinto la scommessa di portare a compimento il primo grande evento podistico   laziale del 2022 sulla piana dell’Agro Pontino.   Ne va dato merito, visti tutti i lacci e laccioli derivati dall’attuale contesto che scoraggiano tali iniziative. Tre sono state le gare competitive partite da San Felice Circeo con meta alla giovane Sabaudia, con partenze scaglionate  dalle ore 8,30 iniziando con la 42 km,  nella bella giornata di  domenica e,  a seguire,   la 28 e la 13 km.

Non tralascio l’aspetto materiale: la maglia tecnica mi è garbata molto, trovando originale il profilo stilizzato   del  nostro Belpaese con la scritta “Io riparto da qui”. Nell’aspetto pratico da segnalare la possibilità di ritirare il pettorale di gara anche domenica mattina a partire dalle ore 6,00 e i tanti torpedoni messi a disposizione per chi voleva raggiungere la partenza da Sabaudia, e viceversa una volta tagliato il traguardo. Gli scarsi primi due km circa in discesa hanno dato il veloce abbrivio sul circuito che si è sviluppato sui lunghi rettifili dei lidi di San Felice Circeo e Sabaudia e della fertile pianura circostante dove, prima della grandiosa opera di bonifica attuata durante il ventennio  fascista, regnava la malaria. In prevalenza venete sono state le popolazioni che si sono insediate nell’area, e molti cognomi  ne confermano l’origine. In verità, lo scenario attuale è notevolmente mutato: l’operosa e pacifica popolazione indiana, in prevalenza sikh, si è fatta carico del gravoso lavoro contadino.

Il magnifico promontorio del Circeo è risultato sempre in primo piano; si eleva a soli 541 metri, ma   si ha l’impressione che sia  più alto per come è slanciato: lì  si può praticare arrampicata sportiva ed escursioni con viste mozzafiato a 360°. Conoscendo il posto, sconsiglio la corsa sull’affilata  cresta e sui ripidissimi pendii, adatti più agli stambecchi o ai Kilian Jornet; molto meno pericoloso magari darsi al canottaggio sul lago di Sabaudia. Molto rilassante e adatta a tutti è invece la turistica passeggiata sulla bella spiaggia di Sabaudia, a partire dalla Torre Paola dove bazzicavo da bambino. Ho gradito particolarmente ai ristori la bibita della multinazionale di Atlanta.
Le note negative scaturiscono dai comportamenti di alcuni atleti che abbandonano i rifiuti (bottigliette e confezioni di alimenti energetici) lontano dai punti di rifornimento dove nessuno poi li raccoglierà (e in un paio di occasioni sono intervenuto  con  energici rimbrotti); e poi sono insopportabili i soliti barbogi  che rasentano il patetico, ed a cui lancio un appello: siate positivi (non al tampone per carità!) e giovani nello spirito, almeno quando si gioca.

Un complimento particolare alla bella mamma che ha portato ha compimento la fatica della distanza regina spingendo il carrozzino con il suo bebè, nonché rifilandomi pure un bel distacco; e,  naturalmente,  all’atleta d’acciaio Giovanni Battista Torelli. Personalmente avevo messo in conto una prestazione cronometrica da trail, frequentando molto la montagna dopo aver abbandonato le impegnative sedute di allenamento stradaiole,  ma sono giunto senza spremermi mezz’ora prima di quanto avessi programmato. Non pretendo di più dalla spensierata mattinata domenicale  correndo la Maratona Maga Circe, e non mi addentro nelle cifre perché  già  comunicate. http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/8300-al-circeo-per-vincere-ci-vuole-una-fisica-bestiale.html

Per concludere, tutto è filato per il verso giusto: una  organizzazione efficiente, una giornata dal sapore quasi primaverile, un paesaggio incantevole, quindi chapeau!

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6 febbraio - Finalmente, dopo due rinvii causa Covid risalenti al dicembre 2020 e all’aprile 2021 (quest’ultimo a pochi giorni davvero dallo svolgimento della gara, per un focolaio scoppiato improvvisamente in una zona circoscritta) l’Associazione In Corsa Libera, sotto l'egida della FIDAL (che aveva assegnato la categoria “Bronze”) e con il patrocinio dei comuni di Sabaudia e di San Felice Circeo, è riuscita a portare a termine la II° edizione della “Maratona Maga Circe”.

Ad accompagnare la maratona sono state le altre due distanze competitive di 28 e 13 km, tutte partite dal centro storico di San Felice Circeo, proseguendo poi per il suggestivo litorale laziale fino all’arrivo nel centro di Sabaudia in Piazza del Comune. Trattandosi di corse in linea, era stato allestito un servizio di navette tra le due località, raccordate anche alla più vicina stazione ferroviaria. Come d’obbligo, agli atleti sono stati richiesti il Greenpass base, o l’esito negativo di un tampone delle ultime 48 ore, e una autocertificazione; alla partenza della gara era obbligatoria una mascherina FFP2.

Il momento non è dei migliori, e la manifestazione è caduta in concomitanza con la storica maratona di Terni, che giovandosi di un consistente zoccolo duro di fedelissimi ‘valentiniani’ ha attirato in Umbria 330 maratoneti e 733 finisher della mezza; ciò nonostante, al traguardo di Sabaudia sono arrivati in 279 (di cui 46 donne) sul percorso intero, in 295 sui 28 km (con 59 donne), e in 498 (di cui ben 148 donne) sui 13 km.

La vittoria sui 42,195 è arrisa nettamente ad Andrea Sgaravatto, venticinquenne della Salcus di Occhiobello (RO) in 2.27:21, che lima notevolmente i suoi limiti stabiliti l’anno scorso: 2.33:08 a Castiglione del Lago, poi 2.36 a Brescia e infine 2.33:45 a Verona l11 novembre.
A 9 minuti è giunto Giorgio Calcaterra, che ha all’incirca il doppio degli anni del vincitore, e, come domenica scorsa alla maratona di Pesaro aveva ceduto a Mohammed Hajjy (oggi secondo a Terni) e ad Alberico Di Cecco, anche oggi si è dovuto accontentare di un piazzamento onorevole, precedendo di quasi tre minuti Federico Ghelli, trentenne della Pro Patria Milano, accreditato di 1.12:54 nella maratonina di Milano del 21 novembre scorso.

Calcaterra ha comunque avuto la soddisfazione di vedere due ragazze tesserate per il suo sodalizio al secondo e terzo posto della classifica femminile, vinta nettamente da Cecilia Flori (Villa Guglielmi), che simbolicamente ha compiuto i 42 anni e due mesi di età, in 3.12:42 (lontana però dal 2.53 registrato a Venezia nel 2019); ciò le è bastato per giungere quattro minuti davanti a Veronica Correale, mentre assai più distanziata è la terza, Sara Pastore sempre della Calcaterra Sport.

Da notare che la Flori non è una scappata di casa qualunque: originaria di Ostia, specializzata in Fisica gravitazionale, ha studiato a Londra, al Max Planck Institut di Berlino, e in Canada, divenendo poi docente nell’istituto di Matematica presso la Waikato University in Nuova Zelanda, nazione dove ha ‘imparato’ a correre con ottimi risultati le 100 km e ultra. Dunque (non sembri irriverente la battuta), davvero una “Fisica bestiale”, le cui doti le fanno “superare le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce”

A proposito, invece, di amatori cui piacciono le ‘doppiette’, noto nell’ordine d’arrivo varie vecchie conoscenze viste domenica scorsa a Pesaro, e oggi di nuovo al traguardo: come Simone Leo, che dal 4.33:10 di Pesaro è sceso al 3.57 di oggi (due minuti avanti a un altro Simone – di cognome – cioè Matteo Simone rimasto un pelino sotto le 4 ore). Doppio traguardo anche per l’avvocato Paolo Reali (4.10 oggi) e per Michele Rizzitelli (5.17). Menzione speciale per il vicentino Antonio Grotto, classe 1949, che a Pesaro aveva chiuso in 4.08:24, e a Sabaudia è finito terzo di categoria in 4.33:50, in quella che risulta essere la sua 995^ maratona.

Altri amici però  ‘accontentatisi’ della sola  Sabaudia sono (scorrendo la classifica) Marilena Dall’Anese (3.52), Astrid Gagliardi (già a Trieste un mese fa, e qui capace di 3.54), Giovanni Baldini (4.01), Angela Gargano: auguriamoci di leggere presto le loro impressioni su queste pagine.

A vincere la 28 km sono stati Luca Parisi (1.32:51) e Alessandra Scaccia (1.59:09)

http://podisti.net/index.php/classifiche/15910-2-maga-circe-28-km.html?date=2022-02-06-00-00

nella 13 si sono imposti Matteo Pelizza (quasi allo sprint, in 43:23) e Lucia Mitidieri (48:17).

http://podisti.net/index.php/classifiche/15911-2-maga-circe-13-km.html?date=2022-02-06-00-00

 

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Lunedì, 31 Gennaio 2022 15:56

Anche Pesaro ha una maratona, grazie al “PDL”

30 gennaio – 221 classificati nella maratona (di cui 46 donne), 207 nella mezza (39 donne), sono cifre che, se rapportate ai dati del 2021, collocherebbero questa nuova 42 km più o meno sulle cifre di gare ben più blasonate come Napoli, Palermo, Sanremo, e per esempio ben davanti al Mugello o a Pescara o Catania. È la risposta concreta che il Club Supermarathon (alias “Popolo delle Lunghe”, o PDL: marchio depositato dal capitano d’industria Paolo Gilardi) dà alla crisi pandemico-burocratica che attanaglia da due anni il nostro sport.
Vale la pena di accostare la contemporaneità di questa maratona (e dell’assemblea annuale del Club che l’ha preceduta) con l’altra cosiddetta Maratona svoltasi nel Palazzo per eccellenza, che potremmo intitolare “Maratona dei Tengofamiglia” e sul cui traguardo stava scritto “24 settembre – Penzione pettutti”.
A 226 km di distanza, il Club ha presentato il suo programma di maratone (direttamente organizzate, o ‘affiliate’ tramite l’Asd “Orta 10 in 10”). Tra le novità assolute, la Maratona della Battaglia, a Curtatone (di Mantova) a maggio, fortemente voluta dal “Sindic” Marco Simonazzi; la maratona dei Trulli a Locorotondo in ottobre; il ritorno di una 42 in Val d’Aosta a giugno, e (diciamolo piano) a Bari in novembre. Questi sono fatti (e citare tutti gli altri sarebbe troppo lungo): altri annullano, qui si propone e a volte si impone (molto divertente l’intervento in assemblea di un socio-organizzatore, che garantisce sull’effettuazione della sua gara, “e se non mi danno il permesso, me lo do io da solo”).
E se qualche volta, l’impressione che ne ricavano i ‘puristi’ che pontificano su riviste patinate e su blog squalificati è quella di maratone fai-da-te, auto-organizzate solo per acquisire totali abnormi di 42 terminate, la taccia non vale per le corse sopra citate (come non varrà per la 100 km delle Alpi dell’8 ottobre, valida come campionato nazionale Fidal sulla distanza); né vale per Pesaro, che ha ottenuto l’omologazione della Fidal Marche (sia pure con la definizione di “corsa da 42 km circa”, e l’apertura agli iscritti degli Eps, cosa che ai tempi dei colonnelli federali era inaudita). Pazienza, i tempi conseguiti a Pesaro non entreranno nelle statistiche, e anche su quei “42km circa” i nostri Gps hanno mosso obiezioni; però intanto si è corso, e dal 1° febbraio … vedremo (per il 6 comunque sono al momento confermate Terni e Circeo, per il 13 la maratona sulla Sabbia di S. Benedetto del Tronto). Sempre che il Palazzo, adesso che si è garantita la pensione, non tiri fuori dal cilindro qualche altro protocollo nefasto.

Veniamo allora alla 42 “circa” di Pesaro, località che pare abbia visto una maratona 45 anni fa, e tutt'al più poteva invidiare la contigua maratona Barchi-Fano (bella e... in discesa!), in una regione che già ha sofferto l’eutanasia della maratona del Piceno (Servigliano / Fermo). Ma il comitato locale, ben sostenuto da Matteo Ricci (sindaco eletto e rieletto col 60% dei voti) è riuscito a creare un tracciato tutto all’interno del Comune (non si sa mai che i sindaci confinanti siano dei proibizionisti), con qualche bizzarria e contorsione, ma a suo modo ‘completo’, chiuso al traffico e in totale sicurezza per chi correva. Verso le ultime battute, un incidente stradale ha fatto chiudere la strada adiacente al nostro tracciato, ma senza il minimo coinvolgimento della “bicipolitana” di Baia Flaminia su cui si muovevano gli ultimi, il Gelati della Bassa emiliana o la Carlotta dell’alta Lombardia, e l’indomito Toschi che ha sempre parole di saggezza per tutti quanti lo affiancano.

Il percorso partiva e arrivava appunto dal lungomare di Baia Flaminia, una zona abbastanza tranquilla della città a nord del portocanale, e per i primi 20 km si snodava sulla panoramica collina di San Bartolo, in direzione della Romagna, raggiungendo per due volte l’abitato di S. Marina a 160 metri slm. Strada godibile, salita agevole e da prendere con calma dato anche il tmax alquanto generoso; clima freschino, che rende meno amara la sorpresa della mancanza di ristori o quanto meno di beveraggi, che tutti ci aspettavamo al km 11 dove finisce il “bastone” e si inverte la marcia.
Probabilmente, i corridori della 21, partiti con noi ma evidentemente più veloci, hanno prosciugato tutto: sta di fatto che a mia disposizione c’è un limone intero, che assalto e ingerisco a morsi, e quanto al bere, verso il km 14 una voce amica suggerisce, alla Gaetano Pappagone, “l’aqqueqquì”, indicando un piazzaletto a lato, che nel salire avevamo trascurato, ma la cui fontanella ora diviene refrigerio obbligatorio.
Dopo un km, c’è invece un problema logistico; troppo piccola la freccina che indica di svoltare a destra, e sibillino il cartello del km 15, messo praticamente a cavallo del bivio: per mia fortuna, una collega podista mi porta sulla retta via, e  quando, dopo un altro km di strada-trail, siamo al secondo punto di ristoro (“mi dispiace ma non abbiamo più niente”, tranne un po’ di tarallucci e fette di limone), scongiuriamo uno degli addetti (che ormai lì non ha più niente da dare) che risalga fino al bivio, sennò i 42 km “circa” saranno ancor più “circa”.

Si passa dalla villa che fu l’ultimo o penultimo nido d’amore (ehm ehm) di Pavarotti, ed eccoci di nuovo a Baia Flaminia, in un punto dove sono accostati i cartelli 21-22-23-24-25 km. C’è stato spiegato la sera prima, e un numero sufficiente di addetti ce lo ripete e indica: per raggiungere il fatidico chilometraggio, occorre passare per quattro volte sotto il traguardo (con rilevamento sia manuale, sia chip, sia fotografico ad opera di Sergino, fotografo, arrotino e pittore), poi entrare in un mini-circuito, da dove si uscirà solo dopo la quarta “assoluzione” (prudente chiedere conferma: è il quarto passaggio, vero?).

Mentre passo io, arrivano i primi: vince l’habitué di questi tipi di gara, il 43enne Mohamed Hajjy, in 2:33:34, precedendo due mostri sacri, reduci da ben altri teatri: Alberico Di Cecco (02:36:54), nono alla maratona di Atene 2004, vincitore in una 42 di Roma, secondo a Venezia, Padova, Firenze, che battendo oggi Giorgio Calcaterra (02:37:19) gli restituisce il ‘favore’ ricevuto al Passatore 2011, quando l’allora taxista batté di 3 minuti lui, esordiente. In 2:40 arriverà il quarto, Stefano Velatta, 46enne più volte distintosi ultimamente sulle lunghe distanze.

A noi peones tocca invece di imboccare la “bicipolitana”, costeggiare il Foglia di qua e di là, prendendo infine l’altra ciclabile, quasi rettilinea, che ci porterà, tra spiaggia e ferrovia, sino al confine di Fano, al km 33,5 (ma confesso che dopo i 4 giri in tondo il mio Gps ha sballato i conti), nei pressi del Village Marinella, dove appunto Marinella (Satta, cestista e 252 volte maratoneta) ci prende i numeri rilasciandoci l’ultima greencard.

È insomma un avantindree di 8+8 km, nei quali riconosciamo o magari scambiamo qualche battuta tra colleghi: la prima è Federica Moroni, sesta assoluta e come al solito prima donna, una quasi-cinquantenne che non li dimostra affatto e a queste gare non manca mai perché i suoi tempi le garantiscono trofei certi in ambito regionale: vinse la maratona della ripartenza, a San Marino nel 2020, e ha rivinto spesso dalle sue parti, salvo permettersi un’escursione a Valencia due mesi fa dove i suoi tempi le hanno fruttato il 54° posto tra le donne. Ma a Pesaro vince in carrozza, 23 minuti sulla seconda Francesca Ferraro, e 40 sulla terza Michela Morri che batte allo sprint la giovane jesina Elisa Bellagamba.

Ma non occupiamoci più di campioni, e salutiamo piuttosto, da un distacco valutabile a 7-8 km, Leandro Giorgio Pelagalli, inarrivabile rivale di categoria con 443 maratone concluse (tutte più che dignitose); e poco dietro, Paolo “Scoubidou” Fastigari, che ne fatte “solo” 225. Finirà appena sopra le 4 ore il contabile ufficiale del Club, lo psichiatra Franco Scarpa (che certamente di casi degni di studio qui ne troverà a bizzeffe), cui spetta di verificare l’esistenza e convalidare le maratone dichiarate dai consoci. Intanto arriva alla fine della sua 412^ maratona (o più), e quando arriverò io lo troverò intento a trasportare in luogo sicuro l’urna elettorale del Club, dove certamente non troveremo voti per Amadeus o Terence Hill o Siffredi.

Intanto si continua a correre, ciascuno come può: sotto antibiotici da 3 giorni (non è Covid!) proprio non ce la faccio a reggere il ritmo di Daniela Lazzaro, veneta compagna di tante corse e anche di questa: fino all’ultimo giro di boa, quando in presenza di Marinella (e di un succulento ristoro) le faccio un complimento e lei, ringraziando, si invola prendendosi alla fine 9 minuti; mentre si accontenta di 7 Paolo Farina, pugliese, ideatore della maratona Federico II che non poté correre perché operato a un ginocchio, e ora pensa alla rinascita di Bari. Mantengo invece in limiti onorevoli (quasi beffardi) il distacco dall’avv. Paolo Reali di Latina; e adesso, rientrando a Pesaro-City, tocca a noi incoraggiare chi ritroviamo ancora nel tratto ascendente (c’è un altro ristoro, che vale per chi scende e per chi sale): i concittadini coniugi Saracini/Terenziani, la prof di inglese Laura Failli con cui condivisi tratti della Vinci-Collodi e del Passatore, il ‘trombettiere’ forlivese Lorenzo Gemma che corre più o meno col braccio al collo dopo l’infortunio sul Lamone tre settimane fa; la coppia Rizzitelli-Capecci, almeno 1800 maratone fra tutti e due, miss Carolina Agabiti che aveva incantato l’assemblea della vigilia col suo abito a pizzi.

Incrocio ora ol sindic Simonazzi, al mio km 40, e gli racconto come nel palazzo di fronte, l’Opera Padre Damiani, ebbi il primo grande sconforto della mia vita, quando a 8 anni mi trovai a cominciare un mese di colonia estiva, lontano dal paesello, senza conoscere nessuno. Davanti all’ingresso mi misi a piangere a dirotto, una “signorina” mi chiese perché, e io vergognandomi a dire che soffrivo la nostalgia, dissi che avevo fame… Ma nei giorni successivi conobbi il primo Santo della mia vita (Pesaro per me è piena di prime cose), appunto il padre Pietro Damiani (1910-97), orfano in tenerissima età, poi fabbro, barbiere, calzaturiere, infine prete impegnato nel dare una casa ai bambini abbandonati della guerra, soprattutto i piccoli profughi dell’Istria. Per loro istituì il collegio Riccardo Zandonai (in onore del concittadino e amico musicista), alla cui soglia il bambino spaesato del 1958 pianse, riacquistando poi il sorriso ai racconti del Santo.

Allo stagionato e nostalgico maratoneta non rimane che percorrere il tratto di strada che facevamo ogni sera, in fila per due, dopo cena; poi si passa il ponte, ed eccoci a Baia Flaminia, a quel traguardo da oltrepassare per la quinta e ultima volta.
Ristoro che fa dimenticare le carenze di tre ore prima: scorrono a fiumi birra e coca, per mandar giù ghiotti panini imbottiti. Doccia in albergo (long stay un po’ caruccio), o gratis nel vicino palasport; poi si riparte per la stazione, facendo in tempo a salutare gli amici visti 20 km fa e che vanno a concludere; di nuovo ol Sindic, poi Luca Gelati, la pantera rosa Carlotta Gavazzeni e Gianfranco Toschi a chiudere le 8 ore di sfilata.

Doveroso ricordare anche lo svolgimento della maratonina, in pratica la prima metà collinare della nostra 42, vinta da Andrea Barcelli (1:14:14) e, molto nettamente tra le donne, da Paola Braghiroli (1:25:17), Ma lasciatemi solo citare il ritrovato Alberto D’Addese, tra gli ultimi a tenere in vita, come assessore di Carpi, la fu-maratona d’Italia, e oggi tornato alle gare – come si suol dire – dopo lunga e penosa malattia, per fortuna ad esito fausto. Il Circo darà tante altre occasioni per rinascere.

 

Servizio TG3: https://www.youtube.com/watch?v=JmY6sCZGL3Y

 

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Tra tante notizie luttuose, di gare annullate o ridotte a modi ‘virtuali’, fa piacere ricevere una conferma rispetto a quanto già pubblicato più di un mese fa: http://podisti.net/index.php/notizie/item/8065-cross-per-tutti-dal-23-gennaio-a-canegrate.html

E’ partito il conto alla rovescia. Domenica 23 gennaio il Cross per Tutti prenderà il via da Canegrate (Milano), con il Roccolo Cross Country organizzato dall'atletica PAR Canegrate.
Le iscrizioni sono finalmente aperte, disponibili sul portale tessonline del sito federale www.fidal.it (http://tessonline.fidal.it/login.php), fino a martedì 18 gennaio.
Da quest'anno la gara dei senior master uomini over 70 si svolgerà sulla distanza di 4 km e si correrà insieme alla gara femminile. La tappa di Canegrate sarà anche valida come Campionato Provinciale cat. Ragazzi/e.
Il calendario gare del Cross per Tutti proseguirà con: Cesano Maderno (30 gennaio), Lissone (6 febbraio), Cinisello Balsamo (20 febbraio), Paderno Dugnano (27 febbraio) e Brugherio (6 marzo).

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9 gennaio - Bagnacavallo, provincia di Ravenna, dista 25 km dal capoluogo; ma a Ravenna (per l’esattezza, a Classe) 10 giorni prima era stata annullata la maratona che doveva chiudere l’anno 2021. Invece Enrico Vedilei, anima con la sua Krakatoa sport della “Ultramaratona della Pace sul Lamone”, dopo la forzata rinuncia all’edizione 2021, e dopo altre dolorose persecuzioni da parte di sindaci limitrofi e nemici lontani invidiosi del successo delle sue tante “6 ore”, ha tenuto duro ed è riuscito, sia pure con patemi fino al penultimo momento, ad allestire la 13^ edizione della sua gara, quest’anno dedicata per la prima volta alla mamma scomparsa, Adalgisa Di Nardo, che si aggiunge al nome del suocero Vittorio Costetti. I patemi, come è noto, erano legati al decreto natalizio palermitano, che seppure senza dirlo chiaramente, ha indotto molti a sospendere o a ordinare la cancellazione di gare (poi, il capo del governo sbotta: possiamo andare nei negozi e non a scuola? Aggiunga pure “e non a correre all’aria aperta?”).
La fortuna di Vedilei è stata avere una Sindaca che sa leggere e ragionare, e oltre tutto capisce anche di legge: Eleonora Proni, da sette anni prima cittadina, laureata con 110 in Storia contemporanea a Bologna con una tesi di Storia economica contemporanea "L'Ordine degli avvocati di Bologna. 1874-1945"; e autrice di apprezzati saggi storici, che all’ansiosa domanda di Enrico, se si poteva correre, ha sentenziato che “per lo sport non è cambiato nulla, quindi il permesso già dato s’intende confermato”. E per metterci la faccia, come tutti gli anni è venuta a dare il via ai quasi 200 partecipanti (numero massimo prefissato), detratti alcuni che all’ultimo istante si sono scoperti ‘positivi’, allo stesso modo di molti assistenti sul percorso di 45 km, da completare in sette giri di un anello da 6,4 km.

Poco ha potuto un altro nemico, il maltempo: abbiamo tutti visto le immagini del litorale romagnolo sotto la neve, come è stato anche per Traversara, frazione di 500 abitanti a 4 km da Bagnacavallo: condizioni quasi proibitive, con l’aggiunta del fango, ma come ci si poteva fermare, dopo tutta la pena durata per riuscire a partire? Dei 190 partiti sono arrivati in 152; e sarebbero stati 153 se uno dei più assidui supermaratoneti, il “trombettiere” e maresciallo Lorenzo Gemma da Forlì, già più di 900 maratone all’attivo, non fosse scivolato sul ghiaccio con conseguenze che l’hanno costretto a interrompere in anticipo la sua fatica.

Tanti fedelissimi nelle prime posizioni: ha vinto il pavese Stefano Emma, qui terzo nel 2020, nel 2021 campione italiano della 50 km su strada, in 2h51’21’’; cinque minuti sopra il record della manifestazione, ben giustificabili dato il clima, e solo 36 secondi davanti al biellese Stefano Velatta, già due volte vincitore al Lamone. Terzo Gabriele Turroni in 2h56, molto staccati tutti gli altri dopo il ritiro di altri due titolati concorrenti, Matteo Lucchese (tre volte primo su queste strade, compresa l’ultima edizione) e Giovanni Quaglia.

Nomi del tutto nuovi fra le donne, dove Ilaria Bergaglio risolve a proprio favore nella seconda parte il duello con Francesca Rimonda, distanziata di oltre sette minuti al traguardo: 3h19’57’’ contro 3h27’16’’. Dopo altri dieci minuti giunge terza la giovane Francesca Ferraro in 3h37’33’’, con una andatura “diesel” che le fa recuperare varie posizioni, anche giovandosi dei ritiri di agguerrite concorrenti.

Molti atleti di punta al via, tutti per un ultimo test in vista della 100km del Conero dove si giocheranno le carte per una maglia della Nazionale; ma un’uguale attenzione, e forse un tifo maggiore, è andata ai corridori “della fascia destra della classifica”, quelli che a dispetto dell’età e delle ironie altrui non mancano ad appuntamenti come questo: decima assoluta, Luisa Betti, reduce dalle 4 maratone di Forte dei Marmi, e ispiratrice addirittura di Sergio Tempera in veste di pittore, che la vede aleggiare sui partenti come “termine fisso d’eterno consiglio”.

A farle corona, due scafati ultrarunner come Paolo Saviello e Werter Torricelli; più indietro la coppia familiare di Maurito & Paolo Malavasi, la coppia coniugale Luciano Bigi e Monica Esposito, le veterane Rita Zanaboni e Marina Mocellin, che di trofei ne hanno raccolti parecchi in quarant’anni di scarpinate; la chioma bionda di Greta Massari e gli occhi di cobalto di Adele Rasicci emergevano ad ogni tornata a illuminare l’ambiente. Alla fine, festa e allegria di naufraghi per tutti.

 

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Lunedì, 10 Gennaio 2022 16:24

La Corsa della Bora soffia ottimismo su tutti

Trieste, 9 gennaio – Sette corse competitive, dall’estremo dei 169 km con oltre 7000 metri di dislivello (distanza ridotta intorno a 164 per la neve che ha costretto ad ‘abbassare’ il punto di partenza) fino alla mezza maratona (in realtà di 18,2 km), in coda alla quale si è corso sullo stesso tracciato anche in forma non agonistica.

Riassumo e integro quanto ricevuto dai comunicati ufficiali, che abbiamo pubblicato in due serie fin da sabato 8

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/8205-trieste-corsa-della-bora-terzo-trionfo-per-kienzl-nell-ipertrail.html

http://podisti.net/index.php/cronache/item/8212-trieste-s1urban-ecomarathon-s-impongono-milani-e-giudici.html

Sì è conclusa con successo la settima edizione della AICS Corsa della Bora, evento clou del trailrunning italiano organizzata da Asd SentieroUNO, che ha radunato atleti da tutto il mondo, dall’Ungheria alla Francia alla Germania fino alla Nuova Zelanda.

Otto le gare su diverse distanze e ancor più variegati scenari del Friuli Venezia Giulia e della vicina Slovenia: la competitiva principale, la 164 Km S1 Ipertrail, è partita (nella serata di venerdì 7) dalle cime del monte Canin lungo un percorso transfrontaliero a diverse altitudini, per terminare a Portopiccolo di Sistiana. Sul podio maschile, al primo posto si è classificato l’altoatesino Peter Kinzl (già vincitore delle due precedenti edizioni) col tempo di 26h 21’ e 36”, seguito da Marco Gubert (27:37:05) e da Martin Perrier (28:53:08). La vittoria femminile va a Laura Trentani (35:17:39), seguita dopo un serrato confronto dalla slovena Klara Bajec (35:46:39) e dalla francese Claire Cussonneau (37:32:42). Una gara impegnativa con tratti in notturna e in mezzo alla neve, segnata da un alto numero di abbandoni e molte sorprese: 30 sono gli arrivati (fino alle 47 ore dell’ultimo, venuto dalla Romania), altrettanti i ritirati.

 

Il Mezzo Ipertrail, ossia gli ultimi 83 km della gara principale, vede ai primi posti, in ordine, l’austriaco Markus Schieder in 9h54, con un’ora e 10 sull’altoatesino Andreas Kostner che ha sua volta ha preceduto di un’altra ora e 10 il corregionale Andrea Tiefenthaler; mentre tra le due sole donne al traguardo ha prevalso in15 h 04 Maura Tasin che ha inflitto oltre 3 ore e mezzo a Manila Valentini: 19 i classificati in tutto.

 La notturna da 79 km S1 Night Trail, partita a mezzanotte tra sabato e domenica, è stata vinta dal trentunenne sloveno Matic Čačulovič in 7h 50, due soli minuti prima di Luca Carrara; molto staccato il terzo, il 27enne tedesco Max Haubensack. Tra le donne primo posto per l’austriaca 36enne Cornelia Oswald in 9h 03, seconda a 50 minuti l’aostana cinquantenne Francesca Canepa, a sua volta 23 minuti davanti alla coetanea Roberta Feliciani. 108 gli arrivati, di cui 17 donne.

 Nella S1 Trail da 57 Km, partita da Basovizza alle 7,30 di domenica, la classifica colloca al primo posto su 246 totali il 29enne Ivan Favretto in 5h01, un quarto d’ora prima del quarantenne Luca Arrigoni, che ha preceduto di 2 minuti lo slovacco Marian Priadka. La trentina Irene Zamboni, non ancora quarantenne, ha vinto tra le 55 donne in 6h 49, 18 minuti meno della croata Maja Urban, giunta con 20 minuti sulla terza, la svizzera Helga Fabian.

Ufficialmente omologata Fidal la S1 Ecomarathon da 42,195 Km, dove hanno tagliato il traguardo a Portopiccolo con il miglior tempo il monfalconese Alessio Milani (2h45) e la friulana Fabiola Giudici (ottava assoluta in 3h32).

Il primo posto della 28,4 km S1 Urban (partita dal Molo Audace di Trieste) va al trentino Christian Modena in 2h 03, seguito dai due atleti della Trieste Atletica Enrico Pausin (2h14) e Alessandro Naimi; e alla monfalconese Michela Miniussi in 2h 42. 211 gli arrivati, tra cui 58 donne.
Il ventitreenne Mirko Cocco, in 2h 13, e la 34enne triestina Caterina Stenta, quinta assoluta in 1h 31, si sono invece imposti nella S1 Half da 18 Km, la più partecipata coi suoi 691 arrivati tra cui 263 donne. La gara è partita a mezzogiorno di domenica dal balcone di Opicina, transito obbligato e stazione di ristoro di tutte le gare

 Alle premiazioni, il direttore di corsa Tommaso De Mottoni ha parlato di “un’edizione incredibile a livello di sforzo organizzativo, più dell’anno scorso in cui c’era la certezza dei divieti, mentre quest’anno avevamo la speranza della normalità ma ci siamo ritrovati in una situazione di estrema difficoltà. Eppure le istituzioni, le associazioni e le aziende ci hanno sorretto. Abbiamo avuto quasi 2500 iscritti ma ne abbiamo persi 500 persone per positività al virus, e altri 500 non si sono presentate, ma il nostro sforzo è ancora più importante, una reazione positiva verso la sicurezza ma volta a un futuro di nuova normalità”. 

Il Sindaco triestino Roberto Dipiazza ha lanciato un’idea: “Il prossimo anno la faremo partire da Piazza Unità d’Italia”.
La sindaca di Duino-Aurisina Daniela Pallotta ha ringraziato l’organizzazione per “un evento grandioso ed emozionante, stamattina ho visto atleti con un grande entusiasmo negli occhi. Lo sport è ancora più importante di questi tempi, perché rappresenta salute e attività all’aria aperta.

 

[F.M.] Ed eccomi di nuovo qua, tornato negli stessi luoghi che un anno fa mi avevano affascinato, e convinto dall’estrema efficienza degli organizzatori.

http://podisti.net/index.php/cronache/item/6822-dalla-bora-di-trieste-soffiano-folate-propizie-arriveranno-in-italia.html

La situazione sanitaria (perché bisogna sempre cominciare parlando di questa), rispetto al 2021 di quasi assoluto lockdown (stavano cominciando le primissime vaccinazioni, per giunta poggiate su un vaccino la cui inefficienza è stata dimostrata dai fatti) è un po’ migliorata: adesso stiamo quasi tutti tra le 2 e le 3 dosi, ma quotidianamente le sirene medical-mediatiche danno i numeri dei contagiati, trovando cifre uguali o superiori rispetto a un anno fa (certo, ma con tamponi enormemente superiori!), e dicendo solo a bassa voce che il 95% dei ‘positivi’ se la cava stando chiuso in casa, e magari se non facesse il tampone non saprebbe neanche di aver il virus. Poi ogni settimana salta fuori un decreto lambiccato, compromissorio, incomprensibile e dalle interpretazioni multiformi… (mi sono iscritto solo quando è parso di capire che il decreto di Natale non aveva proibito le corse, sebbene parecchi sindaci si siano dimostrati di opposto parere).

Siamo tutti d’accordo che occorre la massima cautela e il rispetto delle norme (la copertura vaccinale, certo, che male non fa; e anche le regolette incomprensibili e contestate dagli stessi primari dei reparti Covid), e attesto che l’organizzazione guidata da De Mottoni è in prima fila per la nostra sicurezza, tant’è vero che ha adottato misure da “zona arancione” anche se siamo solo in “giallo”: obbligo di FFP2 in tutti gli spazi comuni (inclusi i punti ristoro al chiuso), greenpass rafforzato (o in alternativa, greenpass più tampone) da esibire all’atto dell’iscrizione, rinuncia al pasta party ufficiale. Più di così non so cosa si potrebbe fare, e se di una cosa ho sentito qualcuno lamentarsi è l’estrema numerosità delle comunicazioni, almeno quotidiane: fino al briefing online obbligatorio la sera antecedente, dove i collegati erano tanti che abbiamo fatto fatica a trovare la linea.

Facendo la somma dei classificati, rispetto ai 997 di un anno fa su 5 gare (mancavano i due ipertrail, che peraltro aggiungono solo una cinquantina di unità), vedo che siamo arrivati a 1455, senza contare i partecipanti alla 18 km non comp; e sono convinto che senza la precarietà cui ci costringono i padroni del vapore, saremmo stati anche di più. Ma come si fa a prenotare e pagare un albergo senza la certezza che potrai andarci davvero?

Rispetto all’anno scorso, il Centro maratona è stato spostato, dal centro sportivo di Visogliano (sulla collina) al Portopiccolo di Sistiana, più scomodo quanto ad accessi (l’auto andava lasciata varie centinaia di metri prima, alla caccia di un posto libero nei parcheggi autorizzati), ma indubbiamente dotato di un fascino straordinario, e che, venendo alla logistica delle gare, obbligava tutti i corridori ad almeno un mezzo km di suggestiva spiaggia ghiaiosa prima del traguardo sul braccio sinistro del porto.

Espletate le formalità obbligatorie, dopo di che ci veniva dato il braccialetto passepartout da esibire in ogni occasione, ognuno sciamava, con mezzi propri o navette dell’organizzazione, verso i vari punti di partenza. La maratona certificata Fidal quest’anno è partita dalla piazza Cavana, adiacente alla maestosa piazza Unità (e a quella deliziosa trattoria della Siora Rosa che sabato sera mi aveva riconciliato con la vita) avviandoci tutti in gruppo, a differenza delle partenze pressoché individuali del 2021, sulla salita di San Giusto e poi, anche percorrendo la scalinata Joyce, alla chiesa di San Giacomo: quando giungevamo alla partenza dell’anno scorso, cioè l’inizio della ciclabile Cottur sulla vecchia ferrovia, i Gps segnavano già 2 km e un centinaio di metri saliti (sui 1280 dichiarati – forse qualcosa di meno in effetti). Logicamente, i km in più sono stati tolti verso la fine, da Aurisina in poi, dove ci è stata risparmiata la discesa-risalita alla Grotta Azzurra, e in pratica dal km 39 siamo finiti sull’asfalto della Litoranea (chiusissima al traffico, incluso lo svincolo per l’autostrada) e poi scesi al Portopiccolo dove ci siamo ricongiunti, sulla spiaggia, a chi concludeva i 57 e i 79 km.

In mezzo, direi lo stesso percorso del 2021, perfettamente segnato (un solo sbaglio ce l’ha fatto fare il sorvegliante a un attraversamento stradale verso il km 30, che ci ha mandato verso una carraia anziché sul sentiero bandellato; ma ragionando e ironizzando un po’ – eravamo in tre -, dopo 300 metri abbiamo ritrovato i segni e tutto è finito in gloria.

Per strade e sentieri, si ritrovano i vecchi amici: Michele da Trieste, compagno della maratona di Bologna, o se ne conoscono di nuovi, Christian dei Runners Bergamo e Astrid "Sorriso" milanese, segretaria della Iuta: tra tutti (prima che mi distacchino…), mandiamo il nostro pensiero affettuoso a “don” Gregorio Zucchinali, esempio di probità, dedizione, coraggio.

Qualche chiacchiera in più la si scambia ai ristori, frequenti e ben forniti, con tè e brodo quasi sempre caldissimi, e possibilità di scegliere tra frutta (“te la do io, non toccare!”; e all'uscita un cartello scrive a lettere cubitali DISQUALIFICAZIJA! per chi gettasse le bucce a terra), panini al formaggio o una tentatrice mortadella alle cui lusinghe cederò due volte. Se l’agonismo non è esasperato, scattiamo qualche foto, specie all’altezza degli impagabili panorami prima e dopo la balconata di Opicina, verso Miramare, e ancora sulle rampe di Contovello/Prosecco dove ci sono anche due fotografi ufficiali.

Arrotondate per difetto le indicazioni di meno 7 e meno 4 km che ci danno agli ultimi due ristori, comunque il discesone verso il Porto ci induce addirittura a medie sui 6/km che credevamo ormai irraggiungibili. Poi il ricongiungimento finale coi colleghi degli altri percorsi (c'è perfino un ragazzo che avrà sì e no vent'anni e si è stancato di giocare a basket...), e l’ultimo tratto di spiaggia in comune, fino al piccolo arco dell’arrivo, sul molo.

Dopo di che, medaglia originale, raffigurante il dio Borea che soffia sulla Venezia Giulia, altri sacchetti di ristoro, recupero del nostro ricambio lasciato lì la sera prima, e… sorpresa! Contrariamente agli annunci della vigilia, il tendone ieri adibito a consegna pettorali oggi è occupato da un ristorantino con tante squisitezze locali (zuppa d’orzo, gnocchi al gulasch…), annaffiate da birra locale e dalla “Bora calda” (vin brulé). Poi, un cartello non troppo visibile indirizza a spogliatoi e docce, all’interno dello stabilimento balneare. La doccia più calda e confortevole che ricordi in 32 anni (sic) di maratone affrontate; e anche la doccia più pulita, grazie al lavoro continuato di due addetti, cui vanno complimenti e benedizioni da tutti.

Nell’aria che si oscura, il porto di Sistiana visto da noi che ci allontaniamo lungo la salita (mentre laggiù si concludono gli arrivi) è l’ultima sublime visione di questa giornata perfetta.

 

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27 DicembrePer la 20a edizione della “San Silvestro Bologna Marathon” bisognerà aspettare l'ultimo giorno del prossimo anno, così come per la "mezza", ma intanto la  Podistica Lippo Calderara colma il vuoto con una gara "small", la "7 Km di San Silvestro", corsa su strada patrocinata dal Comune di Calderara di Reno, omologata dalla UISP e dal Comitato di Coordinamento Podistico di Bologna.

Appuntamento in programma alle 9.30 del 31 dicembre con partenza e arrivo dal centro sportivo "Pederzini" di Calderara di Reno: corsa con il cronometro su due giri di un anello di tre chilometri e 500 metri con la mano sul cuore per ricordare VITO MELITO, indimenticabile campione della 100 chilometri, ROMANO MONTAGUTI, anima della società organizzatrice e inventore della Ciaspolada con le racchette da neve, e GIANFRANCO GOZZI, padre di questa maratona.

Fra i partecipanti alla 7 chilometri di fine d'anno ELVINO GENNARI, ex campione del “Passatore”.

"Ancora oggi davanti agli occhi mi passano le immagini di tante sfide storiche con Vito - racconta -  In  particolare quella del '77 al "Passatore". A ottocento metri dall'arrivo eravamo spalla a spalla. Mi giocai la vittoria nella volata finale e Melito tagliò per primo il traguardo. A Calderara correrò con la maglia della "Rilus", maglia di innumerevoli vittorie, come auspicio che stringendo i denti e correndo … più veloci del virus possiamo sconfiggerlo definitivamente".

Per i partecipanti mascherina e distanziamento saranno le regole base da seguire, con ulteriori norme dovute al aumento dei contagi. Fra queste, i concorrenti dovranno esibire agli organizzatori il "green  pass" o in alternativa l'esito negativo del tampone effettuato 48 ore prima della gara.

Si dovrà rinunciare alla presenza del pubblico nel rispetto della normativa vigente.

Iscrizioni : on-line sul sito www.atleticando.net fino al 29 dicembre p.v.

Informazioni : Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.     Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

NdR. Prendiamo atto che, a 22 km da quella Crevalcore il cui sindaco ha vietato lo svolgimento della maratona, nella contigua Calderara (che fa parte della stessa Unione dei “Comuni delle Terre d’acqua”) c’è chi la pensa diversamente, sui pericoli dello sport all’aria aperta e l’interpretazione del famigerato DL 221. Certo, non è la storica maratona di Gozzi e il tutto si svolgerà in uno spazio ristretto, ma è l’affermazione di principio che conta. Siamo però anche costretti, la sera del 29, a prendere atto che a 20 km sia da Calderara sia da Crevalcore, a Mascarino di Castel d'Argile, la "Camminata dei presepi - Memorial Pareschi", prevista per  il 9 gennaio, su disposizione comunale è annullata [F.M.]

 

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Lunedì, 27 Settembre 2021 09:51

Una Padova ‘dimezzata’ ma con prestazioni super

CLASSIFICA 21K CLASSIFICA 10K - SERVIZIO FOTOGRAFICO - 27 settembre – Dopo il tempestivo servizio di Stefano Morselli inserito a poche ore dalla conclusione http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7751-padova-half-marathon-kipchirchir.html#!DSC08389_ritaglio9

diamo spazio alla più dettagliata  comunicazione dell’ufficio stampa (Diego Zilio) cui facciamo seguire un personale commento, come sempre “da dentro”. 

1 [D. Z.] La Padova Marathon torna “in presenza” dopo l’edizione forzatamente virtuale del 2020 e lo fa offrendo una mezza maratona di altissimo livello tecnico, con un doppio primato della corsa. In campo maschile il keniano Victor Kipchirchir ha tagliato il traguardo in 59’19”, abbattendo in un colpo solo il suo primato personale (era di 59’31”) e quello della gara (un’ora 00’52”, realizzato nel 2019 dal suo connazionale Sitonik) e chiudendo davanti al debuttante Irungu, a sua volta sotto l’ora (59’47”). Risultato che fa sì che la mezza di Padova sia stata la più veloce corsa in Italia nel 2021 e la quinta al mondo. Una prestazione che acquista ancora più valore considerando che non c’erano pacer a scandire il tempo: mai senza lepri si è corso così forte in Italia in una gara che non fosse un campionato iridato.
In campo femminile l’etiope Tusa Rahma non è stata da meno, tanto da migliorare a sua volta il record della corsa, portandolo a un’ora 09’06” (anche in questo caso il precedente risaliva al 2019, un’ora 10’08” dell’ugandese Chekwel). A dimostrazione di quanto il percorso Abano Terme-Padova, con passaggio a Montegrotto Terme, sia davvero molto veloce. 


E l’Italia? Tra le donne la più attesa era senza dubbio Giovanna Epis. La portacolori dei Carabinieri, alla prima gara dopo i Giochi Olimpici di Tokyo, ha chiuso al terzo posto in un’ora 12’37”. «Non sono pienamente soddisfatta perché sapevo di valere un tempo all’altezza del mio personale, ma mi sono trovata presto da sola e sono una che soffre un sacco quando succede. Sono soddisfatta però per gli ultimi 6 chilometri, perché ho saputo reagire: due anni fa non avrei mai corso così». Davanti a lei Sofiia Yaremchuk, in un’ora 11’30”: l’ucraina naturalizzata italiana si è detta «molto contenta e pronta a debuttare alla Venice Marathon sui 42 chilometri». Tusa Rahma ha impostato però da subito una gara in solitario, mostrando che non si arriva per caso tre volte prima alla maratona di Roma, come ha fatto lei fra il 2016 e il 2018.

Stesso discorso, tra gli uomini, per Kipkirchir, che ha chiuso la sua prova a una media superiore ai 21 chilometri orari.
Fra gli atleti top il primo a staccarsi è stato Meucci, tra il terzo e il quarto chilometro. Intorno al decimo è stato Rotich Kemoi a perdere terreno, con Kipchirchir rimasto solo con l’esordiente David Irungu. Tre chilometri spalla a spalla per i due, poi il vincitore l’ha staccato, entrando in città in solitario e continuando a spingere fino al traguardo. Dal canto il campione europeo di Zurigo 2014 Daniele Meucci, quinto, ha commentato: «Ho perso presto il ritmo dei primi, rimanendo da solo. Tutto sommato è stato un buon test, tenendo conto che non correvo una mezza maratona da un paio d’anni».

La novità di questa edizione è stata la 10 km Rise and Run, corsa competitiva che ha visto le vittorie di Alessandro Giacobazzi in 30’33” e dell’atleta di casa Laura Dalla Montà, in 37’02”.


Non era invece “agonistica” la Stracittadina di 5 chilometri, ma è stata davvero un successo di partecipazione, tanto più se si considera che si è svolta anch’essa in pieno rispetto delle normative anti-Covid, con controllo del Green pass dei partecipanti.  

«È stata una festa», ha affermato alla fine Leopoldo Destro, presidente di Assindustria Sport, società organizzatrice, «e si è svolta in tutta sicurezza. È l’edizione della ripartenza e Padova ha risposto presente assieme a tutto il suo territorio. Ora l’auspicio è quello di ritrovarsi il 24 aprile 2022, collocazione originaria del nostro evento, tornando a proporre la prova da 42 chilometri».
A proposito di numeri: erano 1.500 gli iscritti alla mezza maratona (ma 1146 i classificati, NdR), 247  sono gli arrivati nella 10km Rise and Run e 2.500 i partecipanti alla Stracittadina: in tutto, quindi, quasi 4.000 le persone che hanno indossato pantaloncini e t-shirt per tornare a correre.

Una sintesi di 35 minuti dell’evento andrà in onda su Rai Sport questo lunedì 27 settembre alle 16.45, con replica nei giorni successivi: il commento tecnico è affidato a Franco Bragagna.

Tutti i risultati della Padova Marathon sono disponibili in tempo reale al link https://www.endu.net/it/events/padovamarathon/results.

 

CLASSIFICHE

Padova Half Marathon. UOMINI: 1. Victor Kipchirchir (Ken) 59’19”, 2. David Ngure Irungu (Ken) 59’47”, 3. Andrew Rotich Kwemoi (Uga) 1h01’10”, 4. Mohammed Ziani (Mar) 1h01’16”, 5. Daniele Meucci (C.S. Esercito) 1h02’40”, 6. Kiprotich Rono Aggrey (Ken) 1h03’31”, 7. Josphat Too Kipcirchir (Ken) 1h03’58”, 8. Andrea Mason (Silca Ultralite Vittorio Veneto) 1h07’22”, 9. Andrea Astolfi (Cus Pro Patria Milano) 1h09’58”, 10. Alessio Milani (Atl. Monfalcone) 1h13’36”.

DONNE: 1. Rahma Tusa Chota (Eti) 1h09’06”, 2. Sofia Yaremchuk (C.S. Esercito) 1h11’30”, 3. Giovanna Epis (Carabinieri) 1h12’37”, 4. Elisabetta Manenti (Atl. Pianura Bergamasca) 1h22’04”, 5. Erika Michielan (Amatori Atl. Chirignago) 1h23’36”, 6. Lisa Carraro (Vicenza Marathon) 1h25’23”, 7. Laura Cavara (Asd Polisportiva Brentella) 1h29’18”, 8. Arianna Facchi (Atl. Gavardo ’90) 1h32’03”, 9. Nadiya Sukharyna (Ukr) 1h34’38”, 10. Livia Maria Soldati (Atl. Libertas Unicusano Livorno) 1h34’01”.    

Rise and Run (10 km). UOMINI: 1. Alessandro Giacobazzi (C.S. Aeronautica Militare) 30’33”, 2. Zohair Zahir (Atl. Virtus Lucca) 31’45”, 3. Giacomo Esposito (Atl. San Biagio) 31’53”, 4. Omar Zampis (Assindustria Sport) 32’01”, 5. Thomas D’Este (Assindustria Sport) 32’36”, 6. Federico Valandro (Assindustria Sport) 33’07”, 7. Dario Meneghini (Team Km Sport) 34’18”, 8. Giorgio Giacalone (A.S. Dil. Palermo H 13.30) 34’26”, 9. Federico Lazzaro (Cus Padova) 35’21”, 10. Giacomo Marcato (Assindustria Sport) 35’49”. 

DONNE: 1. Laura Dalla Montà (Assindustria Sport) 37’02”, 2. Chiara Pizzolato (Atl. Vicentina) 37’41”, 3. Anna Frigerio (Free-Zone) 38’31”, 4. Laura De Marco (Assindustria Sport) 38’39”, 5. Veronica Bacci (Team Km Sport) 39’26”, 6. Angela Luise (Atl. Audace Noale) 39’47”, 7. Diletta Moressa (G.A. Aristide Coin Venezia 1949) 42’07”, 8. Elisa Agostini 42’14”, 9. Magdalena Peruzzi (Policiano Arezzo Atletica) 44’21”, 10. Giorgia Mattiello (Venezia Runners Atl. Murano) 45’19”.     

 2. [F. M.] In una giornata così densa di eventi podistici ad alto livello (mezze di Arezzo, Ferrara, Milano, Bassano e Pordenone, Trenta Trentina, trail vari, ecc.) ho deciso di tornare a Padova, esattamente dieci anni dopo l’ultima maratona che ci avevo corso, e allora partiva da Campodarsego (mentre dal 2016 il tracciato era divenuto circolare, con partenza e arrivo da Padova, e Abano diveniva il punto di passaggio alla mezza, nonché partenza per la 21.097 collegata).

I tempi non sono ancora maturi per una grande maratona ‘intera’: pensare che in questo stesso giorno si sta correndo la maratona di Berlino con 25mila partecipanti, per di più nel giorno delle elezioni politiche (in Italia avrebbero vietato tutto; la maratona di Bologna del 1996 praticamente fallì per aver osato svolgersi, in sfida alle istituzioni, nel giorno poi celebrato dal film Aprile di Moretti).

Non è semplicissimo, per noi foresti, arrivare al ritrovo dello stadio di Monteortone (frazione, quasi un quartiere, di Abano), e con mia sorpresa parecchi degli addetti, che già dalle 7 presidiano il percorso, non sanno darmi indicazioni: finalmente mi imbatto in una pattuglia di vigili le cui dritte mi fanno arrivare sul posto, ampiamente fornito di parcheggi e servizi, inclusa la pista dello stadio a nostra disposizione per il riscaldamento.
Celere la consegna dei pettorali (previa esibizione del cosiddetto greenpass, mentre la misurazione della temperatura avverrà un po’ a rilento al momento dell’ingresso nelle ‘gabbie’). Partenze scaglionate per gruppi di 450, tra le 8,30 e le 8,50 (partire nell’ultimo blocco dà la soddisfazione di sapere che tutti i sorpassi eseguiti in gara sono ‘veri’, cioè chi ci resta dietro, è dietro per davvero…); obbligo di mascherina nelle prime centinaia di metri, in adeguamento alle norme Fidal un po’ talebane; ma tant’è, chi comanda ha sempre ragione (poi sugli spalti del calcio fanno quello che gli pare).

Clima umido, quasi afoso, che induce molti a correre in canottiera, e qualche signora più audace e/o piacente al duepezzi; ma il cielo coperto e la temperatura non altissima (sui 15 gradi in partenza) invita altri a non risparmiare sui vestiti. Peraltro, pioverà solo verso le 14, quando i giochi saranno fatti. 
La prima metà della gara si attorciglia tra Abano e Montegrotto, su strade larghe e assolutamente esenti dal traffico come nello stile padovano (nel capoluogo hanno addirittura interrotto il servizio tranviario dal parcheggio di Guizza, consigliato per noi, a Prato della Valle: ci sono autobus e percorsi sostitutivi): al km 11 finalmente attraversiamo il confine tra Abano e Padova, e d’ora in avanti il nostro chilometraggio sarà accompagnato, a poche decine di metri, da quello un po’ sbiadito della maratona ‘intera’ (l’11 equivale al 32, e così via fino all’ingresso in città). 
Tra noi c’è anche qualche marciatore: apprezziamo molto una giovanissima locale in maglietta gialla che, con un perfetto tacco-punta e ginocchio bloccato a prova del giudice più occhiuto, fila ai 5:20/5:30 a km lasciando inevitabilmente dietro noi che invece 'crediamo' di correre.
Tutt'altro tipo di emozione, diciamo 'patriottica', sta nell'incrociare, in territorio di Montegrotto, una lunga via intitolata a "Professor Luigi Di Bella", il generoso medico modenese avversato dalla comunità scientifica nazionale: a torto o a ragione non ho gli strumenti per dirlo, ma posso garantire che Di Bella non ha mai preso una lira dai suoi pazienti, e vorrei che lo stesso fosse dei personaggi citati tre righe sotto.

Ristori di acqua e tè in bottiglia, regolarmente ogni 5 km, più uno suppletivo in prossimità delle mura cittadine; due controlli intermedi col chip, e classifica col real-time. Rispetto al dichiarato, mancano invece gli spugnaggi: evidentemente i talk show dei virologi hanno stabilito che sono ancora pericolosi, e non ci resta che abbozzare; come pure dobbiamo prelevare di persona dai vassoi la nostra bella e originale medaglia.

Gli ultimi 2,5 km  - sebbene più penosi per le piante dei piedi, causa ciottoli del fondo stradale) sono davvero una delizia per gli occhi; il nostro giro, accuratamente transennato, ci porta attraverso le principali bellezze del centro cittadino: piazza del Duomo, Torre dell’Orologio, piazza dei Signori, il Bò, basilica di S. Antonio (passiamo proprio sotto la statua donatellesca del Gattamelata), e infine il grandioso slargo di Prato della Valle, ottimo per gli spazi a disposizione di una prima vestizione dopo il recupero delle sacche trasportate dalla partenza (in mancanza di docce, ci si arrangia con le fontanelle presenti intorno).

Rimane rigorosa la separazione dal pubblico dei familiari; e un ulteriore esempio della ‘protezione’ cui siamo sottoposti l’avrò quando, verso mezzogiorno, vorrò uscire per traversare la strada ed entrare nell’attigua basilica di S. Giustina: vietatissimo, mancano due minuti alla partenza della non competitiva, e il serpentone sarà così lungo che nel frattempo opterò per visitare la non lontana basilica del Santo. Ma Padova è una città talmente bella che merita ben più di una visita del post-maratona.

Gli organizzatori garantiscono che il prossimo 24 aprile torneranno anche i 42: se le premesse sono queste, sarà una grande e bella festa della ‘resilienza’. 

 

 

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12 settembre - … Me l’ha fatto notare una podista venuta fin da Berlino per camminare qua: è la prima volta che al termine della gara c’è un tavolone ricco di prelibatezze (metto personalmente sul podio l’uva dai grandi acini succosi; foto 53), cui tutti possono attingere, senza l’obbligo di prendersi il sacchetto con le cibarie e smammare il prima possibile. D’accordo, non eravamo tantissimi (poco più di un centinaio secondo le cifre diramate), essendo la partecipazione limitata dalla vicina e ‘ufficiale’ gara di Borzano dove pare si sia sfiorato il mezzo migliaio di presenze; dunque era facile mantenere il distanziamento all’interno del bellissimo cortile nel Borgo di Casa Maffei (foto 10-11, 14) dove si erano svolte tutte le operazioni di iscrizione (5 euro, senza preiscrizioni o data di scadenza, e senza pacco gara). D’altronde, sugli spalti degli stadi, in questa giornata, la mascherina sembra un oggetto vietato (la porterà l’1% dei tifosi, oltre tutto a contatto strettissimo), dunque ancora una volta non saremo noi podisti gli untori della prossima inevitabile “ondata”. Notevole qui da noi anche la presenza di ampie e confortevoli toilette in muratura, dove non si è mai dovuto fare la fila: negli stadi invece, non saprei come sono messi.

Partenza, in gruppo, con 5 minuti di ritardo perché le iscrizioni si erano protratte (ultimo o quasi era arrivato il Cuoghi della Cavazzona in foto 19, raccontando che la sua auto si era diretta in automatico verso Borzano, ma quando lui se ne era accorto aveva invertito la marcia e puntato su Roteglia).

Percorso mai collaudato in gare, sebbene qualche suo pezzo più corribile facesse parte di una classica camminata preserale dello stesso paese, grosso modo in questa stagione; e soprattutto, noi foresti ci siamo meravigliati arrivando, dopo 3 km e mezzo, e tornandoci dopo 8 km se avevamo scelto il giro lungo di 15 km (+880 D, che però il mio Gps riduce a 620), in un agriturismo intorno a quota 400 che era la sede di una “camminata di San Valentino”, più o meno all’epoca della festa di S. Anna. Gradito ritorno, augurale per futuri eventi: notevole che Italo (fotografo ‘della concorrenza’, ma pur sempre un amico), dopo averci fotografati in partenza, sia già arrivato lì per ulteriori scatti (foto 3, poi 26-30).

Diciamola tutta: non siamo né sulle Dolomiti né perlomeno sul Monte Valestra che si staglia nelle vicinanze: qui si corre sui calanchi, in parte sventrati dall’industria delle piastrelle, e dove i tipi di terreno a fatica permettono la nascita di arbusti e fiori (però mi sorprendo a vedere parecchi bucaneve, se sono davvero loro, nel sottobosco). Si sta quasi sempre su stradette bianche, a volte sassose, che la seccaggine ha cosparso di crepe, capaci a volte di trasformarsi in tagli che inducono frane. Giunti in quota si hanno belle visioni, ad esempio su quella “big bench” (mega panchina per salire sulla quale ci sono dei gradini) verso il sesto km; oppure sul Monte Stadola, circa 440 metri (cioè 250 metri più su della partenza-arrivo), dove pare di riconoscere (a me e al fido Paolo Giaroli) il tracciato di una antica camminata di San Valentino, che facevamo in senso inverso, talora imbattendoci in capre al pascolo.

Il percorso è ampiamente segnalato da bandelle, con una piccola defaillance (parlo sempre a nome dei foresti) verso il km 13/14: qui, un cartello non ufficiale (?) informa che tenendo il centro-destra si arriva al Pilastrino (che dà il nome alla gara), una chiesetta commemorativa su un cocuzzolo; ma i pendagli biancorossi portano a sinistra, in direzione di un’altra chiesa (“Maestà Nera”) che ci attira anche col suo scampanare. Risultato: chi segue il percorso ufficiale non passerà né dal Pilastrino né dalla Maestà Nera (che resta sopra); solo i più curiosi o i meno agonisti fanno la deviazione turistica, che avrei fatto anch’io se avessi conosciuto la topografia locale.

Pazienza, mi accontento di foto panoramiche, prima di scendere, lungo una stradetta con uno strano e fastidioso acciottolato antisdrucciolo, di nuovo verso Roteglia (eccola apparire in foto 52): dove c’è di nuovo Italo a fotografarci, quasi tutti con una gran fiacca addosso, salvo signore pimpanti come quella delle foto 24 e 53-54, che -come diceva Carlo Porta - “desdott in fira [bè, qui sono 15] e fresca cum un oeuv”.

Arrivano Giaroli e le sorelle Gandolfi (foto 6 e 13), arriva Cuoghi, arriva il nutrito gruppetto della Guglia di Sassuolo capitanato dalla signora Emilia e dalla sua seconda mamma Silvana. Si suda (verso le 11 stiamo intorno ai 28 gradi), ci si accovaccia sul prato, si cerca l’ombra, sorseggiando cola o succhi di frutta e sgranocchiando la squisita uva di cui sopra. La festa è finita, oppure siamo solo agli antipasti della festa grande della Liberazione?

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22 agosto –Anche quest’anno, come nel 2020, la “5 Passi in Val Carlina”, competitiva e non competitiva, era stata da tempo annullata, come capitato a quasi tutte le altre corse sotto l’egida del coordinamento bolognese. Ma come l’anno scorso, Federico Pasquali, organizzatore da anni della gara intitolata al papà Giorgio, ha tenuto duro ed ha invitato chi voleva a presentarsi in piazza a Lizzano per i soliti due percorsi, di 9 e 17 km circa (quello lungo era stato leggermente limato nella parte finale, evitando il centro di Vidiciatico con l’attraversamento di un parchetto pubblico).
Questa cocciutaggine a fin di bene mi è sembrata anche un estremo tributo ad Angelo Pareschi (già presidente del Coordinamento di Bologna, e di cui questo sabato si sono tenute le esequie), che, anche da ex, privato cittadino osteggiato dalla nuova dirigenza “per danno d’immagine” (ma come si fa a danneggiare l’immagine di un buco nero?), durante l’ultimo anno e mezzo si era adoperato per garantire un minimo di attività ludico-motoria ai compatrioti: e la presenza di Claudio Bernagozzi tra gli organizzatori di Lizzano è un tratto d’unione tra chi ci ha lasciato e chi continua. Da notare che, a parte una non competitiva agli estremi limiti della provincia di Piacenza, questa di Lizzano era l’unica corsa del week end in tutta la regione Emilia-Romagna.
La partecipazione non è stata ovviamente rilevante: l’iscrizione era ad offerta libera da devolvere in beneficenza, e dava addirittura diritto a un pacco gara oltre che al sorteggio di premi a sorpresa. Si partiva in una finestra tra le 8.30 e le 9, ma anche prima c’era chi aveva preso il via, confidando nell’egregia segnatura del percorso che non ha mai suscitato dubbi anche in mancanza di sbandieratori in qualche punto cruciale (personalmente ne ho incontrati due, ma anche dove non c’erano esseri umani, le frecce arancioni sull’asfalto e i vistosi cartelloni appesi agli alberi erano chiarissimi).
Il percorso lungo, dal dislivello di circa 450 metri in su e in giù (dai 630 di Lizzano al punto più alto di La Cà, 930 metri tra i km 11 e 13), era equamente diviso tra asfalto e sterrato, col decimo km su un’autentica mulattiera (questa, ben difficilmente corribile ma esteticamente molto gradevole) che risaliva dal laghetto del Dardagna a Poggiol Forato. Da lì si riprendeva la strada asfaltata (a parte un ulteriore km su sentiero) che in senso antiorario sfiorava appunto Vidiciatico raggiungendo infine Lizzano attraverso la frescura di un bosco compreso nel Parco Corno alle Scale e frequentato da tanti camminatori.
Non erano previsti ristori, ma eravamo stati allertati sulla presenza ai lati del tracciato di numerose fontanelle pubbliche (ne ho contate almeno 5, oltre a quella monumentale nella piazza di partenza/arrivo) da cui sgorga un’acqua freschissima e ricercata dai tanti ‘civili’ che vanno lì a rifornire bottiglie e taniche. La stessa acqua freschissima che nei ristoranti locali è messa in tavola gratuitamente, con giusta nonchalance verso le minerali in bottiglia.
Dice un proverbio bolognese (e largamente diffuso anche altrove) Bisaggna tor quall ch’ Dio manda: speriamo che l’anno prossimo, il buon Dio e degli amministratori più avveduti ci restituiscano la pratica sportiva “come Dio comanda”.

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7 agosto – Nel settimo anniversario della scomparsa di Giancarlo Corà, fondatore e rifondatore (1993-2003) della società Corriferrara, già inventore della maratonina di Ferrara (la cui prossima edizione si svolgerà il 26 del mese prossimo) e della Diecimiglia, e resuscitatore nel marzo 2011 della maratona della sua città (qui sotto riporto uno stralcio dal mio commento di allora), il figlio Massimo e tutto il suo gruppo sportivo hanno riportato in vita, in questa fase di Covid sperabilmente calante, anche il trail del Castello di Mesola, ideato nel 2017 su una distanza inizialmente quantificata in 25 km. In un angolo della maglietta-omaggio sta scritto “Da allora tra le stelle corri con noi!”.
Questa volta le distanze ufficiali erano di 21 e 10 km per le due gare competitive (cui si aggiungeva una 10 km ludico-motoria): in realtà, i nostri Gps hanno indicato distanze tra i 22,7 e i 23,5, con un dislivello di circa 90 metri, che sembrerebbe difficile in un’area che sta in parte sotto il livello del mare, eppure è stato realizzato, soprattutto con le salite e discese lungo l’argine del Po nei primi 8 e negli ultimi 2 km. Il numero di iscritti era stato limitato, per prudenza, a 350 (150 ciascuno nelle due competitive, più 50 camminatori), e già una settimana prima dell’evento le liste erano state completate.
Ci si è poi messa di mezzo l’ “invenzione” del green-pass (nome barbaro, che nessun paese estero usa: ma noi se vò ffò l’americani der Kansas City), che sebbene ridimensionata dalla solita arte del compromesso (a pranzo su un lido ferrarese, poche ore prima, nessuno mi ha chiesto niente), era stata introdotta nel regolamento, causando la presumibile rinuncia di molti iscritti: sta di fatto che la classifica finale annovera 127 arrivati per il giro corto e solo 96 per il lungo; sebbene in quest’ultimo i partenti fossero una ventina in più, finiti poi nei ritirati anche per l’urgere del tmax fissato in 3 ore. Da aggiungere poi la schiera dei non competitivi.
Garantisco comunque che, all’ingresso nella bellissima piazza del Castello di Mesola, sotto l’argine del Po di Goro, i controlli sono stati scrupolosi (foto 22; il collega podista che mi precedeva nella fila ha avuto problemi, perché il suo cellulare aveva il vetro spaccato non permettendo allo scanner del controllo di leggerlo bene); dopo dei quali, e della misurazione della temperatura (questa, operazione davvero inutile, capace di far sfuggire gli asintomatici e invece di bloccare chi ha la febbre per un ascesso dentale), ci hanno avvolto attorno al polso un braccialetto cartaceo, che a nessuno è sembrato imitare la stella di Davide. Signori no-tutto, quando all’ingresso in certi musei, dopo che avete pagato, vi appiccicano alla giacca un adesivo di libera circolazione, vi sentite davvero degli ebrei perseguitati?
Dopo la benedizione del sindaco e del parroco, partenze in mascherina (chi ce l’ha, chi no, chi se la toglie subito: quando vedo che non l’ha quasi più nessuno, dopo 250 metri me la metto anch’io al braccio), differenziate di un quarto d’ora tra i due percorsi. In teoria ci sarebbe una minima dotazione obbligatoria per chi fa il lungo, ma non tutti abbiamo uno zainetto o marsupio per contenere gli attrezzi (il mezzo litro d’acqua sembra richiesta eccessiva, a fronte dei 4 ristori con acqua, talora anche tè e succhi, disposti lungo il percorso).
La gara breve è vinta da una vecchia conoscenza di queste parti, Rudy Magagnoli, in 37:07 con 40 secondi di vantaggio sull’altro ferrarese Mattia Bergossi (totale 96 uomini arrivati). Molto più lento il ritmo delle 31 donne, regolato da Francesca Moscardo in 47:09, due minuti sulla seconda Alice Munerato.
La vincitrice appartiene al GR Taglio di Po, località che nella storia si è rivelata fatale a Mesola: che quando fu fondata, a fine Cinquecento, era un’isola, avamposto sul golfo di Goro e Volano dove sorgevano i porti dello stato estense; se non che all’inizio del Seicento, quando il papa estorse Ferrara agli Estensi, i veneziani si vendicarono deviando il Po appunto nella località che fu chiamata “Taglio”, e mandando il fiume (foto 11, 15) con tutti i suoi detriti a ostruire i porti ferraresi, salvando però la laguna di Venezia (dove adesso, nel loro stile-piangina, piangono per l’acqua alta). Risultato, il Delta si espanse nella maniera che vediamo oggi dalle carte geografiche, creando un’infinità di paludi malsane da cui solo le grandi bonifiche tra Otto e Novecento (ben visibili durante il giro lungo) ci hanno salvato, favorendo il proliferare dei cervi e delle zecche loro ospiti abituali (una ha provato a mordere sul collo pure me, ma ha cambiato idea presto).
Più del doppio di tempo hanno impiegato i protagonisti dei 21 o meglio 23, che per almeno 7 km si svolgevano dentro il Boscone della Mesola, su sentieri e carrarecce, spesso con l’insidia delle radici emergenti (e con un clima che, all’interno del bosco di latifoglie, era ancora più pesante che nei tratti all’aria aperta). Ha vinto Giuseppe Del Priore dell’Edera Forlì in 1.23:55, con due minuti abbondanti sul “figlio d’arte” Fulvio Favaron tesserato Zola Predosa, e 8 minuti sul terzo, l’altro bolognese Christian Dall’Olio. Le 14 donne superstiti sono state regolate da una ferrarese ‘ariosa’, Elena Agnoletto da Formignana in 1.44:01, tre minuti su Giorgia Bonci da Russi, e addirittura nove sulla terza, Federica De Caria.
Sentiero ben segnato, e come detto da Corà in partenza, “nel dubbio tirate dritto”: sufficiente la presenza di addetti, con spade luminose nel finale, agli incroci più dubbi. Una sola perplessità ha attanagliato per pochi attimi il sottoscritto e la coppia di triatleti varesini che stavano con me, al km 17 dopo il suggestivo passaggio dalla torre di S. Giustina della foto 16: tirare dritto lungo il canale o tenere la sinistra seguendo certe lucine accese? La soluzione (suggerita dall’ultimo sbandieratore) era tirare dritto, poi tenere la destra a tutti gli incroci, rimanendo insomma sull’argine del canale, a battagliare con le zanzare fino alla risalita finale sull’argine del Po, quando i Gps avevano segnato da un pezzo il km 21 e invece mancava ancora qualcosa fino al traguardo che avevamo visto prima del tramonto (foto 6-7) e ora è illuminato come nella foto 17.

All’arrivo, ci aspettano acqua e birra ghiacciata, una medaglia di legno autentica (la mia ha venti cerchi), un sacchetto ristoro e la possibilità di una modesta risciacquatina negli adiacenti bagni pubblici, aperti ancora dopo le 21 (segno di civiltà, a differenza di quanto capita nelle città insigni dove se hai un certo bisogno devi cercare un cespuglio, e le poche fontanelle pubbliche sono in genere fuori uso).
E’ stata una faticaccia, ma anche l’occasione per conoscere delle aree cosiddette (ex) depresse, come Codigoro (foto 2-3) o la spiaggia di Volano, dove eravamo stati qualche settimana fa dopo la corsa di Pomposa. D’accordo, il mare non sarà quello di Sicilia o Sardegna, ma qua almeno i boschi non bruciano, e alle 9 di sera i 25 gradi possiamo anche considerarli una temperatura accettabile. E' stato anche l'addio alle mie scarpe, ormai scarpacce, Asics gel Pulse H, comprate nel 2015 da Decathlon che me le fece pagare 50 € contro gli 88 del listino; mi hanno accompagnato in 7 maratone, compresa l'ultima New York personale del 2016, e da ultimo nelle tre maratonine autogestite per prati e boschetti corse durante il lockdown di aprile-maggio 2020. Dalla foto 23 vedete che hanno già prestato il loro servizio: deo gratias, amen.

APPENDICE. 28 MARZO 2011. Giancarlo Corà e la rinascita della Maratona di Ferrara (cronaca d’epoca)

Molto nobile l’idea dell’attivissimo Corà, e del team che organizzava la grande maratonina di Ferrara, di subentrare alla vecchia e non meno gloriosa organizzazione della maratona di Vigarano (la cui decadenza cominciò proprio col trasferimento a Ferrara), che nel 2010 aveva gettato la spugna protestando, fra l’altro, contro la concorrenza sleale di Treviso (oltre che quella, meno prevedibile, di un turno elettorale). E se è destino che Treviso intralcerà sempre una maratona emiliana (nel suo gioco di squadra, più o meno voluto, con Roma: prima vittima, temporibus illis, fu Piacenza), era tuttavia giusto che una delle culle del maratonismo italiano e una delle regioni dalla pratica podistica più elevata e popolare ritrovassero la loro maratona, apprezzata non per i coloured strapagati ma per la partecipazione di noi ‘poveri’, dilettanti puri (al limite della risparmiosità e della taccagneria).
Dieci euro per l’iscrizione fatta fin dall’anno scorso (e ricordo Corà girare appassionato per tutte le manifestazioni in regione, a raccogliere moduli compilati), 30 euro come cifra massima pagabile alla vigilia, sono quasi da record ovvero da medaglia dei servizi sociali. Tanto più che la rinuncia a una data forte come quella di metà febbraio, che radunava migliaia di appassionati per la mezza e le gare minori non competitive, potrebbe aver privato gli organizzatori di un incasso certo, a fronte di spese per la maratona che sono indubbiamente elevate. Ad esempio il controllo del traffico, rigorosissimo quasi ovunque, ha visto impiegati centinaia di addetti e decine di vigili, polizia stradale e simili: e vada ad onore del team la frasaccia che ho sentito da un fighetto su auto di lusso, bloccata sui viali di Ferrara al nostro secondo rientro, verso mezzogiorno: “Dovreste correre alle 5 di mattina!”; e la risposta fiorita sulla bocca di un podista: “Alle 5 siamo a letto con tua moglie, corriamo dopo!”. A parte che alle 5 di stamattina (se non prima) ci eravamo davvero alzati, noi delle province limitrofe, complice l’inutile ora legale (i cui vantaggi sono paragonabili ai blocchi settimanali del traffico d’inverno, cioè lo zero virgola) e la situazione dei parcheggi ferraresi, non a ridosso della partenza.
Con tutto questo, alla fine la maratona registra 644 arrivati (su circa 800 iscritti; più i 1100 della maratonina), finalmente un italiano (modenese!) al secondo posto: molti meno dei 2200 di Treviso, ma un progresso rispetto ai 500 scarsi delle ultime edizioni 2008 e 2009 della Vigarano/Ferrara; e si consideri l’altra concomitanza della vicinissima Milano Marittima-Ravenna, che ha portato via altri 300 potenziali podisti, oltre alle maratone o “lunghe” minori organizzate in altre regioni. Evitata invece, una volta tanto, la concorrenza della frequentatissima maratonina e corsa regionale di Pieve di Cento, a 30 km.

Diciamo delle tante cose belle, che rendono comunque positiva questa esperienza: intanto, Ferrara è una città tra le più belle d’Italia, e il giro pressoché completo attorno alle mura, circondate da prati dove sgambavano jogger, giovani famiglie con bimbi e cagnetti; il costeggiamento dell’antico Po di Volano, su cui passeggiarono Ariosto e Copernico; l’arrivo dentro il Castello, sono cose che restano nel cuore.

Quanto ai ristori nostri, va elogiata la distribuzione su più tavoli lungo un centinaio di metri ogni volta; un po’ meno la qualità, perché se l’acqua abbondava sempre (e andava a spreco, in bottigliette troppo grandi), e non mancava una misteriosa bevanda idrosalina (abbastanza diluita!), la frutta (mele o arance) compariva solo dal 15, con biscotti dal color di cioccolato, l’uvetta verso il finale (salvo che non me l’avessero mangiata tutta i 460 che mi hanno preceduto!), banane mai. Regolamentari gli spugnaggi, salvo che al principio le spugne erano poche, più avanti venivano pescate da vaschette con acqua stagnante e sempre più marrone, dove non osavo nemmeno intingere la mia spugna personale. Molto abbondanti peraltro gli addetti, anche con passaggio al volo delle bottigliette. Buono il ristoro finale, dove finalmente compariva il tè mancato per tutta la corsa; da notare anche l’offerta del tipico pane ferrarese, purtroppo chiamato Italian Bread nella pubblicità del principale sponsor (il cui nome domina anche la medaglia). Più che adeguato, sempre rapportando al prezzo, il pacco gara, forte di una maglia tecnica a maniche lunghe (ma oggi, coi suoi 20 gradi, era il primo giorno dell’anno che ho corso in maniche corte!), alimentari (incluso aglio tipico!) e bagno schiuma che portavano molto su il peso.

Dopo il traguardo, molti colleghi cercavano le docce che ai tempi gloriosi erano sotto tendoni militari a cento metri dal traguardo (fatto che io ho sempre portato ad esempio, contro quelle maratone opulente che risparmiano sulla doccia); in mancanza di cartelli indicatori, li ho portati alle docce pubbliche della darsena, indicate sul sito, a 5-600 metri e sottodimensionate fin dai tempi della sola maratonina (mi ricordano, un po’ in meglio, le code che si fanno a Russi). Se non altro erano comode al parcheggio, che però si pagava (sia pure la miseria di un euro).

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Martedì, 27 Luglio 2021 00:24

Stelvio Marathon: quanto pesa un pettorale?

24 luglio -Tornare a scrivere di gare trail dopo 20 mesi fa sicuramente un certo effetto… A onor del vero la “mia“ Stelvio Marathon era quella dei marciatori con possibilità di utilizzo  dei bastoncini e senza classifica finale, per me una sorta di  warm up/giro di prova per capire quanto il ginocchio balordo, che al trail del Monte Casto 2019 e al successivo trail di Portofino aveva mollato, avrebbe tenuto, e dove sarei potuto arrivare.

Ventuno km e cento metri la distanza, 2.100 il dislivello positivo da Prato allo Stelvio al Rifugio Garibaldi, posto 90 metri sopra il passo stesso, giusto al confine tra Italia e Svizzera. Rifugio edificato negli anni sessanta sulle rovine del vecchio albergo svizzero bombardato durante la guerra.

Praticamente una lunghissima salita con forse un km tra falsipiani, e discesa quello che mi serviva per non stressare troppo le giunture in discesa.

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7470-prato-allo-stelvio-bz-4-stelvio-marathon.html

Vengo alla cronaca personale: partenza alle 7,15,con 45 minuti di vantaggio sui corridori veri, saremo ad occhio un 60 persone (58 all’arrivo), riscaldamento zero metri (tanto di marcia si tratta), allenamento di 12 km con 800 metri di dislivello, fatti con calma domenica scorsa. Partenza con un po’ di groppo in gola, ovviamente di corsa dietro al gruppetto dei primi 8/10 “ velocisti “, ma passano 300 metri e sono già in affanno. Meno male, inizia la salita, ma perché perdere il treno e farsi raggiungere subito dal gruppo? apri i bastoncini e tieni il passo dei tempi buoni, controlla che il Garmin sia partito, non quello da polso che mi ha abbandonato da tempo bensì quello cartografico da escursionismo che ho nella taschina dello zaino, estrai, controlla : ok funziona, hai fatto 600 metri e sei completamente fuori giri, respiri come un mantice e fra tre minuti a questo ritmo le gambe saranno fritte.

Calma e gesso: rallento e cerco di rimettere le cose a posto, ci vorranno un paio di km per inserire una velocità di crociera adatta alle mie possibilità, se qualcuno sorpassa nessun problema; il mio scopo è arrivare in cima in 7 ore e trequarti (tempo massimo), prima che si sbaracchi tutto.

Si sale in maniera decisa ma su un sentiero di tipo “ autostradale” alternato da tratti di strade carraie praticamente piatte, è in questa prima parte che si trovano gli unici tratti di discesa: appunto sulle menzionate carraie  anche il più accanito dei marciatori non resiste alla tentazione di correre, nemmeno io sfuggo alla regola e, se non proprio di corsa posso parlare, almeno un passo da riscaldamento riesco a tenerlo per alcune centinaia di metri, venendo staccato e sorpassato da corridori da 6’ al km dove agevolmente si potrebbe volare ai 3’50”; piccola soddisfazione la ottengo quando la carraia torna a essere sentiero, se non tecnico, almeno sassoso:  quel po’ di km fatti in passato mi permettono di recuperare terreno e posizioni su titubanti atleti/e dal passo non proprio sicuro. 

Si arriva al paese di Stelvio con un primo fornito ristoro e un gran tifo degli organizzatori e dei pochi spettatori presenti; sto bene e il motore adesso gira al giusto regime mentre le gambe non danno segni di ribellione. Affronto di nuovo la salita e cerco di godermi la sensazione di avere un traguardo da raggiungere su un sentiero di montagna con panorami che, pur se in parte nascosti dalle nuvole, ripagano dello sforzo fatto. Non sono in gara se non con me stesso e il mio ginocchio, e ho quel  “522” stampato su un foglio con il mio nome che mi sbatte sulla pancia appeso alla cintura elastica: ma quanto può pesare un foglio di carta?!

Secondo ristoro , mangio e soprattutto bevo visto il caldo e l’umidità, poi penso ai 35 gradi della pianura e mi rincuoro, estraggo di nuovo il gps: sono quasi 10 km in meno di due ore, una iniezione di fiducia; sono vicino a metà percorso e la  speranza di farcela in 6 ore mi concede 4 ore per i prossimi 11 km, che so essere molto più impegnativi di quelli già percorsi.

Se fino a qui avrei parlato, nei tempi andati, di una ecomaratona o tuttalpiù di un “trailino”, da qui in avanti la componente trail si farà più marcata con 5/6 km di vera arrampicata su sentieri finalmente tecnici e impegnativi come pendenza, con alcuni tratti “ valdostani“ su sentieri-non sentieri,  spesso su rocce, che mi hanno ricordato l’ascensione alla “Crenna dou  Leui“ che salendo dal Lago Chiaro attraversa la montagna per scendere al Colle della Vecchia poco dopo la metà percorso del “Tor de Geants”. 

Il sentiero monotraccia a mezza costa sale decisamente e numerosi sono i concorrenti competitivi che mi superano, concedendomi peraltro quelle soste di pochi secondi che mi hanno permesso di tenere a bada crampi sempre incipienti. A un punto di controllo chiedo a un giovane volontario del Soccorso Alpino quanto manca: 5 km, e 500 metri di salita, la risposta; anche se in realtà siamo solo 200 metri di quota sotto l’arrivo,  ma ci aspettano molti su e giù. Bene per i 5 km, meno bene per i 500D+ ; ma testa bassa, anche per il vento, e proseguiamo; al successivo punto di controllo i km rimasti sono tre e non credo assolutamente di essere salito più di 100 metri: o l’indicazione era sbagliata o mi aspetta un inferno di salita: fortunatamente la prima ipotesi era quella giusta.

Poco prima del termine della salita un gruppo nutrito di spettatori fa un tifo allegro e rumoroso incitando i concorrenti al leggerne il nome sul pettorale; ringrazio e svoltando per la montagna nell’ordine succede che: un vento fortissimo mi investe in pieno, in lontananza vedo le costruzioni del Passo Stelvio illuminate da un sole pieno in un raro momento di sereno, realizzo che ormai ce l’ho fatta, mi metto a piangere.

Mi aspettano poco meno di tre km che saranno tra i più belli che ho corso in 13 anni di trail: due anfiteatri immensi a picco sui tornanti che salgono al passo percorsi da un sentiero a mezza costa su un pendio fatto di sassi fini; e qui si sviluppa in me una sorta di dicotomia tra gambe e testa, le prime che essendosi risparmiate fino a quel punto vogliono correre; la testa che cerca di tenerle a freno perché tre km sono lunghi e mollarci adesso sarebbe sciocco. Risultato 100, 200, 300 mt di corsa e poi camminata per un paio di minuti, e via di nuovo 100 metri e stop fino al secondo anfiteatro che è in salita. Qui la testa ha la sua rivincita: “te l’avevo detto! “.

Altri 10/12 minuti e ci siamo: mancano meno di 500 metri: testa , gambe, chi scrive di nuovo con le lacrime agli occhi, tutti d’accordo, tolgono i freni andiamo a passare il traguardo in 5 ore e 2 minuti. Non chiedevo tanto.

Marina, come sempre , mi aspetta al traguardo: tutto a posto!

Se qualcuno mi leggerà, spero non resti deluso da questa, non cronaca di una gara ma resoconto di una esperienza che ha suscitato in me sensazioni raramente provate prima: confido di non aver annoiato.

 

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18 luglio - Si è corsa la prima edizione della Campitello Matese Run in the Sky, un’edizione caratterizzata dal maltempo, ma soprattutto dalla passione e dalla voglia di rimettersi in gioco dei tanti runner accorsi ai nastri di partenza. A quota 1500 metri e in condizioni meteo avverse, si sono presentati 70 atleti, giunti dal Molise, Lazio, Abruzzo, Puglia e Campania. 

 

“Un successo, se pensiamo alle condizioni atmosferiche degli ultimi due giorni. Per fortuna abbiamo avuto una tregua durante l’arco della gara”, ha dichiarato Andrea Fontanella, presidente dell’Asd Stabiaequa Half Marathon al termine della gara, che ha, poi, aggiunto: “E’ stato bello vedere tanti atleti felici alla partenza e al traguardo. Alcuni atleti erano particolarmente commossi all’arrivo, sintomo che il ritorno alle corse è stato un momento importante per staccare dai brutti momenti che abbiamo vissuto”.

 

La gara è stata molto apprezzata per gli scenari spettacolari in cui si è corsa, per un percorso mai banale e sempre ricco di scorci. Basti pensare che i runner hanno goduto della compagnia di cavalli e mucche mentre correvano sul manto erboso del pianoro. Nel dopo gara, gli atleti e tutti i presenti hanno apprezzato la presenza degli stand sportivi dei vari sponsor.

 

La gara di 9,5 Km su percorso misto (campestre, strada, trail) è stata vinta da Mario Capuani dell’Atletica Venafro nel tempo di 35’53”, seguito dal compagno di squadra Nawratil Andrea (36’44”) che ha battuto di qualche secondo Volpacchio Nicola della Podistica Avis Campobasso (36’48”). Per le donne, la prima al traguardo è stata Bornaschella Anna dell’Atletica Venafro (45’17”), seconda Evangelista Francesca della Gruppo Sportivo Virtus (51’22”) e terza Polsinella Anna Felicita della Pol. Ciociara Antonio Fava (52’55”).

 

Ricchi premi per i vincitori assoluti e di categoria maschili, premiate tutte le donne al traguardo, sia della competitiva che della scarpinata a passo libero.

La gara è stata organizzata dalla Asd Stabiaequa Half Marathon, in collaborazione con il Comune di San Massimo (CB) sotto l’egida della UISP Sport per Tutti, che hanno già dato appuntamento al prossimo anno per la seconda edizione.

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Domenica 30 maggio, la voglia di uscire, di riassaporare quello che è stato e che spero sia ancora il mio mondo sportivo al quale sono più legato e appassionato, ovvero l’Atletica e la corsa su strada, mi ha spinto per via: così ho deciso di recarmi a Ravenna per seguire e vedere questa prima edizione della Ravenna Music Race sotto l’egida del Ravenna Runners Club e l’abile guida del patron Stefano Righini.
Un’uscita che fa seguito ad una sorta di aperitivo che mi ero preso, con una apparizione all’Autodromo di Imola per seguire le fasi finali del Campionato Italiano della 100 km, memore in quel luogo di tanti ricordi che andavano dal giro dei Tre Monti alla Staffetta 3 x 5000.
A Imola vi erano gli appassionati dei lunghissimi, questa volta voglio vedere come riparte il podismo di più corta distanza. Sono quindi partito di buon mattino per arrivare nella zona Darsena di Ravenna, e già i primi avvistamenti erano molto positivi, ma non voglio fare il solito racconto abituale “sono arrivato, ho visto, salutato e altro”, ma delle constatazioni sull’organizzazione, sulle modalità di esecuzione in base alle vigenti regole di sicurezza dettate dall’Unità Sanitaria in base alla pandemia che ci ha colpito.
Vado a ruota libera, in primis complimenti a tutti i partecipanti, ho visto tutti, ma dico tutti, con relativa mascherina sul volto ben messa, poi le partenze tutte ad ondate, in primis le due della competitiva, poi quelle della ludico motoria tutte ben distanziate tra di loro per tempi e anche per distanziamento nell’area del via con centinaia di segni sul terreno che assegnavano a tutti il posto dove porsi e relativo spazio da osservare.
Ritiro pacco gara, ristori come da regole di sicurezza igienica ben fatte, ma vengo alla chicca che ho visto nella zona arrivo, diversa sia pur vicina a quella di partenza: due gentili e brave signore dell’organizzazione con il disinfettante che irroravano le mani degli arrivati, in più a tutti (chi la voleva) veniva data una mascherina chirurgica omologata, molti l’hanno presa e alcuni hanno pure gettato la propria che avevano con sé, nelle scatole appositamente predisposte.
Non vi racconto della parte tecnica dell’evento che, tra l’altro divenuto sotto l’egida Fidal solo negli ultimi giorni o al massimo da una o due settimane, onde evitare misurazioni e controlli di vario genere che in un momento di grandi difficoltà economiche sono solo un sovrapprezzo che non è possibile pagare, non era certamente di 10 km ma sicuramente di almeno 400-500 metri in più.
La gara per gli amanti della competizione è stata vinta per distacco e piuttosto nettamente da Yassine El Fathaoui e Luisa Spagnoli, ma di questo troverete ampia informazione e relativi risultati sui comunicati ufficiali e su questo magazine.

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7259-ravenna-1-ravenna-music-race.html


Un cordiale saluto a tutti e ben ritrovati.

 

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È stata una bella idea l’assegnazione dei campionati italiani master sui 10 km a Paratico, sulla sponda meridionale del lago d’Iseo: non solo per le doti della società organizzatrice, tra le più forti non solo della Lombardia, ma di tutta Italia, come mostrano i titoli nazionali documentati dalla lussuosa brochure di 72 pagine preparata per l’evento (cui si aggiunge l’ennesima vittoria individuale del dottor Menegardi nella vigilia a Imola), ma per la bellezza della zona, giustamente decantata nella presentazione dalle massime autorità federali (da Stefano Mei a Gianni Mauri) e civili.

Per un campionato nazionale, con partecipazione prevista a quattro cifre (come mi aveva anticipato qualche settimana fa Christian Mainini, responsabile Fidal dell’evento) sarebbe stato certamente più comodo quell’allestimento in vitro, e lasciatemi pur dire squallidino, che va di moda adesso, nelle piste degli aeroporti o degli autodromi o dei quartieri industriali delle città, deserti la domenica (così da ‘corrispondere’ alla più insulsa delle prescrizioni anti-Covid, il divieto di spettatori lungo le strade).

Invece Paratico (cittadina che guarda dall’alto quasi tutto il lago, teatro di una vecchia e affascinante maratona in cui casualmente scarpinai col gruppo dei parlamentari maratoneti) ha scelto, per questa edizione speciale del Grand Prix del Sebino, le sue stradine tortuose e in parte strettine del centro storico, con un dislivello complessivo attorno ai 30 metri per ognuno dei tre giri, esattissimamente misurati: opzione in cui si specchia il presidente Ezio Tengattini, atleta vero più volte ritratto in corsa da Roberto Mandelli per queste pagine.
Per ridurre l’assembramento, siamo stati divisi in quattro batterie di circa 400 partecipanti l’una, dalle 9 alle 12,30: e la categoria dei vecchiardi in cui mi trovo fatalmente intruppato ha scontato la levataccia (per l’anticipo della partenza dalle 10,15 alle 9.00, anzi 8,59) con la soddisfazione estetica di correre insieme alle donne e addirittura con l’azzurrabile olimpica Sara Dossena (che personalmente è riuscita a doppiarmi, completando il suo terzo giro proprio mentre stavo concludendo il secondo: ci sta, visto che ho quasi il doppio dei suoi anni…).  A differenza di tanti altri sport, il podismo ha di bello anche che tu puoi gareggiare gomito a gomito coi mostri sacri.

La partenza della gara Femminile e Over70 Maschile

In effetti venivamo da tutta Italia, sebbene ovviamente i residenti nel Centro-Sud (anche da Puglia, Calabria ecc.) fossero in numero minore rispetto ai settentrionali, peraltro da tutte le longitudini comprese quelle friulane: tra i lombardi, faccio la conoscenza (mediata da Mandelli, che con lui corse la London Marathon nel giorno in cui Juliano perpetrò il famoso fallo su Ronaldo...) con Edilio Minetti, presidente dell’Athletic Club Villasanta, che malgrado i suoi tre anni in più mi rifilerà (come previsto) quasi 5 minuti. Parecchi gli emiliani, con tutte le società più rappresentative a cominciare dai plurititolati del Casone Noceto, del Minerva, Gabbi, Castel San Pietro, della Corradini e così via: e ai bordi, c’è un triplete reggiano non male, col citato Mainini a sovrintendere, Roberto Brighenti a intrattenerci al microfono (la sua nuova metafora, prima del via, è “allacciatevi le cinture!”), Morselli a fotografare col suo cannone e prendere appunti per le cronache che usciranno quasi in tempo reale.

Già un’ora avanti il primo sparo, si fatica a parcheggiare l’auto a meno di 500 metri dal ritrovo (mi sarebbe parso utile segnalare la zona del vecchio campo sportivo sotto la chiesa, che invece sfruttiamo in pochissimi).

Ampio e confortevole il parco dove si svolgono le formalità di ritiro dei pettorali e gli altri riti usuali (salvo che manca un deposito borse), ben disciplinato l’accesso al box di partenza. Siccome comanda la Fidal, qui si va col gun time, sebbene, causa la larghezza stradale di 6/7 metri max, gli ultimi di ogni griglia impieghino una quindicina di secondi a passare sotto lo striscione. Dopo un breve lancio quasi in piano, comincia la prima salita verso la parrocchiale, punto più alto del tracciato a circa 220 metri (sui circa 207 della partenza), dopo di che si svolta a sinistra per una stradetta divisa in due dato che dopo 250 metri impone un giro di boa a 180 gradi. Da qui, breve salita e poi prevalenza di discesa, fin che (direbbe Dante, qui evocato in numerosi murales) “noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto”, perché raggiunto il punto più basso a circa 190 metri, dopo 2700 percorsi, abbiamo quello che Brighenti chiama “mangia e bevi”, ma noi che lo percorriamo tre volte definiremmo piuttosto “muretto”: in 300 metri lineari si sale grosso modo di 26 verticali, niente di drammatico sebbene qualche collega di ambo i sessi li faccia di passo.

Ma è il bello di questa gara, e lascia pure che il cardiof segni 178, tanto si deve morire tutti (e comunque non si muore per così poco). Due curve, ed ecco il tappetino che segna la fine di ogni giro, mentre Brighenti continua a snocciolare, senza bisogno di appunti, dati biografici per ciascuno di noi.

Molto bella e ricca la medaglia, consegnata all’arrivo con il sacchetto dei ristori più immediati; non vedo rubinetti o fontanelle, e siccome docce e spogliatoi erano programmaticamente esclusi, ognuno degli arrivati si arrangia come può, o all’aperto o sull’auto propria. Per fortuna, la temperatura è ideale, e anzi la brezza ci asciuga da sé il sudore.


Le classifiche, categoria per categoria, appaiono online poco dopo, presto accompagnate anche dai punteggi validi per la classifica di società (che però non vedo pubblicata sul sito Fidal: serve per le nostre rivalità stracittadine…). Come avete già visto, i risultati sono di eccellenza: lasciando stare la Dossena, al momento su un altro pianeta coi suoi 3:30/km

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7237-35-33-per-sara-dossena-a-paratico-bs.html

il livello complessivo è significativamente mostrato dal fatto che, correndo ai 4’/km, negli M 40 (dove il primo ha filato ai 3:06) non ci si piazza nei primi cento; e il vincitore M 70 ha corso sui 4:07”!

http://podisti.net/index.php/in-evidenza/item/7239-paratico-bs-campionati-italiani-master-uomini.html

In somma, una bella esperienza, un bel ritorno all’agonismo: ha scritto Mei che “le strade devono tornare ‘nostre’; di chi le ama; di chi nella fatica trova gioia e soddisfazione”. Per chiudere col Presidente: è stata “una giornata di festa e di rinascita”. Non fosse per la notizia luttuosa che ci raggiunge dal vicino Mottarone: ripenso a quando ci salivamo per la strada del lago d’Orta che in cima scollina appunto per Stresa, con un passaggio di noi maratoneti proprio nel parco d’arrivo della tragica funivia.

Ci si chiede perché cose del genere debbano succedere nel primo Paese turistico del mondo. Piangendo, rifugiamoci ancora in Dante, che angosciato chiede al sommo Giove se, in tanta indicibile disgrazia, dobbiamo aspettarci “alcun bene in tutto dell’accorger nostro scisso”.

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15 maggio - Questo fine settimana sarà ricordato come il primo di una grande ripresa del nostro sport, che ci auguriamo possa godere di una “progressione esponenziale”: terminologia purtroppo sentita, fino a poco fa, solo per notizie luttuose, e invece questa sembra che sia la volta buona per far tacere i cornacchioni iettatori dello “state a casa” e permettere di ritrovarci gradualmente, con le precauzioni dettate dalla ragionevolezza e dalla scienza, non dal terrorismo antisportivo, invidioso e squalificato dei pantofolai divanisti.
Un sabato e domenica dove (a parte il successo mediatico e tecnico, un po’ in vitro anzi “in bolla”, della maratona di Milano) i trailer si sono sparsi per mezza Italia, in competizioni storiche o comunque affermate come quelle di Cantalupo, Arco, Tarsogno ecc., e in gran numero anche al meraviglioso e non proibitivo Chianti Ultra Trail, su una distanza massima di 73 km con 2700 metri di dislivello, e tre altre lunghezze di 42 (+1400), 20 (+800) e 15 (+570).
I classificati in questi quattro percorsi superano gli 800, cui va aggiunto un numero non definito di quanti, iscritti già dal 2020 alle gare non competitive, si sono trovati la loro corsa cancellata (dato che l’omologazione Uisp e Coni prevedeva solo gare agonistiche), ma non hanno saputo rinunciare alla gioia di mettersi ugualmente le scarpette calpestando le meravigliose strade bianche e gli stupendi sentieri tra vigneti, uliveti e filari di cipressi che caratterizzano questo angolo d’Italia tra i più amichevoli che ci siano: non a caso, scelto per altri percorsi in natura come l’Eroica di Gaiole e il trail di Castelnuovo della Berardenga (territori adiacenti al nostro e nei quali il giro di oggi ha sconfinato).

Dire che Radda (di cui fu podestà anche Francesco Ferrucci, l’eroe ricordato dall’inno di Mameli) sia un borgo tra i più belli d’Italia è vero in assoluto, ma fa torto ai tanti altri borghi del Chianti e della Toscana tutta, dove la dolcezza del paesaggio si sposa a un diffuso rispetto per l’ambiente, alla tutela dei valori agricoli e di quanto ne deriva, in un’armonia da perenne Rinascimento che ti soddisfa i cinque sensi. Chi volesse seguire le orme di Sting, di Mike Jagger, di Richard Gere, Harrison Ford, Madonna, George Clooney e altri che si sono fatti la casa da queste parti, sappia che nel centro di Radda, vicinissimo al palazzo “Flatiron”, è in vendita una torre antica con appartamento adiacente… ma pure altre abitazioni alla portata di podista.
Ma veniamo a noi. Riuscire a correre il CUT non è semplicissimo: l’annullamento dell’edizione 2020, una prima data posta al 20 marzo 2021 che si era dovuta pure cancellare, col rinvio alla data di riserva del 15 maggio di tutte le iscrizioni già perfezionate, aveva fatto apparire le scritte “Sold out” e “Waiting list” da parecchie settimane: per fortuna mi hanno ripescato un mese fa, e sono riuscito a tornare da queste parti, sicuro che qui non ci si sbaglia mai. Da un collega podista apprendo che gli avevano fissato la vaccinazione l’altro ieri, ma lui ha preferito rinviarla piuttosto che perdere quest’occasione! E come lui, tanti altri sono scesi qui, da Rimini, perfino da San Martino in Rio (conoscenti di Morselli!), da Trieste, da Concorezzo, anche solo per non rinunciare ai personali 15 o 20 km in natura.

Mancano ancora quei favolosi pasta-party per cui i toscani sono i primi al mondo: ma torneranno, e nel frattempo le nostre tagliatelle al cinghiale, il riso al Chianti, le grigliate miste ce le gustiamo a piccoli gruppi, magari sotto le volte dei camminamenti medievali, mettendoci qualcosa indosso perché a 500-600 metri l’arietta di primavera si fa sentire.

Il consueto rispetto delle norme sanitarie (che col podismo ha dato risultati eccellenti: non credo di essere semplicemente baciato dalla fortuna se da settembre a oggi ho corso, dal Piemonte al Friuli, dall’Abruzzo all’Umbria alla Toscana, quattro maratone, tre ultratrail, una ultramaratona, un giro a tappe, due maratonine e varie distanze minori, senza mai beccarmi un raffreddore) qui prescrive il ritiro dei pettorali ad orario prefissato (per fortuna, con tolleranze se non c’è affollamento: così la nostra amica Natalina, letteralmente fermata per strada dai tanti che la conoscono, riesce a ritagliarsi un orario tutto suo).
Poi ci sono le partenze scaglionate: dalle 6 in poi, un’ora per ogni tipo di gara, e al suo interno distanziamento di 5 minuti, e comunque partenze anche individuali, a cronometro, entro il proprio spazio, con mascherina nei primi 500 metri. Ancora una volta, San Chip, alla faccia del bacucco gun time, e di quei giudici-arbitri di cui, finita la nostra fatica, sperimenteremo a sera uno splendido esemplare vedendo in tv quel certo derby d’Italia... Nel podismo si sa che chi arriva davanti è più forte, almeno quel giorno, di chi gli arriva dietro, e nessuna diarchia di ducetti impuniti riuscirebbe a rovesciare i valori sanciti dal campo. La mia vecchiaia mi porta in mente quanto scrisse Gianni Brera di Keith Aston, arbitro inglese della mattanza di Cile-Italia 1962: il suo comportamento esclude che fosse venduto, perché gli arbitri venduti la fanno più da furbi.

Ma non intristiamoci: per chi punta a godersi la giornata (di splendido sole, ancora una volta alla faccia dei meteo-astrologi: ne profitto per indossare la maglietta bianca leggera ricevuta al Monte Maggiore Ultratrail, Toscana, 1.3.2020, prima domenica del disastro), i km scorrono più lieti se consumati in compagnia di amici di vecchia data o conosciuti in questa occasione: fino al primo ristoro nel centro di Vagliagli ci sveleremo tutte le reciproche conoscenze con una Michela valdostana (anzi, da Villair di Quart, vicino agli Ottoz e alla Bertone); poi sarà il turno di un trio che, quando lo raggiungo, sta commentando ammirato la stupenda foto di Roberto Mandelli che ritrae un Calcaterra ‘ecologista’ al Parco Nord di Milano. Uno dei tre è quell’Alessio già compagno di fanghi nella Ronda Ghibellina a gennaio, e mi trasmette i saluti per la Natalina che sta correndo intrepida i 73 km.

Dopo una ventina di km viene il secondo ristoro, preannunciato da bottiglie di Chianti (purtroppo chiuse) a Poggio San Polo, sul lembo di una meravigliosa vallata a vigneti: e qui c’è l’enfant du pays Morellino, la cui allegria e le simpatiche considerazioni anti-Suine non hanno freni e vengono trasmesse in diretta whatsapp a Mandelli.

Il disegno del percorso ricorda un lupo in piedi sulle zampe posteriori: fatto il periplo del corpo (Vagliagli era la zampa posteriore sinistra) giungiamo al collo del km 25, nei pressi di Radda e della mirabile chiesetta antica di San Giusto in Salcio. Da qui si affronta la testa del lupo partendo dal sottogola, con le ultime quattro salite in 17 km (contro le tre della prima parte, sempre su e giù fra i 300 e i 530 metri). Attraversamento dell’altro meraviglioso borgo di Vertine (zona-Eroica), prezioso punto-acqua (un rubinettino pubblico) col sole che per noi tardoni picchia in verticale, ora in compagnia di una quasi compaesana e forse mezza parente, Alessandra da Carpi che, olim iscritta ai 20 non competitivi, mentre il marito sta correndo i 73 non è rimasta in albergo e i 20 li fa comunque.
Insieme si arriva al temuto cancello della stupenda villa di Vistarenni al km 36,5; e sebbene un fotografo faccia lo spiritoso dicendoci che mancano 10 minuti al tempo massimo, il tappetino-chip sentenzia che abbiamo due ore e c’è tutto il tempo di sedersi nel parco a consumare in calma il ristoro (come negli altri, acqua gassata e cola in bottiglie sigillate, formaggio, frutta e cibarie in buste chiuse).
E via per l’ultima galoppata (vabbè, a passi tardi e lenti come Petrarca), separandoci dai 73 che invece vanno su per “il Muro”: a noi tocca una dolce discesina, poi le due salite rimanenti, di nuovo in compagnia con gli eroi del lunghissimo: l’ultima, traversando una stupenda tenuta vinicola e infine la casa del Chianti, in un affascinante ex convento sistemato dai vari Ricasoli e Ginori, è la più dura, 100 metri terrosi da rimontare in 2 km. Ma Radda è lì, la voce dello speaker Fabio Fiaschi, presidente toscano e artefice di tante belle gare, ci conforta ed esalta.
Originale e bella la medaglia, e ci possiamo permettere di addentare persino i panini al prosciutto del ristoro finale. È finita… purtroppo, per noi delle distanze minori: mentre quelli dei 73 arriveranno fino alle 20, col cielo che dolcemente si oscura in un sabato chiantigiano da favola.

I chip di Endu fanno rapidamente il loro dovere, e le classifiche sono immediate.
Per i due percorsi maggiori si veda il report istantaneo che Mandelli ha ottenuto dalle due ragazze sue conterranee. http://podisti.net/index.php/cronache/item/7216-una-bottiglia-di-chianti-per-rifarsi-delle-tante-salite.html#!09.05.2021_Radda_in_Chianti_Ultra_Trail_0001_

Sui 15 km +570 m (113 arrivati) vincono Luca Rosi in 1.06:40 e Martina Brustolon in 1.13:24; sui 20 km + 800 m (189 classificati) Michele Meridio in 1.24:12 e Giulia Zaltron 1.48:43.

Ma abbiamo vinto tutti, fino ad Angiolino Zanardi, veronese, che in 13h55 chiude la giornata.

Che molti di noi proseguono riservando l’indomani a escursioni turistiche: personalmente mi dedico a varie abbazie, da quella vicina di Coltibuono a quella, già oltre i limiti della provincia, di Vallombrosa, ricca di fascino e di cultura, nonché teatro di una storica corsa “del trenino”. In Toscana, c’è sempre qualcosa di bello da vedere, da fare, da correre.

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Radda in Chianti, 15 maggio - Oggi dopo tanto tempo ci si rimette un pettorale.
Distanza scelta 42km, la nostra amata REGINA, ma inserita in un fantastico Chianti Ultra Trail dalla distanza massima di 73 km e altre più fattibili di 15 e 20 km, con quasi un migliaio di partecipanti che hanno riempito questa graziosa cittadina appollaiata in cima a un colle.

Percorso mozzafiato, scandito da salite discese e… salite salite salite. A noi maratonete sono toccati 1400 metri da salire e discendere (ma gli ultimi 3 km erano la salita più dura!), per chi ha corso i 73 km c’erano 2700 metri verticali.
Un ottimo battesimo per chi per mesi ha corso non più di 30 km. Ombretta 48^ (e quarta donna) in 4.23:26, Anna 94^ in 4.55:18: su 269 classificati, regolati là davanti da Patrizio Curti (3.17:13) e la spagnola Angels Llobera (4.01:27) molto davanti alla seconda Giulia Petreni (4.16:00).
Ottima organizzazione e solito grande spirito dei toscani!

Io e Anna come premio finale ‘autogestito’ ci siamo sciroppata un'ottima bottiglia di Chianti. Ma poi siamo tornate in zona traguardo per festeggiare la più forte di noi, Daniela Viccari (Bergamo Stars), partita un’ora prima (alle 6 di mattina) e giunta poco dopo le cinque della sera, 162^ assoluta in 11.19:56, lasciandosi dietro quasi 80 concorrenti (236 i classificati) in una gara vinta da Luca Manfredi Negri in 6.21:30 e, tra noi donne, da Giulia Vinco in 8.01:29.

Adesso che si ricomincia, arrivederci a presto!

Radda-in-Chianti-Ultra-Trail

 

 

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Sabato, 15 Maggio 2021 21:47

Arco (TN) - Garda Trentino Trail

GARA DA RECORD CON JUNG, BELOTTI, VASINOVA E MORITZ AUF DER HEIDE; GIOIA PER 1.300, IL TRAIL DI GARDA E LEDRO SEGNA IL RITORNO ALLA NORMALITÀ

15 MAGGIO – La 6a edizione della Garda Trentino Trail segna un grande successo organizzativo (1.300 iscritti), l’apertura ufficiale della stagione turistica nel Garda Trentino, e come primo grande evento outdoor in campo nazionale scandisce soprattutto un importante passo verso la normalità. E con quasi le lacrime agli occhi lo ricorda la campionessa del mondo Valentina Belotti al termine della vittoriosa cavalcata nella gara più corta di 11 Km. “Qui sul Garda la vera vittoria è stato tornare a respirare un’atmosfera di normalità - le sue parole al traguardo -: è impagabile ritrovarsi in albergo la sera prima dell’evento, cenare e passare del tempo con amici e colleghi. La vittoria è preziosa, ma oggi c’è un altro motivo per essere felici. Sono emozionata”. E a rendere ancora più speciale questa giornata è stata la massiccia presenza di atleti stranieri, alcuni di altissimo livello agonistico. È la conferma del ritorno alla normalità in territori come il Garda Trentino e Ledro, da sempre ad alta vocazione turistica internazionale, commenta il presidente GTT Matteo Paternostro.

A trionfare nel Garda Trentino trail 2021 è stato il l’altoatesino Daniel Jung: il fuoriclasse trentasettenne di Naturno è il primo della storia a chiudere i 62 Km con 3.800 metri di dislivello della distanza maggiore sotto le 6 ore, fermando in cronometro sul tempo di 5:58’24. La vittoria femminile è invece andata alla bergamasca Chiara Galli.

La minaccia della pioggia non ha intimorito i partecipanti alla gara disegnata attorno ai tre laghi di Garda, Ledro e Tenno, che in questo 2021 ha saputo regalarsi un triplo record: quello degli iscritti, quello del vincitore e quello relativo alla presenza di molti big stranieri, con il tedesco Moritz Auf der Heide e la ceca Marcela Vasinova su tutti.

Appena il tempo di lasciare Arco, alle 7 di mattina, e Jung ha imposto un ritmo forsennato, involandosi già sul sentiero della Ponale per raggiungere in testa il Lago di Ledro e quindi aggredire senza esitazione le rampe che sfiorando il Monte Cocca conducono ai 1721 metri di quota di Bocca Saval, il punto più elevato del tracciato. Il tratto in quota sul Sentiero della Pace fino al Rifugio Nino Pernici ha preceduto la prima discesa importante che l’ha condotto al Lago di Tenno, dove i sentieri sono tornati a salire verso il Monte Calino e la Bocca di Tovo, ultima asperità prima della picchiata verso Arco. Consapevole di essere perfettamente in linea per l’impresa, il venostano si è concesso a pochi metri dal traguardo una sosta per baciare la fidanzata Christine. “Le avevo dato appuntamento per le 13 al traguardo, ma con le ragazze è sempre meglio essere in anticipo e ho sfruttato quei secondi di margine per donarle il bacio della vittoria”.

Ed anche il vantaggio nei confronti degli avversari era di tutta sicurezza: alle sue spalle secondo posto per l’altro bolzanino Ivan Favretto (6:06’35), fresco vincitore del Trail degli Abati (Abbotts Way)  mentre sul terzo gradino si sono accomodati a braccetto il tedesco Benjamin Bublak ed il sudtirolese Philipp Ausserhofer, appaiati dopo 6:09’15 di gara. Appena alle loro spalle, quinto tempo per il trentino Christian Modena (6:13’11) e sesto per il campione uscente Manuel Bonardi (6’20’09).
Una gara fantastica, passare in un nulla dal Lago di Garda a quasi 2000 metri è qualcosa di speciale e la salita verso il Rifugio Pernici è stata davvero tosta - ha raccontato al traguardo Jung - ho voluto spingere a tutta, sapendo che la concorrenza era temibile ed è stata la tattica giusta. È bello poter essere protagonisti di una giornata così, allestita alla grande ed in un contesto davvero eccezionale”.

Vittoria bergamasca invece nella gara femminile. Il merito è stato tutto della trentatreenne Chiara Galli che con soli tre anni di attività alle spalle ha saputo conquistarsi un posto sul prestigioso gradino più alto dopo 7:46’42 di fatica. "È stata una gara tosta, ma veramente esaltante, sin dal via. Il tratto iniziale fino a Riva del Garda e poi il sentiero del Ponale sono davvero suggestivi; nelle ultime salite ho pagato lo sforzo, ma non posso che ringraziare chi si è impegnato per organizzare una gara così”.

Pochi minuti dopo di lei, il podio femminile si è completato con il secondo posto della trevigiana Cristiana Follador (7:59’31) ed il terzo della piemontese Chiara Boggio (8:02’52).

GARDA TRENTINO RUN

La bresciana della Val Camonica Valentina Belotti e l’altoatesino Lukas Messner sono stati i primi a tagliare il traguardo di giornata, al termine degli 11km con 600 metri di dislivello della “minore” delle quattro distanze in programma.

Belotti, un oro e tre argenti ai Mondiali di corsa in montagna negli ultimi anni, si è presentata sul rettilineo conclusivo dopo 1:04’48 - diciannovesimo tempo di giornata - al termine di una prova solitaria che le ha permesso di precedere la torinese Chiara Bertino (1:10’53) e la vicentina Alice Casali (1:13’47). "È stata sicuramente una gara tosta – spiega la vincitrice -: in discesa non sono un’aquila e proprio per questo posso dire che il tracciato era preparato alla perfezione. Grazie davvero agli organizzatori: hanno saputo allestire una gara fantastica e per farlo, oggi, ci voleva tanto coraggio, bravi”.

È durata poco più di 53’ invece la gara del pusterese Lukas Messner (53’04 il suo tempo) che si è così accomodato sul gradino più alto attorniato dal piemontese Andrea Negro (54’50) e dal bergamasco PierLuca Armati (55’15). “Sono abituato a distanze maggiori - sono le parole di Messner - ma dopo la frattura alla caviglia del 2020 ho voluto riaffacciarmi su una prova più corta: le sensazioni sono state buone, la temperatura perfetta: posso dirmi molto soddisfatto e credo che dopo questa prova la mia stagione possa solo crescere”.

Tra i protagonisti della Run anche il trentino Marco De Guelmi (18° assoluto), gestore del Rifugio Nino Pernici, fondamentale punto di appoggio per il tracciato principale del Garda Trentino Trail. Pregevoli anche le prestazioni del sindaco di Arco Alessandro Betta (42°) e del suo assessore allo sport Dario Ioppi (59°).

TENNO TRAIL

La firma è di quelle prestigiose: il tedesco Moritz Auf Der Heide è il vincitore dell’edizione 2021 sulla distanza di 28 chilometri e 1700 metri di dislivello. Il trentatreenne della Westfalia, campione nazionale tedesco nel 2018, ha chiuso la propria fatica dopo 2:10’40 di gara, con poco meno di 3’ di margine nei confronti dell’ex azzurro Emanuele Manzi (2:13’27), atteso sul traguardo dalla moglie Valentina Belotti; terzo posto quindi per il parmense Alessio Gatti (2:18’17). “Una giornata perfetta - il commento a caldo di Auf Der Heide - una gara speciale in un territorio di grande fascino. È stata dura, ma in queste condizioni e con questa organizzazione anche faticare è un piacere”. Il suo tabellino di marcia è impressionante: in 44 gare ha ottenuto 15 vittorie e 27 presenze sul podio.

In chiave femminile l’emozione del successo ha incrinato le parole della veronese Sofia Toniolo, studentessa di matematica della Valpolicella che con il tempo di 2:47’31 si è regalata un’inattesa vittoria davanti alla trentina Elena Sassudelli (2:55’57), seconda e seguita al traguardo da Claudia Sieder (2:56’21).

LEDRO TRAIL

Tre ore e trenta minuti tondi tondi: è il tempo che il bergamasco Luca Arrigoni ha impiegato per trionfare nel Ledro Trail con i suoi 42 chilometri e 2500 metri di dislivello, una gara che per sua stessa ammissione è “veramente stupenda con la partenza sulle sponde del Lago di Ledro ed una salita iniziale verso Bocca Saval degna di un vertical. Gli organizzatori meritano davvero un plauso: si tratta di una vittoria davvero cercata, la volevo e l’ho ottenuta”. Al successo di Arrigoni hanno risposto i piazzamenti da podio di Francesco Lorenzi (3:36’10) e del tedesco Marcel Höche (3:43’41) mentre nell’albo d’oro femminile ha debuttato la bandiera della Repubblica Ceca per merito di Marcela Vasinova, trentaduenne di Brno, di casa a Salisburgo, che ha dominato la corsa in rosa in 4:11’51. “Mi sono goduta ogni singolo metro della gara, organizzata molto bene e con un tracciato davvero spettacolare – il suo commento -. Per me si è trattato della prima gara della stagione e credo che sia un segnale bellissimo per ripartire dopo mesi tanto complicati”.

Commozione e felicità hanno accompagnato l’arrivo di tutti i partecipanti di questa edizione da record: nel settembre 2020 il comitato organizzatore coordinato dal presidente Matteo Paternostro aveva potuto e saputo prendere confidenza con il protocollo di sicurezza, un’esperienza che pochi mesi più tardi ha saputo esaltare una manifestazione diventata autentico riferimento per il panorama italiano e non solo. E di fatto ha segnato una svolta verso il ritorno alla normalità per lo sport italiano. E alla premiazione Matteo Paternostro ha ringraziato il presidente della Fidal del Trentino Dino Parise per il supporto ricevuto: la Federazione ci è stata vicina e ci ha accompagnato nella definizione dei protocolli con un lavoro insostituibile. Merito del successo di oggi e proprio della Fidal. Ringraziamenti anche all’assessore allo Sport di Arco Dario Ioppi oggi protagonista anche come concorrente

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Il 12 settembre scorso, quando nella stessa località si svolse la prima gara competitiva di tutta la regione dopo sei mesi e mezzo di buio, mi auguravo che “il coraggio di ripartire” mostrato da questo comune giovane e a misura di gioventù, ma anche accogliente per noi vecchi podisti, fosse seguito da altri in regione.
Così non è stato, quantomeno in provincia di Bologna: e allora è toccato di nuovo a Zola, al suo associazionismo sportivo, al sindaco Davide Dall’Omo, quarantacinquenne con un grande passato nella pratica e nella gestione dello sport (e che a Natale ha passato il Covid senza farsene fiaccare), e alla famiglia Montecalvo al completo (Nicola è nella foto 432), di riprendere in mano le sane abitudini di un trail apprezzato fin dal 2013, e rilanciarlo in una data come questo sabato 1° maggio.
A settembre, vista la lunga disabitudine all’agonismo, si era offerto un trail “light”, ridotto, rispetto al glorioso passato, a 7 km con 200 metri di dislivello, e salutato da un successo impensabile con 150 partecipanti (sui 120 inizialmente fissati), e iscrizioni chiuse molto in anticipo.
Stavolta si replica, su una lunghezza raddoppiata e irrobustita nel dislivello, che toccava i 550 metri, con un paio di salite brevi ma tostissime tra i km 8 e 11,2, dove addirittura gli organizzatori avevano sistemato corde alpinistiche per trascinarci su.
Previsti 250 iscritti, ammessi alla fine (per bontà loro e l’intelligente comprensione della Fidal regionale, qui rappresentata da Christian Mainini) in 350, e se avessero lasciato aperti i cancelli ne sarebbero venuti almeno 500: C’È FAME DI CORSA, DI ARIA APERTA, DI RITROVO TRA AMICI, DI ALLEGRIA, DI SALUTE, e solo una comunità di ragazzi in gamba come quelli di Zola sembra per ora capirlo dalle parti di Bologna (quanti erano venuti con le loro biciclette lungo il percorso a segnalarci la direzione, spesso aiutati da vigilesse pure loro giovani e carine!).
Un numero così alto ha reso impossibile la partenza individuale a cronometro, 20” l’uno dall’altro, usata la volta scorsa, e si è optato per partenze ogni 5 minuti, scaglionate per gruppetti di 50, tutti a debita distanza e con mascherine per i primi 500 metri. Tariffa di iscrizione davvero economica, a 10 euro, comprensiva di pacco-gara, della mascherina nuova data al traguardo, e di un ristoro intermedio che non era di sola acqua (come annunciato), ma di tè, bevande idrosaline e altro.
Perfetta come sempre l’organizzazione: parcheggio più che sufficiente a fianco del ritrovo; campo sportivo recintato dove si accedeva solo dopo verifica della febbre (al mio 35.4 mi sono chiesto come facevo a stare in piedi). E, come già si sapeva, un bellissimo percorso, i cui panorami sono ben visibili dalle foto di Teida Seghedoni (ecco un altro piacevole ritorno, assieme a quello di Jader che qui è di casa): vedere nel suo servizio le foto 13-22, e poi 66 e seguenti, 284, 375, 414 e tanto altro.
Ottime le segnalazioni con frecce, ma nella maggior parte del percorso bastava seguire l’accurata rasatura dei prati che ci ‘scavava’ il tracciato nel rigoglio vegetale di questa stagione meravigliosa (a proposito: i meteo- astrologi avevano previsto pioggia al 90%, infatti c’era il sole).

Doveroso dire dei vincitori, rinviando alla graduatoria integrale per la lista di tutti i 329 classificati, equamente divisi fra Bologna, Modena, Reggio, Ferrara, Ravenna e oltre (e va detto che pur non essendoci chip, la divulgazione delle classifiche è stata di una celerità incredibile): ha dominato Jacopo Mantovani tra gli uomini, con tre minuti di vantaggio sul secondo; il terzo, Favaron junior, era stato secondo nel 2020. Il quarto, il modenese Xhemalaj, coi suoi 27 anni è tra i giovanissimi del lotto. Settimo assoluto il 50enne Massimo Sargenti, primo appunto della categoria over 50.

1 01.01.57 Mantovani, Jacopo. 1980 1 M Under M50 CSI Sasso Marconi

2 01.04.52 Bianchi, Filippo. 1986 5 M Under M50 Pro Sport

3 01.04.59 Favaron, Fulvio. 1992 8 M Under M50 Unione Sportiva Zola Predosa

4 01.05.19 Xhemalaj, Saimir. 1994 29 M Under M50 Modena Runners Club ASD

5 01.06.11 Gervasi, Fabio. 1988 12 M Under M50 Atletica Castelnovo Monti.

Tra le donne, vittoria assoluta di Mélina Clerc Grosjean, trentatreenne, che ha preceduto di due minuti l’intramontabile Isabella Morlini, vincitrice del 2020 e che oggi si accontenta del successo tra le over 50 (in realtà non li ha ancora compiuti, ma fa testo il millesimo)

Under F50 1 01.11.14 Clerc - Grosjean, Mèlina. 1988 3 Tornado Team

F Under F50 2 01.17.48 Mezzadri, Elisa. 2000 87 ASD Francesco Francia

F Under F50 3 01.22.55 Tognini, Sara. 1981 109 ASD La Galla Pontedera Atletica

Over F 50 1 01.13.08 Morlini, Isabella. 1971 2 Atletica Reggio ASD

F Over F 50 2 01.33.49 Sitta, Emanuela. 1969 239 GP I Cagnon

F Over F 50 3 01.33.50 Casadio, Monica. 1959 258 GPA Lughesina

 

 Ma lasciatemi dire che il bello di questa corsa sta nei podisti normali o sub-normali (categoria nella quale mi ci ficco volentieri, incurante del disprezzo di quel tal pamphlettista bolognese – oggi ovviamente assente - che negli squalificati webinar cui partecipa esecra il fatto che noi, gente da 4 ore abbondanti in maratona, o l’allegrone delle foto 242-245, ci permettiamo di profanare con le nostre pelate o pancette o le andature rasoterra il sacro recinto dell’atletica sublime).
Viva dunque Paolino Malavasi (foto 489-90) che incrociato in un avant-indré verso il km 8 mi ha mormorato “Divoc-can, s’lè dura!” (dove Divoc non è una bestemmia ma solo Covid letto al contrario, perché noi podisti siamo contro il Covid ben più che i fanatici del “tutti a casa”). E viva il Giuseppe Cuoghi della Cavazzona, classe 1947 (foto 221-5, 672-8), che ha vittoriosamente conteso il penultimo posto all'amico Lele Vassalli da Ferrara, classe 1971 (quello delle foto 242-5); mentre i cugini Giaroli si impegnavano in una lotta cuginicida vinta da Angelo (foto 321, 617) con 4 secondi su Paolo; e vivano gli sposi Claudio e Simona da Modena, che procedendo come sempre in coppia (foto 187-8) sono stati sotto il rispettabile traguardo delle 2 ore.
Viva tutti questi, e naturalmente viva anche la prof Isabella o l’operaio Saimir, che nei giorni festivi non vanno agli happy-hour o alle dirette Facebook, ma spendono le proprie fatiche dovunque un organizzatore coraggioso e responsabile gliene offra l’occasione.

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Un altro bell’esempio del coraggio di ripartire.

Tecnicamente sarebbe la seconda edizione di questa mezza maratona, la prima è stata corsa nel 2019 senza il marchio Fidal; la scelta del Gruppo Podisti Ciarlaschi e del suo presidente (Alfredo Gentili) traduce tutta la voglia di realizzare una manifestazione che guarda lontano. Un progetto ambizioso da parte di un gruppo giovane, sono infatti nati nel 2015, ma con tanto entusiasmo e voglia di fare. Da qui la decisione di offrire a tutti i podisti un percorso certificato, che quindi varrà a tutti gli effetti per le proprie prestazioni. Un percorso veloce, completamente piatto e con poche curve significative che permetterà di “correre sul ritmo”, a tutto vantaggio delle prestazioni. Particolare non trascurabile è che in quanto gara nazionale approvata Fidal-Coni si potrà svolgere in ogni caso, a dispetto delle varie “colorazioni”, anche se ovviamente l’auspicio è che la situazione migliori sempre più.

Sede della gara è a Lacchiarella, cittadina di 9.000 abitanti situata circa a metà strada tra Milano e Pavia. Partenza prevista alle 09.00, salvo eventuali modifiche di cui verrà prontamente data nota. Il percorso si snoda in direzione sud, quindi verso Pavia ed attraversa i comuni di Giussago e Certosa di Pavia, da qui la denominazione ufficiale “mezza dei tre comuni”. Giro di boa all’altezza della Certosa di Pavia, siamo circa al km 10; si torna verso nord percorrendo la ciclabile dell’Alzaia Naviglio Pavese sino a Baselica Bologna (km15), dove si riprende la strada interna fino ad arrivare a Lacchiarella.

A tutto vantaggio della regolarità della gara è prevista una rilevazione intermedia dei passaggi.

Onde evitare possibili assembramenti e code, si suggerisce a tutti coloro che ne hanno la possibilità di provvedere al ritiro del pettorale il giorno precedente la gara, dalle 15.00 alle 20, presso la Rocca Viscontea a Lacchiarella.

Per ultimo, ma non meno importante, sino all’11 maggio si prevede la preiscrizione alla gara senza costi immediati.

Per informazioni:

https://www.facebook.com/la21dei3comuni/?ref=page_internal

Per iscrizioni:

https://api.endu.net/r/i/52908

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Sfidando i pessimisti, i “Lupi dell’Appennino” non hanno voluto bissare la dolorosa rinuncia del 2020, e questa volta hanno portato a termine una “Abbotts way” che resterà memorabile per le circostanze in cui è nata.
Munitisi (tramite Uisp) del pass-Coni quale competizione nazionale, introducendo addirittura una novità (almeno per l’Italia) del tampone per i partecipanti, con la sola avvertenza di aspettare la “zona arancione” hanno ripreso l’antica via che gli Abati di Bobbio facevano per portare al Papa i loro messaggi e rendiconti, e da Bobbio a Pontremoli hanno avviato e scortato 174 atleti, più 117 partiti da Borgotaro lungo il tratto più affascinante del valico appenninico, e con l’aggiunta dei 67 che a Borgotaro si sono fermati dopo 90 km.
Successo pieno, e nomi di grande prestigio al traguardo di questo primo trail “centenario” e interregionale nell’Italia del Covid.

Vittorie di Ivan Favretto e Melissa Paganelli nella prova maggiore, di Saporiti-Canessa nella staffetta a due; di Cedric Bolea e Lisa Borzani nella 90 km: quest’ultima, letteralmente allo sprint, con due soli minuti di vantaggio sulla compagna di squadra in Bergamo Stars, Cinzia Bertasa.

Bravi tutti, a cominciare dagli organizzatori, che hanno smentito i menagramo e gli squalificati detrattori di una disciplina che, quando è su questi piani e a questi livelli, diventa davvero la più bella e sportiva di tutti. Ma lascio la parola a una protagonista, tornata su queste alture dopo tanti anni.

 

Natalina  Masiero

Se dovessi descrivere la Abbots edizione 2021, non basterebbe un libro. Avevo un conto in sospeso con questa manifestazione e volevo saldarlo. Nel 2015 partecipai a questo bellissimo trail, ma mi persi lungo un sentiero e impiegai più di un'ora prima di trovare il Soccorso Alpino.
Quest'anno, un po' per la situazione che stiamo vivendo e,  confesso, anche per la paura che non si potesse fare, ho atteso fino all'ultimo istante prima di iscrivermi. Mai decisione è stata più indovinata.
L'organizzazione ha voluto che tutti i partecipanti esibissero l'esito del tampone fatto 48 ore prima e questa saggia decisione ci ha permesso di utilizzare i servizi essenziali sia alla partenza che all'arrivo.
Mi sono iscritta alla 90 km: oramai troppo vecchia per cimentarmi sulla 125... Ma veniamo a venerdì. Partenza ultrascaglionata, ultrasicura, alle ore 20 (per me ore 20,20) dal bellissimo paese di Bobbio, borgo stupendo e famoso per il Ponte Gobbo (o anche Ponte del Diavolo), e naturalmente per l’antichissima abbazia.
Tirava appunto un vento del diavolo, quindi tutti ben coperti. Si inizia subito a salire e io con pettorale 357 ero proprio alla fine. Pazienza, mi consolo pensando che anche questa volta sono la più anziana di tutti. Le salite si susseguono ininterrottamente fino al primo ristoro a Coli. Volontari gentili mi danno un sacchettino con biscotti e integratori. Mi fermo un attimo e riparto, ho troppo freddo.
Passato Coli, vinco un terno secco! Trovo due ragazzi burloni e simpaticissimi, Giuseppe e Andrea, e con loro rimarrò fino al 60mo km. Loro avevano provato il percorso e conoscevano ogni sasso che calpestavamo. Giuseppe, alle mie richieste di dove ci trovassimo, rispondeva "Nata, siamo a.... arriviamo a..... è là è là". Non mi sono mai annoiata.
Arriviamo a Farini, e anche lì volontari meravigliosi, ci coccolano con un mega ristoro. Dopo Farini inizia però la parte dura, il famigerato Monte Lama. Quando al briefing prima della partenza, Elio diceva che c'era una spruzzata di neve e che la temperatura sarebbe scesa, pensavo scherzasse. Purtroppo non scherzava. Temperatura - 4 gradi, neve e sentieri ghiacciati. Quanto freddo, non sentivo più le mani e neppure i piedi. Capitomboli a non finire, e il vento che mi sollevava da terra nonostante fossi vestita come al polo Nord. Ma avevo i miei due ragazzi che continuavano a rincuorarmi; e così io, maledicendomi per non essere rimasta a casa al caldo, sono arrivata a Bruzzi. Anzi, per essere chiari, continuavo a vedere la chiesa di Bruzzi, ma il paese non arrivava mai.
Altro super ristoro e poi via. Finalmente, dopo 12 ore esatte di "corsa", vedo in lontananza il Castello di Bardi. Lo vedo, perché anche il Castello forse è stato "spostato" oltre. È là, è là, strilla Giuseppe, sarà, ma non ci arrivo più.
Per fortuna, mi sento chiamare. È la Roby Peron (ultratrailer dalle grandi imprese, ndr), che si è fatta tutto il percorso con la bici. La Roby, quando sono in crisi è un vero toccasana. Entro a Bardi ed ecco l'ennesimo "dispetto": per arrivare al ristoro, bisogna percorrere tutta la salita per il cortile centrale…
Dopo essermi rifocillata, riparto con i due "scudieri" convinta che il peggio sia passato. Assolutamente no, è un continuo salire, e la stanchezza inizia a farsi sentire. Purtroppo, ma giustamente, i due angeli custodi mi lasciano e io proseguo sola soletta. Il percorso è sempre più duro e non mi aiuta certamente il fatto di dover attraversare continuamente i torrenti con l'acqua fredda. Gli organizzatori, bravissimi, hanno messo anche le corde, ma io cado comunque e mi faccio un bagno anticipato.
Arrivo ad Osacca, bellissimo borgo dove mi applaudono anche se sono quasi ultima. Una signora mi chiede, scusandosi, l’età e quando sente che veleggio per i 69 anni, mi incoraggia come fossi una star. Avanti, mi dico.
Arrivo a Caffaraccia e mi dicono che mancano ancora 8 chilometri. Ho i piedi "lessati", ma proseguo. Vedo il Taro e inizio a corricchiare. Ci siamo, ecco il traguardo di Borgotaro, dove mi attende una bella doccia, la medaglia e l'abbraccio (a distanza) di Armando Rigolli.
Considerazioni finali: organizzazione al TOP, balisaggio PERFETTO, felpa di partecipazione BELLISSIMA e volontari AM BESTEN (i migliori). Partendo di sera, ho avuto la possibilità di godermi l'Appennino in tutto il suo splendore.
La Abbots, non è modaiola, non è fashion, è un trail duro: ma stupendo.
Grazie a Tutti, a Elio, Elisa, Armando e soprattutto ai miei due angeli custodi.

 

I PRIMI ARRIVATI

 

125 km + 5700 D

(144 arrivati su 164 partiti)

 

  1. Italy  Favretto Ivan     RUNCARD - TEAM SKINFIT-SCARPA   12:57:15         
  2. France  Chavet Cédric           KINETIK ADRENALINK   13:20:21                     
  3. France  Guillon Antoine        KINETIK ADRENALINK   13:20:29                     
  4. Italy  Rabensteiner Alexander           BERGAMO STARS ATLETICA     13:53:33
  5. Italy  Corsini Simone ATLETICA MDS PANARIAGROUP ASD 13:53:38         

DONNE

  1. Paganelli Melissa ELLE ERRE ASD 16:34:56
  2. Dal Rio Francesca LEOPODISTICA 18:25:17         
  3. Tasin Maura ATLETICA VALLE DI CEMBRA  19:10:34

STAFFETTA (15 squadre)

  1. SAPORITI RICCARDO / CANESSA ALBERTO        SISPORT PIVETZ    12:50:22

Donne

1. D'URSO MONICA FRANCESCA / BARONE DANILA      DOLCEMENTE RESILIENTI            16:19:54

 

KM 90 + 4200 D (67 arrivati, di cui 6 scope nel tmax di 22:00

  1. GOLEA CEDRIC TEAM INSTINCT INTERNATIONAL - HOKA   10:05:32
  2. BONARDI MANUEL ASD ATLETICA PIDAGGIA 10:26:33
  3. DE RIZ FRANCESCO CANTINA DA PAJER ASD - HOKA ONE ONE  11:29:59

Donne

  1. BORZANI LISA                          BERGAMO STARS ATLETICA     12:41:46
  2. BERTASA CINZIA                      BERGAMO STARS ATLETICA     12:43:40
    3. MAGNESA GIULIA                   ATL. CASONE NOCETO        14:45:57
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17 aprile - Con la teleconferenza del presidente Draghi di ieri, abbiamo finalmente sentito un annuncio fondato sui fatti e non su quelle melliflue retoriche avvocatesche in cui la parola “chiuso” era sostituita da “protetto”. Si è parlato di “risposta al disagio di categorie e giovani”, di “basi per la ripartenza”, e, nei fatti, di ritorno alla “zona gialla”, di possibilità di spostarsi tra regioni (la famosa “trasferta” di Morselli da Reggiolo a Gonzaga, oggi ancora vietata, e dei maratoneti del Garda da Limone a Malcesine), della ripresa generalizzata delle attività all'aperto.
Qui, a bizantinizzare la comunicazione, ci si è messo il pallido ministro-in-bilico Speranza, dichiarando a denti stretti che “nei luoghi all'aperto si riscontra una difficoltà significativa nella diffusione del contagio”. Se parlasse come la gente normale e non come gli ammaestrati alle affumicate scuole di partito, direbbe papale papale, come ha scritto qui il nostro Primario, e come la prof. Antonella Viola ha ribadito (Corriere della sera, 11 aprile): “Il contagio all’aperto è un evento molto raro. Diversi studi hanno permesso di dimostrare quanto molti di noi sostenevano da tempo, e cioè che la possibilità di contrarre l’infezione da SARS-Cov-2 all’aperto è bassissima. Questo è un dato di fatto che ci dovrebbe permettere di programmare al più presto la riapertura dei bar e ristoranti all’aperto… organizzare corsi e attività ne parchi, intervento quanto mai urgente … per l’importanza dell’attività fisica per la salute di adulti e ragazzi”.

Pragmatico come nella sua natura, capace di soppesare dei calcoli costi/benefici che non sono quelli buffoneschi evocati troppe volte nei due precedenti governi, improntato al “rischio ragionato” (d’altronde, che il “rischio zero” non esista è stato ribadito anche nelle ultime settimane con gli esiti avversi di talune vaccinazioni, tuttavia in percentuale infinitesimale rispetto ai benefìci), Draghi si basa essenzialmente sul fatto che adesso in Italia ci stiamo vaccinando (meno, molto meno di Inghilterra e Germania, ma insomma trecentomila o passa ogni giorno): è il vaccino l’unica arma di attacco che ci farà vincere la guerra (le altre sono solo armi difensive, come la corazza che Clint Eastwood si prepara per il finale del “Pugno di dollari”; ma a decidere il duello sarà la pistola, non la corazza).

Dunque, riaprono ristoranti e luoghi di spettacolo all’aperto, ovviamente con limiti di capienza, e si parla più decisamente del “pass”, passaporto non solo vaccinale, ma anche per chi ha già avuto la malattia, o anche per chi esibisce un tampone negativo (come si è fatto nella Abbotts Way di questi giorni, oltre che nei viaggi in treni e aerei covid-free), per accedere a eventi culturali e sportivi.
Apripista in questo campo è stata la neo sottosegretaria allo sport Valentina Vezzali, con la dichiarata apertura, seppur parzialissima, dello stadio Olimpico per il calcio: geloso, un altro ministro pallido e antisportivo, quello della Cultura (uno che mi sorprenderei molto se lo vedessi fare jogging sulle Mura di Ferrara), ha subito reclamato “o tutti o niente”; tipica manifestazione di invidia italica sotto le mentite spoglie della parità dei diritti, per cui se sei biondo tu lo devo essere anch’io, e se sono malato io, tu non hai diritto di divertirti. E così ha ottenuto che si riaprano anche i musei, il che male non fa, se si rispettano le distanze e se i finestroni sono aperti.

Ineliminabile, e anzi più rigorosa che mai, deve essere la “premessa” enunciata chiaramente da Draghi: “i comportamenti siano osservati scrupolosamente, come mascherine e distanziamenti… in questo modo il rischio si trasforma in opportunità".

Veniamo allora al nostro orticello (che poi non è nemmeno tanto piccolo): se tanto ci dà tanto, se a breve riaprono le palestre, e se delle piscine si è addirittura scoperto l’apporto attivo alla sconfitta del coronavirus (d’altronde, non ci fanno lavare le mani con amuchina o sostanze simili a base di ipoclorito di sodio, insomma lo stesso cloro con cui si sanifica l’acqua delle piscine, oltre all’acqua che beviamo?), cosa impedisce una riapertura sistematica del podismo? Quanto al rispetto delle regole, le gare svoltesi da settembre a oggi hanno mostrato non solo gli scrupoli degli organizzatori, ma anche, nei fatti, l’assenza di ogni contagio in conseguenza delle gare.
L’indisciplina è ben altrove, e andrebbe perseguita questa, altrocché inseguire coi droni il podista o ciclista sugli argini dei fiumi: nel percorso che mi sono personalmente ricavato per i miei allenamenti,  rigorosamente in solitudine, passo vicino a una palestra ‘regolare’ di una società sportiva, però chiusa, e cento metri dopo, a  un gazebo dove stazionano regolarmente dai quattro ai dieci personaggi che cazzeggiano o si bevono la birra o addirittura  fanno la grigliata; e adesso hanno perfino costruito sull’erba un campo di pallavolo, dove dagli 8 ai 10 ragazzotti giocano regolarmente e in allegria (e Dio li benedica, aggiungo).

Avanti pure, dunque, sotto la nostra trinità, o se volete i nostri angeli custodi: Dio benedica Valentina Vezzali e, nel nostro specifico, anche il neo-presidente Fidal, Stefano Mei, che (ad onta delle scriteriate e prevenute richieste di dimissioni da parte di chi, nell’anno e passa precedente, aveva semplicemente cancellato lo sport podistico, azzerando sia i bilanci delle società sia quel poco di salute che ci eravamo conquistati noi praticanti) è andato a dare il via al Giro dell’Umbria (quando mai si era visto un presidente Fidal a una gara che non fosse una competizione internazionale infarcita di campioni e di sponsor?). E Dio benedica anche quei “comunisti” (lo dico col massimo affetto, come don Camillo verso Peppone) dell’Uisp, che hanno saputo farsi, pure loro, un bel calendario di gare omologate dal Coni come nazionali, ponendosi quale utile complemento – non contrapposizione – della Fidal, allargando le possibilità di sport per noi finora reclusi e abbandonati.

Adelante con juicio, insomma, ma adelante.

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Lunedì, 12 Aprile 2021 18:20

Torino - 1^ Corsa di Primavera

11 aprile 2021. C’è chi annulla le gare e c’è chi le fa, addirittura ne inventa di nuove. E’ il caso di questa 1^ Corsa di Primavera, organizzata dalla ASD Giannone Running con il prezioso supporto di Fidal Piemonte che qui, come altrove, sta pienamente sostenendo il movimento delle corse su strada, le più penalizzate di questi tempi.

Siamo nel Parco Dora, che prende il nome dal fiume che lo attraversa, la Dora Riparia. Oggi uno dei tanti polmoni verdi della città di Torino, ieri sede degli stabilimenti di Fiat e Michelin.

La testimonianza di una bella manifestazione ci arriva da Tommaso Ravà, atleta del DK Runners di Milano (n.d.r. primo categoria M40 e sesto assoluto dopo una bella volata). Uno dei tanti che avrebbe voluto correre alla Stramagenta ma … è stato deciso di annullarla ed allora è capitato da queste parti, tornando a casa con una felice esperienza.

Gara nazionale Fidal, quindi consentita dalle normative (diversi comuni forse non lo hanno ancora capito), che si è svolta su un percorso piuttosto mosso di circa km 8,5, un misto di asfalto, sterrato ed alcuni tratti erbosi; due giri di 4 e 4,5 chilometri.

Gara maschile vinta da El Bir Ayyoub (Atletica Biotekna) sul forte triathleta Kiril Polikarpenko (CUS Torino); terzo il brasiliano Stefan Gomes (ASD Borgaretto).

Tra le donne è la nazionale azzurra Michela Cesarò (Cs Carabinieri) ad avere la meglio, del resto si porta in dote tre titoli italiani nel settore giovanile. Secondo e terzo posto rispettivamente per Gianfranca Attene (Torino Road Runners) e Elisa Rullo (Cral Reale Mutua).

Come spesso accade premiate le società più numerose: primo posto per Torino Road Runner, seconde a pari merito ASD Borgaretto e Podistica None.

Come riferito da molti dei partecipanti l’organizzazione è stata davvero ottima, efficiente e rispettosa dei protocolli, premiata con una partecipazione piuttosto elevata, alla fine sono 350 gli atleti classificati.

Speaker della gara Fausto Deandrea, persona appassionata e molto nota da queste parti.

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